28 luglio 2009

- PARLIAMO di MORALE


Mi sono spesso domandato quale sia il significato del termine “morale”. Si tratta di una parola che non ha una valenza uguale per tutti e che, per questo motivo, è stata riempita di tanti significati, spesso a sproposito !
Una cosa, però, mi è chiara; e cioè che non posso decidere quali comportamenti assunti dal mio prossimo siano morali e quali immorali. Se lo facessi, mi ergerei a giudice e, in questo caso, sarei senza morale perché mi sarei qualificato “essere perfetto”.
La perfezione, ahimè, non è terrestre per cui, se qualcuno già lo fosse, non farebbe più parte di noi, ma sarebbe passato a ciò che chiamiamo “l’Oriente Eterno”.
Nessuno può giudicare il fratello uomo, perché nessuno è così superiore da essere estraneo alle debolezze umane.
Ogni individuo è come un albero che deve essere curato in ogni momento affinché fruttifichi bene. Il frutto è buono solo se tale lo è l’albero da cui è scaturito.
Questo simbolismo che ho utilizzato mi è venuto in mente pensando al fatto che le parole, come i frutti, possono portare alla realizzazione di grandi opere o, al contrario, far sprofondare l’uomo verso le tenebre.
La morale deve conciliare con gli altri ideali posti alla base dell’essere iniziato quali la libertà, la tolleranza, l’umiltà e l’uguaglianza. Sono libero, ma la mia libertà non è assoluta perché finisce dove inizia quella dell’altro.
Non è forse vero che ognuno di noi deve tendere alla elevazione e, come si usa dire in altri rituali, “scavare oscure e profonde prigioni al vizio”?
La finalità del Massone è quella di erigere templi alla virtù e ascendere un sentiero di luce sempre più vivido e sfavillante, che diviene infine luce pura e nella quale l’uomo si integra e torna al suo principio.
I Grandi Iniziati, da Rama a Krishna, da Ermete a Mosè, da Pitagora a Gesù, in epoche diverse ed in luoghi aventi differenti realtà, hanno affermato che il supremo comandamento dell’iniziazione è il raggiungimento della consapevolezza della perfezione divina nell’anima dell’uomo.
L’uomo deve mantenere accesa la scintilla divina di cui è portatore, ma, essendo troppo consolidato nella materia (i metalli), deve svolgere un lavoro di “purificazione” per tornare a reintegrarsi nell’energia primigenia.
Il lavoro iniziatico di costruzione del tempio interiore e, contestualmente, di quello dell’umanità sul pianeta Terra è il fine da raggiungere, come si può dedurre dalla simbologia delle magiche e misteriose Cattedrali Gotiche, simbolo della conoscenza iniziatica.
Il comportamento del Massone deve tendere all’attuazione della massima “Fai agli altri ciò che vorresti gli altri facessero a te”. Questo precetto, infatti, costituisce uno dei primi insegnamenti forniti a chi si avvia in un cammino di luce.
In altri termini l’iniziato, prima di agire nei confronti dell’ambiente che lo circonda, si deve chiedere se il suo comportamento produrrà delle conseguenze che egli gradirebbe sulla sua persona. La sua organizzazione di vita deve essere basata sul pensare il Vero, costruire il Bello ed operare il Bene.
La costruzione del tempio interiore non si esaurisce all’interno della coscienza di ognuno, ma deve essere conseguenza di un determinato modo di operare nella vita di relazione. Si devono trasferire le virtù iniziatiche dalla morale individuale alle istituzioni collettive perché solo quando l’Umanità riuscirà ad eliminare dai propri rapporti le leggi della forza innalzerà il tempio spirituale e sociale.
Se io mi ergo quale uomo libero ed intacco la libertà degli altri, non sono forse schiavo del mio egocentrismo ?
Nel momento in cui mi faccio sopraffare da queste bassezze umane e cerco di prevalere sull’altro sono vinto, perché, anziché preferire un percorso di Luce, ho mostrato di farmi ammaliare ed avvolgere dalle tenebre.
Nella vita non ci sono sfide che vale la pena accettare se non quelle con il proprio essere. Lo stesso rituale templare che porta all’iniziazione di un profano spiega cosa sono la morale, la libertà e la virtù. La libertà è il diritto di fare tutto ciò che non è contrario alla legge morale ed alla libertà altrui.
La Morale guida ogni uomo intelligente e libero. Essa fa apprendere doveri e diritti e si rivolge ai sentimenti del cuore per assicurare il trionfo della virtù. Cosa sono e chi divento se ritengo di giudicare l’altrui morale puntando la spada sull’altrui cuore ? Sicuramente, intacco la libertà, la dignità, la riservatezza ed il rispetto del fratello che mi ha concesso senza remore, limiti o condizioni e con amore la sua fiducia. È facile puntare il dito contro gli altri, ma io mi domando se, nel fare questo, sono morale. Ed ancora mi chiedo se sono morale nei comportamenti che assumo tutti i giorni nei confronti degli altri e della famiglia e se offro ai miei cari, con il mio impegno ed il mio lavoro, tutto ciò che è giusto offrire; o per essere morale è solo sufficiente che io mi consideri il “morale” per eccellenza... E si torna sempre alla spada puntata verso gli altri!
Secondo Platone l’ideale della vita umana è rendersi degni dell’immortalità.
Nella sua coscienza ellenica il mondo sensibile è considerato nella sua armonia, in quanto riflesso del mondo ideale; il corpo, in quest’ottica, non è un nemico da combattere o la catena da spezzare, ma il mirabile strumento costruito per i fini della ragione.
Sempre Platone ci spiega che non si può esercitare l’anima senza il corpo né il corpo senza l’anima. L’armonia è anche la salute dell’anima. La sanità morale in cui si unificano tutte le virtù è armonia e porzione tra tutte le varie parti dell’anima.
Mi viene in mente Francesca da Rimini che è una donna ideale con una ricchezza di determinazioni che gli danno tutta la simulazione di un individuo. I suoi lineamenti si trovano nelle poesie del tempo: amore, gentilezza, purezza e leggiadria.
La donna che cerca in paradiso, in un qualche modo Dante la trova nell’Inferno. Ella non è il divino, ma l’umano ed il terrestre, capace di colpa e colpevole, che, con profondi contrasti, genera emozioni, l’essenza della vita. Francesca da Rimini non è volgare o malvagia, nel suo animo sembra farsi strada solo il sentimento dell’Amore. Qui è la sua felicità e la sua miseria. Ella non se ne scusa, adducendo l’inganno in cui fu tratta o altre circostanze, ma la sua parola è di una sincerità disarmante: « mi amò, ed io l’amai ».
Dalle sue parole sembra emergere come fosse impossibile che la cosa andasse altrimenti e che l’Amore è una forza a cui non si può resistere. Se ipotizziamo immorale il comportamento di Francesca da Rimini, la cui unica colpa è quella di avere amato, come considerare chi con arroganza, presunzione e violenza si intromette nella vita privata e personale dei terzi, calpestandone l’onore, la libertà e la dignità? O chi non ammette i propri errori e per coprirli e giustificare la propria grettezza mentale coinvolge altre persone e adduce, a sostegno delle proprie tesi, principi come la immoralità, l’indifferenza altrui e altro ancora, ergendosi, anche, a ipotetico nume tutelare del proprio prossimo, con il danno di dividere ciò che è unito. Sarebbe imperdonabile se un fratello tenesse comportamenti di siffatta gravità. Credo di essere morale solo nel momento in cui ho l’intento di non colpire o far soffrire mio fratello con i miei modi di fare e di agire e, soprattutto, non ritenendomi l’unico e solo detentore delle verità rivelata.
Concludo riportando una frase di Nietzsche, tratta dalla sua opera “Al di là del bene e del male”: «Giudicare e condannare in nome della morale è la vendetta preferita di chi è spiritualmente limitato su chi lo è meno, e inoltre una specie di rivalsa per essere stati poco considerati dalla natura, infine una occasione per avere uno spirito e diventare sottili: la malignità spiritualizzata».
Giuseppe Bentivegna, M.M

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