22 dicembre 2012

- Della Bellezza



Cos'è la Bellezza? Senza andare ad immergersi nella infinita discussione che per millenni ha avuto come oggetto la bellezza da parte di filosofi, artisti, pensatori, esteti, poeti, scrittori, partiamo dalle basi.

Io, per non saper nè leggere nè scrivere, ho voluto consultare il vocabolario Zingarelli: "Qualità di chi o di ciò che è bello" e il bello "ciò che, per aspetto esteriore o per qualità intrinseche, provoca impressioni gradevoli." E vi era anche una radice etimologica interessante che cito testualmente: (latino BELLU(M) dim. di BONUS "buono").

Questo vuol dire che, almeno per i popoli che parlavano latino, "bello" e "buono" erano praticamente sinonimi. E anche le " qualità intrinseche", citate separate dall' " aspetto esteriore" riportano sempre al concetto di "buono". Questo collegamento fa sicuramente riflettere.

"Il traguardo ultimo del mondo è la bellezza", sottolineerà David Maria Turoldo, ma sarà Dostoevskij ad ammonirci:

“La bellezza è il campo di battaglia in cui Dio e Satana si giocano il cuore dell'uomo".

L'imponente e tragica figura del principe Myskin ci ricorda, sì, che "la bellezza salverà il mondo", ma ne svela anche il profilo bifronte.

Del resto l' aveva già intuito il mondo classico quando all'armonia apollinea della bellezza ne aveva appaiato il volto dionisiaco orgiastico e fin stravolto.

Il bello può essere illusione, miraggio e persino inganno, come spesso accade nella fatuità dei corpi levigati e senza anima. Ma è anche la via "pulchritudinis ad Deum", come insegnava la grande spiritualità, certa che là si svelassero le epifanie divine. Per capire veramente l' idea di bellezza per gli antichi dobbiamo prescindere dalla associazione automatica che a volte facciamo, quando pensiamo al mondo greco, tra filosofia platonica e statutaria classica. La bellezza fisica di cui parla il platonismo, quando la identifica con la bontà, è quella che oggi manca di più al mondo: la bellezza interiore che si presenta nell'immagine esteriore (in greco eikonè) di un volto o di un corpo umano agli occhi che la sanno cogliere. Non quindi la bellezza patinata, ridotta alla propria superficie e dunque alla superficialità, ma la bellezza come espressione di un ordine insieme interiore e superiore. Ed è per questo che alla dea della bellezza, Afrodite, gli antichi associavano anche quella particolare forma di giustizia, analizzata da James Hillman nel suo saggio "La giustizia di Afrodite".

La bellezza come giustizia, intesa cioè come adeguatezza, giusta collocazione, ordine; e la giustizia come suprema bellezza. Non è un caso che anche lei sia compresa nella triade essenziale: non solo la bontà, ma anche la giustizia compongono il paradigma della vera bellezza, completando quell'identificazione tra sfera estetica e sfera etica, che tutto il pensiero antico, anche quello cristianizzato, non farà che riaffermare.

Come scrive Agostino:

"Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu eri dentro e io ero fuori e là ti cercavo".

"...L' uomo moderno", dirà Nietzsche nelle sue Considerazioni inattuali, II,4, "si porta in giro un' enorme quantità di indigeribili pietre del sapere, che poi all' occorrenza rumoreggiano dentro di noi...Con questo rumoreggiare si rivela la qualità piu' propria di questo uomo moderno: lo stesso contrasto di un interno a cui non corrisponde alcun esterno, e di un esterno a cui non corrisponde nessun interno, un contrasto che i popoli antichi non conoscono..."

Nel suo saggio Ipotesi sulla bellezza Susan Sontag però dichiara, in termini per certi versi definitivi:

"...Si ritiene di solito che la bellezza sia, quasi tautologicamente, una categoria estetica e che perciò si ponga, a detta di molti, in rotta di collisione con l'etica. Ma la bellezza, anche quella che non ha nulla a che fare con i giudizi morali, non è mai pura e semplice. E l' attribuzione della bellezza non è mai scevra da valori morali. Etica ed estetica non sono affatto agli antipodi, come insistevano Kierkegaard e Tolstoj: il progetto estetico è quasi di per sè un progetto morale.

E oserei dire che il tipo di saggezza che scaturisce da una vita dedicata a un profondo impegno in questioni estetiche non può essere equiparata a nessun altro genere di serietà..."

Non è dissezionando i petali che si coglie la bellezza della rosa.

Questo è un detto - come altri spesso legati alla natura - degli Indiani d' America. La lezione è senz'altro suggestiva: potrebbe infastidire gli strutturalisti che si inebriano nel dissezionare i testi nelle loro cellule letterarie o semantiche, oppure i filologi che sottopongono a microscopiche analisi ogni parola o sintagma di un verso, e il loro piacere sta tutto li'. Sono sicuramente utili o necessarie anche queste analisi , ma è il fiorire della poesia o dell' arte nel suo insieme a generare bellezza e meraviglia. Ma, forse, ha ragione il poeta giapponese BASHO (1644 - 1694 ) quando, con tutta la delicatezza propria agli orientali, ci insegna :

Non vi è nulla di ciò che si contempla che non sia (bello come un ) fiore, nulla di ciò che si pensa che non sia (attraente come la ) luna. Chi non intuisce (la bellezza di ) un fiore in ogni forma è un barbaro. Chi non ha un animo (delicato ) come un fiore è una belva.

E' stato detto:

"Fuggi la barbarie, abbandona l'animalità, ubbidisci alla natura e ad essa torna".



Aleksander Rojc

R.L. Nazario Sauro 527 Goi, Trieste

Articolo pubblicato su OPUS MINIMUM del Solstizio d’Inverno 2012

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9 dicembre 2012

- Solstizio d’Inverno.


Solstizio d’Inverno. Tempo di speranza. La Luce verrà. E gli uomini e Madre Natura ne saranno felici.
Re Agrifoglio (1) e Re Quercia saranno di nuovo l’uno contro l’altro, come sempre accade da quando esiste il Tempo. Quando Luce e Tenebre si combattono, per avvicendarsi in un circolo infinito, il Re Agrifoglio e il Re Quercia, a turno, si uccidono l’un l’altro. Uno di essi deve morire affinché l’altro possa regnare.

Ed è quello che da sempre accade, in tempo di Solstizio.
Il giorno più lungo, il giorno più corto.

Le energie del Cielo e della Terra si muovono, cambiamo direzione. E noi umani, ospiti inattesi in questo luogo, percepiamo questo fluido mutare.

Solstizio d’Inverno, il tempo del Re Agrifoglio, per quest’anno, giunge al termine.

Re Quercia lo ucciderà in battaglia e regnerà fino al prossimo Solstizio. Con l’arrivo dell’Estate, ci sarà una nuova battaglia. E, stavolta, Re Quercia dovrà soccombere.

Re Quercia e Re Agrifoglio sono gemelli, forse sono le due anime dello stesso Essere, della stessa Entità. Senza l’uno, l’altro non potrebbe esistere. In alcune tradizioni pagane, sono le due facce del Dio Cornuto, un dio chiamato Cernunno nel politeismo celtico.
Cernunno è il compagno della Dea Madre.
A Lammas (Festa del Raccolto, 1° Agosto), Re Agrifoglio, al culmine della sua potenza, si unisce alla Dea Madre.
Al Solstizio d’Inverno muore, per poi resuscitare in tempo d’Estate.
A Calendimaggio, sarà Re Quercia ad unirsi alla Dea Madre. Poi morirà con l’avvento dell’Estate, pronto a resuscitare al Solstizio invernale.

Questo ciclo Morte-Rinascita si ritrova in altre culture antiche.

Nella cultura Egizia, il Dio Osiride, simbolo della vegetazione e del ciclo naturale, resuscita grazie a suo figlio Horus, che sacrifica il proprio occhio per riportarlo in vita, in quella romana, Attis, compagno di Cibele, viene ucciso dalla dea per gelosia, ma poi rinasce sotto le spoglie di un albero, un pino, solo per citare gli esempi più noti.

Re Agrifoglio

Re Agrifoglio può essere accostato al greco-romano Ade/Plutone, oscuro Signore dell’Aldilà, che si rende colpevole del ratto di Persefone/Proserpina, e della conseguente periodica sterilità dei campi.
O anche a Saturno/Crono, dio del Tempo, dell’apprendimento, dell’attesa.
Non a caso, i Romani, ai tempi dei Saturnali, feste che cadevano nei giorni del Solstizio d’Inverno, onoravano Saturno, nella sua veste di dio dell’Agricoltura, con l’Agrifoglio. E corone di agrifoglio ci si scambiava come dono durante queste festività.
I Saturnali, che duravano circa una settimana, cominciavano intorno al 17 dicembre, e culminavano con il Solstizio d’Inverno.
Al Tempio di Saturno si facevano rituali per la fertilità, che prevedevano anche dei sacrifici.
Anche gli dei Odino e Thor presentano delle affinità con Re Agrifoglio. Odino è un Dio Padre, e attraversa il cielo in sella ad un cavallo a otto zampe. Thor, ugualmente Dio Padre, guida un carro trainato da capre.
I colori di Re Agrifoglio sono il nero, il verde, il rosso e l’oro (2).
La sua pianta, ovviamente, è l’agrifoglio.
Il suo animale è lo scricciolo.
Altre figure sono strettamente connesse con il Re Agrifoglio.
Babbo Natale, in tutte le sue declinazioni, il Cavaliere Verde della tradizione Arturiana, Mordred, che assassinò Re Artù, San Giovanni.

Re Quercia

Re Quercia è invece associato al concetto di crescita e di espansione.
Ha una natura gioviale, in completamento e contrapposizione con la natura saturnina di Re Agrifoglio.
Le divinità che hanno delle similitudini con Re Quercia sono Giove/Zeus, il romano Giano, Dagda, dio della Terra nella tradizione Celtico-Irlandese, Frey, dio nordico della Fertilità, e Pan, divinità del mondo greco, preposta alla fertilità, vitalità e sessualità, la più detestata dal cristianesimo, che ne ha attribuito l’aspetto al loro nemico, il Diavolo
I suoi colori sono il verde, il giallo, il rosso ed il porpora (3).
Le piante sono la Quercia e il Vischio.
L’animale è il pettirosso.
Figure mitiche ad esso associate sono quella di Robin Hood (robin, in inglese, è sia nome proprio sia nome del volatile sacro a re Quercia), Re Artù, il Cavaliere Verde, l’Uomo Verde (4), che è uno Spirito della natura strettamente connesso alla fertilità, tipico del mondo pagano.
Re Quercia regnerà dal Solstizio d’Inverno, che quest’anno avrà luogo il 21 dicembre, alle ore 12 e 20, fino al prossimo Solstizio d’Estate.
Un ciclo finisce, un altro ricomincia.

Buon Solstizio d’Inverno, in nome di Re Quercia, ancora una volta, Vincitore!

Fulvia Marino
Redazione


1 Nella magia simpatica all’agrifoglio è associato Saturno ed alla quercia è associato Giove.
2 Sono colori della trasmutazione alchemica.
3 Colori della trasmutazione alchemica.
4 Ne esistono rappresentazioni scultoree anche a Castel del Monte e nella Cappella di Rosslyn.


Articolo pubblicato su OPUS MINIMUM del Solstizio d’Inverno 2012
Per Info lab.ermetico.filosofico@gmail.com



3 dicembre 2012

- Pitagorismo e Massoneria



Tra le molteplici organizzazioni iniziatiche di cui la Massoneria rivendica l’eredità, una delle più frequentemente citate è l’Ordine Pitagorico. Si sa che la ragione di tale pretesa è la presenza, nel simbolismo massonico, di emblemi utilizzati dai discepoli del maestro di Samo: tra questi, quelli più comunemente citati sono la stella a cinque punte per quanto riguarda la Massoneria latina e il gioiello di Past Master per quanto riguarda quella di lingua inglese. Quest’ultimo gioiello riunisce in realtà due simboli pitagorici importanti: da una parte raffigura la dimostrazione grafica del teorema sul quadrato dell’ipotenusa, e dall’altra questa dimostrazione viene fatta con l’ausilio del triangolo 3-4-5 (1), di cui è nota l’importanza nel Pitagorismo. Beninteso, il fatto che il pentagono stellato non sia necessariamente associato al nome di Pitagora, e che molti dei Massoni latini ignorino perfino che il tracciato di questa figura costituisse il segno di riconoscimento dei Pitagorici, mentre, al contrario, il teorema sul quadrato dell’ipotenusa è universalmente conosciuto sotto il nome di teorema di Pitagora, questo fatto, dicevamo, ha portato alla conseguenza che la Massoneria anglosassone ha mantenuto molto più vivo il ricordo della sua connessione con il Pitagorismo di quanto non abbia fatto la Massoneria latina. La cosa era loro del resto facilitata, perché alcuni degli antichi documenti chiamati Old Charges fanno espressamente menzione di Pitagora come di colui che ha introdotto la Massoneria in Europa. - Eppure, è un Massone italiano oggi deceduto, Arturo Reghini, che ha pubblicato, sui rapporti tra Massoneria e Pitagorismo, la sola opera di valore di cui abbiamo avuto conoscenza (2). Prima di dire tutto ciò che di positivo pensiamo su questo libro dobbiamo formulare una critica, e una critica grave. Il suo autore ignorava totalmente cosa fosse il Cristianesimo, nonostante avesse l’opportunità, grazie alla sua posizione, di conoscerlo bene, almeno sotto una delle sue forme. Ed è troppo poco dire che lo ignorava, poiché ne dava in realtà un’immagine che è una vera e propria caricatura. Come esprimersi altrimenti quando si vede l’autore stigmatizzare «la hantise (3) sessuale che pervade le religioni derivate dall’ebraismo e che nel cristianesimo compare ad esempio nella circoncisione cui è dedicato il primo giorno dell’anno, e nel dogma dell’immacolata concezione» (4)? Questo passaggio è veramente incredibile. È quasi impossibile accumulare più errori in così poche parole. Se i calendari cristiani occidentali portano alla data del 1° gennaio la menzione «Circoncisione», non è per consacrare l’intero anno a un’osservanza mosaica che il Cristianesimo ha, da parte sua, abolito, ma semplicemente perché il Cristo, essendo nato tradizionalmente il 25 dicembre, è stato circonciso, secondo la legge, il 1° gennaio, e perché tutte le Chiese cristiane usano celebrare gli avvenimenti della vita del loro fondatore (5). E la circoncisione è così poco l’effetto di una «ossessione sessuale» d’origine israelitica, che essa è praticata non soltanto dagli Ebrei e dai Musulmani, ma dai popoli più diversi, civilizzati o selvaggi. In Australia, per esempio, al momento dei «riti di pubertà» certe tribù praticano la circoncisione, mentre in alcune tribù si usa cavare un dente; ma non ci pare che le prime di queste tribù siamo più «ossessionate» sessualmente che le seconde. E per quanto riguarda l’Immacolata Concezione, che del resto non è un dogma che nel Cattolicesimo romano, non vediamo in che modo il fatto di credere che la madre di Cristo sia stata esentata dal peccato originale possa avere un qualunque legame con la sessualità. Queste riserve, che ogni uomo di spirito tradizionale fa in modo del tutto naturale, e che un Massone dovrebbe fare a fortiori perché, rispettando tutte le religioni, deve rispettare particolarmente quella a cui appartiene l’immensa maggioranza dei Massoni, non devono impedire di riconoscere i meriti eccezionali del libro di Arturo Reghini. L’autore, se conosceva male il Cristianesimo e la «tradizione monoteista» in generale, aveva per contro una notevole conoscenza delle scienze matematiche (profane e tradizionali), della letteratura e della tradizione greco-latina, e del Pitagorismo in particolare. Aveva anche studiato l’Ermetismo e l’opera di Dante e dei «Fedeli d’Amore». E grazie a questo ha potuto, prima di morire, scrivere quest’opera preziosa, indispensabile a chiunque si interessi tanto alla scienza dei numeri quanto alla dottrina massonica.

Beninteso, un libro di questo genere, che comporta numerose dimostrazioni matematiche e figure geometriche, non si può riassumere. L’autore studia la Tetraktys pitagorica (che assimila al Delta luminoso della Massoneria) (cap. I), il pentalfa (stella a cinque punte) (cap. IV) e la tavola tripartita (che è la tavola di tracciamento) (cap. VI), ossia tre dei simboli fondamentali dei gradi simbolici. Egli esamina a lungo, inoltre, questioni come quella dei «numeri sintetici» (cap. II), dei numeri primi (cap. III), delle potenze aritmetiche (cap. V), della Grande Opera e della palingenesi (ultimo capitolo). Reghini compara lungamente il ternario 1-2-3, che è il solo ternario di numeri successivi nel quale la somma dei due primi numeri (1+2) è uguale al terzo (3), con il «ternario egizio» 3-4-5, solo ternario di numeri successivi in cui la somma dei quadrati dei due primi numeri (9+16) è uguale al quadrato del terzo: 25. Seguono delle considerazioni sulla geometria a una dimensione (simbolo della manifestazione «lineare») e su quella a due dimensioni (simbolo della manifestazione «di superficie» che conduce alla «presa di possesso» della terra). L’autore inoltre spiega tramite il passaggio dal ternario 1-2-3 al ternario 3-4-5 il fatto che le Logge di 1° grado sono «illuminate» dal «Delta luminoso» a tre punte, mentre quelle di 2° grado lo sono dalla «Stella fiammeggiante» a cinque punte (6). Altre considerazioni sono possibili sui numeri 3, 4 e 5, le cui figure geometriche corrispondenti sono il triangolo, il quadrato e il cerchio. In effetti, gli Arabi, che hanno trasmesso la loro numerazione al mondo occidentale, raffigurano la cifra 5 con un cerchio. Nell’«Atalanta fugiens» del rosicruciano Michael Maier, queste tre figure vengono associate al problema ermetico della «quadratura del cerchio», e, secondo alcuni antichi testi, esse sarebbero state particolarmente venerate dai Massoni operativi. È del resto probabile che sia questa la ragione per cui i «quattro santi coronati» furono scelti come patroni secondari della Massoneria, in ragione dei rapporti del numero 4 con il quadrato, della parola «santo» con il triangolo (con riferimento al Dio «tre volte santo») e della corona con il cerchio. L’autore fornisce interessanti dettagli sulla Tetraktys, «nella quale sono compresi tutti i numeri in principio»: si sa che è su di essa che i Pitagorici prestavano giuramento (7). René Guénon ha così spesso parlato di questa figura, «fonte e radice della Natura eterna», che noi ci limiteremo a menzionare, a seguito di quanto riporta Reghini, una domanda tratta dall’«istruzione» dei Pitagorici Acusmatici: «Che cosa vi è nel santuario di Delfi? - La santa Tetraktys, perché in essa è l’armonia in cui risiedono le Sirene». E l’autore precisa che le Sirene, in un’epoca molto remota, simboleggiavano «l’armonia delle sfere» (8).

Sul pentalfa, o stella a cinque punte, il libro che stiamo analizzando mette in luce i rapporti numerici degni di nota che legano tra loro i diversi elementi di questa figura e che le «imprimono il marchio», se così si può dire, della «legge d’armonia». - Questi rapporti sono tali che ogni elemento del pentalfa è la «sezione aurea» di un altro elemento. E l’autore, citando Cantor, sottolinea che questa sezione aurea aveva una grande importanza nell’architettura prima di Pericle.

Il capitolo VI contiene estese considerazioni sulla tavola di tracciamento, o tavola tripartita, che è anche la «chiave delle lettere» (9). L’autore vi riconosce la tavola del matematico Teone da Smirne e mostra i suoi legami con questo sistema di numerazione dei Greci. E, ricordando che la pietra bruta, la pietra cubica e la tavola di tracciamento sono i tre «gioielli immobili», aggiunge che tutti e tre si riferiscono «alla costruzione dei templi che, secondo il rituale, è il compito della massoneria». La tavola di tracciamento «ricorda che questa costruzione esige la conoscenza dei numeri sacri, e, con la sua stessa forma, essa sottolinea l’importanza speciale della divisione ternaria» (p. 116).

L’autore prosegue: «notiamo in fine che la tavola da tracciare dell’antica corporazione muratoria si può associare se non identificare in un modo molto semplice e naturale ma generico e di scarso significato con l’antico abbaco (10) pitagorico, il "deltos", o "mensa pythagorica", più tardi confusa con l’antica tavola pitagorica che sino a pochi anni fa si insegnava ancora nelle scuole elementari» (p. 121). E termina questo passaggio indicando che presso i Romani la parola «mensa» significa allo stesso tempo tavola per il calcolo e tavola per il cibo (11). A. Reghini ricorda anche che la tavola di tracciamento, secondo il rituale d’Apprendista, simboleggia la memoria, ed aggiunge: «La dea della memoria, Mnemosine, è alla testa delle nove muse, le muse che dimostrano le orse a Dante condotto da Apollo mentre Minerva spira (Paradiso, cap. 2). Mnemosine nel mito orfico-pitagorico dei due fiumi o del bivio è la fonte vivificatrice, l’Eunoè dantesco, opposta alla fonte letale del Lete. Inoltre nella concezione platonica la comprensione non è altro che una anamnesi, un ricordo. Se non si tiene presente questo significato della memoria secondo gli antichi, non si vede perché la memoria debba avere per simbolo la tavola da tracciare» (pp. 123).

L’opera contiene un gran numero di considerazioni interessanti sulla musica e sui legami che uniscono quest’arte alla scienza dei numeri. Vi si cita una tradizione riportata da Diogene Laerzio che racconta come Pitagora, «ascoltando i suoni emessi dai martelli di un fabbro che batteva sopra l’incudine, osservò che l’altezza di questi suoni dipendeva dalla grossezza dei martelli, e poi esperimentando con corde egualmente tese tratte da una stessa corda, trovò che al diminuire della lunghezza della corda il suono si elevava, e che si ottenevano dei suoni di cui l’orecchio percepiva l’accordo quando i rapporti delle lunghezze delle corde erano espressi da rapporti numerici semplici» (p. 56). A. Reghini fa notare qui che i rapporti numerici più semplici sono quelli che hanno per elementi i numeri della Tetraktys: 1, 2, 3 e 4, e che le corde della lira di Orfeo o tetracordo di Filolao erano in rapporto 1/2 2/3 3/4. Ma conviene anche notare che la leggenda riportata da Diogene Laerzio attribuisce un’origine «metallurgica» alla musica e particolarmente alla lira, la stessa lira con la quale Apollo regolava i movimenti degli astri, Orfeo appianava la discordia, Arione incantava i delfini e sfuggiva al naufragio e Anfione edificava le mura di Tebe (12).

Dobbiamo ora affrontare un’altra questione. Si sa che la stella a cinque punte o pentalfa era il segno di riconoscimento della scuola pitagorica, cioè il loro simbolo più importante. A. Reghini ricorda che i membri di questa scuola facevano corrispondere a ciascuna delle sommità della figura una delle lettere della parola u g i e i a (salute). E l’autore aggiunge che la salute è per il corpo ciò che l’armonia è per l’essere totale (p. 93); ciò è vero, ma egli sembra non aver notato una particolarità curiosa: ciascuna delle lettere che compongono la parola u g i e i a è una lettera pitagorica: Y, ypsilon (i greca), lettera pitagorica per eccellenza, simbolo delle «due vie della destra e della sinistra», e sotto una forma exoterica, del mito di Ercole tra la virtù e il vizio» (13).

G, gamma, la lettera G della Massoneria, che ha la forma della squadra, simbolo essenziale (con la spirale) del secondo grado, della quale Guénon ha scritto che «rappresenta i due lati dell’angolo dritto del triangolo 3-4-5, che ha (...) un’importanza tutta particolare nella massoneria operativa» (14). I, iota, simbolo universale dell’Unità (15). EI, ossia l’iscrizione misteriosa incisa sulla porta del tempio di Delfi, e che, in risposta all’ingiunzione: «Conosci te stesso», formula esplicitamente la dottrina «solare» dell’Identità Suprema (16). Infine A, alfa, elemento costitutivo del pentalfa, prima lettera dell’alfabeto, che rappresenta il «ritorno alle origini». Il simbolismo della successione di queste sei lettere sarebbe interessante da studiare. Notiamo che esse sono disposte attorno alla stella a cinque punte secondo il senso polare, cosa perfettamente normale in quanto il pitagorismo procede dalla tradizione iperborea (17). D’altra parte, nella Massoneria di lingua inglese, la «preparazione del recipiendario» al secondo grado sembra indicare che i viaggi di questo grado dovevano essere compiuti in senso polare, come del resto era il senso dei viaggi nell’antica Massoneria operativa. Quello che abbiamo detto sulla ragione probabile della scelta della parola à i e i a non ci impedisce di riconoscere l’importanza tutta particolare che aveva la salute, e, generalmente, lo sviluppo corporale, per i Pitagorici. Si sa che lo stesso Pitagora non disdegnava concorrere ai Giochi Olimpici (18), ed il «Padre della Medicina», Ippocrate, stabilì la sua scienza su basi pitagoriche, come lui stesso dichiara espressamente. La scienza di numeri (teoria dei «giorni critici») svolge un importante ruolo in questa medicina che, del resto, era un’ «arte sacerdotale» (esattamente come l’Ayur-Véda degli Indù, con il quale potrebbe essere interessante compararla); e il «giuramento d’Ippocrate», prestato su quattro divinità (Apollo, Esculapio, Igea e Panacea) è esattamente forgiato sulle obbligazioni iniziatiche e comporta, come il giuramento massonico in particolare, tre elementi essenziali: invocazione, impegno, imprecazione (19). Pensiamo che potrebbe essere interessante comparare queste due scienze ereditate dal Pitagorismo: la medicina ippocratica e la Massoneria. E se qualcuno dei nostri lettori trovasse strane queste considerazioni, gli domanderemmo come si potrebbe spiegare il fatto che ogni Loggia operativa contava obbligatoriamente, tra i membri «accettati», un medico (20).

Arturo Reghini cita a più riprese un’espressione dei rituali italiani in cui si parla dei «numeri sacri conosciuti dai soli Massoni», e vi vede molto giustamente l’indizio di una filiazione pitagorica. In Francia, dove non si trova l’espressione citata, crediamo si trovi però un’altra formula altrettanto significativa. Si tratta del saluto che deve essere utilizzato da un Massone quando scriva a uno dei suoi fratelli: «Vi saluto con i numeri misteriosi che conoscete». Questa formula indica chiaramente che i Massoni conoscono la «scienza dei numeri», e che questi numeri non sono i numeri «volgari» dei profani, bensì quei numeri «misteriosi» nei quali i Pitagorici vedevano l’essenza di tutte le cose.

Ma, si potrebbe obiettare, la «scienza dei numeri» non appartiene in modo speciale al Pitagorismo, dal momento che la Kabbala e l’esoterismo islamico ne fanno un uso costante. Ciò è vero ma, come ha fatto notare René Guénon, le tradizioni ebrea e musulmana considerano il numero «aritmeticamente», mentre il Pitagorismo, nato in seno a un popolo sedentario e quindi costruttore, li considera in quanto legati alle forme geometriche: triangolo, cubo, ecc. E lo stesso avviene, evidentemente, nella Massoneria.

A. Reghini cita ancora il silenzio come elemento comune agli Ordini pitagorico e massonico; a dire il vero, quello del silenzio è un tratto comune a tutte le organizzazioni iniziatiche, ma è un fatto che i neofiti pitagorici restavano 3 anni, a volte 5, in silenzio mentre compivano la loro istruzione (21). E questi numeri possono ricordare le «età» dell’Apprendista e del Compagno, che sono soggetti al silenzio durante il loro periodo di probazione. Occorre anche notare che ciascuno dei cinque viaggi del secondo grado è detto rappresentare uno degli anni di studio del neofita.

Cosicché la Massoneria ha, tra i suoi simboli e i suoi usi, molti elementi in comune con il Pitagorismo: Delta, stella fiammeggiante, tavola di tracciamento, triangolo 3-4-5, importanza data al teorema sul quadrato dell’ipotenusa, scienza dei numeri, silenzio di cinque anni, uso dei pasti rituali, importanza data alla salute del corpo (22). Si comprende come l’autore del libro che stiamo esaminando faccia sua l’affermazione dell’arciprete Domenico Angherà: «L’Ordine massonico è la stessa cosa, assolutamente la stessa cosa, dell’Ordine pitagorico». A. Reghini, del resto, sapeva bene che esistono elementi giudaici, gioanniti, templari, rosicruciani, ermetici nella Massoneria; ma, nel suo entusiasmo per il Pitagorismo, egli considera tutti questi elementi come delle aggiunte inutili, e perfino nocive. E questo lo porta a non tenere nella dovuta considerazione il grado di Maestro, nel quale gli elementi salomonici, come si sa, sono predominanti (23).

Da un altro lato, quando si considera che tutte le parole sacre della Massoneria sono ebraiche; che l’era e il calendario massonici sono specificamente giudaici; che il presidente di una Loggia è detto occupare il seggio del re Salomone, e che i suoi due assistenti rappresentano Hiram, re di Tiro e Hiram-Abiff; che le leggende del 3° grado e dei gradi seguenti vertono interamente sugli avvenimenti che hanno preceduto, accompagnato o seguito la costruzione del Tempio di Gerusalemme, si è portati a pensare che il carattere «salomonico» della Massoneria non dia adito ad alcun dubbio. Attraverso il Pitagorismo, la Massoneria si ricollega all’Orfismo e alla tradizione iperborea conservata a Delfi. Ma, nel corso delle epoche, gli apporti della tradizione giudaica prima, e di quella cristiana poi, hanno impresso a essa i suoi caratteri definitivi. Le «leggende» di Salomone, dell’uccisione di Hiram-Abiff e della grande maestria dei due san Giovanni ne sono la testimonianza. E questa «impregnazione» giudaica e soprattutto cristiana ha preparato la via alle numerose eredità che doveva ricevere l’Ordine massonico, eredità di cui la più illustre, la più nobile e la più preziosa è quella dei Templari.

Denys Roman, www.zen-it.com

1. Nel gioiello di Past Master i quadrati costruiti sui lati del triangolo sono in effetti costituiti da damieri di 9, 16 e 25 caselle rispettivamente.
2. Arturo Reghini, «Numeri Sacri e Geometria Pitagorica».
3. «Ossessione», in francese nel testo.
4. Op. cit., pag. 126.
5. Del resto, i primi cristiani hanno cambiato molte volte la data in cui far cominciare l’anno: 25 marzo, 25 dicembre, 1° gennaio, ecc.
6. Op. cit., cap. III. A proposito delle espressioni massoniche 1°, 2° e 3° grado, facciamo notare che la marcia dell’Apprendista traccia una linea retta; quella di Compagno determina un piano; quella di Maestro percorre lo spazio.
7. Al cap. I, l’autore cita le parole di Luciano: «Guarda, quelli che tu credi quattro sono dieci, ed il triangolo perfetto, ed il nostro giuramento». La Massoneria dà alla Tetraktys il nome di Delta; e si noterà che la lettera greca Delta è la quarta lettera dell’alfabeto, che ha la forma di un triangolo e che costituisce l’iniziale della parola «Decas» (dieci). Sulla Tetraktys, ci si può riferire in particolare al capitolo XIV di «Simboli della Scienza Sacra» di R. Guénon.
8. È curioso come le Sirene siano divenute, specialmente in Omero, dei mostri avidi di sangue umano, come se il significato di questo mito orfico-pitagorico si fosse perso già dalla più remota antichità. Alcuni elementi della leggenda omerica potrebbero facilmente essere trasposti in un senso iniziatico; i prati ridenti e fioriti su cui sono sedute le Sirene simboleggiano senza dubbio il cielo stellato; i marinai dalle orecchie riempite di cera sono i profani «qui aures habent et non audient»; le corde che legano i piedi e le mani di Ulisse all’albero della barca simboleggiano forse la rinuncia all’azione dell’essere che segue la via, assimilandosi così all’asse del mondo. Il canto «celeste» delle Sirene è anch’esso piuttosto significativo, dal momento che esse dicono di «conoscere tutto ciò che avviene in questo vasto Universo».
9. Tavola tripartita si dice in inglese «tiercel board», che è divenuto «trestle board» e «tracing board».
10. Questa parola designa: la tavoletta quadrata che costituisce la parte superiore di un capitello; una macchina usata dai Romani per il calcolo; uno scaffale per stoviglie e un catino per lavare l’oro. La parola abaco evoca l’architettura, la scienza dei numeri, il pasto e la metallurgia dell’oro. D’altra parte la parola calcolo designa non solo l’arte di contare, ma anche ogni pietra situata all’interno del corpo umano (e che simboleggia così la «pietra nascosta dei saggi»).
11. Sui rapporti veramente curiosi che esistono tra la tavola tripartita e la tavola da pranzo, citiamo il passaggio seguente, tratto da «La Vita privata degli Antichi» di René Ménard: «I Romani facevano tre pasti al giorno. Il più importante era la cena ("caena") che si svolgeva quando gli affari erano terminati. La cena doveva comprendere tre portate. Vi erano normalmente tre letti per ciascun tavolo: ciò si chiamava "triclinium". Il "triclinium" regolare era disposto per tre persone. Vi era un ordine determinato per la posizione dei convitati. I letti erano disposti su tre lati della tavola, mentre il quarto lato era riservato per le necessità di servizio. Il pitagorico Varrone. in un’opera perduta di cui Aulo Gellio ci ha conservato dei frammenti. dice che il numero dei convitati deve cominciare da quello delle Grazie e finire a quello delle Muse, ossia che è necessario essere almeno tre, ma mai più di nove». È inutile sottolineare l’analogia che esiste tra la disposizione dei seggi in una «tavolata di Loggia» e quella del «triclinium»; la sola differenza che esiste è che gli antichi mangiavano sdraiati.
12. Sulla lira di Anfione, cfr. «Il Re del Mondo», cap XI. Per quanto riguarda i rapporti tra Tebe e la Thebah ebraica, cfr. ibid. A proposito del ruolo del fabbro nella costruzione della lira di Pitagora, occorre ricordare che la Bibbia (Gen. IV, 21-22) considera fratelli Jubal «padre di quelli che suonano l’arpa» e Tubalcaïn, che per primo lavorò i metalli. Si conosce il ruolo importante che quest’ultimo riveste nel simbolismo massonico. In molte Logge americane (non sappiamo se sia lo stesso in Inghilterra), figura una tavola rappresentante la storia del fabbro e di re Salomone; questa importante storia sembra fare allusione a una certa «reintegrazione» dell’arte metallurgica, di cui si conosce il carattere allo stesso tempo pericoloso e sacro.
13. «Simboli della Scienza Sacra», cap. XVIII e XXXVII.
14. Ibid., cap. XVII.
15. Cfr. «La Grande Triade», cap. XXV.
16. È stato A. K. Coomaraswamy ad esporre per la prima volta, nella Review of Religion, il significato che Plutarco non aveva che intravisto... o che non aveva voluto divulgare (Cfr. la recensione di René Guénon in Études Traditionnelles, ottobre 1946).
17. Si dice che Pitagora avesse addomesticato un’orsa che obbediva alla sua voce. Sui legami del Pitagorismo con il culto delfico dell’Apollo iperboreo (il Dio geometra), cfr. «La Crisi del Mondo Moderno», cap. I.
18. Tutti i giochi della Grecia antica avevano del resto un evidente carattere tradizionale: i vincitori di Olimpia, che ritornavano nella loro patria «attraverso la breccia dei muri», simboleggiavano senza dubbio la necessità della «violenza» per riconquistare il «paese natale», che è il «regno dei cieli».
19. I «Fedeli d’Amore» nel terzo grado della loro gerarchia possedevano un rito chiamato saluto (in francese «salut») o salute («brindisi», in francese «santé»). È assai curioso che queste due parole siano rimaste i due elementi essenziali del rituale della «tavolata di Loggia». Sembra anche che il numero dei brindisi, che ha variato molto nel corso degli anni, dovesse essere regolarmente di cinque; per l’ultimo di questi brindisi, nelle Logge anglosassoni, si utilizza una formula che risale a un’epoca remota, e che invoca il «ritorno al paese natale». E tutto quello che avviene dopo questo brindisi è considerato come «extra-massonico», come a voler suggerire che con questo ritorno, gli «obiettivi della Massoneria» sono raggiunti.
20. Cfr. «Considerazioni sull’iniziazione», cap. XXIX.
21. «Philosophumena», II.
22. Vi è un elemento molto importante nell’ascesi pitagorica che ci si stupisce di non trovare nella Massoneria attuale: si tratta della musica. La Massoneria operativa che utilizzava, come il Compagnonaggio, numerose canzoni, possedeva forse certi canti, con un ritmo particolare, capaci di mettere il cantore in comunione con «l’armonia delle sfere»? È possibile; ma ciò che è giunto fino a noi, almeno in Francia, riguardo alle canzoni massoniche è di un livello tale che preferiamo non parlarne.
23. A. Reghini sembra pensare che il grado di Maestro sia stato introdotto dopo il 1717 perché, egli dice, le Costituzioni di Anderson lo ignorano. Può ben darsi che Anderson abbia ignorato questo grado, ma in ogni caso gli elementi di tale grado esistevano ben prima del XVIII secolo, dal momento che la Massoneria operativa aveva un carattere salomonico molto pronunciato.

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18 novembre 2012

- Opus Minimum - Solstizio d’Inverno 2012



                                   Solstizio d’Inverno

                                    2012

Solstizio d’Inverno                                                      1

Fulvia Marino                                                                Redazione


Della Bellezza                                                                5

Aleksander Rojc              R.’. L.’. Nazario Sauro 527 Goi, Trieste


L’Antropocene e il salto Quantico                      10

Gian Carlo Lucchi                  R.’. L.’. Tetraktis 1413 Goi, Cagliari


Massoneria e settecento veneto                          25

Fabio Bidussi                          R.’. L.’. Ars Regia 1032 Goi, Trieste


Cronache di ossessione                                            42

Paolo Portone           CIRE, Centro Insubrico Ricerche Etnostoriche


Unguento, unguento                                                 51

Paolo Aldo Rossi                                                                 Airesis


Il MAESTRO VENERABILE                                         62

Luigi Sessa                   R.’. L.’. Giustizia e Libertà 767 Goi, Roma




Per Info    lab.ermetico.filosofico@gmail.com

19 ottobre 2012

23 settembre 2012

- Estasi e Schizofrenia



Sentimenti d’unione con tutto l’universo, visioni e immagini di tempi e luoghi lontani, sensazioni di vibranti correnti d’energia che corrono lungo il corpo accompagnate da spasmi e tremiti violenti. Visioni di dei e di demoni, gioia smisurata e beatitudine, paura d’impazzire o perfino di morire.
Una persona che esperisce fenomeni mentali e fisici tanto intensi potrebbe benissimo essere etichettata come psicotica. La psicologia e la psichiatria fanno fatica a distinguere le esperienze estatiche, d’unione mistica, dalle psicosi. Durante l’esperienza estatica crollano tutte le vecchie restrizioni mentali, il pensiero non è più lineare, strane e conturbanti emozioni invadono la psiche, non si è più capaci di distinguere la realtà esterna dal mondo interiore. I confini dell’io si disintegrano, il tempo e lo spazio non sono più gli stessi. Viene sperimentato un caos interiore a volte devastante, voci e visioni si alternano nello spazio mentale.
Sentimenti di gioia e beatitudine infinita danno l’idea dell’unione con il divino. Durante l’estasi il mondo si trasforma perché la nostra coscienza si trasforma, si tratta di uno stato alterato di coscienza che apre le porte su una realtà diversa. Molte delle esperienze che caratterizzano l’esperienza estatica sono le stesse che provano gli schizofrenici. È difficile fare chiarezza, delineare il confine che separa l’esperienza estatica da quella psicotica.
Non si tratta di cercare di rendere “normale” il patologico, ma tentare di capire cos’è l’estasi, il suo significato e vedere se per forza di cose debba rientrare nel patologico. L’estasi amorosa, sessuale, quella provocata da sostanze psicoattive, l’estasi durante la danza, l’estasi che si raggiunge con la meditazione ecc., stanno a testimoniare che quest’esperienza non è poi così rara nella vita di chiunque. Le profonde alterazioni della capacità di percepire il mondo nella maniera ordinaria, il contatto con una realtà nuova e sconvolgente, il senso infinito di beatitudine, sono sempre patologici?
Lo psichiatra scozzese Roland D. Laing era convinto che i sani di mente non lo fossero realmente, e che gli psicotici non sarebbero pazzi come sembrano. Di fronte ad uno schizofrenico diventa impossibile non riconoscere l’aspetto patologico che caratterizza la sua esistenza, ma l’esperienza estatica, staccata dal contesto degli altri sintomi, è di per se patologica? Anche la psichiatria moderna trova difficoltà nel definire cosa sia esattamente la schizofrenia. Comunque la maggior parte dei clinici considera la schizofrenia come “ un’insieme di disturbi in cui predominano la discordanza, l’incoerenza ideo-verbale, l’ambivalenza, l’autismo, le idee deliranti e le allucinazioni mal sistematizzate oltre a profondi disturbi affettivi nel senso del distacco e della stranezza dei sentimenti-disturbi che hanno la tendenza ad evolvere verso un deficit e una dissociazione della personalità”.
Oppure “ la schizofrenia può essere definita come un disturbo caratterizzato dalla presenza di un cluster di sintomi che si associano in varia misura con frequenza significativa: disorganizzazione del pensiero, alterazioni della comunicazione verbale e non verbale, appiattimento e discordanza affettiva, deliri bizzarri, allucinazioni uditive, perdita della progettualità, ritiro sociale”.
È facile riconoscere all’interno di questo quadro, molte similitudini con l’esperienza estatica tanto da indurre gli psichiatri a ritenere che l’esperienza estatica sia al limite tra la normalità e la psicosi.
Un’esperienza che esce dall’orizzonte del nostro senso comune, come quell’estatica, è facilmente assimilabile alla diversità e alla follia. L’esperienza schizofrenica è la forma di follia più misteriosa, meno conosciuta. Lo schizofrenico sprofonda nel vuoto del non-essere, vuoto popolato da dei e demoni, visioni e voci. Assiste impotente al crollo delle fondamenta usuali del senso del mondo che tutti condividiamo, dei vecchi obiettivi, dei significati. La distinzione tra immaginazione, sogno, percezioni esterne è quasi impossibile. Lo schizofrenico è confuso, egli è un alieno, uno straniero che ha perso il suo senso d’identità, il suo posto nel mondo. Il merito della psicoanalisi è stato quello di tentare di capire il vissuto dello schizofrenico, di dare un senso all’esperienza d’ogni individuo, di comprendere il mondo del malato, anche quello inconscio.
L’esperienza estatica potrebbe somigliare ad un’accesso psicotico di breve durata, come quello prodotto da sostanze psicoattive.
“Le esperienze vissute durante le ebbrezze tossiche sono di alto interesse. Non solo sono fenomeni strani, il cui fascino suscita la curiosità per tali esperienze e il cui godimento comporta grandi pericoli, ma, in certo modo, rappresentano psicosi modello”.
Questo dimostra la grande variabilità delle nostre esperienze, la flessibilità della coscienza e la possibilità di accedere ad una nuova modalità di percepire la realtà. Attraverso l’estasi si coglie una realtà, il più delle volte, legata a qualche cosa di immenso, di sacro, divino. Anche negli schizofrenici è accentuato questo legame con la fonte dell’amore universale, tanto di arrivare a parlare di “follia divina”.La storia dimostra che in passato molte “affezioni mentali” hanno contribuito allo sviluppo di sistemi spirituali. “Le narrazioni che ritroviamo in ogni parte del mondo, di peregrinazione dell’anima attraverso i mondi celesti e quelli degli inferi ricordano le esperienze schizofreniche. Questi stati degli schizofrenici oggi sono senza importanza. Coloro che ne sono colpiti vanno in giro come pazzi disprezzati o sono ricoverati in istituti di cura. Nessuno di essi acquista prestigio per le proprie esperienza morbose. Ma forse in tempi passati è stato diverso”.
Molti schizofrenici hanno avuto un ruolo, grazie alle loro particolari esperienze psichiche, nel fondare sette religiose, anche in tempi recenti. Perché questa simbiosi tra la follia e la divinità? Cos’è quest’esperienza estatica e perché sembra che apra un canale di comunicazione con il sacro? Si tratta di una forma di regressione dell’ego in difesa contro lo stress? O di un’estensione infinita dell’identità personale verso il divino? Anche K. Jaspers, nel suo trattato sulla psicopatologia scrive: “Ma è certo che nello sfondo esiste un’occulta correlazione tra la malattia e le profonde possibilità umane, fra l’esser pazzi e l’esser saggi, gli stati d’estasi dei curatori, degli sciamani, le frenesie dei dervisci, le orge dei barbari, come le feste dionisiache dei greci e altri fatti simili, sono tutti processi in qualche modo affini psicologicamente”. L’esperienza estatica è fuggevole, passeggera, porta con se beatitudine e gioia, perdita dei confini e della realtà. È solo un attimo, mentre la schizofrenia è una condizione esistenziale, un modo di essere nel mondo.
La schizofrenia, il più delle volte, comporta sofferenza e timore. È difficile uscire fuori da questa realtà, forse la schiavitù durerà tutta la vita. L’estasi somiglia di più ad un’oasi è per questo non è sempre patologica. Potrebbe essere un’esperienza insita nella natura umana, uno spazio da sempre accantonato, una zona di pericolo per l’affermazione dell’io personale.
“Si tratta di superare, in definitiva, il nostro generale disconoscimento dell’estatico, cogliendo in esso un momento originario di molteplici esperienze; probabilmente delle esperienza più creative della vita umana”. Nell’arte, nella musica, nella poesia, nella scienza, nella spiritualità, l’esperienza estatica ha rappresentato sempre il momento della scoperta, della creazione, dell’illuminazione. L’estasi, in definitiva, potrebbe rappresentare una folgorazione improvvisa che sconvolge la mente, aprendo una via verso una percezione nuova della realtà.

Dr. Mario Talvacchia



6 settembre 2012

- MARIA DI MAGDALA ED IL GRANDE SEGRETO TEMPLARE








Riflettendo su fatti storici e biblici, seppure personalmente ritenga che la Bibbia (nella sua seconda parte: N.T.) non sia un documento “molto veritiero”, riconosco che è certamente uno scritto ,seppur postumo ai tempi, dei pochi che raccontano, a volte in modo leggendario e mitico, un pezzo di storia dell’umanità. Non parlerò della discendenza merovingia dalla dinastia di Gesù e quindi di Davide per il fatto che, non solo lo metto in dubbio, ma ritengo sia una delle “bufale” più grandi che da circa un secolo e mezzo qualcuno cerca di propinare.
Inizierò con Maria Maddalena, tenendo presente la Torre Magdala (con la M rovesciata), che l’abate Saunière fece erigere a Rennes le Chateau. Bisogna ben considerare il rovesciamento delle lettere, specialmente quelle indicanti un nome, poiché si tratta di un uso che i Templari facevano per indicare nomi o personaggi che "volutamente", da parte di chi ne aveva interesse, erano stati male indicati nei secoli. Non dico che Saunière fosse un neotemplare, ma di certo era a conoscenza (anche prima dei suoi ritrovamenti) di storia templare, stante la sua amicizia ed i diversi incontri con il deputato Camillo Dreyfus, massone-templare e direttore de’ La Nation di Parigi.
Maria, dall’ebraico Miryam e dal greco Mariam o Maria (nella Bibbia dei Settanta, nei vangeli e negli Atti degli Apostoli) era un nome molto diffuso in Palestina ai tempi di Gesù e lo si trova in iscrizioni antichissime scavate nelle regioni vicine, la cui più importante è la “mrym” indicata nelle tavolette di Ugarit (XV-XIV secolo a.C.) scoperte a Ras Shamra sulla costa fenicia. Secondo l’analisi della radice semitica, alla quale i filologi la fanno risalire, Maria potrebbe significare “ribelle”, “amara” o “forte”, ma anche “colei che si innalza” o che “è innalzata” oppure ancora “profetessa” o “Signora”. La tradizione cristiana di San Gerolamo la fa derivare dall'ebraico “mar yam” (goccia di mare), in latino stilla maris, o Stella maris, “stella del mare”, con cui viene pure indicata la madre di Gesù, chiamata Maria Vergine. Stella Maris era pure il nome di una nave templare che solcava la rotta di “Ofiuco”, legata alla storia (o leggenda come molti ritengono) delle sette sorelle, alle quali si deve collegare la fondazione dell’Ordine delle sorelle di Maria Maddalena (anno 1224), ad opera del Cavaliere Templare Rodolfo di Worms.
Il Nuovo Testamento cita sei donne col nome di Maria, le cui più importanti sono Maria la madre di Gesù e Maria Maddalena o di Magdala. Magdala era il suo luogo d'origine, ubicato sulla costa occidentale del lago di Tiberiade, nei pressi dell'attuale Magdal. Gesù l'aveva liberata da “sette demoni”, cioè da una folla di spiriti malvagi e la donna lo seguì nelle sue peregrinazioni mettendosi al suo servizio. Il ruolo più importante, se così lo si può chiamare, Maria di Magdala lo ebbe quando fu presente, nel giorno del Sabato, alla sepoltura del Maestro. Dato che la religione ebraica vietava, al sabato, qualsiasi attività, il rito funebre fu celebrato il giorno successivo. Quando Maria di Magdala tornò sul posto con una o più donne (sei pie donne) portando oli ed aromi per cospargere il morto, trovò la tomba aperta e vuota. Questa è l’indicazione dei Vangeli e della Chiesa, ma non dei Templari. La tradizione della Chiesa cattolica identifica la Maria Maddalena “liberata dai sette demoni” con Maria di Betania o con la “peccatrice” che unse di balsamo la testa di Gesù. Questa ipotesi, sostenuta da Gregorio Magno, non trova fondamento nei testi evangelici. Diversa è la circostanza in cui Gesù ricevette l'omaggio dell'unzione, a Betania, da una donna di nome Maria, sorella di Marta. Cita, infatti, Luca nel suo Vangelo: “Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo. Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: “Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri! ”. Ed erano infuriati contro di lei.” Sarebbe molto strano che Luca, citando Maria di Magdala e Maria (di Betania), sorella di Marta, non dica che era una peccatrice e non precisi mai che si trattava della stessa persona.
Ci sono racconti popolari provenzali che narrano che Maria Maddalena sbarcò nella località detta “les Saintes-Mariesde-la-Mer”, in compagnia di Marta e Lazzaro, fuggiti dalla prima persecuzione scatenata da Erode Agrippa contro i cristiani. Si sarebbe poi ritirata nei pressi di Marsiglia nella grotta chiamata “la Sainte Baume” dove sarebbe morta per poi essere sepolta a Saint-Maximin. E’ nell’XI secolo che i benedettini di Vezelay cominciano a diffonderne il culto di Maria Maddalena, asserendo di essere i custodi delle sue reliquie, a loro consegnate per proteggerle dai Saraceni che più volte erano sbarcati in Provenza. La storia potrebbe essere verosimile, ma come asserisce Anatole France: “Tutte le storie che non contengono menzogne sono mortalmente noiose”.
La verità Templare è invece un’altra. Tornando alla differenza fra le due Marie, Maria Magdalena e Maria di Betania, quest’ultima era la sorella di Lazzaro, l'amico che Gesù, sempre secondo i Vangeli, resuscitò. Quando Gesù si trovava a Gerusalemme, frequentava abitualmente la casa a Betania, un villaggio adiacente alla città santa dove questa Maria abitava con Marta. Pochi giorni prima della crocifissione, Gesù si trovava a Betania, invitato da Simone il lebbroso, quando Maria, per ringraziarlo e rendergli omaggio gli versò sulla testa e sui piedi un prezioso balsamo che asciugò con i suoi capelli. Le circostanze sono molto diverse anche se l’ospitante si chiamava anch'egli Simone, un nome del resto molto diffuso. Questo Simone di Galilea è detto “fariseo” e non “lebbroso”. D'altra parte l'unzione di profumo, era un onore che veniva tributato non di rado agli ospiti di rango. La “peccatrice” intervenuta al banchetto presso il fariseo Simone è una donna ben diversa da Maria di Betania. Quest'ultima ci è presentata come una donna dolce, delicata, tranquilla, attenta all'insegnamento di Gesù e sua amica mentre l’altra viveva una vita di lussuria, per di più in Galilea, ben distante da Betania.
Per restare nell’argomento delle Marie, ne esiste un’altra che nulla ha a che fare con le prime due, ma ha a che fare con Gesù essendone parente. Si tratta di Maria “madre di Giacomo il Minore” e di Giuseppe, la stessa donna che Matteo chiama “l'altra Maria”. Faceva parte del gruppo delle “pie donne” che seguirono Gesù dalla Galilea “per servirlo” e assisterlo con i loro beni . I vangeli sinottici collegano sempre la sua presenza a quella di Maria di Magdala . Matteo e Marco la indicano tra i fedeli che osservavano da lontano la crocifissione di Gesù sul Golgota. Questa terza Maria potrebbe anche essere la stessa che Giovanni indica come “sorella” di Maria, madre di Gesù, che le stava al fianco ai piedi della croce. Quindi la zia di Gesù. Sta di fatto che sia questa Maria che la Maddalena assistettero alla tumulazione di Gesù e ritornarono il giorno dopo con altre cinque pie donne per cospargerne il corpo di balsami, ma trovarono la cripta vuota.
Ma anche questa non è la verità Templare. E’ molto improbabile quanto asserisce Raban Maar e cioè che Maria Maddalena fosse di sangue reale perché di famiglia asmonita. La famiglia degli Asmonei, che comprendeva pure i Maccabei, terminò nel 40 a.C. quando Erode fu proclamato re di Giudea. Inoltre gli asmonei prediligevano le cose terrene, le proprietà e le ricchezze, all’ideale religioso. Quindi è molto improbabile che Maria Maddalena, che non risulta discendere da Erode, fosse di famiglia asmonita.
Veniamo ora alla vita religiosa di Gesù, basandoci sia ai Vangeli che ai ritrovamenti di Qumran. Per completezza del discorso, ripeto alcuni punti di quanto già indicato in un altro mio scritto: "Yesuha ben Josep detto Gesù.
"Non c’è alcun dubbio che Gesù fosse un ebreo esseno, come del resto lo era la massima parte degli ebrei a quel tempo. Gli esseni erano una discendenza delle dodici tribù di Israele ed erano appunto coloro che hanno scritto e nascosto i rotoli del Mar Morto. I rotoli rappresentano non solamente un atto religioso e quindi un documento di fede, ma una vera e propria ricchezza storica di comportamento e di cronaca. Questi documenti sono databili in un tempo che va dal IV secolo a.C. fino ad un periodo che può stabilirsi fra il 70 ed il 132 d.C. Gli esseni si attenevano a due Regole principali, La Regola della Comunità e la Regola della Guerra, i cui testi, quasi integrali, si trovano fra i rotoli di Qumrân, e sono già stati tradotti e pubblicati. Da ciò deriva che gli esseni, che erano portatori del verbo del Signore, di Abramo e di Mosè, non erano poi così propensi a porgere l’altra guancia, sebbene in maggioranza fossero religiosamente miti e politicamente moderati. Facevano parte di una frangia degli esseni, gli zeloti, ossia gli zelanti della legge sia divina che umana. Addirittura lo storico romano Giuseppe Flavio, enumerando le correnti del periodo ebraico, mette gli zeloti al quarto posto dopo i Sadducei, i Farisei e gli stessi Esseni, di cui appunto gli Zeloti erano una derivazione e che quindi pure essi seguivano le regole della Comunità e della Guerra. Come riferisce lo storico e studioso C. Roth, gli zeloti costituivano un partito di gelosi e feroci custodi della legge e dell’indipendenza politica degli Ebrei. Gli zeloti erano apertamente antagonisti dei romani e non avrebbero mai accettato la pace con gli stessi, poiché li ritenevano usurpatori del loro territorio e del loro popolo. A loro interno, gli zeloti, avevano una frangia estremista, quella dei Nazorei o Nazirei (da Nazor il Maestro di Giustizia) e si rifiutavano di pagare le tasse ai romani (Kittim o Kthjjm), manifestando il diritto di uccidere chiunque, non ebreo, oltrepassasse i limiti dei cortili del Tempio.
Un’altra importante figura era quella del Sacerdote Empio. Quando Gesù compì i 30 anni di età, fu eletto Maestro di Giustizia poiché così prevedeva la Regola, Gesù fu eletto Maestro di Giustizia e nello stesso periodo, Paolo era il Sacerdote Empio. Per capire bene le due figure, il Maestro di Giustizia era colui che presiedeva alla vita politica e religiosa della comunità, faceva sì che le regole e gli usi fossero seguiti da tutti, era responsabile delle attività umane, decideva il da farsi, era giudice e comminava le pene. Per la sua “attività” si atteneva alle decisioni del Consiglio poiché le facoltà personali erano molto limitate. Il Sacerdote Empio, invece, presiedeva alla vita religiosa della comunità, faceva proposte, ma non aveva facoltà di intervenire nelle attività sociali. Quindi fra Paolo e Gesù, il più “mite” era il primo. Alcuni hanno ritenuto, forse per questioni di parte e religiose, di attribuire i testi al cristianesimo-primitivo, ma diversi studiosi, fra i quali Margoliout e Fitzmyer ritengono i testi, anche quelli scritti successivamente (come il Documento di Damasco) di origine zelota, nazorea ed ebionita, almeno fino al 300 d.C. quando la maggior parte dei seguaci di questi gruppi, divenuti ex-ebraici, confluisce in quel movimento più propriamente chiamato cristianesimo.
Il periodo di vita di Gesù può essere datato, secondo l’attuale calendario, dal 2-3 d.C. fino al 34-35. La vita di Gesù è di circa 32-33 anni e cioè 2-3 anni dopo il periodo di pieno sacerdozio voluto dalle Regole. Gli esseni, zeloti e nazorei, al tempo di Gesù erano poco più di quattromila, sparsi un po’ dovunque, ma specialmente sulla sponda occidentale e settentrionale del Mar Morto (Plinio il Vecchio).
Veniamo ora a quelli che erano i precetti che tutti dovevano seguire, vale a dire i dettami della Regola della Comunità e di quella dell’Assemblea. Per capire meglio l’argomento, che sarà poi legato ai ritrovamenti di Saunière, citerò fra parentesi qualche punto di alcuni paragrafi rilevati dal testo qumranico della Regola della Comunità.
Par. II : I sacerdoti benediranno tutti gli uomini della sorte di Dio che cammineranno integralmente. - I leviti malediranno tutti gli uomini della sorte di Belial. – Nota: I membri della Comunità erano divisi in tre categorie fondamentali: sacerdoti, leviti e laici (tutti gli uomini).
Par. III - : Per il saggio affinché istruisca e ammaestri tutti i figli della luce …. e sul tempo della loro retribuzione. - In una sorgente di luce sono le origini della verità e da una fonte di tenebra le origini dell’ingiustizia.
Par. IV - : … e nascondere fedelmente i misteri della conoscenza: questi sono gli elementi fondamentali dello spirito per i figli della verità che sono nel mondo.
Par. VI - : …l’inferiore obbedirà al superiore per quanto concerne il lavoro e il denaro; mangeranno in comune, benediranno in comune e delibereranno in comune . - E allorché disporranno la tavola per mangiare o il vino dolce per bere. – Nota: Il vino dolce o meglio il mosto era usato solamente dai nazorei.
Par. VIII - : Nel consiglio della comunità ci saranno dodici uomini e tre sacerdoti perfetti in ogni cosa manifestata da tutta la legge, per praticare la verità, la giustizia. – Nota: I 12 uomini erano laici che rappresentavano le 12 tribù di Israele. -- Questo è il muro provato, la pietra d’angolo inestimabile! Non vacilleranno le sue fondamenta né saranno mosse dal loro posto. - Nota: su questo punto è bene citare anche Isaia : “Guardate! Pongo in Sion una pietra, una pietra scelta, angolare, preziosa, quale fondamento: chi vi crederà non vacillerà”.
Par. IX - : Sarà una persona piena di zelo per lo statuto e per il suo tempo, per il giorno della vendetta e per compiere il beneplacito di Dio in ogni opera delle sue mani e in ogni sua attività.
Par. XI - : …il mio occhio contempla una saggezza nascosta all’uomo, scienza e pensieri prudenti, celati ai figli di Adamo.
Gli esseni, nazirei e zeloti rappresentavano le classi sociali più deboli e si contrapponevano alle altre tribù israelite, in particolare dei farisei e sadducei, che erano un’elite religioso-politica. Per questi ultimi, quindi, Gesù ed i suoi discepoli esseno-nazirei erano personaggi scomodi, al punto non solo di contrastarli, ma di eliminarli. Eliminando però il loro Capo, gli altri sarebbero venuti a miti consigli. Dopo torneremo su questo punto, ma prima è bene indicare la temporalità del noviziato per capire il perché Gesù cominciò a predicare all’età di 30 anni. Le norme di comportamento erano dettate dalla Regola dell’Assemblea che delinea appunto il cammino per chi veniva ammesso allo studio nella comunità. Citerò i punti essenziali di detta Regola:
- Allorché giungeranno, raduneranno tutti gli arrivati, dai bambini alle donne, e leggeranno alle loro orecchie tutti gli statuti del patto e li istruiranno in tutte le loro disposizioni, affinché non sbaglino commettendo inavvertenze. - Fin dalla sua giovinezza lo si istruirà sul libro della meditazione e, secondo la sua età, lo ammaestreranno sugli statuti del patto, ed egli riceverà la sua educazione nelle loro disposizioni per dieci anni. - All’età di venti anni passerà tra gli arruolati, entrando, in base alla sorte, in mezzo alla sua famiglia, in comunione con l’assemblea santa…. - All’età di venticinque anni entrerà a partecipare alle strutture fondamentali dell’assemblea santa. - All’età di trenta anni potrà essere promosso ad arbitrare una lite e un giudizio, a prendere posto tra i capi delle migliaia di Israele, tra i comandanti delle centurie e i comandanti delle cinquantine. - Ma nessun uomo poco dotato entrerà nel sorteggio per accedere a un posto sopra l’assemblea di Israele per emettere una sentenza o per assumere una carica dell’assemblea o per accedere ad un posto nella guerra destinata ad abbattere le nazioni. - Questa sarà la seduta dei notabili, chiamati al convegno per il consiglio della comunità, quando Dio avrà fatto nascere il messia in mezzo a loro. Il messia esseno non è una personalità celeste, ma il Maestro di Giustizia del momento. Gesù è stato Maestro di Giustizia. - E quando si raduneranno alla mensa comune oppure a bere il vino dolce, allorché la mensa comune sarà pronta e il vino dolce da bere sarà versato, nessuno stenda la sua mano sulla primizia del pane e del vino dolce prima del sacerdote, giacché egli benedirà la primizia del pane e del vino dolce e stenderà per primo la sua mano sul pane. In conformità di questo statuto essi si comporteranno in ogni refezione, allorché converranno insieme almeno dieci uomini.
Riporto pure alcuni passi della Regola della Guerra, a testimonianza che gli esseni, zeloti e nazorei non erano poi tanto propensi a porgere l’altra guancia, specialmente a coloro che li opprimevano o invadevano la loro terra. Erano buoni e pii, ma si facevano rispettare anche con le armi. Questo documento è importantissimo per capire il perché anche i Romani avevano astio nei confronti degli zeloti e nazorei, prediligendo invece la casta del sinedrio che meglio si adeguava alle risoluzioni politiche di Roma. - E questo è il libro della regola della guerra. L’inizio si avrà allorché i figli della luce porranno mano all’attacco contro il partito dei figli delle tenebre, contro l’esercito di Belial, contro la milizia di Edom, di Mohab, dei figli di Ammon contro le milizie dei Kittim di Assur I Kittim o Kthjjm (di Assur) sono stati individuati nei Romani che venivano in Palestina dal nord. - E dopo la guerra se ne andrà di là, contro tutte le milizie dei Kettim in Egitto. A quell’epoca i Romani avevano già occupato parte dell’Egitto. - Verità e giustizia risplenderanno per tutti i confini del mondo, illuminando senza posa fino a quando saranno finiti tutti i tempi stabiliti per le tenebre.
Abbiamo visto che i Nazirei seguivano le Regole in modo tassativo. Torniamo alle predicazioni di Gesù, Nazoreo e Maestro di Giustizia che aveva una forte presa sul popolo. La gente seguiva i suoi insegnamenti, lo andava ad ascoltare durante il suo peregrinare, abbandonando quella che era la linea ufficiale della religione ebraica e cioè i dettami del Sinedrio. Il Sinedrio era una congrega religiosa composta da sacerdoti e da saggi; in pratica erano coloro che determinavano le linee politiche e religiose che il popolo doveva seguire. Nessuno più ascoltava i sacerdoti del Sinedrio per accorrere invece dove predicava Gesù. Quindi Gesù, come già detto in precedenza, era diventato scomodo. Per questo viene inquisito e condannato a morte dal Sinedrio. A tal proposito per poter poi continuare il discorso che lega Gesù, Maria Maddalena e i Templari citerò alcuni brani dei Vangeli, non quelli gnostici, ma quelli della chiesa vaticana, riconosciuti dalla CEI. Indicherò di essi questi punti:
- Cospirazione del Sinedrio,
- Cattura,
- Gesù davanti al sinedrio (per Matteo Marco e Luca),
- Gesù davanti a Anna e Caifa (solo per Giovanni),
- Crocifissione,
- Agonia e morte,
- Sepoltura,
- Risurrezione.
Certamente molti di voi avranno già letto questi passi, ma vi chiedo di rileggerli per rinfrescarvi la memoria, tenendo conto che sono dichiarazioni riconosciute dalla chiesa e quindi non si parli di irriverenza da parte di alcuno.
Da quanto indicato, dai testi sacri ufficiali, si rilevano: • il ruolo importante di Maria Maddalena nella vita e nella morte di Gesù, • la conferma che Gesù era esseno-nazoreo e Maestro di Giustizia (Rabbi), • che ogni gruppo era formato da 12 fratelli (successivamente lo sarà per i Templari) e che giravano armati, • che Gesù era diventato un personaggio scomodo per i potenti ed i corrotti (potere religioso e potere politico), così come successivamente divennero scomodi i Templari sia per il potere della chiesa che per la monarchia, • che Gesù fu condannato dall’allora potere religioso del sinedrio (congregazione dei preti) come successivamente i Templari furono condannati dal potere temporale dei papi ed ambedue dopo aver subito un processo infame, • che l’esecuzione di Gesù fu posta in atto dal potere politico (Roma e Pilato) così come quella di Jacques de Molay dal potere politico francese (Filippo il Bello), • che Gesù resuscitò (ma non è una verità templare) come resuscitò l’Ordine del Tempio, dopo la sua soppressione.
Le analogie fra esseni-nazorei e templari sono molte, come molti sono i segreti templari che si legano agli esseni, a Maria Maddalena ed a Gesù. Ritengo che la religione templare sia molto vicina a quella essena e quindi al primo cristianesimo gnostico, al quale i templari hanno apportato conoscenze e certezze di verità per quanto già da circa un millennio i veri “gesuiti” predicavano. A tal proposito si deve ricordare che la chiesa di Roma, agli inizi del XVI secolo, per impedire la dilatazione, specialmente nell’Europa del Nord, dei veri “gesuiti” quindi gnostici, si appropriò del nome stesso dei “gesuiti” in modo tale da far credere alle popolazioni che i gesuiti erano fedeli alla chiesa di Roma. E ci riuscirono. Infatti, dopo la dieta di Spira del 1529, quando neotemplari (gesuiti) ed alcune confessioni cristiane (protestanti), si ribellarono ai decreti di Carlo V ed alla autorità della chiesa, il potere religioso capì che era necessario intervenire al fine di arginare il proselitismo gnostico, riportando la “credenza” nelle mani del papa. Non passò molto tempo e nel 1534, Ignazio di Loyola, fondò l’ordine religioso dei “Gesuiti” sotto la potestà della chiesa, rendendo quindi vane le predicazioni di buona parte degli gnostici, circa la verità su Gesù.
Maria Maddalena non approdò mai in Francia, se non in rapporto, dagli inizi del XII secolo, di vicende legate alle sette sorelle, di cui, probabilmente, l’abate Saunière aveva trovato documentazione. La gnosi cristiana conosce nel XIV e XV secolo uno sviluppo anche all’interno delle file della chiesa di Roma, dovuto principalmente al fatto che il potere, a quel tempo molto arrogante e corrotto, aveva mostrato tutta la sua spudoratezza nel voler far propria la verità delle sacre scritture, utilizzandola solamente per fini personali e di interesse, come del resto aveva fatto nei secoli precedenti, ma in misura molto meno impudente. L’esempio culminante del pensiero deistico senza intermediazioni e del Supremo all’interno di ogni uomo è stato Giordano Bruno, non per niente messo al rogo dalla chiesa di Roma.
Per i Templari è vero che Giovanni Battista aveva una certa importanza, ma ancor più importante è e resta Yeshua ben Joseph, Maestro di Giustizia, uomo fra gli uomini e figlio di Dio secondo la religione ebraica ed essena, che asseriva che tutti siamo figli di Dio, quindi anche lui lo era né più né meno degli altri esseri umani. A questo punto c’è da sottolineare che i primi europei a difesa dei pellegrini in Terrasanta furono i Franchi Crociati che, in molti, dopo il 1118 confluirono nei ranghi “Templari”, ma non tutti fecero parte dei maggiorenti. Tutti furono “Crociati” in terrasanta, ma una parte di loro, i Cavalieri dell’Ordine del Tempio, erano iniziati e gli altri no. I “dignitari” appartenevano ad un rango ben definito che trova le sue origini in quello che da molti oggi viene chiamato “Priorato di Sion”. Le leggende sul Priorato di Sion (anticamente i Saggi di Sion) sono molteplici, a volte tenebrose e piene di occultismo, a volte epiche e romanziere. Tralascio il “Priorato di Sion”, quello per intenderci di Plantard per affermare invece che “I Saggi di Sion” esistevano fin dal I secolo d.C. e sono strettamente legati a Maria Maddalena e alle sette sorelle. Lo stesso legame che unisce i Templari a Maria Maddalena ed alle sette sorelle. Si può dire che l’Ordine di Sion (e non il Priorato di Sion) è continuato con l’Ordine dei Cavalieri del Tempio. Non mi soffermo sul “sangreal” e sul Graal, poiché ritengo e sostengo, come già in precedenza dichiarato in altri miei scritti, che il sacro Graal riferito ai Templari è una vera e propria baggianata. Torno invece agli scavi eseguiti dai Templari sotto il Tempio di Salomone. E’ da qui che inizia quello che viene indicato come “Il grande segreto Templare” che prende la via sulla rotta di Algol, stella raggiante della costellazione di Ofiuco. Nel 1118 quando Ugo di Payns ed altri 8 cavalieri decidono di fondare l’Ordine, con l’accordo di Bernardo di Chiaravalle, le crociate erano in atto da oltre 20 anni, e cioè sin da quando nel 1096, Goffredo di Buglione, con le sue truppe, partì per l’Oriente, conquistando Gerusalemme nel 1099. Perché la costituzione dell’ordine avviene solamente dopo 20 anni e con un riconoscimento ufficiale altri undici anni dopo ? Qual è stato il motivo che ha indotto i Cavalieri, con l’intermediazione di Bernardo e la Chiesa Romana a darsi un regolamento? Perché anche Baldovino II, re di Gerusalemme premeva affinché l’Ordine fosse ufficializzato? C’è da dire che Baldovino già alcuni anni prima del 1118, aveva messo a disposizione di alcuni Cavalieri francesi della Champagne, fra i quali Ugo di Payns, una parte del suo palazzo: il Tempio di Salomone. Il Tempio nel 1110 d.C. aveva già una lunga storia, poiché era stato costruito 2.000 anni prima, distrutto più volte, ricostruito e trasformato. I cavalieri francesi scoprirono che i sotterranei del palazzo rappresentavano un altro palazzo pieno di cunicoli, camere, corridoi e labirinti che in minima parte, fino ad allora, erano stati esplorati, anche perché molti ingressi erano rimasti celati da pareti. Ottennero il permesso di Baldovino per esplorare i sotterranei ed aprire i cunicoli che fino ad allora erano rimasti segreti. Dopo circa 3-4 anni di “scavi”, scoprirono, sotto il luogo indicato come Sancta Sanctorum, un qualcosa che indicava IESUS NAZOREUS. L’abate Sauniere troverà poi a Rennes le Château non quel “qualcosa” rinvenuto dai Templari (che nel momento del ritrovamento non si chiamavano ancora così), ma la documentazione che dimostrava il ritrovamento e l’esistenza di quel “qualcosa”. Ugo di Payns, alla fine del 1117, rientra in Francia, rende edotto di ciò che è stato ritrovato, Bernardo di Chiaravalle ed assieme (solo loro due), in gran segreto, incontrano Papa Pasquale II, per riferire della loro scoperta. Alcuni hanno asserito, ma io sono di diverso parere, che Pasquale II, dopo aver appreso l’informazione, abbia subito uno scossone tale, che il 21 gennaio del 1118 lo ha portato alla morte. Pochi giorni dopo, il 24 gennaio 1118, è eletto Papa, Gelasio II. Bernardo ed Ugo riferiscono quindi a papa Gelasio, quanto ritrovato. Assieme viene deciso di portare, in gran segreto, il rinvenimento, in terra europea, per non farlo cadere nelle mani degli infedeli. Nasce così il “grande segreto” dei Templari. Dapprima si pensa di portarlo a Roma, ma considerando che il papato era in lotta con Enrico V e la famiglia Frangipani, viene deciso di portare il ritrovamento in Francia, a Cluny e per non dare troppo nell’occhio si dispone che la scorta sia formata da 4 cavalieri e 7 dame (le sette sorelle), così nessuno avrebbe fatto caso ad un convoglio formato per lo più da donne. Ugo ed altri cavalieri ripartono quindi per la Terra Santa portando con loro diverse dame. Altra cosa strana. Il Papa, a Roma, viene aggredito da alcuni sicari e fugge in Francia, proprio a Cluny. Perché? Il 17 gennaio 1118 arrivano sul territorio francese i 4 Cavalieri e le 7 sorelle, portando quanto era stato rinvenuto nel Tempio di Gerusalemme. Sarà un altro caso, ma anche Gelasio II muore, nello stesso mese, dopo aver verificato quanto gli era stato mostrato. Cinque giorni dopo viene eletto nell’abbazia di Cluny (e non a Roma) papa Callisto II, ovvero il francese Guido di Borgogna. Si tratta di un altro caso, cioè che venga eletto un francese e per di più a Cluny. Per ragioni di sicurezza e di segretezza, viene deciso, dal pontefice di nascondere il “tesoro” a Rennes le Château. Ripartono quindi 4 cavalieri e 7 dame alla volta di Rennes ed il segreto, composto da più reperti, viene posto in un incavo all’interno di una vecchia chiesuola (abbattuta e ricostruita a metà del 1200) e protetto da una lastra di marmo: quella che poi verrà chiamata “Dalle des Chevaliers”. E’ papa Callisto che “inventa” il modo per tramandare ai suoi successori ciò che era stato trovato nel Tempio di Gerusalemme. Torniamo a Rennes. Furono impartite disposizioni che prevedevano che almeno un cavaliere a turno con altri, vigilasse, in preghiera, all’interno della chiesuola, durante tutte le ore di luce e che le 7 sorelle restassero sempre disponibili, presso la loro famiglia, per qualsiasi evento. Per organizzare queste ultime ed averne un ricambio, sempre disponibile, fu fondato nel 1224 l’Ordine delle sorelle di Maria Maddalena ed un primo luogo monastico, guarda caso, fu realizzato nei pressi di Rennes e le prime sorelle presero il nome di tutte le 7 dame che nel 1118 contribuirono al trasporto del “segreto”. Cosa molto strana che la regola di un ordine para-religioso maschile quale era quello Templare, prevedesse pure norme per le “sorores templi”. In questo modo nessuno avrebbe fatto caso alle sorelle, non solo a quelle che accudivano i monaci-guerrieri, ma che con loro facevano carovana e si spostavano dall’Europa all’Oriente e viceversa. Perché solo la regola templare prevedeva questo? I Templari detti i custodi del Tempio, in effetti custodivano più Templi. Fu fatto un giuramento fra Templari e Chiesa che prevedeva che mai alcun Templare avrebbe rivelato il segreto, e qualora ciò fosse stato fatto, spettava solo ed esclusivamente al papa. Quindi solo i Templari (o meglio i Gran Maestri) e la Chiesa sapevano di cosa si trattasse. Da questo si possono capire tante altre cose, quali: la potenza economica dei Templari, l’esenzione degli stessi dal pagamento delle decime ed il perché nei loro confronti, sebbene incriminati (ingiustamente) per eresia, non sia mai stata pronunciata alcuna scomunica. E’ solamente dal 1118 che i Templari e successivamente anche alcuni papi, scriveranno INRI con la N rovesciata. Il “segreto” resta a Rennes fino al 1241 e viene spostato, in parte, in alcune grotte di Foix e di Niaux, per poi riprendere (ancora in parte) la via di Gerusalemme nel 1243, accompagnato da 6 Cavalieri e da 7 sorelle di quell’ordine fondato appositamente nel 1224. Fu decisa la partenza per Gerusalemme, perché il Sancta Sanctorum del Tempio della Città Santa sarebbe stato il luogo finale dove il “segreto” doveva restare per l’eternità. Il convoglio si fermò a san Giovanni d’Acri, perchè Gerusalemme era continuamente assediata dai musulmani, che poi l’occuparono (definitivamente) nel 1244. Visto che era difficile poter riprendere Gerusalemme, Luigi IX di Francia decise, nell’Agosto 1248, di partire per una nuova crociata (la sesta), cercando l’appoggio dei Mongoli per poter rioccupare la Città Santa. Non riuscendo nel suo intento, Luigi IX, spinto anche dal Gran Maestro dei Templari, Renaud de Vichiers, decise, nel 1251, di fortificare San Giovanni d’Acri per poter meglio difendere ciò che li era stato portato e occultato otto anni prima. Visto che San Giovanni d’Acri era continuamente presa d’assalto da parte musulmana fu stabilito, dopo il furioso assalto da parte dei mamelucchi dell’aprile 1261, di riportare in Europa il cosiddetto “tesoro” in quanto in oriente non era più sicuro. A quel tempo, Patriarca di Gerusalemme era Jacques Pantaleon e Gran Maestro dei Templari Thomas Berault. Il Patriarca Pantaleon ebbe un ruolo importante in tutta la vicenda, non solo perché salpò con la cassa contenente il “tesoro” unitamente a cinque cavalieri ed alle sempre presenti sette sorelle, ma anche per eventi successivi che fra breve indicherò. Il Patriarca, i Cavalieri e le sette sorelle approdarono nella località di Fos, nei pressi di Marsiglia, nei primi giorni dell’agosto 1261. Da questo momento il “tesoro” non lasciò mai più L’Europa. Alcuni affermano che sia stato collocato in una nicchia sotto il pavimento della chiesa di Rennes, altri dicono invece che la chiesa sia quella di Rosslyn in Inghilterra, altri ancora che raggiunse l’Italia per essere consegnato alla Chiesa. Ma cosa avevano trovato in realtà i Templari nel 1117 nel Sancta Sanctorum sotto il Tempio di Gerusalemme? Che cosa trovò successivamente Saunière? Molti studiosi affermano che "avrebbe scoperto un segreto di tale gravità (io direi novità) da far tremare le fondamenta del mondo cristiano…". In effetti, Saunière, non aveva trovato il segreto, ma qualcosa che documentava detto segreto. Ritorno per un attimo al Patriarca di Gerusalemme Jacques Pantaleon che raggiunge la Francia nei primi giorni d’Aprile del 1261 con la cassa contenente la “scoperta”. Nel momento del suo rientro sono in corso le elezioni per il nuovo Papa che dovrà succedere ad Alessandro IV, morto a Viterbo il 25 maggio dello stesso anno. I casi della vita e le coincidenze possono essere molte in un lungo periodo, ma in un breve no. Che cosa successe? Per eleggere il successore d’Alessandro IV, i cardinali litigarono per tre mesi, poi il 28 agosto 1261 comparve Jacques Pantaleon che, non era candidato al trono papale ed ebbe un incontro con i maggiori dignitari della Chiesa. Il giorno dopo 29 agosto, fu eletto papa Jacques Pantaleon che prese il nome di Urbano IV. Perché i Cardinali elessero lui Papa? Quali furono i termini dell’incontro avuto il giorno prima? Di cosa si parlò? Sta di fatto che, come diciamo oggi, in quattro e quattr’otto il Patriarca Pantaleon divenne Papa. Ma non solo! Con lui il papato si orientò verso la Francia abbandonando Roma. Infatti, Urbano IV rimase sempre fra Viterbo e Perugina e mai andò a Roma. Ampliò poi il collegio cardinalizio nominando sei francesi. Ma la cosa più importante ed interessante per il nostro argomento è che nel 1264 introdusse nella liturgia ecclesiastica la festa del “Corpus Domini”. Da allora il Corpus Domini non è la festa del Signore Dio onnipotente, ma del Signore Gesù il cui simbolo risiede nell’ostia consacrata come “corpo di Cristo”.
Il grande segreto:
Cosa scoprirono i futuri Templari nel 1117? Stando a diverse opinioni di studiosi di gnosi cristiana e templarismo, risulterebbe che i nove cavalieri comandati da Ugo di Payns, scoprirono il corpo di Gesù e Urbano IV, in un certo qual modo, lo rese pubblico nel 1264 con la festa del “Corpus Domini”. Secondo questa tesi, che in gran parte pure io condivido, cerco di riassumere la storia o come alcuni asseriscono, la leggenda templare del “grande segreto”. Facendo oggi i calcoli con il nuovo calendario, ritorniamo agli anni dal 35 al 37 d.C. quando Yeshua ben Joseph viene condannato dal sinedrio ed assassinato per mano romana (Ponzio Pilato). La sua morte avvenne di Sabato e dato che la religione ebraica vietava, di sabato, qualsiasi attività, il rito funebre fu rinviato al giorno successivo. La tumulazione avviene quindi di sabato per poi fare il rito dell’unzione il giorno dopo. Questo è anche quanto dicono le scritture ufficiali della Chiesa. E come, anche citano le scritture, Maria di Magdala fu presente, nel giorno del Sabato, alla sepoltura del Maestro (chiamato Rabbi). E Rabbi era il termine per indicare il Maestro di Giustizia degli esseni-nazirei. Visto quanto ritrovato dai Templari, probabilmente avvenne che, Maria Maddalena unitamente ad altre sei pie donne, nella notte fra il sabato e la domenica, portarono via di nascosto il corpo di Gesù, forse per paura che (visto ciò che era successo) potesse essere, il giorno dopo, fatto oggetto di ulteriori violenze o addirittura sparizioni da parte di chi l’aveva condannato e non voleva quindi che la gente ne facesse “oggetto” di adorazione. Fino qui è una tesi probabile e possibile. Sulla persona di Yeshua ben Joseph nascono leggende, storie e lo si fa diventare, da parte di chi ha interesse, un riferimento, ma attenzione, non in senso divinatorio o di fede, ma per costruirci sopra un “potere”. Subito dopo la sua morte nacque un mito, quello dell’uomo giusto perché povero, perché del popolo, perché umile, perché contro le ingiustizie, perché combatteva le prevaricazioni, perché disprezzava le ricchezze ed apprezzava chi viveva senza pretese solo del proprio lavoro, perché appunto Esseno. Infatti, le repressioni verso i primi cristiani furono cruente e venivano considerati come banditi e sovversivi. Poi osservando che l’opinione pubblica sia romana sia mediorientale faceva di Gesù un punto di riferimento, per l’uomo onesto ed il buon padre di famiglia, un qualcuno pensò che sarebbe stato meglio “adeguarsi” creando un “potere” che avrebbe contato più proseliti di qualsiasi esercito o nazione. Probabilmente questo qualcuno fu Alessandro di Caput Tauri, eletto papa nel 105 d.C. in base ad una scelta fatta dai Vescovi e dal clero, quindi in un modo diverso dalle precedenti nomine, che avvenivano secondo un sistema che si tramandava da maestro a discepolo. Per questo fu malvisto dalla base che voleva un papa non nominato da alcun potere, poiché proprio il potere “sinedrio” aveva condannato Gesù e l’altro potere, Ponzio Pilato, l’aveva assassinato. Infatti, nel seicento viene scoperto un manoscritto, ritenuto apocrifo, in cui si cita Alesando I impegnato in scontri con gli eretici gnostici. Il seguito è conosciuto da tutti, basti pensare alla falsa donazione di Costantino ed al lusso in cui hanno vissuto e vivono gli alti prelati ed alle ricchezze che sono state costituite sul nome di Cristo. Possono questi rappresentare colui che scacciò i mercanti dal Tempio? La gnosi d’allora, che era a conoscenza del corpo di cristo e non della resurrezione (che faceva comodo agli altri) portò alla costituzione di un gruppo di saggi che furono chiamati i “Saggi di Sion”. Sion è il sinonimo di Gerusalemme essendo il monte sul quale sorgeva prima il tempio di Salomone poi il Tempio di Gerusalemme. Passano i secoli, restano i papi, che rafforzano sempre più il loro potere, ma restano altresì i Saggi di Sion. Arriviamo al 1110 quando Ugo di Payns ed altri otto Cavalieri si recano in Terrasanta in aiuto dei franchi crociati ed è in quel momento che vengono a conoscenza dell’esistenza dei Saggi di Sion con i quali prendono contatto. Era stato nominato a Gerusalemme un re di nome Baldovino II il quale aveva buoni rapporti con I Saggi di Sion e mise a disposizione di Ugo e degli altri cavalieri, un’ala del suo palazzo che in pratica era l’antico Tempio di Salomone. Su indicazione dei saggi, Ugo e gli altri iniziarono una serie di scavi (segreti) e trovarono, diversi metri sotto le fondamenta del Tempio, una lunga serie di cunicoli, in massima parte inesplorati che portavano al Sancta Sanctorum. Dopo circa otto anni di scavi, trovarono un’urna di granito, contenente ossa umane con la scritta, in aramaico, su di un lato: “Yehoshuah ben Joseph Maestro di Giustizia”, oltre ad altra documentazione in rame e su pelle di capra che appunto documentava che Gesù, Maestro di Giustizia dei Nazorei era stato condannato da Hanna e Caifa ed ucciso dagli invasori Romani. Nei ritrovamenti dei rotoli del Mar Morto di Qumran, mancano due rotoli in rame, ma ci sono gli atti che descrivono la religione Esseno-nazirea. Questi rotoli ed altra documentazione, probabilmente è ciò che trovò l’Abate Saunière e che lo resero ricco, ma anche detestato ed avversato dalla chiesa ufficiale. Saunière però non trovò l’urna con i resti mortali di Yeshua ben Joseph, anche dopo aver scavato tutto il pavimento della chiesa di Rennes e l’adiacente cimitero. Saunière ha anche ritrovato una parte dei documenti scritti da Ugo de Payns e dagli altri cavalieri dove era descritta tutta la storia (dettata dai Saggi di Sion) di Maria Maddalena, della morte di Gesù, della sua inumazione, della sua esumazione e collocazione dei resti mortali nell’urna di granito. Veniva così messo in dubbio la resurrezione materiale di Gesù, ma non quella spirituale ritenendo ciò che lo stesso sia risorto con la rinascita del credo esseno da parte dei suoi seguaci. Per dire e credere quanto da lui scoperto, Saunière non ebbe mai l’assoluzione, anche in punto di morte. Dopo il ritrovamento dell’urna sotto il Tempio di Salomone, i Saggi di Sion, consigliarono Ugo e gli altri di trasferire il “tesoro” in Europa per paura che i musulmani lo trovassero e lo distruggessero. Però tutto ciò doveva avvenire come era avvenuto in principio, con la presenza delle sette pie donne. Il seguito lo trovate rileggendo dall’inizio questo mio scritto. Il potere personale di alcuni alti prelati della chiesa di Roma, che sono venuti a conoscenza delle vicende legate a questo argomento, è aumentato e molti sono diventati Papi, come già ho indicato in precedenza. Un’ultima curiosità, oppure caso o coincidenza se così lo vogliamo chiamare. Saunière nel 1910 viene sospeso a divinis. Qualche anno dopo riceve la visita del Monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, inviato dal papa per esaminare il ricorso presentato contro la sua sospensione. Monsignor Roncalli ritorna a Roma e successivamente il provvedimento di sospensione viene revocato. Nel 1958 Angelo Giuseppe Roncalli viene eletto Papa con il nome di Giovanni XXIII. A questo punto lascio spazio ai ricercatori ed agli storici, ma secondo una narrazione templare, solo il primo Papa franco che sarà eletto nel terzo millennio, potrà svelare questo mistero.


Ugo Cortesi