30 ottobre 2010

- Opus Minimum - Volume 2010 -


I titoli e gli autori

Equinozio di Primavera
Raimondo de Sangro Principe di San Severo
Primo Gran Maestro della Massoneria Italiana, 1
Sigfrido E. M. Hobel R\L\ Arcadia 1161, Napoli

La Cappella San Severo.
Letture, pensieri, riflessioni. 39
Elviro Langella Redattore di Opus minimum

L’adolescenza del Principe nel Collegium romanum.
Per immaginarne e, forse, capirne le esperienze e la formazione. 77
Elviro Langella Redattore di Opus minimum

Solstizio d’Estate
L’ETERNO FEMMININO 119
Bent Parodi di Belsito R\L\ Giustizia e Libertà 895 Palermo

IL PRINCIPE DI SANSEVERO
E IL MOVIMENTO ROSACROCIANO 135
Sigfrido E.F. Höbel R\ L\ Arcadia 1161 Napoli

I sognI 145
Anna Manfredi Associazione GREN Napoli

Per una cartografia
dell’ immaginario 151
Antonio D’Alonzo R\L\ Stella del Mattino 1031 Firenze

L’uguaglianza, Una necessità 169
Aniello Scala R. L. Ferruccio 186 Pistoia

Circa Renè Guénon 175
Luigi Sessa R\ L\ Giustizia e Libertà 767 Roma

Equinozio d’Autunno
L'AMORE
LE RADICI OCCULTE DELLA VITA 179
Bent Parodi di Belsito R\L\ Giustizia e Libertà 895 Palermo

Cronaca dall’orrore 185
Pier Luigi Boggetto

La cena delle Ceneri
di giordano bruno 195
Piero Battaglini R\L\Losanna 205 Napoli

discorso sull’ anima 211
Francesco Federico Bianchi R\L\ I Figli di Garibaldi 203 Napoli

Caracciolo
Cronaca di una INFAMIA 215
Anna Manfredi Gruppo GREN Napoli

Francesco Mario Pagano
Progetto di una costituzione 223
Ciro Manzi Associazione Liceo Garibaldi, Napoli

Solstizio d’Inverno
L'AMICIZIA E' AMORE 237
Bent Parodi di Belsito R\L\ Giustizia e Libertà 895, Palermo

Raimondo de sangro
ED HENRY TSCHOUDY 247
Paolo Galiano

L’eterno femminino, Pandora 255
Studio semestrale della R\L\“Quatuor Coronati-Emulation” 931, Firenze

A napoli, sconfitto l’illuminismo 263
Mario Colella Associazione Liceo Garibaldi, Napoli

Il PENSIERO DIVERGENTE 269
Antony De Gioia

LETTERA AD UN INIZIATO 275
Claudio Spinelli R\L\ Guerrazzi 665, Follonica

LA MAGIA DELL’INCERTEZZA 281
Giovanni Lazzaro R\ L\ Nazario Sauro 527, Trieste

FENG SHUI 287
Matteo Sergio Bracco R\L\ Costantino Nigra 868, Ivrea
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- Opus Minimum - Dicembre -



L'AMICIZIA E' AMORE 1
Bent Parodi di Belsito R\L\ Giustizia e Libertà 895, Palermo

Raimondo de sangro
ED HENRY TSCHOUDY 11
Paolo Galiano

L’eterno femminino, Pandora 18
Studio semestrale R\L\“Quatuor Coronati-Emulation” 931, Firenze

A napoli, sconfitto l’illuminismo 25
Mario Colella Associazione Liceo Garibaldi, Napoli

Il PENSIERO DIVERGENTE 31
Antony De Gioia

LETTERA AD UN INIZIATO 37
Claudio Spinelli R\L\ Guerrazzi 665, Follonica

LA MAGIA DELL’INCERTEZZA 43
Giovanni Lazzaro R\ L\ Nazario Sauro 527, Trieste

FENG SHUI 49
Matteo Sergio Bracco R\L\ Costantino Nigra 868, Ivrea
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26 ottobre 2010

- Un filosofo femmina


Scrisse ben 13 volumi di commento all’aritmetica di Diofanto, 8 volumi sulle Coniche di Apollonio con relativa spiegazione delle orbite dei pianeti, un trattato su Euclide e su Tolomeo, un Corpus Astronomico che raccoglieva tavole sui corpi celesti, alcuni testi di meccanica e tecnologia, realizzò importanti strumenti scientifici come l’astrolabio piatto, il planisfero, uno strumento per misurare il livello dell’acqua detto idroscopio, un apparato per distillarla e un idrometro di ottone per determinare la densità di un liquido... ma di tutta la sua immensa opera scientifica non rimane nulla. Parliamo di Ipazia di Alessandria, matematica, astronoma e filosofa vissuta tra il IV e V secolo (circa 370-415) in un Egitto ancora imbevuto di cultura ellenistica. Figlia di Teone, scienziato e filosofo che aveva deciso di fare di lei “un perfetto essere umano”, studiò a Roma e ad Atene dove fecero impressione al tempo stesso la sua cultura e la sua bellezza. Probabilmente successe al padre come direttore della scuola di filosofia, ruolo che ad Alessandria era di massimo rilievo anche pubblico. Ebbe seguaci, ammiratori, allievi; ma insegnava anche per strada, gratuitamente, a chiunque si mostrasse interessato, illustrando a chi glielo chiedeva le idee del pensatore prescelto. Sua caratteristica fu dunque la liberalità con cui tramandava in pubblico il suo sapere, in quanto, pur praticando anche un insegnamento esoterico, non teneva la conoscenza per sé, ma generosamente la dispensava anche agli altri. La sua popolarità fu perciò grandissima ad Alessandria, una delle città culturalmente più forti di un impero romano ormai agli sgoccioli, nell’alveo dell’ultimo paganesimo. Dal punto di vista filosofico Ipazia, seguendo suo padre Teone che teorizzava l’utilizzo delle scienze matematiche a fini metafisici, aveva abbracciato il neoplatonismo e tendeva a una conciliazione delle dottrine platoniche e aristoteliche. Socrate Scolastico parla di lei come la terza caposcuola del platonismo dopo Platone e Plotino. Di lei dice un epigrammista contemporaneo: “Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole, vedendo la casa astrale della Vergine. Infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto, Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura”. Verso il cielo è rivolto ogni tuo atto, afferma il poeta, sottolineando al tempo stesso l’ampiezza della conoscenza astronomica e la tensione spirituale della filosofia neoplatonica che faceva delle scienze matematiche e celesti una base per l’elevazione spirituale. Ma Ipazia era apprezzata anche in ambiente cristiano, o meglio da quei cristiani che riconoscevano - e rispettavano - l’aspirazione metafisica degli avversari. Il suo allievo Sinesio, poi convertitosi al cristianesimo e diventato vescovo di Cirene così le scrisse, in preda alla malattia: “Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’altri mai onorato. E se c’è qualcuno, venuto dopo (di me come tuo allievo) che ti sia caro, io debbo essergli grato poiché ti è caro, e ti prego di salutare anche lui da parte mia come amico carissimo. Se tu provi qualche interesse per le mie cose, bene; in caso contrario, non importano neanche a me”. Eppure questa donna bellissima e intelligente, generosa e mistica, vera ‘vergine pagana’ che si proclamava ‘sposa della verità’, fu vittima di uno dei più infami e celebri linciaggi pubblici, vero e bestiale sacrificio umano compiuto da un branco di straccioni. A raccontarlo sono ancora le fonti storiche di poco posteriori. Alcuni cristiani fanatici attesero Ipazia al suo ritorno a casa, la aggredirono, la trascinarono in una chiesa dove, dopo averla denudata, la uccisero trafiggendola con dei cocci affilati, dopodiché bruciarono i brandelli del suo cadavere in un letamaio. L’intolleranza religiosa verso una pagana d’élite si spinse a un atto estremo che non fu legalmente perseguito. Sia Socrate Scolastico che Damascio, narratori dei fatti pochi decenni dopo, accusano pesantemente dell’episodio il patriarca Cirillo. Damascio anzi afferma: “Una volta accadde che Cirillo passando davanti alla casa di Ipazia, vedesse che vi era una gran ressa di fronte alle porte, confusione di
uomini e di cavalli, gente che si avvicinava, che si allontanava, che ancora si accalcava. Avendo chiesto cosa fosse quella moltitudine e di chi la casa presso la quale c’era quella confusione, si sentì rispondere da quelli del suo seguito che in quel momento veniva salutata la filosofa Ipazia e che era la sua casa. Saputo ciò, egli si rose a tal punto nell’anima che tramò la sua uccisione in modo che avvenisse al più presto, uccisione tra tutte la più empia”. La causa dell’orrendo episodio sarebbe stata dunque, secondo il narratore, l’invidia (phthonos) da parte di un capo spirituale nei confronti di un avversario dotato di maggiore autorità essendo al tempo stesso amato dal popolo e rispettato dai governanti. Al di là delle spiegazioni semplicistiche bisogna tuttavia osservare che l’ambiente alessandrino era in quegli anni estremamente teso. La città dei 144.000 martiri (secondo fonti cristiane) aveva applicato alla lettera il decreto teodosiano del 392 che vietava i culti pagani. L’anno prima il patriarca Teofilo aveva aizzato i cristiani affinché distruggessero il Serapeo, episodio che portò all’incendio della vicina biblioteca, monumento di secoli di cultura. Tra i cristiani divampava inoltre un’acerrima lotta tra ortodossi e monofisiti i quali ammettevano in Cristo la sola natura divina. Lo stesso Cirillo aveva abbracciato e teorizzato il monofisismo che pochi anni dopo la sua morte verrà condannato nel 451 dal concilio di Calcedonia. I disordini erano quindi all’ordine del giorno e l’intolleranza aggressiva l’atteggiamento più diffuso. Torme di monaci vagabondi, laceri e ignoranti, provenienti dal deserto si erano inoltre riversati in città compiendo atti di vandalismo soprattutto ai danni della classe colta e ricca. In questo clima politico, tra le rovine della biblioteca e dei templi, Ipazia continuava imperterrita a elargire il suo pubblico insegnamento per strada, attirandosi al tempo stesso stima e odio, rispetto e disprezzo. Tra le fonti, ecco la versione di un denigratore, Giovanni Nikiou, che afferma: “In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici”. Ma perché morì Ipazia e, soprattutto, perché in quel modo atroce? Al di là delle interpretazioni vagamente nietschiane (l’invidia) e di quelle neopagane (i cristiani intolleranti) o post-femministe (persecuzione di maschi oscurantisti e bigotti), persiste oltre il tempo il fascino dell’adamantina coerenza di Ipazia, fedele alla sua raffinata cultura, alla sua religione metafisica, alla scienza non fine a se stessa ma base per la vera conoscenza, all’eredità del padre-maestro; insomma, in una parola, alla tradizione. In un clima di intolleranza belluina, Ipazia - aggravando il tutto con l’essere anche donna, bella, casta, sapiente e pagana - rappresentò soprattutto quello che era comunque il nemico supremo di quei tempi (solo di quelli?): la ragione. Il cervello, la memoria, la luna... non potevano essere perdonati.
La memoria del mondo
Nel III sec. a.C. Tolomeo I Sotèr realizzò la Biblioteca di Alessandria, istituzione culturale la cui fama fu seconda solo all’Accademia di Platone o al Liceo di Aristotele. Furono costruite imponenti strutture - la Biblioteca, il Museo, un osservatorio astronomico, uno zoo, un orto botanico - per ospitare i più illustri pensatori del Mediterraneo, mettendo a loro disposizione oltre mille scribi viaggiatori che giravano il mondo allora conosciuto allo scopo di raccogliere le opere e trascriverle su rotoli di papiro. A questo scopo Tolomeo concepì una lettera ‘a tutti i sovrani e governanti della terra nella quale chiedeva che ‘non esitassero a inviargli le opere di poeti e prosatori, retori e sofisti, medici e indovini, storici, e tutti gli altri ancora’. ‘Da ciascun popolo informa un trattatista bizantino furono reclutati dotti, i quali, oltre che padroneggiare la propria lingua, conoscessero a meraviglia il greco: a ciascun gruppo furono affidati i relativi testi, e così di tutto fu allestita una traduzione in greco”. La traduzione dei testi iranici attribuiti a Zoroastro - oltre a due milioni di versi – fu ricordata ancora secoli dopo come un'impresa memorabile. Il disegno perseguito dai Tolomei e messo in pratica dai loro bibliotecari non era dunque soltanto la raccolta dei libri di tutto il mondo ma anche la traduzione in greco. La Biblioteca poteva così vantare oltre settecentomila volumi, tutti catalogati. Tra le opere più famose quelle di Aristotele, Platone, Sofocle, Eschilo, Teocrito, Ipazia, Clemente e Origene. La fine della Biblioteca è tuttora avvolta nel mistero. Un primo incendio avvenne all’epoca di Cesare nel 47 a.C, nel corso di tumulti popolari. Ma la prestigiosa istituzione si riprese. Danni ulteriori furono inferti da Zenobia di Palmyra nel corso delle sue campagne militari (270) e da Diocleziano nel 295. La seconda, e ben più devastante, distruzione si svolse nel 391 su ordine del patriarca cristiano Teofilo che capeggiò una folla di fanatici contro quello che era ritenuto il fulcro del sapere pagano. Ridotta ai minimi termini la Biblioteca sopravvisse stentatamente, fino alla completa e totale distruzione nel 646 da parte del generale omayyade Amr Ibn el-as. Nell’apprendere dell’avvenuto scempio pare che il califfo Omar I, principe dei credenti, abbia commentato: ‘Se i libri non riportano quanto scritto nel Corano allora vanno distrutti poiché non dicono il vero. Se i libri riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti ugualmente perché sono inutili’.

Michela Torcellan

20 ottobre 2010

- Relazione tra Giordano Bruno e la Massoneria.


Non deve sembrare arbitrario ed azzardato l’accostamento di Giordano Bruno alla Massoneria o, più correttamente, della Massoneria a Giordano Bruno, dal momento che la Massoneria è sicuramente debitrice a Bruno per quanto concerne alcuni contenuti iniziatici e la metodologia della ricerca interiore.
I Giordanisti
Bruno, senza dubbio, è l’espressione più alta di quel Rinascimento caldo – come scrive Matteo D’Amico nel Giordano Bruno - che dopo di lui si smarrisce e lentamente si dilegua, scomparendo nelle tenebre della storia, perciò in Bruno per l’ultima volta con tanta forza e coerenza si leva una visione qualitativa della vita, della natura, del Cosmo stesso, che proprio per questo diventano i luoghi ove è possibile un dionisiaco abbandono al Tutto in cui ogni cosa aspira a risolversi.
D’altro canto, la sua attività a sfondo iniziatico e politico lo porta alla fondazione di una setta d’iniziati, chiamati Giordanisti, che si radica in Germania e poi anche in Inghilterra, e che forse è una delle radici del movimento seicentesco dei Rosacroce. Del resto, non si può escludere che la Massoneria derivi proprio da questi circoli di Giordanisti, almeno per quanto riguarda, come abbiamo già detto, i contenuti.
Contro ogni autoritarismo
Occorre, inoltre, rammentare – come osserva la profonda studiosa inglese Frances A. Yates in Giordano Bruno e la tradizione ermetica – che Bruno venne alla ribalta verso la fine del XVI secolo, di quel secolo che vide terribili manifestazioni d’intolleranza religiosa e nel quale si cercò nell’ermetismo religioso un rifugio di tolleranza, una via – come continua la studiosa inglese – che portasse all’unione delle varie sette in lotta tra di loro. Nel sottofondo spirituale dell’epoca si muoveva, quindi, una contestazione contro tutte le imposizioni, le schiavitù della ragione, gli osanna delle fedi, per alimentare una rivolta, incruenta, contro ogni autorità che, degenerando in autoritarismo, tendeva a soggiogare la dignità e la libertà. Tale contestazione ideologica ebbe riflessi nell’evoluzione della Massoneria che dalla fase originaria detta operativa s’intrecciò con quella accettata, preludio a quella speculativa del 1717.
Il fenomeno dell’accettazione
L’accettazione di membri estranei all’arte della costruzione, espressione di ceti socialmente elevati e culturalmente e politicamente impegnati, determinò la rottura di quell’isolamento dal contesto sociale che era stato caratteristico delle Corporazioni, sin dal Medioevo. Si ridusse, in pratica, lo scarto tra corporazioni e società, in modo che la Massoneria non fu più tanto chiusa da non risentire i contraccolpi delle situazioni politiche, sociali, intellettuali e religiose e, d’altronde, le ideologie portate all’interno dai membri accettati non potevano rimanere a sé stanti, inerti, ma dovevano, bensì, fruttificare all’esterno, scontrandosi anche con alcune correnti di pensiero e con alcune leve di potere. L’accettazione, tuttavia, permise, da un lato, l’arricchimento del contenuto ideologico della Massoneria e, dall’altro, la verifica della propria validità iniziatica e contribuì a ricomporre le scomposte manifestazioni d’intolleranza religiosa e politica attraverso l’auspicato ripristino di un ordine sociale e morale meno corrotto e malvagio.
Il ruolo di Bruno
Ebbene, Giordano Bruno giunge in Inghilterra quando maggiori sono le inquietudini delle anime ed il marasma politico – siamo nel 1583 – e prende, subito, incondizionatamente, come base l’ermetismo magico egiziano, profetizza un ritorno alla tradizione egiziana grazie al quale le difficoltà religiose si comporranno in una soluzione nuova, propugna, infine, anche una riforma morale, accentuando l’importanza di buone opere sociali, di un’etica rispondente a criteri d’utilità sociale (Yates, op. cit.). A questo punto domandiamoci con la Yates: Dove mai si ritrova una simile sintesi religiosa, di solidarietà psicologica con il passato, di esaltazione delle buone opere, di adesione entusiastica alla religione ed al simbolismo degli egiziani? La risposta più immediata, la più ovvia, per la studiosa inglese non può essere che questa : Nella Massoneria, con il suo mitico collegamento coi muratori medievali, con la sua tolleranza, la sua filantropia ed il suo simbolismo egizio.
Siamo agli inizi del XVII secolo
La Massoneria, come istituzione ben caratterizzata, non appare, in realtà, che agli inizi del XVII secolo, ma certamente essa ebbe precedenti e tradizioni che risalgono molto indietro nel tempo. D’altro canto, il simbolismo e la tradizione egiziana si riferiscono in particolare ad Ermete Trismegisto e alla tradizione ermetico-alchemica, che sono alla base del contenuto iniziatico della Massoneria. Si può, quindi, ritenere che la dottrina e l’influenza di Bruno preparano ed elaborano i contenuti della Massoneria, avendo suscitato, con la sua opera svolta in Inghilterra (1583-1586 e 1586-1591) e in Germania (1586-1588), quegli impulsi attraverso i quali l’ermetismo rinascimentale, collegatosi ai “prisci theologi”, e tra questi soprattutto ad Ermete Trismegisto, confluì nei canali sotterranei delle società esoteriche.
Il pensiero del Nolano e la Massoneria
Giordano Bruno diviene, in tal modo, il fulcro della Massoneria cosiddetta moderna che poggia il suo messaggio su questi tre insegnamenti, che, conseguentemente, la riallaccia alla Philosophia perennis:
1) La rivalutazione ed il miglioramento dell’uomo.
2) La ricerca della Verità che risiede all’interno dell’uomo.
3) La glorificazione, attraverso un incessante travaglio interiore, del Grande Architetto dell’Universo, che i massoni chiamano G.A.D.U., ma non è altro che Dio.
Queste tre componenti dobbiamo ritrovare nell’opera di Bruno, se vogliamo che tale accostamento non sia una semplice ed opinabile interpretazione. Non è così, perché proprio dagli scritti di Bruno emerge, in modo chiaro e netto l’importanza, ad esempio, della ricerca interiore, che Bruno chiama potere interiore e che pone l’uomo al centro della conoscenza e dell’esperienza. Infatti, nel De imaginum composition” scrive il Nolano: Perché, dico io, così pochi comprendono ed apprendono il potere interiore?.. Colui che vede in sé stesso tutte le cose è, al tempo stesso, tutte le cose. Queste espressioni necessitano di una spiegazione, e per meglio comprenderle, anche per impadronirsi già del pensiero di Bruno, è utile riportare altri due passi: uno, tratto da Lo spaccio de la bestia trionfante : Iddio tutto è in tutte le cose. E l’altro da De la causa, principio e uno : Il sommo bene, il sommo appetibile, la somma perfezione, la somma beatitudine consiste nell’unità che complica il tutto... voglio che notiate essere una e medesima scala per la quale la natura descende alla produzione delle cose, e l’intelletto ascende alla cognizione di quelle; e che l’una e l’altra da l’unità procede all’unità passando per la moltitudine di mezzi. Se fermiamo l’attenzione su questi tre passi, possiamo comprendere in cosa consista per Bruno il potere interiore, che è correlato all’unità di tutte le cose, anticipando quasi la visione ecologica che è oggi al centro della conoscenza e della scienza.
Correlazione tra Dio, Uomo e Natura
Il rapporto tra Dio e Uomo e Natura non è di dipendenza né di subordinazione in senso stretto ma appunto di correlazione, sino a giungere, in particolari condizioni di risveglio interiore, alla’identificazione, alla somiglianza, collegandosi, questa volta, alla spiritualità orientale, upanishadica e all’omòiosis tò theò del Corpus Hermeticum.
La rivalutazione dell’uomo, pertanto, non può essere sganciata dalla relazione con il divino e proprio questo rapporto ne amplia la dimensione. Sebbene molti studiosi ritengano che nel Rinascimento vi sia stata un’emarginazione della divinità, o addirittura la negazione della trascendenza divina, non si può, tuttavia, disconoscere che la dignità ed il valore dell’uomo possono avere un senso se riferiti e proiettati verso un Ente Supremo, inteso quest’ultimo non tanto come un Dio personale ma come Principio, conformemente a quanto sostiene Pico della Mirandola, quando dichiara: Reditus uniuscuisque rei ad suum principum.
Divinità, come traguardo finale della Conoscenza,
Tale concetto rimane sempre valido, si vuole solo riportare il divino da un piano trascendente ad uno immanente, divinizzando uomo e natura, così com’è scritto nel Corpus Hermeticum ed affermato nella tradizione alchemica. Questo rapporto Dio-Uomo-Natura può prefigurare, a prima vista, una forma di panteismo (questa fu l’accusa lanciata contro Bruno ed anche contro Cusano); si tratta piuttosto – come abbiamo già detto – di un tipo di immanentismo in cui il principio eterno è riportato non ad un’entità esterna e al di fuori del mondo ma immerso, celato all’interno dell’uomo e delle cose, come sostiene appunto Bruno nella Cena delle ceneri : Già avendola contratta in sé non era necessario cercar fuori di sé la divinità.
Krause
Questa posizione di Bruno, approfondendola, sembra anticipare di alcuni secoli la concezione formulata da Krause nel 1800 e che va sotto il nome di Panenteismo, la cui definizione è questa:
Dottrina che, senza confondere il mondo con Dio come fa il panteismo, non lo vuole tuttavia separato dalla sostanza divina. Dio non si esaurisce nel mondo, che n' è l’estrinsecazione empirica, ma è in tutto, immanente e trascendente nello stesso tempo. La concezione panenteistica, tipica, tra l’altro, di tutta la spiritualità orientale, ed upanishadica in particolare, riconduce la speculazione filosofica rinascimentale nell’alveo della Tradizione che sempre ha privilegiato l'aspetto interioristico, per cui il Dio/Verità è dentro l’uomo e solo là va ricercato. E’ questo primato dell’interiorità che giustifica la ricerca interiore, permettendo di comprendere ed assimilare l’Unità del Tutto.
Il Deus Naturaque di Bruno
Nell’Uno/Tutto, che Bruno chiama Deus Naturaque, non vi è dualità e - quindi – distinzione sostanziale tra soggetto ed oggetto, in quanto Tutto è sì l’oggetto dell’Uno, ma non è Altro rispetto all’Uno; è un po’ il concetto del G.A.D.U., del Grande Architetto dell’Universo, della Massoneria, in cui il Grande Architetto è Uno e l’Universo è il Tutto e tra l’uno e l’altro, grazie alla magia geometrica dell’architettura, vi è una splendida reciprocità. Il Deus Naturaque diviene, così, la raffigurazione simbolica del G.A.D.U., il simbolo iniziatico della Realizzazione, in quanto riafferma, come punto d’arrivo della Conoscenza, la risoluzione degli opposti, l’androginia della Verità. Nel Tutto vi è, pertanto, il riflesso dell’Uno, in quanto – scrive Bruno ne Gli eroici furori - tutto è pieno di divinità, verità, entità, bontà, e continua ancora [...] dalla monade che è la divinitate procede questa monade, che è la natura, l’universo, il mondo. Tra l’infinito divino e l’infinito della natura non vi è, dunque, opposizione, ma un’armonica unità, in modo che tutta la realtà può essere compresa, appunto, nel Deus Naturaque, nella cui intima struttura si ha la già proclamata risoluzione di ogni contrario, perché in esso: [...] si contempla l’armonia e la consonanza de tutte le sfere, intelligenze, muse e instrumenti, dove il cielo, il moto de’ mondi, l’opre della natura, il discorso de gli intelletti, la contemplazione de la mente, il decreto della divina provvidenza, tutti d’accordo celebrano l’alta e magnifica vicissitudine, che agguaglia l’acqui inferiori a le superiori, cangia la notte con il giorno e il giorno con la notte, a fin che la divinità sia in tutto nel mondo con cui tutto è capace di tutto, e l’infinita bontà infinitamente si communiche secondo tutta la capacità de le cose.
Il pensiero ermetico
Il Deus Naturaque di Bruno, orbene, con la diversità risolta nell’unità e con l’analogia tra macro e microcosmo richiama, anche, la Tavola di smeraldo di Ermete Trismegisto: Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per il miracolo della Cosa Una. Se, quindi, la concezione unitaria di Bruno si sovrappone a quella ermetica, che in realtà è stata il punto di partenza, non diverso deve essere il punto d’arrivo che, nella concezione ermetica, si rende concreto nella trasfigurazione dell’Anima e, pertanto, in una via iniziatica di trasformazione interiore.
Conosci te stesso
L’uomo, in altri termini, deve cercare di trovare in se stesso gli intimi legami con l’Uno-Tutto attraverso una profonda conoscenza di se stesso: ecco il potere interiore di cui parla Bruno, che trova riscontro nella impietosa indagine coscienziale che ogni massone deve compiere per ritrovare, nei meandri più riposti del proprio essere, l’occultum lapidem. V.I.T.R.I.O.L., visita interiora terrae rectificandoque invenies occultum lapidem, questo è il travaglio del massone, che sembra davvero il retaggio del viaggio di Bruno, che non è né semplice né facile, ma deve in ogni caso avere la consapevolezza della sua divinità, della divinità – dice Bruno – che risiede in noi per forza del riformato intelletto e voluntate.
L’uomo, cioè, deve unificarsi, reintegrarsi nel Principio, che è proprio dentro di lui stesso, liberandosi della zavorra della sua componente fisico-psichica.
Ernesto Laudicina

18 ottobre 2010

- Cagliostro


Gli studiosi di questo personaggio possono tranquillamente dividersi in sostenitori e detrattori, comunque tanto gli uni ch egli altri concordano nel riconoscere che chiunque fosse l‘uomo passato alla storia come il Conte Alessandro Cagliostro di S. Germano, egli aveva possibilità eccezionali che gli consentivano di muoversi in un orizzonte proibito a gran parte degli esseri umani. Di queste doti Cagliostro darà dimostrazioni sbalorditive. Come non abbiamo voluto rifare il processo a Cagliostro, così non intendiamo riscrivere la sua vita; ci accontentiamo delle citazioni del Dizionario Treccani innanzi riportate, sottolineando semplicemente che esse danno per certa l‘identità di Balsamo e di Cagliostro che nessuno ha mai dimostrato e limitandoci a suggerire agli Autori delle voci del Dizionario di aggiungere qualche notizia in più su un avvenimento decisivo della sua vita: la sua iniziazione massonica. Infatti, il 12 aprile 1777 venne ammesso alla ― Loggia della Speranza ‖ numero 289, appartenente all‘Obbedienza dell‘―Alta Osservanza‖. La cerimonia ebbe luogo alla Taverna Reale, a Gerard Street nel quartiere di Sohoa Londra. In virtù di questa dignità, Cagliostro — come è storicamente provato — è entrato a far parte di sodalizi che già vantavano secoli di storia e che esercitavano una certa influenza sulla vita dell‘epoca. È stato Cavaliere di Malta, Rosa-Croce, Gran Maestro della Stretta Osservanza Templare, membro di club aristocratici, corrispondente di accademie scientifiche. Con questi biglietti da visita è passato di corte in corte, di palazzo in palazzo, ricevuto con tutti gli onori. È stato ospite del re Federico di Prussia, del re Stanislao di Polonia, di Caterina di Russia, del principe di Brunswick, del conte di Saint - Germain, dei circoli esoterici più famosi di Europa: gli Eletti Cohen, gli Invisibili della Chiesa Sconosciuta, i discepoli di Swedenborg e di Robert Fludd. A Lipsia, durante un banchetto offerto in suo onore dall‘alta nobiltà tedesca, incontra padre Pernety, il famoso benedettino francese che ha dovuto abbandonare il suo forno di alchimista nella Rue Saint - Benoit di Parigi, sotto accusa di stregoneria. Padre Pernety ha istituito un nuovo rito massonico ispirandosi alla tradizione cabalistica, a Tritemius, a Swedenborg, ad Adam Weishaupt (fondatore degli Illuminati e alle cui idee attingerà un po‘tutta la Massoneria a sfondo magico - spiritualista). Padre Pernety consacra i suoi adepti dicendo di iniziarli alla Scienza che è la prima e più antica di tutte le scienze, che emana dalla Natura o meglio che è la stessa Natura, professata nell’arte e fondata sull’esperienza. Cagliostro subisce profondamente il fascino di queste teorie che gli consentono di riunire in una sola filosofia le sue inquietudini teologiche e la sua prepotente vocazione per il mistero: nasce così il suo famoso Rito massonico Egiziano, sul quale mi corre l‘obbligo di qualche modesta in formazione.
2 – Il sistema della Massoneria Egiziana
… fra i numerosi documenti, sequestrati a Cagliostro all‘epoca del suo arresto ad opera dell‘Inquisizione, vi era anche un ― Rituale‖ (forse originale e in francese) che, insieme al resto fu bruciato in Piazza della Minerva, a Roma. Il S. Uffizio ebbe però cura di farne fare la traduzione italiana — come si rileva dal Ms.245—e che forse esiste ancora sigillata negli archivi vaticani, insieme alla documentazione originale del processo. Il Ms.245 ne contiene numerosi passi e un accurato sommario. Il rito Egiziano — nelle due versioni maschile e femminile —si inserisce in quella visione della iniziazione — peraltro, anche massonica —la cui idea motrice è la realizzazione dei ― piccoli misteri , attraverso i quali, l‘uomo,― caduto,― degenerato, ritorna al suo stato ― umano, alla sua natura di Uomo degno di questo nome. La ― realizzazione ‖, secondo Cagliostro, avveniva in tre tappe (apprendista, compagno e maestro), nelle quali sostanzialmente si perveniva alla conoscenza disé, alla cognizione della materia di cui si compone l‘universo, nonché alla completa padronanza del proprio spirito e del proprio corpo, con la capacità di dominare le reazioni, le passioni e di controllare i piaceri e i dolori conquistando così la tranquillità interiore e la immobilità esteriore. Tutti gli adepti erano tenuti all‘osservanza di sei comandamenti (amore di Dio, rispetto del sovrano, della religione e della legge, l‘amore del prossimo, la fedeltà e la devozione all‘Ordine e la totale sottomissione alle regole del rito) nonché all‘obbedienza di tre imperativi ( latolleranza, rispettosa dell’universalità di tutte le religioni, della dignità umana e del desiderio del bene sotto tutti i cieli; il segreto, forza della meditazione in silenzio, chiave di ogni azione iniziatica, legge degli antichi misteri; il rispetto della natura, immensa verità degli alchimisti, i quali sanno che in essa è celato il segreto della creazione di Dio ……

11 ottobre 2010

- La Società Teosofica


Che cos'è che affascina di Helena Petrovna Blavatsky? Probabilmente la sua vita avventurosa e le sue ricerche sull'occulto, nonché la sua "Dottrina Segreta" e l'"Iside Svelata", sue opere più conosciute. Ricordo che in numerose opere letterarie mi imbattei nel suo nome, così come su quello di Annie Besant, di Krishnamurti, di Leadbeather.: i fondatori della Società Teosofica insomma. Quell'organizzazione esoterica a carattere spirituale fondata a New York il 17 novembre del 1875 ed alla quale aderii 126 anni dopo, ovvero il 17 novembre 2001 dopo aver letto la Dichiarazione di principi nella quale mi riconobbi totalmente e che così recita: La Società Teosofica è composta da studiosi appartenenti a qualsiasi religione del mondo o a nessuna, uniti nell'approvare gli scopi della Società, con il desiderio di rimuovere gli antagonismi religiosi e di dialogare con gli uomini di buona volontà, qualunque siano le loro opinioni religiose; ciò che anima questi studiosi è il desiderio di studiare le verità religiose, scientifiche e filosofiche, nonché di condividere con gli altri i risultati dei loro studi; il loro vincolo di unione non è professione di una credenza comune, bensì una comune ricerca ed aspirazione alla Verità; sostengono che la Verità deve essere cercata con lo studio, con la riflessione, con la purezza della vita, con la devozione agli elevati ideali e considerano la Verità come una ricompensa alla quale si mira, non come un dogma che si deve imporre con autorità; ritengono che ciò in cui si crede deve essere il risultato dello studio individuale o dell'intuizione e non la sua premessa e che deve basarsi sulla conoscenza, non sulle affermazioni; estendono la tolleranza a tutti, anche agli intolleranti, non come un privilegio da concedere, bensì come un dovere da adempiere e cercano di rimuovere l'ignoranza, non di punirla; considerano ogni religione come un'espressione della Divina Saggezza e preferiscono studiarla anziché condannarla. Praticarla anziché farne proselitismo. Pace è la loro parola d'ordine e Verità la loro mèta; la Teosofia è il corpo della verità che forma la base di tutte le religioni e che non può essere ritenuta come possesso esclusivo di nessuno; presenta una filosofia che rende la vita comprensibile e che dimostra che la giustizia e l'amore guidano la sua evoluzione; pone la morte nel suo giusto posto come un incidente ricorrente in una vita senza fine, che apre le porte ad una esistenza più piena e più radiosa; restituisce al mondo la Scienza dello Spirito, insegnando all'uomo a riconoscere se stesso nello Spirito e a riconoscere la mente ed il corpo come suoi strumenti; illumina le Scritture e le dottrine delle religioni rilevandone i reconditi significati e in questo modo le giustifica di fronte al tribunale dell'intelletto, come sono sempre state giustificate agli occhi dell'intuizione. I membri della Società Teosofica studiano queste Verità ed i teosofi cercano di viverle.
La Società Teosofica è un'organizzazione antidogmatica che raccoglie studiosi e ricercatori delle Verità dell'Esistenza per mezzo dello studio e dell'esperienza personale. Tre sono gli scopi principali: Fratellanza Universale dell'Umanità senza alcuna distinzione; studio comparato delle fedi, delle filosofie e delle scienze; ricerca dei poteri latenti dell'individuo. La Teosofia si diffuse nel mondo soprattutto nella seconda metà dell'800 ed in Italia anche grazie ad una certa comunanza d'ideali con le correnti democratiche mazziniane e garibaldine. Ricordiamo che Helena Petrovna Blavatsky partecipò attivamente alla battaglia di Mentana a fianco del Generale Garibaldi nel 1867 ove fu gravemente ferita e si dice che fu iniziata alla Massoneria proprio dallo stesso Generale, Gran Maestro dell'Umanità. Conobbe inoltre Giuseppe Mazzini che incontrò a Londra collaborando alle sue iniziative e contribuendo a far erigere un monumento in suo ricordo al Central Park a New York. Fra i Teosofi famosi ricordiamo l'inventore Thomas A. Edison e l'insegnante italiana Maria Montessori. La sede internazionale della S.T. è in India, ad Adyar ed in Italia la sede nazionale è sita a Vicenza in Via Quintino Sella 32.

Luca Bagatin