29 luglio 2010

- La CACCIA alle STREGHE


UN MILIONE di DONNE TORTURATE E UCCISE dalla CHIESA CATTOLICA
nell'arco di 5 secoli.
Fra il 1227 ed il 1235 fu instaurata l'Inquisizione contro le "streghe" e contro gli "eretici" con una serie di decreti papali.
Nel 1252 Papa Innocenzo IV autorizzò l'uso della tortura per estorcere "confessioni" di stregoneria da parte delle donne sospettate. Questo papa criminale alla sua morte fu sepolto nel Duomo di Napoli con una iscrizione che inizia con queste parole: Hic superis dignus, requiescit Papa benignus......
Successivamente, Alessandro IV diede all'Inquisizione ogni potere di torturare ed uccidere, in caso di stregoneria coinvolgente l'eresia.
5 Dicembre 1484: Papa Innocenzo VIII emette la bolla “Summis desiderantes affectibus” sulle streghe, che ordinava di inquisire sistematicamente, per scoprire torturare e giustiziare le streghe in tutta Europa.
Nel "Malleus Maleficorum" (il maglio delle streghe) una sorta di "Manuale del perfetto inquisitore", gli "esperti" della Chiesa Cattolica (ovvero i frati domenicani Heinrich Kramer Institor e Jacob Sprenger) elencavano dettagliatamente quello che combinavano le streghe: «uccidono il bambino nel ventre della madre, così come i feti delle mandrie e dei greggi, tolgono la fertilità ai campi, mandano a male l’uva delle vigne e la frutta degli alberi; stregano gli uomini, donne, animali da tiro, mandrie, greggi ed altri animali domestici; fanno soffrire, soffocare e morire le vigne, piantagioni di frutta, prati, pascoli, biada, grano e altri cereali; inoltre perseguitano e torturano uomini e donne attraverso spaventose e terribili sofferenze e dolorose malattie interne ed esterne; e impediscono a quegli uomini di procreare, e alle donne di concepire…».
Dal 1257 al 1816 l'Inquisizione torturò e bruciò sul rogo milioni di persone innocenti. Erano accusate di stregoneria e di eresia contro i dogmi religiosi e giudicate senza processo, in segreto, col terrore della tortura.
Se “confessavano" erano dichiarate colpevoli di stregoneria, se invece "non confessavano" erano considerate eretiche, e poi arse sul rogo. Non sfuggiva nessuno.
Alcune erano sottoposte alla prova della pietra al collo, la presunta colpevole veniva cioè gettata in acqua legata a una pietra. Se annegava era innocente, se invece restava a galla era una strega ... in ogni caso moriva!
In tre secoli alcuni storici hanno stimato che furono sterminati nove milioni di streghe, all'80% donne e bambine. Le donne venivano violentate oltre che torturate; i loro beni erano confiscati fin dal momento dell’accusa, prima del giudizio, poiché nessuno era mai assolto.
La famiglia intera veniva spossessata di ogni bene; si dissotterravano persino i morti per bruciarne le ossa.
Il Malleus Maleficorum stabiliva che la strega accusata doveva essere "spesso e frequentemente esposta alle torture". Le cacce alle streghe erano campagne ben organizzate, intraprese, finanziate ed eseguite dalla Chiesa e dallo Stato.
Questo regime di terrore durò cinque secoli, sotto la benedizione di almeno 70 papi, tutti in qualche modo compromessi con questi orrendi crimini.
A cosa serviva il terrore? A dominare e sfruttare le popolazioni, sottomettere i ribelli, imporre una religione non voluta dal popolo e arricchire i dignitari (le autorità religiose) e i loro complici (gli inquisitori). Questi ultimi godevano di privilegi particolari ed erano al di sopra della legge.Perché le donne costituivano il bersaglio preferito? Perché si voleva eliminare il principio femminile. Il ruolo naturale di guide da esse esercitato nella comunità minacciava il potere delle autorità (principio maschile). Le donne si occupavano della salute (gli uomini imparavano da loro) e trasmettevano le tradizioni; le più anziane arbitravano con saggezza le contese. Avevano un potere e una forza naturali, incarnavano la sovranità del principio femminile con i suoi valori di conservazione, protezione, aiuto reciproco, condivisione... trasmettevano forza alla popolazione.
Alcune personalità famose caddero vittime dell’Inquisizione. La più nota è senza dubbio Giovanna d'Arco, la pastorella che assunse il comando dell'esercito, salvò la Francia dall'invasione nemica e rimise in trono il legittimo sovrano. Fu però accusata di stregoneria ed eresia perché indossava i pantaloni e cavalcava come un uomo e fu quindi bruciata viva. Ora però è canonizzata.Uomo o donna, chiunque usasse la testa costituiva una minaccia alla ricchezza e al potere di una minoranza di privilegiati e andava quindi eliminato.
Una donna simile veniva giudicata una strega e bruciata, dopo di che ci si impadroniva dei suoi beni. Qualunque donna non sposata dotata di un'abilità insolita o caratterizzata da un tratto particolare (per esempio i capelli rossi) rischiava l'accusa di stregoneria e quindi la morte.
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24 luglio 2010

- Il simbolismo della Rosa


La Rosa, presa singolarmente, è simbolo di completezza, raggiungimento totale del fine, perfezione.Ad essa quindi si associano tutte le idee collegate a simili qualità: il centro mistico, il giardino dell'Eros, il Paradiso di Dante, l'emblema di Venere, l'essere amato.Inoltre la rosa è simbolo della transizione o del passaggio necessari al raggiungimento della perfezione finale: nella Divina Commedia si giunge al paradiso attraverso "La Rosa Mistica"; il protagonista dell'Asino d'oro di Apuleio recupera le fattezze umane mangiando delle rose ( appartenenti ad una corona dedicata ad Iside, dea rivificatrice); era inoltre in uso presso gli antichi Cristiani celebrare la Pentecoste - detta anche, si noti, "Pasqua delle Rose"- scambiandosi il fiore, a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli.E' dottrina che una delle vie per raggiungere la perfezione sia quella dell'Amore.L'amore, infatti, è unione, annullamento del dualismo, della separazione, ritorno dell'androgino primordiale, quindi modo di pervenire al centro.Lo stesso atto fisico dell'amore esprime il desiderio di "morire" nell'oggetto del desiderio medesimo, dissolversi in ciò che è già dissolto: morire, dunque, per rinascere nella non-separazione.Simbolo di questo, del trasferimento nel "centro segreto" ( segreto nel senso che non esiste nello spazio, ma è tuttavia perfettamente definibile ), è ancora la rosa o, nell'Estremo Oriente, il fiore di loto.Dalla corolla di una rosa nasce Peyoda Siri, una delle moglie del dio Vishnu(…)Tutto questo complesso di significati simbolici pervenne in Europa attraverso i contatti che ebbe l'Ordine dei Templari con l'esoterismo arabo degli Israeliti , una volta insediatosi a Gerusalemme.Intanto, già nel 1200 il Roman de la Rose di Guillame de Lorris, attribuisce a questo fiore il significato di veicolo e fine della trascendenza mercè il potere santificante dell'amore.L'identico senso si trova un secolo dopo in Dante ( seguace, com'è noto, della setta dei "Fedeli d'Amore" , di derivazione templare ): e Dante stesso tradusse in 120 sonetti proprio il Roman de la Rose.(…)Il "sentiero" di misticismo pratico elaborato dalla setta orientale dei Sufi a Baghdad nel XII secolo era denominato Sebil-el-Uard : che vuol dire " La Via della Rosa"(…) "Sul piano del simbolismo è immediato il legame tra "Rosa" e "Croce", connessione che costituisce l'emblema dei Rosacroce, una setta iniziatica, nata nel Rinascimento.Il simbolo dei Rosacroce è una rosa a cinque petali posta al centro di una croce, simile al sigillo personale di Martin Lutero, e cioè una croce che si erge su di un cuore all'interno di una rosa con cinque petali.La croce stabilisce un centro "indicato dall'intersezione di due assi (che devono intendersi della stessa lunghezza, così come indica l'iconografia tradizionale). Questo centro è dunque rivelato dalla congiunzione di due opposti, rappresentati dall'asse verticale e dall'asse orizzontale.(..)Nella croce il tratto orizzontale rappresenta il femminile quello verticale il maschile: e, su scala universale, rispettivamente il principio fenomenico e quello spirituale."La rosa come, abbiamo visto è anche il simbolo di Venere, governatore astrologico del segno d'Aria della Bilancia la cui lezione assegnata è appunto quella della fratellanza universale."Possa una Rosa fiorire sulla tua croce" è il saluto scambiato dai membri della Confraternita rosacrociana, ed è proprio nel segno della Bilancia - attraverso cui si realizzano l'equilibrio e l'amore universali- che Saturno, signore della materia, del tempo e della cristallizzazione, è esaltato : attraverso il segreto dell'amore (Venere/Rosa) la cristallizzazione rappresentata da Saturno, dalla croce, dalla materia che trattiene ed imprigiona il principio, si scioglie e superando la paura attraverso il baratro dell'annullamento, l'anima vince la morte risorgendo nell'Unione.Da un punto di vista astrologico la rosa si associa anche al segno del Cancro, il segno che rappresenta la nascita, la Dea Madre, Iside costruttrice e distruttrice delle forme vitali attraverso le quali il principio universale da sempre si rinnova e si perfeziona.Come simbolo della nascita e della resurrezione e della perfezione spirituale, la Rosa è spesso associata alle dee Vergini e madri come Maria che nell'iconografia cristiana è spesso rappresentata insieme alla rosa e celebrata nel mese di maggio come regina celeste delle rose.Simbolo di elezione e di segreto non a tutti accessibile -si pensi al cuore delle rose intuibile eppur recondito e nascosto- la rosa divenne attraverso i secoli un emblema ricorrente in stemmi principeschi d'oltralpe oltre che nell'araldica inglese.Simbolo chiave delle scuole ermetiche ed esoteriche occidentali ed orientali la rosa la si ritrova anche nelle tradizioni autoctone, e soprattutto nella leggenda del sacro Graal.Sul piano della psicologia e del profondo, il Graal, calice della Salvezza e della santificazione, è un elemento femminile, simbolo della ricettività e della prodigalità, una sorta di utero spirituale per tutti coloro che si affidano alla dottrina segreta, ancora la rivificazione attraverso un processo alchemico di unione del femminile e con il maschile, in questo caso l'eroe che beve dalla sacra coppa.E sempre connesso al simbolismo della rosa è l'ordine cavalleresco assoldato da Re Artù al fine del ritrovamento del Graal: l'ordine de La Rose Noire.
Elisabeth Mantovani

17 luglio 2010

- L'Androgino Ermetico


Ermete Trismegisto, il leggendario fondatore dell’alchimia, addita il mistero primordiale della natura, il principio del fuoco, che avvolge nella sua quadruplice fiamma gli opposti essenziali: sole e luna, maschio e femmina, zolfo e mercurio , che danno luogo all’unità androgina in ogni atto di concezione e nascita in natura. Essi circondano la terra concentrando su di essa le influenze astrali, e nel centro della terra si combinano in un triangolo, o piuttosto, tridimensionalmente, in una piramide, che è la forma del cristallo di sale (sia dei sali marini, sia degli allumi minerali, femminili). Il lato destro del triangolo corrisponde al principio sulfureo maschile, il lato sinistro al principio mercuriale femminile e la base del triangolo al principio salino. La figura contenuta all’interno allude alla quadratura del cerchio, simbolo dell’androginia. La progressione va perciò dal triangolo al quadrato e infine al cerchio. La natura opera nello stesso modo in tutti e tre i regni, quello aereo, quello vegetale e animale, e quello minerale, perché in ciascuno di essi l’armonia deriva dallo stesso accoppiamento di opposti, dalla stessa congiunzione dei principi solare e lunare . La congiunzione può essere raffigurata da un serpente (la natura) con la testa di leone (che divora il fuoco e la putrefazione) e la coda a forma di testa d’aquila (volatilità), nell’atto di estrarre da se stesso l’invisibile e impalpabile rugiada interna che dà compattezza agli elementi più sottili del corpo. In essa è racchiuso il potere del sole e della luna, che il serpente stringe fra le sue spire .Il processo è triplice. Esso inizia con una fase androgina embrionale che, nel caso dei metalli, corrisponde all’impregnazione di un terreno nitroso e salino da una parte di un vapore corrosivo e acre (Zolfo e Mercurio). I due principi vengono raccolti insieme dalla luce solare che penetra nel terreno sotto forma di rugiada. La stessa rugiada che nutre la vita delle piante attiva questo processo di volatilità sotterranea. Il prodotto è detto "materia prima", o "Rebis", o "Androgino di Fuoco" (poiché entrambi i principi sono acri e brucianti), o "Adamo" (poiché entrambi sono il principio primo della generazione nel mondo minerale).Isaac Newton preferiva chiamarlo "Caos". Paracelso, scherzando, lo chiamava l’"Albero-con-la-Mela" o "Seme Ragazza (sale) e Polpa Ragazzo (zolfo)" (il re e la regina accanto all’albero). La polpa col tempo marcirà o brucerà, per essere infine ricreata della sostanza della Ragazza (le lune). La radice di questo processo viene spesso indicata come il Drago Velenoso. Nell’Androgino vediamo una nuvola di teste caprine, dalle cui barbe si innalzano un ragazzo e una ragazza che si avvolgono a spirale intorno alle gambe dello stesso. Tale significato simbolico viene associato alla capra in India, dove la parola aja ("capra" in sanscrito) significa anche "non ancora nato" e dunque "natura" (che sottoterra è fetida e ribollente).Perché non è possibile identificare questa sostanza con un unico nome? Perché essa non è necessariamente cinabro, o antimonio solforato, o alcun’altra sostanza in quanto tale. Cercare l’equivalente chimico dell’Androgino di Fuoco è dar la caccia ai fantasmi. L’androgino è una situazione globale, che "accade" quando il principio della luce, del sole e della luna, viene catturato da un terreno aspro e velenoso e comincia a fermentare. Nella seconda fase entrano in opera i vapori di salnitro, che corrodono e affinano l’androgino. L’androgino ora gonfia la terra e soffia via i vapori che l’hanno penetrata, purificandoli nel corso del processo e rendendoli fluidi. Questa fase viene detta il "bagno dell’androgino" o della coppia regale. Essa è seguita dalla terza e ultima fase, in cui dal marasma emerge una pasta vitrea e viscosa, detta la "Pietra dei Filosofi", o la "Perla", o l’"Occhio del Pesce", o il "Primo Magnete", perché attrae dal terreno circostante tutto ciò di cui abbisogna.Gli alchimisti danno alla sostanza che compatta i principi femminile e maschile in natura il nome di "resina", e ritengono che essa sia la forma energizzata del principio sulfureo. August Strindberg, nel suo trattato Antibarbarus (Berlino, 1894), descrive come individuare la resina nella trementina, nella guttaperca, nello zolfo comune riscaldato in una padella, e nell’oro nascente. La resina è semplicemente la dimostrazione di una perfetta amalgamazione dell’androgino, che dà luogo alla pura essenza fluida dell’oro (non si tratta dell’oro comune, che non è altro che la traccia nella materia inerte di una perfetta amalgamazione resinosa androgina). La figura tratta da Urbigerus mostra la sostanza androgina a sinistra nella sua prima fase, e a destra nella sua seconda fase dopo un bagno in quella che sembra essere resina che cola da un buco dell’albero (l’analogo dell’albero della vita nel mondo dei metalli). Il buco dell’albero può essere rappresentato anche come un leone verde che morde il sole, specialmente quando l’opera di trasformazione è compiuta sul regulus di antimonio. I vapori dell’androgino vengono raccolti allo stato fluido da una fornace in cui sono riprodotte le condizioni della seconda fase. Il processo è raffigurato da un uomo fiammeggiante (il minerale) e da una donna che addita il leone e il sole simbolici, e paragona l’estrazione dei fluidi all’ascesa della linfa in un albero.La terza fase può essere rappresentata dalla nuova sostanza che riposa in grembo alla madre, da un embrione che gonfia il ventre dell’androgino dopo le abluzioni della seconda fase , o da un figlio androgino .Si fornisce un’immagine globale della visione alchemica dell’operato della natura, sotto forma di due processi principali: a sinistra la calcinazione dei corpi e a destra la distillazione delle essenze (anime e spiriti). Ciò vale per tutti i regni naturali, ma è particolarmente facile da illustrare nel caso di una pianta. Gli oli eterici sono l’anima solare (zolfo) della pianta, l’alcol ne è lo spirito lunare (Mercurius). Questi due principi sono mostrati come maschio e femmina che entrano nella caverna di Ermes accompagnati dai loro leoni. La pianta viene schiacciata, gli oli vengono separati e gli spiriti vengono distillati in una storta (il pellicano). I vapori che s’innalzano sono rappresentati da un’aquila in volo verso il cielo, che li porta negli artigli come mondo dell’anima e mondo dello spirito. Nell’alto dei cieli, nella fase finale dell’opera, essi si fondono e formano la Colomba dell’amore perfetto.Alla sinistra dell’albero della vita, il residuo oscuro della pianta, che resta sul fondo dell’alambicco (il corvo), viene cotto dal fuoco di marte, U, finché perde il proprio carattere plumbeo (il segno di Saturno W) e acquista una sfumatura di stagno (il segno di Giove V) il colore argenteo della cenere (il cigno bianco). Le ceneri sono trattate con resine e fuoco, finché il loro sale libera la propria "umidità radicale" (come avviene per le ceneri usate nella produzione del vetro). Questa è rappresentata dal pavone con la coda costellata di occhi, e in maniera ancor più appropriata dalla Fenice, che si nutre di resine e si brucia per poter rinascere. La Fenice risorge dalle proprie ceneri portando negli artigli due mondi (la terra e il fuoco del processo) e, nella fase finale che ha luogo nell’alto dei cieli, diviene il puro agnello del sacrificio. Qui il corpo calcinato (la Fenice morta) viene saturato dalla tintura fluida (la Colomba morta), finché le due essenze si fondono nella Pietra della Pianta (la Pietra Filosofale), che è la pianta nella sua forma più pura ed essenziale. Shakespeare scrisse una poesia su questo tema, The Phoenix and the Turtle (La Fenice e la Colomba), in onore dei due uccelli morti e divenuti un’unica essenza.Un disegno indiano allude all’eterno processo di androginizzazione vivificante che avviene nell’atmosfera, mostrandoci il congiungimento a mezz’aria dell’acqua e del fuoco. Secondo l’alchimia, l’umidità terrestre, sospesa nell’aria e impregnata dei raggi della luna, si scioglie nei raggi del sole dando vita a due essenze androgine sottili: Mercurius, l’essenza delle trasmutazioni, e il sale, agente della fissazione. Insieme, dopo aver dato vita alle piante sotto forma di rugiada, esse penetrano nella terra, dove diventano il seme dei metalli. Vale la pena di notare che il fuoco e l’acqua nel disegno hanno otto braccia: la fusione può avvenire solo tramite un doppio incrocio. In una società stabile i matrimoni incrociati fra cugini tendono ad essere istituzionalizzati, e corrispondono al passaggio di un’affermazione superficiale dell’androginia a una più radicale e totale. Ciò spiega forse anche perché l’anomalia dei gemelli siamesi ermafroditi, con i loro doppi organi sessuali in ordine scambiato, non è del tutto sgradevole all’occhio.Anche l’immagine rinascimentale dell’androginizzazione c’insegna la fusione tramite incrocio . La reciproca bramosia dei due opposti (simboleggiata dal cane) genera una spirale (rappresentata dalle spire del serpente, dalla catena tirata in direzioni opposte dai due cupidi e dal motivo delle viti avvolte sui loro sostegni nello sfondo). Ciò è possibile perché, mentre la spinta solare, raffigurata dai piedi alati dell’uomo, mantiene il maschio contratto nello sforzo (a ciò allude l’uccello con le ali chiuse che la donna innalza sopra la sua testa), la donna diviene volatile (com’è indicato dall’uccello con le ali spiegate che l’uomo regge sopra la testa di lei). La fusione androgina s’innalza a spirale solo in presenza di correnti incrociate, proprio come avviene per l’effettivo chiasma dei nervi ottici nel cervello. C. G. Jung ha sottolineato che in ogni intimo incontro fra un uomo e una donna vi è sempre uno scambio incrociato, che coinvolge l’uomo e la sua anima femminile, Anima, da una parte, e la donna e la sua anima maschile, Animus, dall’altra.La Brhadaranyaka Upanishad (IV.3.21) dice che "come nelle braccia di una donna amata perdiamo ogni distinzione fra l’esterno e l’interno, così l’essere umano (purusha) abbracciato dall’assoluto onniscente (prajnatmana) è soddisfatto in ogni suo desiderio (kama); solo il desiderio dell’assoluto persiste, ogni altro sparisce, così come sparisce ogni dolore".La rappresentazione simbolica del matrimonio in Picta poesis di Barthélemy Aneau ci mostra quanto queste idee fossero vive nel Rinascimento europeo. Il marito e la moglie sono uniti da un nodo d’amore e si fondono nell’albero della vita, che è rappresentato anche dalla croce che essi formano con le braccia (Mosè e il satiro, sullo sfondo, rappresentano forse il controllo e gli impulsi, la Legge e la Natura). D. Cheney ha notato che la scena assomiglia all’incontro fra Amoret e il marito (che ci ricordano Salmacide ed Ermafrodito) in La regina delle fate di Edmund Spenser (libro III, ed. 1590). Britomart li osserva, "per metà invidioso della loro beatitudine" e "molto toccato dai loro spiriti gentili": per metà Mosè approvante, per metà satiro adocchiante, ovvero, nel linguaggio di Spenser, in parte devoto di Diana, in parte donna tentata da Venere.La fusione perfetta era simboleggiata dall’amore fra Ermes e Afrodite , dal quale nacque Ermafrodito. Michael Mayer commenta la stampa dicendo che Ermafrodito corrisponde al Parnaso, la montagna dalla doppia vetta dove Apollo soggiorna con le Muse e attraverso la quale passa l’asse del mondo. Ciò suggerisce la colonna vertebrale dell’Uomo Cosmico e il serpente Kundalini che snoda in essa le sue spire. Queste correlazioni fra unione sessuale ed essenza del cosmo in Occidente sono evocate solo tramite velate allusioni in trattati alchemici, come appunto quello di Mayer, ma nei templi dell’induismo esse erano insegnate apertamente.Su un’incisione , Alberto Magno, maestro di Tommaso d’Aquino, indica un androgino che regge una Y. Alberto, ci dice il testo, rappresenta qui la suprema autorità sia spirituale sia temporale. La Y, come insegna Filone, è simbolo del Verbo che penetra l’essenza di tutti gli esseri. Gli gnostici Naasseni insegnarono che esso rappresenta l’intima natura dell’essere, che è insieme maschile e femminile e, in quanto tale, eterna.Il globo di Khunrath rappresenta simbolicamente gli insegnamenti fondamentali dell’alchimia. Centro ed essenza della terra è il Caos, che qui appare come androgino (Rebis) che combina contrazione ed espansione, femminile e maschile in una spirale unificata. Esso è la forza creatrice della realtà. Gli opposti vengono agganciati e messi in movimento dall’essenza della luce, che prende la forma del principio della Salinità, di una bruciante acredine nelle viscere della terra. La spirale dell’androgino attivato produce la "Coda di Pavone" o "Arcobaleno": materia fecondata ed energizzata, pronta a generare il seme dei corpi minerali e vegetali.L’applicazione pratica di questa teoria viene suggerita dall’immagine dell’androgino sul fuoco . La materia prima androgina del regno minerale giace in uno stato di latenza, sotto un sole eclissato e una luna nuova. Per risvegliarsi e crescere, per ricevere i raggi invisibili del sole e della luna, e per trasformarsi in un seme minerale, l’androgino richiede il fuoco della fermentazione. Questo è il precetto generale. Nell’effettiva preparazione dei farmaci alchemici ciò significa che due sostanze opposte, come il mercurio e lo zolfo, devono venir saturate con certi succhi e poi macinate fino a formare una polvere nera e fine. Tale polvere viene racchiusa in un vaso sigillato e riscaldata a fuoco lento finché fermenta. In questa stampa i corpi congiunti rappresentano le due sostanze, l’oscurità che li circonda è il vaso alchemico, la graticola il "calore di fermentazione" necessario perché la trasformazione possa avvenire. Ancora oggi è possibile vedere questo processo in atto in ogni laboratorio per la produzione di medicine ayurvediche in India. Gli addetti praticano di quando in quando un’apertura nel recipiente per esaminare il grado di trasformazione delle sostanze in esso contenute, indicato dai cambiamenti di colore. Nei testi alchemici occidentali questa fase del processo è simboleggiata dalla Coda di Pavone che si dispiega sopra l’androgino. Per il mistico, ciò che accade nel recipiente sigillato è la Genesi stessa in scala ridotta. Il processo fu visualizzato in questi termini da Jacob Boehmen in Von der Gnadenwahl (1623): "Adamo, rivestito della suprema Gloria, né uomo né donna, bensì entrambi, temperato con entrambe le tinture, sia come Matrice Celeste nel fuoco procreatore dell’amore, sia come Mascolinità affine al fuoco essenziale" (5:35).Il processo alchemico di fusione tramite fermentazione è qui rappresentato da un re e una regina che giacciono fianco a fianco, con le loro anime che si librano sopra i corpi nudi . Il fine del processo è lo stesso che si proponevano le coppie di asceti del cristianesimo primitivo: liberare i principi che animano l’essere umano tramite fermentazione e fusione dei corpi sottili.La materia prima androgina è rappresentata sopra un’urna, le cui quattro sezioni rappresentano i quattro elementi. Le ali ne denotano l’incipiente volatilità, dovuta alla reazione che coinvolge l’energia solare, centripeta, e l’energia lunare, centrifuga (il re e la regina), in un processo spirale di fermentazione. Riassumendo il simbolismo del disegno: i principi solare Q e lunare R, compenetrandosi sopra la croce degli elementi + , formano il segno di Mercurio S con le ali della volatilità rivolte verso l’alto.Le illustrazioni dei testi alchemici ci indicano come gli alchimisti interpretassero l’operato segreto della natura. Questo va dalla fase di ingiallimento (citrinitas) della materia prima alchemica o Uovo Filosofico al regulus ("reuccio") di antimonio. Il regulus è il metallo purificato per riduzione, che si deposita sul fondo del crogiolo. Il regulus stellare di antimonio è noto per la facilità con cui si combina con l’oro. Il disegno alchemico ne riproduce la struttura, associandola allo spirito dell’oro che anima il regulus a livello sottile, rappresentato dai movimenti del serpente. La forma a stella del regulus di antimonio evoca la stella Regulus, situata nel cuore della costellazione del Leone. È perciò forse l’antimonio il leone, il re dei metalli?Isaac Newton lavorò con il regulus di antimonio, confidando che esso contenesse un forte principio sulfureo, lo Zolfo Filosofico. Lo mescolò con l’argento, ottenendo una massa plumbea che egli ritenne essere una materia prima androgina. A questa massa aggiunse mercurio, affinché estraesse dall’aria Mercurius, lo spirito liberamente fluttuante di ogni trasmutazione.Newton si attenne scrupolosamente alle criptiche istruzioni dei testi: "dovrai passare attraverso il ferro", "il ferro era presente nel minerale grezzo originario", "dovrai usare un magnete". Mediante una coppa di antimonio è possibile preparare un farmaco in quantità illimitata, semplicemente versando acqua nella coppa: l’antimonio, come un magnete, s’impregna delle influenze libere, vivificanti dell’aria. "Dovrai usare del piombo": Newton ottenne un Piombo Filosofico. Quando alla fine mescolò dell’oro al suo preparato, all’interno dei vasi sigillati posti sulla fiamma vide alberi ramificarsi, apparire e scomparire, e divampare colori iridescenti, che nel disegno alchemico sono rappresentati dai movimenti circolari del serpente.B.J.T. Dobbs (The Foundations of Newton’s Alchemy, or the Hunting of the Greene Lyon, Cambridge/New York, 1975) spiega l’esperienza di Newton dicendo che egli vide formarsi e dissolversi "composti intermetallici instabili". Gli alchimisti invece avrebbero descritto la stessa esperienza dicendo che Newton aveva lavato l’Androgino di Fuoco, il quale dispiegò quindi il suo "arcobaleno" o "Coda di Pavone".Unità: la nascita e il serpenteWilliam Blake diede voce a una tradizione diffusa e particolarmente viva presso gli alchimisti, immaginando che la materia visibile sia preceduta da una fermentazione invisibile, nel corso della quale il principio maschile della luce e del tempo ruota come una "spada fiammeggiante" entro il velo di neve e ghiaccio del principio femminile, che rappresenta l’essenza dello spazio. Il gelido velo o la solida crosta dell’aspetto femminile della materia primordiale costituisce l’aspetto visibile del reale, l’illusione cosmica o maya. Tutto ciò può essere rappresentato come un uovo, il cui tuorlo corrisponde al principio maschile del sole e del tempo (che altro non è che l’ombra gettata dal sole su un quadrante), mentre l’albume e il guscio visibile corrispondono al principio femminile dello spazio. Nel disegno alchemico l’uovo diventa il globo, l’albume la polpa vegetale, il tuorlo il sole, raffigurato qui come la testa maschile dell’androgino, i cui piedi femminili sono immersi nell’elemento acqua, in fondo alla valle, o utero, situata fra le due colline del fuoco (la salamandra) e dell’aria (le aquile). L’Uomo Cosmico appare come il bambino, replica del globo androgino .La stampa di Blake tratta da For the Children: The Gates of Paradise (Per i bambini: le Porte del Paradiso), ci mostra l’Uomo Cosmico o Uomo Eterno come Eros alato che esce dal guscio dell’uovo, riecheggiando la tradizione greca che vede in Eros il dio dell’origine della vita . Blake gli mette in bocca queste parole:"Io squarcio il Velo che avvolge i Morti:lo stanco Uomo, entrando nella sua Cavernaincontra il suo Salvatore nella Tomba.Colà alcuni trovano un Abito Femminile,altri un Abito Maschile, tessuti con cura".L’incontro con due serpenti accoppiati è presso molti popoli il più favorevole degli auguri. Nel mito di Tiresia un tale incontro segna l’inizio del destino di androgino e veggente del protagonista. Nello yoga e nel tantrismo il motivo dei serpenti allacciati rappresenta il perfetto equilibrio delle energie interne. Formicolii della spina dorsale, serpenti eretti e falli in erezione sono fenomeni imparentati fra di loro. Una nota acuta produce un brivido lungo la spina dorsale; e una melodia che si snoda a spirale, suonata da un flauto, ritmata da un tamburo o ballata da agili e leggiadre membra, fa alzare sia i serpenti sia i falli. La particolare e completa estasi dell’androginia è simboleggiata dal caduceo che, in quanto rappresentazione dell’accoppiamento di serpenti, denota la corrispondenza, sezione per sezione, dell’essere androgino con il cosmo.Nella tradizione occidentale, Giordano Bruno, in De immenso et innumerabili (V I,5), descrive la compenetrazione di serpenti accoppiati come emblema dell’amplesso fra il Sole-Dioniso e la Terra-Cerere. I raggi solari, egli dice, penetrano nell’utero dell’umidità terrestre per raggiungere eternamente il femore stesso della madre cosmica. Il femore è l’osso con cui si fanno i flauti.Entrare in rapporto con questo nucleo della vita cosmica è il fine dell’adepto, sia come alchimista sia come mistico. L’adepto s’identifica con Mercurio, il fluido principio androgino della realtà. Mercurio dapprima è assopito e si astrae dal mondo della veglia per sognare i giusti sogni . Il suo corpo sottile emerge dal suo inguine come un caduceo (indicazione anche del sonno REM, in cui si producono erezioni). Sopra di lui aleggia il principio della luce e del calore. Nella fase successiva lo vediamo incoronato, con il caduceo perpendicolarmente eretto che va a toccare il centro del cuore, dove il sole e la luna si congiungono androginamente. Un piede poggia sulla terra, l’altro sul fuoco. Nella terza immagine la trasformazione è compiuta: Mercurio è ora il perfetto androgino e regge il globo imperiale nella mano sinistra e il caduceo nella destra. Il caduceo è ora esternato e conferisce armonia non solo all’uomo interiore, ma anche al mondo esterno. Saturno e la Luna, Giove e Mercurio, Marte e Venere si fondono finalmente l’uno nell’altro e tutti insieme in un’unità, e Mercurio li porta, come un mazzo di fiori, dentro le viscere della terra, dove diverranno le anime rispettivamente del piombo e dell’argento, dello stagno e del mercurio, del ferro e del rame, formando una spirale che culmina nell’oro solare .Il Mercurio di Agostino di Duccio ci appare all’apice del suo potere. I dettagli di questa immagine devono essere stati suggeriti dagli ermetici che si erano raccolti alla corte di Sigismondo Malatesta. Le stelle sullo sfondo alludono all’armonia delle sfere; il bastone magico guida le anime nella discesa e nella risalita dalle profondità della terra; il gallo della vigilanza è appollaiato sul piede sinistro; il cappello conico della magia s’innalza verso il cielo sul capo dell’androgino, e le nubi che gli fluttuano intorno alle ginocchia suggeriscono, come ha osservato Adrian Stokes (The Stones of Rimini) il moto elicoidale di un vortice che s’innalza. Il piede destro, maschile, poggia sulla roccia con cui è possibile accendere il fuoco, mentre il piede sinistro, femminile, è immerso nelle femminili acque.La saggezza, in greco sophia, rappresenta il legame fra l’Unità Divina e gli archetipi ideali della Creazione. Certi teologi russi hanno ravvisato in Santa Sofia la Quarta Persona di Dio. Come esperienza di vita, in tutta la storia del cristianesimo, dai primi gnostici ai recenti sofianisti russi, Sofia rappresenta lo struggente desiderio di una pace e di una grazia oltremondane, simile, secondo il tradizionale paragone degli gnostici, all’indefinibile nostalgia provata dal figlio di un re che vive, ignaro delle sue origini, in povertà. Teologicamente Sofia è lo specchio di Dio e, nel contempo, lo specchio della pura consapevolezza per gli uomini. Essa è femmina in rapporto a Dio, ma androgino in rapporto all’umanità. Vladimir Solovev, il grande sofianista russo dell’Ottocento che evocò Sofia come sfida allo Spirito dell’Umanità del pensiero positivista, vedeva la mascolinità di Sofia manifestarsi in Gesù e la sua femminilità in Maria.L’immagine di Sofia compare a Novgorod nel Mille, ma può forse provenire da Bisanzio. Il suo aspetto infuocato deriva forse dalle descrizioni dell’Arcangelo Purpureo della Suprema Illuminazione contenute negli scritti dei neoplatonici persiani. Nella mano sinistra tiene il caduceo e con la mano destra si stringe al seno una pergamena contenente i segreti esoterici. Alla sua destra è la Vergine incinta del Bambino, alla sua sinistra san Giovanni Battista. Questi due assistenti, i due canali che trasmettono la sua influenza al livello della effettiva manifestazione, sottolineano entrambi la trascendenza delle divisioni sessuali .L’androgino, o Rebis alchemica, è alato come Sofia ed è in tal senso una personificazione della saggezza cosmica. Un’ala è rossa e l’altra bianca, a indicare gli spiriti dell’oro e dell’argento, del sole e della luna, del sangue e del latte del corpo vivente della natura. Indossa un abito nero bordato di giallo, che suggerisce il nero della materia prima androgina in cui tuttavia sono presenti in potenza le correnti della vita metallica aurea. Il verde del paesaggio è il prodotto della mescolanza dei colori di Rebis. Egli/ella regge con la mano destra un cristallo, in cui i suoi colori appaiono in successione convergente al centro, dove va collocato l’uovo o seme minerale che l’Androgino porta nella mano sinistra, lunare. Secondo la teoria alchemica, lo spirito lunare agirà nell’uovo, provocando la putrefazione della calce spenta della terra, fino ad attivare in essa il nucleo solare latente che risorgerà allora in un corpo cristallino vivo e capace di crescita, così come l’acredine del fuoco provoca la putrefazione delle morte ceneri e della sabbia in un fluido vivente che diviene infine vetro.
Elemire Zolla

13 luglio 2010

- La Papessa Alchemica.


Dopo la scoperta dei caratteri mobili del torchio tipografico le immagini della tradizione alchemica cominciano a diffondersi in Europa tramite i testi stampati. Ma prima del Cinquecento solo l’architettura, la pittura e la scultura – in particolare nelle chiese romaniche o gotiche - possono trasmettere ai posteri i simboli alchemici. Pertanto nei secoli precedenti l’alchimia influenza direttamente o indirettamente la realizzazione di capitelli, bassorilievi, mosaici e vetrate dipinte, le cui allegorie tuttora esprimono silenziosamente i fondamenti della propria conoscenza.
Una di queste opere d’arte è la formella realizzata su di un pilastro centrale della cattedrale di Notre Dame e che costituisce forse la più nota allegoria dell’alchimia.
Una regale figura femminile regge con una mano due libri, di cui uno aperto, a simboleggiare le conoscenze che la natura rivela tramite l’osservazione dei suoi fenomeni; l’altro invece chiuso, a rappresentare i segreti della metafisica, accessibili solo agli iniziati. Inoltre sul petto è appoggiata una scala, rappresentante un flusso energetico crescente, che partendo dal centro istintivo sessuale può raggiungere e amplificare sia il centro emozionale che quello psichico. Nel corso del XIV sec. - grazie all’arte dell’incisione e della stampa - i testi alchemici si arricchiscono con immagini suggestive ed alcuni sono costituiti esclusivamente da immagini emotivamente trainanti. Questi ultimi sono molto simili alle lamine dei Tarocchi, che nello stesso periodo si vanno diffondendo in Europa. D’altra parte le immagini ermetiche hanno la funzione di stimolare una feconda meditazione intuitiva e in quei tempi, presso le corti signorili, è frequente l’uso delle carte da gioco a scopo didascalico ed educativo per i giovani. E’ pertanto probabile che l’elaborazione iconografica e simbolica dei Tarocchi sia stata influenzata da immagini e simboli alchemici. La lamina della Papessa, ad esempio, è assai simile alla formella di Notre Dame. Difatti la Papessa è l’allegoria della conoscenza universale, della sperimentazione dei processi e delle reazioni più segrete della natura vivente, che sono il fine principale dell’alchimia. Secondo le interpretazioni degli studiosi dei Tarocchi, la Papessa è la conoscenza spirituale, l'atto conoscitivo che è stato animato e messo in moto dal Principio Assoluto. Essa è l’intuizione che si forma dopo il dubbio fecondo, dopo lo stato interiore di travaglio e la notte primigenia dell’opera al nero; simboleggia il potere oscuro della natura, che una volta illuminato dà la conoscenza. La lamina rappresenta l’inconscio, che va svelato attraverso la meditazione e l’affiorare d’immagini ed intuizioni. Essa è pure la materia prima dell’universo intelligente, la dimensione sottostante quella materiale: una sostanza psichica passiva e malleabile, sempre in attesa di qualcuno che possa decifrarla e risvegliarla. L'alchimista può essere associato al Bagatto, che ha il coraggio, la capacità e l'iniziativa di entrare in contatto con la Papessa, per procedere nella Grande Opera. Poiché questa carta rappresenta una figura femminile, ciò significa che nell’operatore maschio la conoscenza giunge attraverso l’amore animato dal suo lato femminile, attraverso l’accettazione di esso come parte integrante del proprio essere. Nell’operatore femmina invece le potenzialità si manifestano attraverso una fecondazione spirituale attuata dalla sua sfera maschile. La Papessa è una carta estremamente positiva, in quanto rappresenta la porta da superare per arrivare alla scoperta dei grandi arcani della natura e della vita stessa. Il successo assicurato dalla carta non riguarda tanto il piano materiale dell'esistenza, quanto piuttosto la crescita interiore e l’integrazione del corpo con l’anima e lo spirito. La Papessa suggerisce la pazienza ed invita a riflettere sulle cose, a procedere poco per volta, senza lasciare nulla al caso; infatti è associata all’intuito, ma anche alla deduzione e all’analisi del profondo, alla conoscenza di se stessi e degli altri. Dal punto di vista operativo indica che occorre ponderare bene le scelte ed attendere il momento opportuno per agire; che si ottiene il successo solo con la dedizione e la costanza. Alla luce di questi significati, è ormai evidente che la Papessa è una allegoria del tipo di conoscenza che persegue l’alchimia. Difatti tale pratica ricerca l’unione con l’Assoluto, ma non sostituisce alla mancanza di conoscenza un credo mistico, come fa il religioso; né introduce il surrogato del dogma alla soluzione finale, anche se credere può essere un antidoto contro l'angoscia esistenziale. L’alchimista è un insieme di luci e di ombre, di dubbi e intuizioni; trova sostegno nella speranza unita all’impeccabilità della tecnica, ottenuta con uno sforzo straordinario, con lo studio analogico ed intuitivo del corpo umano e del mondo che lo circonda, con l’assorbimento graduale dello spirito universale.La prassi alchemica non é un'adesione incondizionata ad una visione del mondo e non é ascetica, come certe vie religiose – ad esempio l’esicasmo occidentale o alcune forme di yoga orientale - segnate dalla svalutazione della vita di società e dalla mortificazione del corpo. Trattasi di una tecnica individuale, mediante la quale la realtà quotidiana deve essere fruita normalmente, nell'ambito delle relazioni umane, poiché l'esperienza nel tessuto mondano é parte integrante della tecnica stessa, che nei successi quotidiani trova i suoi riscontri.L'alchimista applica ogni mezzo informativo: la sensazione o conoscenza del mondo esterno attraverso il potenziamento dei sensi e degli istinti; il sentimento o conoscenza del mondo interiore attraverso l’esaltazione e la purificazione delle emozioni; l'intuizione o conoscenza dell’inconscio individuale o collettivo attraverso la sospensione del ragionamento ordinario e l’improvviso affioramento dell’informazione simbolica; il pensiero o conoscenza astratta dell’universo per deduzioni o concetti, attraverso il ragionamento organico per analogia.La conoscenza alchemica non é tale se prima non ha avuto un impatto profondo, se non é stata metabolizzata, se non si é fatta carne nella carne. A differenza della scienza, non ha la pretesa di essere definita in modo globale, omnicomprensivo, per la contraddizione che ciò che può essere definito è anche limitato.L'alchimia é una scienza sui generis, perché il metodo sperimentale non é applicato oggettivamente, ma soggettivamente, dato che si verifica una continua e reciproca influenza tra lo sperimentatore e la materia che viene sperimentata. Le descrizioni o formulazioni sono pragmatiche e mutevoli, secondo l'opportunità del momento operativo; oppure interscambiabili, secondo il discorso del momento. Per questo motivi i trattati spesso sembrano contraddittori.L’alchimia ha un atteggiamento conoscitivo e sperimentale, ma per trovare conferma alle sue teorie sulla natura non è indispensabile impiantare un laboratorio costoso e complesso, con forni ad alte temperature, con crogiuoli e svariati reagenti chimici, osservando i fenomeni derivanti dalla lavorazione dei metalli. E’ sufficiente approfondire le più recenti scoperte della fisica o della medicina olistica e poi, passando dalla teoria alla assai utile pratica manuale, eseguire esperimenti semplici: ad esempio impastare e cuocere del buon pane, con del lievito prodotto naturalmente ed un forno di cucina; coltivare un orto con prodotti biologici, seguendo i ritmi della natura; distillare con un piccolo alambicco, facilmente reperibile, della buona grappa dal mosto d’uva; raccogliere e distillare fiori o piante, per estrarne l’olio essenziale, gli estratti alcolici e salini.Nell’alchimia interiore gli esperimenti più utili sono quelli che riguardano la chimica della alimentazione, della respirazione, della circolazione e dell’assorbimento delle impressioni esterne, per distillare al meglio e senza dispendio di energia gli alimenti grezzi che il corpo ossida, scompone e trasforma nelle sostanze necessarie a sostenere e potenziare il lavoro dei quattro centri dell’uomo: quello istintivo e sessuale, quello motorio, quello emozionale e quello psichico. Dato che l’alchimia mentale presuppone un intimo legame tra pensiero e materia, tramite l’intermediazione delle immagini e dei simboli, è fondamentale visualizzare dei progetti e poi operare con coerenza per farli nascere in concreto, come sono stati prima immaginati. Ciò può avvenire soltanto attraverso un’attività che coinvolga corpo, anima e spirito. Essa può consistere in un’opera artistica, letteraria, terapeutica; comunque in un’opera del proprio ingegno, della propria volontà e del proprio amore. L'alchimia é più di una scienza o di una religione, che vanno entrambe superate dalla conoscenza del cuore: la sintesi della scienza legata al corpo fisico, dell’arte legata all’anima e della trascendenza legata allo spirito. In questo senso è emblematica l’esortazione degli operatori a stracciare trattati e manuali, perché ad un certo punto dell’iter le parole e gli scritti sono inadeguati.L’alchimia è una fisica che sconfina nella metafisica, che poggia i suoi postulati sulla visione di un universo organico e vivente, di cui l’uomo è parte integrante. L’alchimia ha un atteggiamento conoscitivo, è un insieme coerente di interpretazioni della realtà, messe alla prova attraverso il successo o meno in determinate attività. Esse possono consistere nella produzione di farmaci o preparati metallici, ma soprattutto nella cura della percezione e della consapevolezza, di relazioni positive con gli altri e l’ambiente circostante, delle iniziative che danno un senso ed un valore non effimero all’intera esistenza. Influenzata dall’ermetismo e in parte da correnti gnostiche, l’alchimia ha il concetto base che la fede religiosa non sia sufficiente per aspirare ad una esistenza di armonia, di amore e di pace, oltre che ad una certa trascendenza; ma che occorra anche una conoscenza universale: la conoscenza delle leggi armoniche della natura, delle energie che muovono l’anima del mondo. Per un alchimista è evidente che un uomo privo di una conoscenza olistica sarà soggetto a squilibri emotivi e psichici, ad aggressività, a insoddisfazione, alla ripetizione degli stessi errori: i motivi di fondo del continuo stato d’ignoranza e belligeranza della società umana.
Giorgio Sangiorgio

5 luglio 2010

- I simboli della tradizione mediterranea


l “metalinguaggio” dei simboli
Le molte culture che nel corso dei secoli si affacciarono sul bacino del Mediterraneo dettero vita a lingue autonome, ma non è difficile osservare come in esse circoli, quale vena sotterranea, la propensione ad utilizzare anche i simboli, in qualità di complementi espressivi. Potremmo definire questo tipo di comunicazione come un “metalinguaggio” che appartiene alla storia dell’uomo primitivo, prima ancora che gli alfabeti e la scrittura entrassero a far parte delle acquisizioni umane. Pertanto nello studio di tale prezioso serbatoio si può riscoprire il più remoto prodotto delle nostre antiche civiltà. Alcuni di questi simboli primordiali persero, nello scorrere del tempo, il loro significato più autentico, ma molti di essi si trasmisero di generazione in generazione. Quali sono le cause di questa naturale selezione per la quale alcuni di essi si perpetuarono nella storia ed altri furono dimenticati?Certi gruppi etnici estrassero i propri alfabeti dall’ancestrale patrimonio grafico, altri mantennero al segno il suo valore di rappresentazione di un’idea, rappresentazione sintetica e leggibile indipendentemente dall’alfabetizzazione individuale. In molti casi, con il passare a forme più evolute di vita, le mutate condizioni resero insufficiente quel patrimonio, che venne ripetuto per rispetto degli antenati ma piegato a nuovi significati religiosi, ad esempio a quelli cristiani. Tutto ciò non avvenne sempre in modo incontrollato, poiché alcuni studiosi dell’età di mezzo lo teorizzarono. Con Guillaume Durand de Mende accettarono la tesi che “molte delle verità che noi non vediamo sono nascoste nell’ombra” intendendo così che le verità spesso sono celate nel mistero di un segno. Indipendentemente dalla cultura di ciascuno il simbolo può comunicare valori basilari conoscibili a dispetto delle differenze di parlata che caratterizzano le varie etnie. Tra i popoli antichi il mito rappresentava l’ambito nel quale il simbolo acquisiva valenze originali, oggi la cultura globale è il circuito nel quale il simbolo stesso sembra offrire garanzia per la conservazione del patrimonio tradizionale. Ma quali sono i segni grafici sui quali possiamo incentrare una siffatta ricerca filologica? Dove possiamo rilevare questi glifi per avere la certezza di significati profondi e di autenticità storica?
La storia
Qui è opportuno effettuare una digressione. La maggior parte delle espressioni figurative dell’antichità veniva affidata all’edificio sacro ed era configurata per la trasmissione del sacro. Negli antichi santuari precristiani, laddove le fortunate scoperte archeologiche hanno potuto avere il sopravvento sulle devastazioni operate dai secoli, si può constatare che i pellegrini che vi affluivano, spesso lasciavano espressioni grafiche della loro presenza, incidendo sulle pareti degli ambienti sacri, nomi, invocazioni o semplici segni. Questi ritrovamenti, che certificano delle origini di una consuetudine destinata a perpetuarsi nel tempo, non sono rari e possono suggerire un uso abituale. Con lo scorrere dei secoli, in tempi successivi, cattedrali, cappelle, chiese di campagna o monumentali abbazie divennero per una folla di uomini, oggi polvere nella polvere, i luoghi dove incidere il segno di un passaggio,di una devozione o di un credo, così come i loro predecessori avevano fatto. Nella volontà di marcare con un’impronta perenne il loro transito, i viaggiatori alla ricerca di Dio, sulle rotte di Santiago de Compostela, verso la tomba dell’Apostolo Pietro o del sepolcro di Cristo in Oltremare, scolpivano un’incisione sulle pietre, materia forte ed incorruttibile. Appare degno di nota osservare che, nel Medioevo, la scelta del soggetto di un graffito non cadeva su nomi o su date, come in tempi più recenti, ma su segni elementari o lettere alfabetiche.
Qualcuno potrà dire: “certo è logico, nel Medioevo pochi sapevano scrivere”. Ma, se questo è vero, come si spiegano certi simboli perfetti, incisi con mano ferma e con gusto di sintesi? Forse sarebbe più giusto pensare che si trattasse della scelta di un linguaggio astratto, al di fuori di quello parlato, per pensieri profondi e conoscenze teologiche, con aspirazione di universalità. Un metalinguaggio dello spirito.
Raimondo Lullo, dottore illuminato
Che questo desiderio di formulare concetti superiori attraverso segni sovralinguistici, destinati a trasmettere pensiero puro, fosse un’esigenza dell’uomo alla ricerca della liberazione spirituale, lo dimostra la vita e l’opera di un grande catalano. Fu un mistico, ma anche un filosofo di formazione internazionale, cavaliere e pensatore, poeta e dottore, nonché, se vogliamo dar credito alla leggenda, alchimista. Parlo di Raimondo Lullo, gloria di queste terre (Maiorca, 1232 ca-1316). Nel De vita coetanea egli stesso ci parla della natura del suo sapere derivato da una visione nella quale gli erano state rivelate quelle verità e quelle forme di pensiero alle quali restò sempre fedele. Non mi voglio addentrare in questioni filosofiche, ma desidero ricordare come in una sua opera, Ars compendiosa inveniendi veritatem, assai probabilmente frutto di quella primaria rivelazione, Lullo prospetta un sistema geometrico combinatorio per esprimere la verità profonda, ed altrimenti inesprimibile, dei concetti teologici: dunque, in sostanza, l’uso di simboli geometrici per descrivere il divino. La sua attenzione verso la trasmissione del sapere e la conoscenza di idiomi diversi lo portò ad auspicare la diffusione di scuole dove insegnare lingue e cultura orientali, con lo scopo di favorire l’azione missionaria formando una classe di studiosi capaci di confutare l’imperante averroismo. Si conferma così l’interesse del “dottore illuminato” per un sistema di 37 espressione sovralinguistico che travalicasse le barriere dei linguaggi. Nella figura di Raimondo Lullo ritroviamo uno dei maggiori eruditi europei, un personaggio di emblematico riferimento per quel periodo che con efficace sintesi fu definito “autunno del Medioevo”.
Universalità del simbolo
La cultura medievale era permeata della credenza che il simbolo potesse esprimere meglio delle parole, concetti di superiore verità. Ma di certo, questo tipo di comunicazione, come abbiamo visto, offriva il vantaggio di superare le chiusure dei singoli linguaggi, oltre che, nella perfetta astrazione delle figure geometriche, poter narrare di Dio, del cammino verso l’Altissimo e delle sue conseguenze psicologiche e sociali. Quando, pervasi dal desiderio di purgare la propria anima e di ottenere l’indulgenza dai peccati, uomini e donne di ogni condizione si univano in gruppi animati da un unico pensiero, essi intraprendevano il viaggio purificatorio. Vestiti di una corta mantella, la pellegrina, armati di fede e di bordone si incamminavano verso le mete della cristianità, pronti a viaggiare per lunghi mesi esponendosi ad ogni pericolo, freddo, fame, malattie, briganti ed animali feroci. Questi costituivano i rischi calcolati, simboli delle cadute più abiette nelle quali l’anima poteva incorrere cercando Dio. Ma dal momento in cui l’individuo decideva di abbandonare le comodità domestiche, mutava il rapporto con il proprio egoismo. Da uno stato di preoccupazione volta esclusivamente al proprio benessere, quei penitenti si trasformavano in creature ansiose di conoscere l’Inconoscibile, di raggiungerlo e di fondersi in Lui. In altre parole cercando il sacro si trasformavano in uomini universali, quasi in appartenenti ad un vero e proprio Ordine. Il pellegrinaggio rivelava la sua essenza di esperienza iniziatica, così ognuno di essi, nelle varie tappe, lasciava un simbolo della sua ricerca.
Il segno dell’uomo universale
Oggi quei segni sono ancora leggibili sulle pareti degli edifici di culto medievali, nei luoghi dove i viandanti, pregavano, compivano i riti di una religiosità arcaica, si ricoveravano per la notte ed attendevano che la luce dell’alba si riversasse sulle sacre icone. Uno dei glifi più frequenti, rilevati sui conci di pietra di quelle antiche costruzioni, è una croce impostata al vertice di un triangolo o sulla sommità di un segmento curvilineo. Il simbolo della croce, di antichissima origine precristiana, rappresenta il corpo umano, stilizzato fino alla cristallizzazione in un incrocio di due segmenti. Molti sono gli autori che sostengono questa tesi: da Onorio d’Autun fino al già citato Guillaume Durand de Mende.
Il significato del triangolo è quello di vertice, ossia di luogo sommo. In buona sostanza raffigura il massimo delle altezze spirituali raggiungibili nell’iter umano, corrisponde alla montagna Qaf dell’Islam, cui non si accede né per mare né per terra o al Betilo biblico, “casa di Dio”, “porta dei cieli” luogo privilegiato, o come lo definisce, nel Commento al Cantico dei Cantici, Gregorio di Nissa (IV sec.) “la montagna della conoscenza mistica”. L’insieme della croce con il triangolo mostrerebbe dunque l’uomo che, spogliato della materia, ridotto alla sua vera eterna essenza, raggiunge la vetta più alta dei diversi stati dell’essere. Bernardo di Chiaravalle XII 38 sec. si chiedeva: “Chi salirà la montagna del Signore?”, lasciando intendere che la salita non era per tutti. L’inizio era l’ego, la fine, lo sbocco nell’universale.
Il simbolo oggi
L’uomo contemporaneo sta vivendo il fenomeno della globalizzazione ed alcuni affrontano l’esperienza pervasi da “timore e tremore” intuendo in essa un grave pericolo. In effetti sorge a buon diritto il sospetto che, a causa di questo fenomeno trasversale, si possano azzerare le peculiarità culturali delle diverse etnìe per raggiungere una sorta di confuso sincretismo nel quale si rischia di perdere ogni antica identificazione storico- culturale. Senza voler fare della sociologia si comprende che l’allarme non è remoto. Atteggiamenti, mode, proposte, hamburgers ideologici sono in agguato e di certo si presentano vincitori nell’attacco alle categorie meno protette da filtri razionali. L’umanità si avvia verso un’omologazione assai minacciosa. Il millenario concetto dell’universalità proposto dalla via iniziatica potrebbe invece contrapporsi al taglio orizzontale della globalizzazione con un programma di evoluzione verticale, che salverebbe le identità dei singoli e delle etnìe. Posto che l’antico simbolo dell’uomo universale ci indichi che la méta sia il vertice di quella montagna, tanto bene indagata da M. Madeleine Davy (cfr. La montagna e il suo simbolismo), dunque di un difficile percorso in salita ed individuale - sottolineando individuale - ci accorgiamo quanto la massoneria offra il giusto antidoto con una via alternativa per un nuovo umanesimo. L’arrampicata verso la vetta, dove si troverà la condizione universale, può sostenersi usando i simboli della Tradizione come appigli e come indicazioni di percorso.
Seguendo il concetto di universalità
Assumendo il concetto di universalità come garanzia per la salvezza delle nostre culture, ne discende che quanto lo differenzia dal concetto di globalizzazione è la singolarità dell’esperienza consumata nell’interiorità degli individui. Si pone perciò come il contrario della globalizzazione, che si presenta invece come un assalto, proveniente dall’esterno, di usi e forme di pensiero estranee e che vanno più o meno direttamente a sostituire le strutture culturali antiche ed autoctone, quelle originali.
In cima alla montagna
Abbiamo dunque visto che, secondo schemi iconografici delle più varie provenienze, gli antichi, quando descrivevano la presa di coscienza della propria maturazione si raffiguravano al colmo di una vetta. Superato l’iter sempre più esclusivo mostravano al mondo ed ai posteri di aver raggiunto un punto, l’omphalos, il luogo di congiunzione tra cielo e terra, la soglia sublime, che non è concesso varcare se rivestiti dalla materia. Lo sguardo lanciato da quel punto verso remoti orizzonti, non era più quello di un uomo tremante per le difficoltà che la sua natura gli contrapponeva, ma di colui che aveva sconfitto la paura della morte ed era ormai assurto agli stati più alti dell’essere. Sophia era la sua compagna ricongiunta, l’illuminazione il suo modo di conoscere, la giustizia il suo agire. Quel piccolo graffito, che mani ignote incisero a migliaia di esemplari sui paramenti murari degli edifici sacri dei paesi mediterranei, legati tra loro da quel ricamo di linee complesse ed annodate, che sono i millenari percorsi dei pellegrini verso i luoghi santi delle religioni monoteiste, è il simbolo di una unità di ricerca, che, nei tempi in cui la “religione era la poesia” (F.Pessoa, Scritti esoterici), costituiva lo scopo primario della vita di molti. Attualmente ci si presenta come un’indicazione della Tradizione sulla quale costruire i nostri 39 singoli sistemi di pensiero per salvaguardare le nostre minacciate identità.
Il ruolo della Massoneria
La massoneria, ponendosi oggi come la via laica e tradizionale per raggiungere la condizione di iniziato, ossia lo stato dell’essere universale, offre a coloro che vi approdano un mezzo tutto occidentale, sorprendentemente attuale nonostante la sua antichità e correttivo dell’appiattimento prodotto dalla trionfante globalizzazione. Porge una sorta di “cartina al tornasole” per individuare e successivamente rifiutare gli hamburgers ideologici che la civiltà contemporanea propina quotidianamente a getto continuo. Nei simboli, che sono rimasti per molti enigmatici e muti interlocutori, uomini e donne liberi e di buoni costumi possono trovare i segnali, diremmo i documenti che attestano antichissimi percorsi spirituali, modelli di una ricerca millenaria effettuata dall’uomo per scoprire il suo posto nell’universo e dunque per divenire egli stesso homo universalis.
Anna Giacomini