29 marzo 2011

- C. G. Jung e gli archetipi dell’inconscio collettivo

Jung non è stato solo una delle figure più eminenti della psicologia, ma uno studioso nel senso vero del termine, uno studioso dell'anima e dei suoi misteri. Le sue ricerche spaziano dalla mitologia all'alchimia, dalla psicologia delle masse alla religione, ed hanno ispirato e influenzato le scoperte di molti studiosi del nostro tempo. I quaderni di Eranos testimoniano il confronto di scienziati contemporanei alla luce delle scoperte di Jung. Come lo stesso Jung afferma, la sua vita è la storia di una autorealizzazione dell'inconscio, quindi non è la sua autobiografia che vogliamo qui proporre in modo esaustivo, ma alcune note biografiche, accompagnate dalle sue parole, così vive: In fondo, le sole vicende della mia vita che mi sembrano degne di essere riferite, sono quelle nelle quali il mondo imperituro ha fatto irruzione in questo mondo transeunte. Ecco perché parlo essenzialmente di esperienze interiori in cui comprendo i miei sogni e le mie immaginazioni. Carl Gustav Jung nasce in Svizzera, a Kesswill il 26 luglio 1875. Il padre era un teologo e pastore protestante, mentre la madre apparteneva a una vecchia famiglia di Basilea. Fin dall'infanzia fu interessato al problema del trascendente: dalla religione allo spiritismo. Si iscrisse alla facoltà di Medicina, si specializzò in Psichiatria, e finì per occuparsi delle psicosi. A venticinque anni, nel 1900, ottenne il posto di assistente presso il famoso Burgholzli, l'ospedale psichiatrico di Zurigo. Nel 1903 fondò all'interno dell'ospedale un laboratorio di psicopatologia sperimentale dove iniziò a compiere ricerche sulle reazioni psichiche per mezzo dei test di associazione. Nello stesso anno sposò Emma Rauschenbach da cui ebbe cinque figli, la quale rimase fino al 1955, anno della sua morte, una delle sue collaboratrici più significative. Nel 1905 divenne primario dell'ospedale psichiatrico e conseguì la docenza in Psichiatria all'Università di Zurigo dove si occupò di sonnambulismo, isteria, ipnosi. In questo periodo avvenne una sorta di miracolo ipnotico: una donna che soffriva da anni di paralisi alla gamba destra fu ipnotizzata in aula, davanti agli studenti: alla fine della trance ella si proclamò guarita, gettando via le stampelle. Questo evento contribuì a consolidare ed espandere velocemente la fama del Dott. Jung ed a favorirne l'attività privata. Nel 1900 Jung si avvicinò alle opere di Freud, con cui intratterrà uno scambio epistolare e che incontrerà personalmente a Vienna solo nel 1907.Fu un rapporto di reciproca stima e collaborazione che tuttavia mise in luce le profonde divergenze che li caratterizzavano. Il 1910 fu per Jung l'anno di rottura col padre della psicoanalisi che lo aveva invitato "a non abbandonare mai la teoria della sessualità!". In realtà i due studiosi cercarono di lavorare insieme ancora fino al 1917, fino al congresso di Monaco, ma lo scritto di Jung Trasformazioni e simboli della libido aveva ormai segnato un vero e proprio spartiacque.Jung lavorò intensamente, immergendosi in letture di mitologia, vangeli gnostici, nonchè nelle fantasie di Miss Miller, una giovane americana prossima ad un episodio psicotico.Iniziò così lo studio dei contenuti dell'inconscio, da cui emerse una concezione totalmente nuova dell'inconscio stesso, nonchè del concetto di libido, che portarono alla formulazione dei capisaldi teorici della psicologia analitica: l'inconscio collettivo, gli archetipi, il processo di individuazione con le varie fasi e figurazioni simboliche. La società psicoanalitica gli si rivoltò contro ed egli si ritrovò solo, isolato ed allontanato dai colleghi e immerso nel lavoro su innumerevoli sogni, suoi e dei suoi pazienti. "Allo scopo di capire le fantasie, spesso le raffiguravo. Così fu per l'immagine che emerse dall'inconscio chiamata poi Filemone. Non riuscendo a capire l'immagine onirica la dipinsi. Filemone e le altre immagini della mia fantasia mi diedero la decisiva convinzione che vi sono delle cose nella psiche che non sono prodotte dall'io, ma che si producono da sé, e vivono di vita propria." Dal punto di vista psicologico Filemone rappresentava un'intelligenza superiore, una figura misteriosa, un guru spirituale. Dal confronto diretto con la propria malattia creativa, Jung trasse quel particolare rispetto che caratterizza la sua concezione della malattia mentale, che pose le basi per una nuova relazionalità tra analista e analizzando. Si poté davvero scoprire guaritore ferito, rivoluzionando il concetto stesso di psicoterapia: E' certo un'ironia che io, psichiatra, nei miei esperimenti, mi dovessi imbattere in quel materiale psichico caratteristico delle psicosi, e che perciò si trova anche nel manicomio. Sempre più si affermò nel suo pensiero il mondo dell'anima, rispetto alla derivazione medico-scientifica allora imperante: Quelle immagini non concernevano solo me, ma anche molti altri. Quello fu il principio, e da allora cessai di appartenere solo a me stesso. Da quel momento la mia vita appartenne a tutti. Le conoscenze di cui mi interessavo, non potevano fare parte della scienza del tempo. Dovetti farne io stesso l'esperienza iniziale. Negli anni venti Jung visitò Algeri, Taos Pueblo nel nuovo Messico, il monte Elgon alle fonti del Nilo: In quegli anni cominciai a capire che lo scopo dello sviluppo psichico è il Sé. Non vi è una evoluzione lineare, vi è solo un andare intorno al Sé. Questa comprensione fu sostenuta da un sogno, e dal disegno che lo rappresentava, un mandala chiamato Finestra sull'eternità. In perfetta sincronicità di lì a poco Richard Wilhelm gli inviò il manoscritto di un trattato di alchimia taoista cinese intitolato Il segreto del fiore d'oro, e fu questo testo che parlava della possibilità di trovare la via che conduce agli opposti, che fece nascere in Jung l'interesse per l'alchimia in Europa e in Occidente e gli fece approfondire le ricerche sul simbolismo del Sé. Nel 1922 Jung acquistò un terreno a Bollingen, vicino al lago di Zurigo, dove costruì la sua "Torre" in pietra, un semplice edificio circolare che ingrandì nel corso degli anni e dove si ritirò dopo il 1946, per dedicarsi totalmente ai suoi studi. Negli ultimi anni della sua vita divenne egli stesso quel vecchio saggio che gli permise di realizzare la polarità senex-puer, portando il suo pensiero a compimento.Morì a Zurigo, nella sua casa di Kusnacht, il 6 giugno 1961. La sua presenza è viva e feconda nel nostro quotidiano lavoro, non solo attraverso lo studio del suo pensiero, ma soprattutto attraverso la continua sperimentazione di ciò che egli aveva intuito e sostenuto. Simonetta Figuccia ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Jung: il primo amico ed alleato di Freud e della teoria dell'inconscio. Jung, allievo e contemporaneo di S. Freud, parte dall'assunto che la vita psichica consti di un lato cosiddetto conscio e di un lato cosiddetto inconscio. La psicoanalisi freudiana e la psicologia analitica junghiana si differenziano da ogni altra psicologia per la priorità che esse riconoscono all'inconscio quale fattore determinante la vita psichica. Mentre Freud si terrà sempre saldo alla descrizione dell'inconscio unicamente come inconscio personale, Jung individua, "sotto", per così dire, lo strato inconscio più superficiale che in sè contempla il patrimonio di esperienze e acquisizioni personali del soggetto lungo la sua storia, nonché i "complessi a tonalità affettiva", uno strato più profondo ed arcaico che egli chiama inconscio collettivo, strato questo che apparterrebbe a tutta la specie umana, indipendentemente da razze, latitudini, luoghi; esso sarebbe patrimonio comune e custodirebbe in sè appunto gli archetipi. Il modello energetico. Mentre Freud legge nel processo psichico una dinamica conservativa, Jung riconosce in esso anche un lato progettuale. Egli attinge, per descrivere la vita psichica, al modello energetico che mutua in parte dalle scienze della fisica, modello secondo il quale la psiche è un generatore autonomo di energia in virtù del dialogo interno tra due poli opposti: la coscienza e l'inconscio. Jung considera l'inconscio un sistema vivo. Egli non opera concettualmente in base alla "topica" freudiana che divide nettamente la coscienza dall'inconscio, in quanto si trova maggiormente attratto e convinto dalla definizione dei due lati psichici come presenze perennemente dialoganti, dialogo da cui scaturisce la trasformazione dell'energia (il tono affettivo, quale quid energetico, che si trasforma in valutazione, la quale si trasforma a sua volta in sentimento) che i due poli garantiscono giocando alternativamente e reciprocamente i ruoli di soggetto e oggetto. Da ciò si deduce che può esserci una coscienza inconscia (oggetto) e un inconscio cosciente (soggetto) in una fluidità che da W. James, sappiamo già, fu definita campo transmarginale. La psiche come mediazione tra i due modi di descrivere l'essere: lo spirito e la materia Jung, come la tradizione filosofica e letteraria, vede nella psiche il punto di incontro tra spirito e materia. Secondo tale modello la psiche è come una terra di mezzo tra spirito e materia; nella sua parte superiore troviamo il pensiero, in quella inferiore troviamo gli istinti. Istinti ed Archetipi dell'intuizione Jung approda al concetto di archetipo partendo dalla riflessione sulla natura degli istinti e su come essi vengano gestiti ed elaborati dall'inconscio. Egli non sa dare, come nessuno del resto, una definizione esaustiva degli istinti. Certo, essi sono coercizione all'azione e alla reazione al di là della finalità. L'istinto in azione è un processo non coscientemente finalizzato. Nell'inconscio esso si autopercepisce in forma di intuizione che esplode nella coscienza.L'intuizione implica la percezione di tutte le possibilità insite in una situazione, ovvero essa implica il risveglio del simbolo polivalente; essa non è né pensiero, né sensazione, né sentimento. Percezione istintuale e gesto istintuale L'archetipo non è qualcosa d'altro dall'istinto; esso rappresenta l'altra faccia della medaglia o del "foglio". Intuizione ed istinto sono due concetti analoghi e rovesciati: l'intuizione è detta da Jung anche percezione istintuale (ossia il contenimento di quell'energia che, altrimenti, verrebbe agita nel gesto istintuale). Con il termine percezione istintuale Jung intende la situazione che costringe il soggetto a percepirla e ad attivare in sè l'universo di possibilità pertinenti tra le quali cercare risposta. E' detta "istintuale" per il carattere dell'obbligatorietà a cui è soggetta, e "percezione" in quanto, come energia contenuta, viene appunto percepita, in forma di intuizione, dalla coscienza. La stessa energia (libido) pertanto può esprimersi in un gesto coatto, acoscienziale, "istintuale"; oppure può essere incanalata e compresa in un'istanza percepibile dalla coscienza, esprimendosi come "percezione istintuale". La percezione istintuale è la prima autorappresentazione dell'istinto. L'istinto è, dunque, il manifestarsi immediato dell'Essere, a cui corrisponde una possibilità di contenimento della stessa immediatezza.RiepilogoLa percezione istintuale, è l'esplosione nell'inconscio, in forma di intuizione, dell'energia istintuale trattenuta. L'energia (la libido) è sempre la stessa; essa però può prendere la via della conservazione di comportamenti collaudati (e così si esprime nel gesto istintuale), oppure può essere trattenuta e diventare così percezione istintuale (rendendosi energia disponibile per nuova conoscenza). Istinti ed archetipi dell'intuizione formano l'inconscio collettivo. Ad ogni istinto corrisponderebbe un archetipo. L'archetipo è una forma vuota E' un insieme di possibilità rispetto ad una situazione tipica della vita. Il soggetto, sia pure inconsciamente, ricorre sempre all'archetipo per comprendere e quindi creare nuova conoscenza rispetto alle situazioni tipiche dell'esistenza. Esso (l'archetipo come percezione istintuale) è il responsabile del mondo della creatività in contrapposizione al mondo della obbligatorietà e della conservazione (regno del gesto istintuale). Data la natura dinamica della psiche, possiamo ipotizzare che ciò che è istinto oggi, possa essere stato archetipo per una specie precedente o forse, addirittura, per un ciclo evolutivo anteriore. All'interno del ciclo evolutivo a cui noi apparteniamo e nelle potenzialità che ci appartengono da quando ci diciamo Uomo, noi siamo dotati di determinati istinti e di determinati archetipi. Chissà, forse stiamo oggi preparando nuovi istinti per i prossimi uomini. L'inconscio è un sistema vivo nella memoria dei toni affettivi e delle risposte collaudate per essi: i "primitivi" non vivevano direttamente l'evento pericoloso ma elaboravano nei miti, nei riti magico-religiosi il tono affettivo che l'evento pericoloso suscitava in loro. Ci fu un tempo in cui l'uomo non sapeva differenziare se stesso dal mondo, né, dunque, sapeva distinguere l'oggetto esterno dalla sua proiezione. L'inconscio è ancora oggi pronto a reagire, col suo patrimonio millenario, per vie invisibili attraverso l'attivazione degli archetipi che, come abbiamo visto, costituiscono le forme di manifestazione creativa degli istinti. Jung porta come esempio - per dire il passaggio da uno stato di "conservazione" ad uno stato di maggiore coscienza - i riti di fertilità della tribù Wachandi: gli uomini del villaggio, dopo aver allontanato le donne, e dopo aver scavato nella terra una buca a forma di vagina, danzano con le loro spade erette (che simboleggiano il fallo) e poi le gettano nella buca. Il naturale fatto biologico della procreazione viene collegato col fatto culturale della semina e della coltivazione. L'atto puramente pulsionale del congiungimento di maschio e femmina sul piano biologico-corporeo (il gesto istintuale) si trasforma, mediante il simbolo, incanalando quella stessa energia erotica verso nuove forme di vita, di conoscenza, di "spazi mentali". Premesse psichiche all'attivazione dell'archetipo: a) Fragilità della coscienza "infelice". Quanto più il soggetto è cosciente (e quindi, in virtù di un lavoro introspettivo, ha assottigliato la barra divisoria tra la sua individualità cosciente e l'inconscio collettivo) tanto più gli verranno incontro gli archetipi che gli parleranno attraverso sogni, intuizioni, visioni, ecc., affinché tramite essi egli prosegua e completi la dinamica fondamentale e rarissima dell'individuazione. Con questo termine Jung intende indicare il processo attraverso cui avviene la sufficiente integrazione dell'inconscio alla coscienza; integrazione grazie alla quale l'individuo diviene quel preciso, unico e indivisibile soggetto che già in potenza egli è. b) Fragilità della coscienza "incosciente". Quanto meno il soggetto è cosciente, tanto più seguirà la coscienza collettiva zittendo l'inconscio e togliendo importanza pratica all'Io. Egli saprà restare ancorato solo al mondo concretistico e agli automatismi, consumando la vita nella frammentazione e nell'astoricità dell'esperienza. Anche in questo caso, di minima coscienza e di "elementarità" psichica fino alla coscienza "primitiva", "psicotica", possiamo assistere ad un'intensa manifestazione archetipica. S'intende qui per automatismo psicologico un comportamento cosciente su cui l'Io potrebbe produrre modifiche ma che viene sottratto al suo potere da una sorta di dominante funzione istintuale. L'energia archetipica La condizione sufficientemente "evoluta" della coscienza non garantisce quest'ultima dall'ambivalenza archetipica. L'archetipo è energia distruttrice e creatrice al tempo stesso: - distruttrice perché sottrae il soggetto alla percezione ordinaria dell'esistenza e di se stesso; perché esso archetipo induce possessione e non è riconoscibile nel suo agire se non a posteriori; - creatrice e risanatrice perché, attraverso la sua capacità di indurre stati coscienziali "distorti", pare mettersi in moto al fine di equilibrare un preesistente atteggiamento unilaterale, "ingiusto" e "patologico" della coscienza. Si potrebbe dire che esso agisce terapeuticamente attraverso il paradosso: una sorta di caricatura del "funzionamento ordinario" della coscienza. V'è dunque un senso certamente anche nella distruttività dell'archetipo; essa va a ridimensionare, tramite esperienza estremamente frustrante e dolorosa, un malsano atteggiamento coscienziale (l'unilateralità già accennata). Le rappresentazioni archetipiche L'archetipo in quanto tale è irrappresentabile. Nei sogni e nelle fantasie si trovano le rappresentazioni archetipiche che costituiscono gli effetti dell'archetipo. E' la stessa situazione che in fisica si presenta con l'atomo e le particelle subatomiche: non si mostrano in sè e per sè. I loro effetti, le loro "tracce", sì.Accade cioè che materia e spirito siano entrambi irrappresentabili e che solo la psiche e i suoi contenuti lo siano. Siamo immersi nella psiche e tutto ciò che del mondo e di noi sappiamo, necessariamente lo sappiamo attraverso il filtro della psiche. Se poi si pensa a come le nevrosi (conflitti inconsci segnati dall'unilateralità dell'atteggiamento cosciente) possano essere fenomeni sociali, ciò induce a pensare che vi sia corrispondenza di attivazione archetipica e nell'individuo e nel sociale, corrispondenza che può segnare un'epoca a seconda del tipo di archetipo costellato (attivato) e dell'atteggiamento verso di esso. Può essere verso maggiore conoscenza e libertà (come è stato per esempio il "mitico '68" e il suo bisogno utopico e archetipico insieme di "redenzione"); può essere verso una restaurazione nostalgica e illibertà spirituale crescenti: la restaurazione dell'"Impero" nel periodo fascista o, per certi aspetti, gli stessi nostri anni attuali. Nel singolo individuo l'attivazione archetipica può essere una strada che deve essere percorsa per preservarsi dagli abusi della coscienza collettiva, che tende ulteriormente a unilateralizzare la coscienza individuale. Tra i fondamentali archetipi Jung cita: quello dell'Ombra, quello dell'Anima, quello del Vecchio Saggio. Possiamo anticipare che essi sono le personificazioni delle tappe fondamentali lungo il processo di individuazione e ciascuno cela dietro di sè i successivi. Se le trasformazioni e relative dinamiche sono simbolicamente personificate, il processo della trasformazione, in quanto tale, è rappresentato da situazioni, luoghi, modi e mezzi tipici ("archetipi della trasformazione") che simboleggiano la specie di trasformazione di cui si tratta.Caratteristica di questi, come di tutti i simboli, personificazioni e no, è la loro plurivocità, polivalenza, paradossalità (come lo spirito degli alchimisti che è giovane e vecchio insieme), nonché "la loro pienezza di riferimenti che rende impossibile ogni univoca formulazione." Il processo simbolico - prosegue Jung - può essere rappresentato dalle immagini alchemiche, come pure dal sistema tantrico dei "chakra" ecc. ed è "un'esperienza nell'immagine e dell'immagine". Il suo svolgimento presenta una struttura enantiodromica, ovvero "un ritmo negativo e positivo, di perdita e di guadagno, di luce e di tenebra". L'inizio del percorso è caratterizzato da una situazione impossibile. Suo scopo è un'illuminazione o un più elevato grado di coscienza per mezzo del quale il punto di partenza è superato su un piano più alto. In termini di tempo il processo può presentarsi condensato in un sogno, in un breve istante di esperienza o mesi o anni a seconda del punto di partenza e dello scopo che dev'essere raggiunto. L'Ombra è la prima raffigurazione archetipica che si incontra lungo il cammino della via interiore: come in uno specchio ci viene rimandata la nostra immagine interiore. Additando il limite personale l'Ombra si fa lanterna verso figure sempre più numinose. Il primo momento dell'incontro con l'Anima è generalmente segnato dal suo lato elfico irrazionale ove saggezza e follia sono una cosa sola. Pare necessaria una totale resa perché nuovi e più profondi livelli di significato possano emergere. L'archetipo del significato altro non è che quello del Vecchio Saggio: nel mito e nel folkore impersona lo Spirito. Anch'esso ha natura dicotomica. Può mostrare il lato superiore o quello inferiore di se stesso. Ada Cortese

26 marzo 2011

- L’Ermetismo e la Magia della Schola di Giuliano Kremmerz


Dopo una preparazione a volte incerta, a volte ostacolata dalla mitezza dei mezzi disciplinari, sempre oscillante per il selvaggio desiderio dei primi venuti di denudare l’Iside e prostituirla allo scherno plebeo, all’alba del secondo decennio del secolo nuovo, ho compiuto con questa Pragmatica Fondamentale la sistemazione della nuova Scuola per la famiglia degli aspiranti alla eterna sapienza dell’Arca… Come non servirsi della parola magia che è l’unica la quale contenga la scienza delle cause virtuali e la potenziale effettiva delle realizzazioni? Come definirla? Le forme magiche più recenti sono ebree e cristiane, le meno prossime sono le caldee – come le spiegherò a quelli che hanno fretta e sono impazienti di aspettare l’idea ermetica? Ora che le più sciocche cose sono temi di diatribe? Come dire ai neofiti che il cristianesimo e il giudaismo, religioni o sette o eresie, non hanno niente a vedere coi salmi davidici, le croci, le parole schematiche che abbonderanno nelle operazioni iniziatiche?… Come indicare che l’Ermete è uno stato di luce e vibrazione incentiva e che più che un’immagine è una beatitudine? (P+F+)- La Magia nella sua magnificenza non è quella che il medioevo ci ha tramandato e tanto meno quella ricostruita da scrittori contemporanei di ogni gradazione e levatura, che riducono la scienza madre del mag alle cognizioni e alle intuizioni e alle chiacchiere degli scrittori che in ogni pagina vogliono mettere fuori un secreto. La Magia intesa nella sua grandiosa sintesi è la grande Arte e la grande Filosofia che è preceduta a tutte le manifestazioni del divino sotto ogni forma da che il mondo è mondo, nelle religioni di tutti gli dei, nella pompa di tutti i troni o pretensioni divine, nella esteriorizzazione simbolica perfino dei culti liberali e laici nei grandi stati democratici moderni. Essa, come matrice di scienza universale, specialmente nell’azione influenzante le masse, nel grande e nel piccolo, è la scienza del bene e del male… La Magia è, come scienza idealmente perfetta, applicabile e realizzabile: 1°nella religione (governo delle coscienze collettive); 2°nella politica (governo degli interessi delle nazioni); 3°nella famiglia (fondamento etico-morale dello stato); 4°nell’uomo (la sfinge enigmatica del sapiente volgare). In religione ed in politica agiscono gli ordini costituiti… nella famiglia invece opera attivo, ignorato, modesto e semplice l’uomo che studia la filosofia divina e la realizza con successo, l’iniziato insomma che sa fin dove possa influire la luce spirituale che il volgo dottoreggiante nega. Gli ordini di origine magica, occulti o palesi, in gran parte sono conosciuti nella loro influenza sulla umana società, in politica ed in religione – manca una Fratellanza Spiritualista magica, modesta per quanto utilmente pratica, che si occupi della sola esplicazione delle forze e dei segreti della magia in pro di tutti i sofferenti che ad essa ricorrono – così io restauro la Fratellanza terapeutico-magica di Miriam, ad esempio delle antichissime sacerdotali isiache egiziane di cui più recente e nota imitazione è la Rosa-Croce… limito l’esperimento alla sola medicina ermetica, non perché la grande Magia si limiti a questo, ma per non sdrucciolare negli appetiti umani che vorrebbero americanamente applicare le regole o i poteri conquistati a far quattrini o a procurarsi piaceri o a farsi temere come alleati di diavoli… L’ermetismo conciliante tutte le opinioni filosofiche e religiose fu un tentativo di riforma religiosa. L’ermetismo nostro si riduce a un esperimento positivo, invece, in cui il fattore principale dei pretesi e possibili piccoli miracoli è l’uomo-spirito, l’uomo inteso nella sua integrazione dei poteri umani. Il preludio alla nostra opera di pratica fu scritto da me nel Mondo Secreto, con gli Elementi di Magia naturale e divina, i quali ebbero di mira di presentare i fattori della grande filosofia ieratica ed iniziatica con un invito costante al lettore di alimentare un solo ideale, la magia operante, vale a dire l’applicazione della dottrina alla relatività dell’esperimento, all’ascenso. Dopo fu praticamente aperto un campo di esplorazione per applicare i principi fondamentali della grande magia alla medicina ermetica… Quindi bisogna essere, senza riguardi sciocchi, costantemente pronti a dire la verità verissima a tutti: la porta della Schola è larga nell’ammettere ogni uomo di buona volontà, ed è ugualmente spaziosa per permettere la ritirata se qualcuno preferisce rimanere nella illusione che la scienza ermetica sia la chiave per infrangere tutte le leggi della natura e per realizzare l’inverosimile. Le forze occulte, cioè non palesi, emananti dall’organismo umano, ermeticamente ed idealmente si possono dirigere a tutte le adattazioni possibili. La magia nel suo concetto osirideo dovette essere concepita come lo stato completo di possessione ermetica perché fu sinonimo di scienza per eccellenza che nessuna realizzazione arrestava o trovava impotente. Ma perché le cose siano ridotte alla povertà singola dei casi pratici occorre che qualunque persona voglia studiare in sé e fuor di sé questa applicazione delle sue facoltà, non volgarmente studiate, si proponga un fine a raggiungere. La nostra Scuola (S.P.H.C.I.) onde nei suoi discepoli si determini un movente di azione e un controllo di esperienza, non si occupa che di sola Medicina Ermetica. Dice il Filalete commentando la lettera del Ripley a Enrico IV di Inghilterra: Se le operazioni sono regolari e le premesse vere, il magistero ermetico è raggiunto. E’ a questo che l’integrazione umana deve mirare. Denudato da tutte le follie e le goffaggini dell’empirismo magico, l’ermetismo come via di pervenire all’ideale dell’angelizzazione umana, deve tentare di affermarsi nel campo sperimentale e con un fine di bene indiscusso: la medicina integrale o ermetica compie il prodigio della resurrezione alla ragione illuminata. L’Ermetismo o la Magia stanno tra il limite della filosofia pura e la soglia della porta più grande che apre il cammino alla scienza positiva, meccanica o matematica…L’Ermetismo non è la botanica, non è la chimica, non è la fisiologia. E’ la scienza dell’infinito, la scienza del non finito, mentre le discipline apprese col metodo sperimentale positivo sono scienze del concreto e del finito… L’Ermetismo è scienza dal punto di vista filosofico e dall’aspetto probativo, se lo si guarda e lo si studia nei fenomeni dello spirito umano…L’Ermetismo e la Magia non si possono intendere con un ragionamento superficiale… Come italiano mi vanto di fare opera italiana e romana, nel senso di coordinare tutta la parte veramente probante di questa filosofia, per riscattare il nostro primato di pensatori dalla egemonia delle invasioni di pseudo teologi stranieri, che vengono nella nostra terra a portarci il verbo manufatto di interpretazioni ancora più manipolate con mentalità non latina, non italica, non chiara, imponendoci commenti a psicosofie orientali che non sono le nostre, chiare, limpide, cristalline, atte a intendere tutto il poco scibile religioso di altre latitudini e longitudini. - La filosofia ermetica fu la filosofia sottile, capace d’interpretare e far manifestare l’Ermes, quindi scienza per eccellenza, penetrativa della parte più misteriosa del nostro campo mentale. Tutti i misteri dell’ermetismo e della magia si concentrano e si intensificano in questo microcosmo (uomo) spaventosamente semplice e onnipotente. Oggi se io parlo di Ermetismo la gente di media cultura non mi capisce, e se al piano più appariscente parlo di Magia, l’argomento sembra un anacronismo e il sorriso degli uditori diventa dispregiativo. Dico oggi che il mago è l’integrazione di tutti i possibili poteri umani, e la mia affermazione pare comica. La parola Magia non è moderna ma arcaica, con significato denaturato di una scienza completa di tempi favolosi. Magia è sapienza assoluta. Vale a dire che è la sintesi di tutto ciò che è stato, è, e sarà. E’ una parola che racchiude tutti gli attributi dell’onnipotenza divina, se voi al nome dio date il valore della suprema intelligenza che crea, regola e conserva l’universo. Il Mago è il possessore, il depositario vivente ed utente della scienza di dio. Magheia in greco, donde è venuta la parola magia, è alterazione delle parole Mag, Mehg, Magh che in pelvi e in zend, lingue dell’antico oriente, significano prete perfettissimo, sapiente. In caldeo Magdhira equivale ad alta sapienza . - Non pubblicai il Mondo Secreto per dire: io sono un mago. Si rinunzia a farlo a beneficio proprio quando lo si predica alle turbe… Volevo che l’uomo comprendesse i poteri occulti o misteriosi connaturati ai viventi, causa incosciente di tutte le creazioni mistiche che da secoli hanno afflitto l’umano genere. Volevo indicare che tra il materialismo scientifico e il misticismo di oltre tomba c’è un tratto inesplorato che cangia ai due estremi il loro carattere d’inflessibile esclusività e che la scienza dell’uomo è nello stato intermedio di vita e di morte che fu detto mag, rivelatore dell’esponente ignorato e potentissimo della natura umana . Questa scienza è esistita da quando cessò di essere arma e potere sacerdotale. Né si limita alla metafisica, né è una religione – tanto meno è la teosofia. Questa scienza è Magia; nome discreditato, ma unico e semplice che risponde alla cosa che è: Mag è il potere di uno stato di trance attivo: non trovo come spiegare meglio una cosa che pochi possono intendere: è lo stato di trance automatico, volitivo dell’Ombra in tutte le sue esplicazioni e realizzazioni. La Magia è scienza ed arte, nello stato di semplice dottrina dà la chiave dell’arte operatoria dei propri attributi. Gli ebrei nella servitù faraonica ebbero molto da imparare e la magia divenne palesemente di forma ebraizzata in memoria della prigionia in Egitto, che nel mondo antico rappresenta l’anello di congiunzione tra l’oriente e l’occidente e tra l’antichissimo e il meno antico. Lo stato di mag (è) condizione magica del nostro corpo. Lo stato di mag comincia dalla prima sublimazione dell’essere terreno, cioè dall’acquisizione dello stato di santità, non come lo si intende nel mondo religioso, ma in uno stato attivo di volontà, capace di purificare tutti gli atti materiali più bassi in una sublimazione di metodo e di coscienza solamente la scienza iniziatica, scienza per prova di fatto, contiene in sé tutti gli elementi di un mag a raggiungere, che è bene e che è primo riflesso di divina luce. (Corpus) - Divido la Magia, o Sapienza Arcana, in due grandi parti: la Naturale e la Divina. La prima studia tutti i fenomeni dovuti alle qualità occulte dell’organismo umano e la maniera di ottenerli e riprodurli nei limiti dell’organismo impiegato come mezzo. La seconda è dedicata a preparare l’ascenso spirituale dello studioso, in maniera da rendere possibili le relazioni dell’uomo con le nature superiori invisibili all’occhio volgare. Dove finisca la prima parte e cominci la seconda è molto difficile il determinare, perché la natura umana è fatta in tal guisa che a grado a grado che conquista la libertà di operare con le sue virtù latenti, si va perfezionando fino a percepire con la stessa gradualità armonie che alle intelligenze comuni sfuggono. La Magia nel suo complesso è tutta una serie di teoremi dimostrabili e di esperienze ad effetti concreti: le verità magiche, per quanto astratte, devono avere la loro dimostrazione evidente nella realizzazione, come qualunque verità di matematica astratta ha la sua applicazione meccanica. Bisogna però considerare che le investigazioni umane progrediscono coi tempi e se moltissime verità occulte possono essere dimostrate con ragionamenti ed ipotesi ammessi dal modo sperimentale, altre verità non possono essere dimostrate e tenute per vere che dalla constatazione dell’effetto – perché il ragionamento astratto, che astrattamente proverebbe la loro esistenza, si basa su di una filosofia sottile, detta ermetica, la quale pur essendo vera, non è compresa che dalle intelligenze umane progredite maggiormente nei tempi che corrono. Io, forse per il primo, intendo presentare tutto un corpo di dottrine che sono esatte e immutabili e che appartengono alla protesi della scienza secreta e sacra che nessuno ha svelato fin ‘oggi al pubblico impreparato e che nessuno può svelare a tutti nella sua integrità. La Magia Naturale mette a profitto lo sviluppo delle forze occulte che si trovano nascoste in ogni organismo umano. Senza esagerare, sviluppa come può e per quel che può le manifestazioni che in noi possono produrre le forze non coltivate. Quando dico forze, dico vibrazioni sottili, potenti ed intelligenti del corpo umano, in se stesso preso come unità e nei rapporti con la natura universale. Il misterioso, il meraviglioso, il miracolo è nell’orbita della natura e non di là o sopra la natura. Le forze che non si conoscono chiamiamole latinamente latenti o nascoste. Magia che sarebbe prettamente classica, suona male a molti orecchi che aborrono l’antico, specie perché della parola se ne è abusato. Sostituiamola con due parole che la spiegano, chiamiamola scienza integrale. Integrare significa rendere intiera o perfetta. Integrazione è il metodo complementare per rendere la scienza che ufficialmente si insegna nelle università completa con lo studio e la conoscenza delle forze latenti nella natura e nell’uomo. Quindi scienza integrale della natura obiettiva, magia naturale e scienza integrale umana, che è la magia divina perché risveglia ed esercita e sviluppa in noi gli attributi che l’ignoranza ha finora attribuito agli dii. La Magia che io esumo sotto una forma compatibilmente concorde con le conoscenze contemporanee dei profani è quella classica, contenente tutti i principii fondamentali delle scienze spirituali e materiali. L’Ermetismo, valore positivo dell’intelligenza umana espresso con un nome ieratico, è una integrazione di conoscenza e una penetrazione profonda della verità in sintesi delle cose, per quanto la preparazione storica dell’uomo integrabile lo rende possibile. Il fondamento della dottrina ermetica è positivo nella legge della perfettibilità od integrazione che nella genesi naturale non rinnega le conquiste della scienza umana, né è un assurdo, né un atto di fede. Il tipo integrale dell’uomo è l’ennesimo stadio evolutivo della intelligenza e dei poteri umani. Il misticismo è la formula manifestativa infantile della penetrazione ermetica che è scientifica e positiva. L’ermetismo è determinativo nella ricerca dell’aurum, una possanza trasformativa dell’inferiore nell’altissimo per raggiungere il limite più sublime del mistero della vita dell’unità cosmica. Il problema che si propone il magismo e l’enigma che l’alchimia risolve è un secreto riformatore e trasformatore di tutta una civiltà e pretesa civiltà storica che attualmente ci rende servi dei corollari di filosofie parolaie. L’educazione magica mira a liberare lo spirito imprigionato nel corpo di uomo dai suoi legami più duri, in modo che liberamente possa anticipare la sua terza esistenza o seconda vita intelligente. Quindi la magia, col regime di vita corretto gradualmente e che prescrive ai discepoli preannunzia uno stato di spirito equilibrato col recipiente fisico: onde perfetta sanità del corpo mentre lo spirito si purifica e spazia in regioni più elevate e le forze fluidiche prendono vigoria eccezionale. Non confondere la religione passiva con la magia attiva. Il magismo è l’attività scientifica della teoria religiosa che è pascolo per le masse: alla magia devono essere ascritti per virtù (vir= uomo o attivo) gli esseri capaci di dominare la marea montante della passività, che nel simbolismo è appunto determinato dalla luna… Il magismo – l’ho ripetuto molte volte - è delle nature che, o sono aristocraticamente positive o delle volontà supremamente inflessibili o delle persone che vogliono e sentono che è possibile arrivare, non a pregare Iddio, cosa che tutti fanno, ma immedesimarsi la natura attiva divina e fonderla con la propria volontà illuminata dalla giustizia. La Magia è l’arte e la scienza per rendere l’uomo attivo un dio e non fargli subire le peripezie della marea incostante della luna religiosa. La virtù di fare o pensare o concedere il bene non è che spirito della mente o anima, attivo e gestante, e la sua radice è nel centro o nucleo mentale, o anima o spirito. Se la fonte in cui lo spirito prende radice vuol diventare Virtù, cioè vuol diventare agente o attiva, efficace e realizzante, deve permutarsi in buona, cioè – nell’intima sua costituzione- permanentemente concepente il bene. Vedete che io insegno la magia bianchissima e semplice senza misticismo, la magia dell’amore che diventa virtù essenziale. Praticarla è diventar mago ma bisogna praticarla e sentirla, non farvi su una bella chiacchierata e poi mettere tutto a dormire. Chi comincia (le operazioni in magia) è, come tutti gli uomini, imbevuto e impregnato dall’aura terrestre. Egli non sa – perché non conosce alcuna cosa di concreto – neanche come formulare la sua volontà di passare attraverso il turbine e penetrare nel mondo delle cause. Le prime operazioni gli danno due cose : la spinta di ricercare il nuovo etere e la forza di affermarvisi. Quando l’operazione ha questo ordinamento e ideale magico, non è una pratica religiosa, perché quantunque i principianti la eseguano per sola fede, essa non è che un calcolo di filosofia trascendentale e quindi scientifica essenzialmente e non indegna di alcun dottore. La preparazione alla potestà magica o all’ermetismo puro e semplice è d’indole diversa: il suo programma può esplicarsi in poche parole: rendere le potestà integrative dell’intelletto umano (volontà) padrone assolute dell’involucro animale per farne un servo ubbidiente e pronto all’autorità psicodinamica che è in noi: purificarsi di ogni ostacolo al libero esercizio della volontà intelligente sul corpo, istrumento necessario alla vita umana: liberarsi da qualunque necessità. L’ermetismo richiede temperanza e nella temperanza sono racchiuse tutte le virtù, non nell’astinenza. Vi si contengono le virtù civili della moralità assoluta e non temporanea, geografica e caduca. L’Ermetismo mira alla integrazione dei poteri umani nell’equilibrio dello spirito intellettivo e la materia. L’ermetismo è una realizzazione di carità e di solidarietà umana contro ogni preconcetto di misticismo templario o laico. L’uomo aspirante alla sua integrazione deve ragionevolmente sviluppare tutte le sue unità, non i soli piedi o il solo stomaco o il solo naso l’iniziatura ad una scienza reintegrativa non è a confondersi con le teosofie e le religioni che vogliono mutare l’uomo in angelo che suona il liuto innanzi al trono divino; ma più modestamente aspira a che la bestia intelligente uomo si sviluppi fino alla purezza dei suoi poteri, sovrano del suo destino e libero e giusto padrone delle forze latenti e note che natura gli ha dato. La filosofia ermetica non si illude sulla rugiadosa evoluzione e sul fine dell’umanità. Sono le religioni che aspirano a sogni di tal genere come realizzabili: la materia, atomi e molecole, non vive in pace con se stessa, perché la pace nella materia sarebbe la morte della natura, ed io già vi dissi che il dio Pane non è morto. La preparazione magica è la purificazione di cui la Vergine Immacolata, senza macchia, è il simbolo più nobile del Cattolicesimo. I poteri spirituali non si acquistano né diventano effettivi che così. Il neofito non è un mago che ai piedi dell’Iside, quando ha mangiato le rose di cui orna il vecchio Apuleio il suo asino riumanizzato. Ridotto tutto all’ascenso individuale quali sono le vie per pervenirvi rapidamente ed entrare nel mondo delle cause? Due sono i mezzi e molte le vie. La vita ascetica o religiosa passiva è la più facile e la più lunga. La vita iniziatica o magica attiva è la più breve, cioè la più rapida. Senonchè in natura tutto è evoluzione e tutto procede a gradi: la rapidità non è soppressione di stadi intermedi, ma condensazione di periodi. L’Ermetismo magico, secondo il mio modo di vedere, non deve sostenersi su di un piedistallo di fede e di ascetismo. La nostra filosofia dei valori della mente umana, se è scienza sperimentale, non può invadere il campo mistico della fede e se, per mancanza di vocaboli adatti, spesso qualche parola di pertinenza religiosa è adoperata in senso non chiesastico, la nostra non è una invasione nel campo dei credenti. La mia propaganda è fatta con uno scopo determinato, ben preciso: presentare lo studio di questi tanto difficili problemi dello spirito dell’uomo vivente, con carattere nazionale, cioè omogeneo alla nostra mentalità italica. Il misticismo è una eredità viziosa. E’ di tante categorie e spunta dovunque come la mala erba. L’uomo che possa dire di non essere intinto di questa pece, è un dio tra i supremi. La magia è divina in questo senso perché mette fuori ogni misticismo l’adepto e lo rende centro di un magnetismo d’amore nel cui irraggiamento il male, il dolore, la pena scompaiono, si annullano, si affogano, si disperdono. Continuate a studiare, a meditare, senza credere, cioè al di là della fede nelle cose che tutto il mondo dice. La Myriam dei terapeuti è un’onda di amore che emana da un centro pulsante di natura ignota da un uomo o da una catena di anime. La allegoria è di apparenza mistica ma ha un nome di donna, che fu la prima e la più eccelsa delle maghe, un ricettacolo, un tesoro profondo di amore. La nostra è Fratellanza terapeutica: noi vogliamo applicare le teorie magiche al lenimento del dolore. Quindi gli individui qui convenuti debbono anzitutto essere ascritti alla Fratellanza: debbono seguire il rito prescritto comune e sentirsi collegati gli uni agli altri. La nostra Scuola non si propone il compito di popolare il mondo di maghi, magonzoli e stregoni. Essa dà all’individuo il mezzo di progredire personalmente ma in ordine alla Catena il circolo diventa compensatore dei valori disuguali, donatore di forze e di energie. E allora comincia il primo progresso individuale. Tutto ciò è questione di esperienza, non di parole. Ora come iniziazione individuale, questa forza della catena vi mette in condizione di sviluppare il vostro essere interiore e prepararlo a stati nuovi. Come forza collettiva questa catena può essere sorgente di energia benefica, a cui qualunque elemento che la costituisce può attingere la forza e il potere per qualunque opera di bene che, nei confini del programma da noi stabilito, vuol realizzare. Chi sta con noi deve essere un numero effettivo del circolo. Per fare è necessario che tutti siate regolarmente iscritti alla Fratellanza, che abbiate ciascuno di voi la vostra pagella, nella quale sia contenuto il geroglifico personale da tracciare secondo le norme dei riti prescritti. Le idee della nostra scuola debbono essere vissute, giacchè se non si vive la vita magica, maghi non si diventa. Il mago è il realizzatore nel piano della realtà sensibile. Chi è a capo di questa Istituzione di cui la sola forma di propaganda è moderna, non è un ispirato atteggiantesi a Messia; il nostro Capo e Maestro è un Saggio, cioè una Mente illuminata dai raggi della Verità e che ha coscienza della sua opera e scienza della sua parola. Nella decadenza di tutte le istituzioni massoniche e religiose, Egli per Mandato, essendo i tempi maturi, riconduce alla fonte primitiva del Bene tutte le pecorelle smarrite dell’ovile. Un’associazione o Ordine spirituale, formata a propagata con questa missione è la più pratica scuola del Bene e dell’altruismo perché insegna due grandi verità: L’uomo è un numero partecipante della gioia e del dolore della società in cui vive; la famiglia è ricca di bene quando il contributo di bene di tutti i suoi figli è costante. www.kremmerz.it

21 marzo 2011

- La Ritualità




Il modo, il tempo, lo spazio.
Si può tentare di definire la ritualità, peraltro imperfettamente, data la sua natura di collegamento fra mondo fisico e mondo iperfisico, come un insieme codificato di parole, atti e oggetti analogizzati simbolicamente all’invocazione ed evocazione d’esseri sovrannaturali. Le religioni exoteriche usano la ritualità in questi termini, inducendo atteggiamenti affettivi ed emozionali, mentre gli assiomi esoterici ritengono l’universo stesso (macrocosmo) un’entità energetica indifferenziata. L’uomo, (microcosmo) è l’immagine individualizzata e differenziata di quest’energia, e attraverso la teurgia 1) può attrarla e usarla, dandogli a sua volta forma antropica differenziata e quindi evocabile e invocabile. È nota l’importanza magico-rituale del Nome: per gli antichi possedere il Nome di un dio, (dando quindi all’energia universa una sua specificità individuale) significava possederne la potenza. Vi è nella comparazione fra ritualità religiosa e ritualità iniziatica una differenza di grado, se non di qualità, che rende la seconda incomparabilmente superiore. Il secondo criterio rituale che Fraser 2) codificò all’inizio degli studi antropologici, riportato poi dal Mauss nei suoi studi magico-antropologici, 3) enuncia che «il rito magico ordinariamente, agisce di per sè‚ costringe, mentre il rito religioso adora e concilia; il primo ha un’azione meccanica immediata, il secondo agisce indirettamente e attraverso una specie di rispettosa persuasione» Un esempio tipico di questo procedimento è stato studiato da un punto di vista antropologico dal De Martino 4) che ha esaminato l’iniziazione sciamanica di Aua: «Fu nel mezzo di un tale accesso di misterioso e sommergente gaudio che io diventai sciamano; il misterioso, l’inqualificabile, il senza orizzonte, l’irrelativo, l’insorgente, il caotico diventa ora il piccolo Aua, una forma definita, un’esistenza qualificata, uno »spirito» che verrà quando sarà chiamato, e che fornisce il potere paragnomico». Se è vero che i rituali massonici, come notò già Leone XIII nella sua più interessante enciclica antimassonica, 5) assomigliano a quelli legati ai sacramenti, ciò deriva dal fatto che la liturgia cattolica non è una creazione specifica e originale del cattolicesimo, ma è un’interessante imitazione della ritualità antica, in piccola parte ebraica, ma soprattutto indotta da quella misterica, sia mediterranea che mediorientale. Il calendario liturgico, l’uso dei colori, gli strumenti rituali, ecc., sono stati completamenti indotti da ciò che i cristiani chiamarono sprezzantemente il «paganesimo», mentre ne tramandavano sia le speculazioni teurgico-metafisiche del neoplatonismo (Cfr. Porfirio, Giamblico, Plotino) che le connotazioni popolari (festività, venerazione dei santi, processioni, esorcismi ecc.). Uno dei grandi meriti della civiltà cattolica consiste proprio nell’aver tramandato fino a epoche recenti, o quanto meno al periodo pre-riformistico, la grandiosità liturgica e simbolica del mondo antico. La Chiesa Romana in tempi recenti ha rinunciato all’uso del latino come lingua sacra nelle sue cerimonie; ha espurgato le grandi e universali tradizioni rituali dai suoi schemi liturgici, ha rinunciato al simbolismo architettonico nelle chiese e cattedrali moderne. Solo un simbolista e ritualista può oggi apprezzare e rimpiangere con cognizione di causa ciò che la Chiesa Romana ha volontariamente perduto. La fretta - a nostro giudizio errata - di adeguarsi al presente non considera che solo in un ipotetico e lontano futuro l’umanità potrà evolversi tanto da poter intuire, comprendere, vedere, la bellezza infinita dei frattali delle linee di forza dell’energia universale, il suono silente dell’armonia delle sfere che il rito tradizionale induce, la gioia infinita e l’illuminazione che la teofania 6) produce nell’uomo. La caratteristica fondamentale della ritualità è la sua universalità. Gli ultimi cento anni di studi etnologici, antropologici e psicoanalitici affermano che gli assiomi fondamentali della ritualità, la sua stessa applicazione formale sono stati e sono fondamentalmente gli stessi. I Sumeri e i Babilonesi di quattromila anni fa, i bramani ayur-vedici ancora più antichi, le tribù amerindiane del XIX secolo, le stirpi oceaniche e gli aborigeni australiani del XVII secolo, i misteriosofici mediterranei dell’era precristiana hanno avuto e hanno la stessa forma e sostanza rituale. I semplici assiomi delle modalità rituali si possano così sintetizzare:
Lo spazio - geografia e geofisica sacra: scelta di una località in cui le forze cillenie e quelle ctoniche, prima intuite per via naturale, e susseguentemente conosciute per tradizione, possano favorire nell’uomo stati superiori di coscienza. Creazione di uno spazio sacro in cui possa effettuarsi un’influenza spirituale, una ierofania orientamento spaziale, geografico e astronomico, o allineamento macro-microcosmico.
Il tempo - orientamento temporale-astronomico rituali solari: solstiziali ed equinoziali legati all’aumento o alla diminuizione della luce e all’inizio delle stagioni rituali lunari delle quattro fasi rituali lunari delle domificazioni della luna rituali orario-planetari
orientamento astrologico riti astrologico-decanali riti astrologico-zodiacali.
Negli ultimi tre secoli, ma soprattutto dalla metà del ’700 in poi, il calcolo, ma soprattutto la percezione del tempo è completamente cambiata e negli studi rituali, come nell’operatività magico-rituale, vi è la necessità di percepire la successione temporale così come la concepivano gli antichi, una struttura scandita in senso verticale (il tempo - i tempi- i tempi del tempo) ritmata dai cicli inesorabili del sole, della luna, delle stelle, delle stagioni e del lavoro che era ad esse sinergicamente connesso. In questo modo vi era allora un tempo per ogni cosa, mentre adesso non vi è più niente che abbia il senso del tempo reale. L’attuale struttura del tempo, strumentale, meccanica, artificiosa, schiaccia e appiattisce l’uomo, che soffre nella morsa dei ritmi innaturali imposti dall’attuale inciviltà e fra la pulsione di quelli naturali che la sua natura biologica, psichica, intellettuale, spirituale, abbisognerebbe. La scansione cronologica non è più indotta dal rapporto micro-macrocosmico, dall’allineamento fra umanità ed universo, ma da valori, necessità, desideri, interessi, bisogni tecnico-sociologici che, in astratto legittimi, si rivelano poi disumanizzanti. Le problematiche legate all’uso del tempo rituale non si risolvono unicamente con la conoscenza del tempo tradizionale, che sarebbe relativamente semplice ritrovare. Negli ultimi secoli sono avvenute profonde modificazioni biologiche e biopsichiche dell’organismo umano (prodotte dalle implicazioni psicosomatiche della variazione del tempo individuale). La prima e più importante perdita è stata quella del tempo memoriale o sociale, in seguito alla scomparsa dei mores che facevano sì che la tradizione orale fosse nel frattempo storia e mito, identità individuale e sociale assieme. La mente, strumento dell’intelletto, ha necessità di definire, di limitare la realtà fisica, di concentrarne l’essenza in uno spazio mentale più puntiforme possibile, proprio perché l’intelletto possa metaforizzarne e simboleggiarne l’esperienza materiale, ritrovando l’indefinito e l’infinito nell’astrazione metafisica. La memoria individuale è resa quasi inutile dalla quantità e dalla rapidità delle informazioni, quasi sempre effimere e transeunti, e quindi labili, deboli, evanescenti. Le incidenze interiori di questo processo sono di difficile verifica logica, ma producono comunque una deconcentrazione e un’alienazione sia dalla realtà esterna che dall’interiore. Questa modifica biopsichica dell’entità fisiologica può produrre nel frattempo una modifica all’entità animica ad essa corrispondente, con conseguente perdita di alcune facoltà intuitive sui piani sottili che già l’umanità del medioevo conservava in parte.
Il modo
A) Il Segno - Le modalità dell’evocazione teofanica sono prodotte dalla magia simpatica. Questo termine non tradizionale è stato indotto dalla definizione di Fraser, ripresa poi dal Mauss e significa una tecnica magica che si ritiene produca il suo effetto grazie all’identità fra lo scopo perseguito e i mezzi adoperati. Il principio è che «simile produce simile». Il termine tradizionale è segnatura, sigillo, analogia.Le concezioni magiche tradizionali ritenevano, per il principio esoterico del: «Tutto in Uno, Uno in Tutto», che ogni energia universa si rispecchiasse sulla natura, sulle cose, sull’uomo. Se la finalizzazione del rito era quindi la creazione di uno stato di potenza si pensava che adunando tutto ciò che materialmente e/o simbolicamente rispecchiava l’energia «potenza» si potesse attrarne le qualità. Da qui le tavole analogiche tradizionali d’equipollenza simbolica, di cui il massimo codificatore fu Cornelio Agrippa. Il Quadro di Loggia nei vari gradi massonici è un esempio classico di questa «evocazione», espressa per il principio analogico con simboli rappresentati graficamente.
B) Il gesto rituale come comunicazione metafisica. - La principale forma di comunicazione non-verbale è stata il gesto. Gli studi di Morris, Lorenz, Iränaus Eibl-Eibesfeldt, Hall, Drosher hanno affermato che la gestualità negli animali e nell’uomo è innata, ma può evolversi e maturarsi per apprendimento. Il gesto ieratico, espressione prima della ritualità, è comune a tutte le culture, anche senza influenza diretta. Esprime un’imitazione, istintiva e cosciente, dei grandi cicli celesti e terrestri, ed uno degli elementi fondamentali dell’allineamento micro-macrocosmico, con cui l’uomo può sperimentare stati dell’essere non comunemente conosciuti.
C) Il contatto rituale come scambio d’energie sottili. - Nelle antiche credenze, comuni ad Oriente ed Occidente, non si considerava, nella fisiologia materiale, dell’uomo solo la sua componente visibile. Energie più sottili, chiamate in Occidente eteriche o astrali formavano la sua fisiologia non visibile con potenzialità che potevano essere attivate, scambiate ed aumentate attraverso il contatto fisico, in quanto la posizione dei centri o nodi energetici fisici coincidevano con quelli iperfisici. L’imposizione delle mani, ad esempio nell’unzione regale, nell’ordinazione sacerdotale o nella terapeutica, trasmetteva energie sottili attraverso uno dei nodi più importanti della fisiologia visibile ed invisibile dell’uomo. Lo schiaffo o collata dell’investitura cavalleresca trasmetteva qualità marziali attraverso la violenza (o lo choc dell’atto). Nell’iniziazione artigiana da cui la Massoneria prende origine, il segno nei vari gradi tende ad attivare le energie corrispondenti. Il segno gutturale del 1° grado evoca il Logos, che attraverso il Fiat effettua la creazione primigenia, l’inizio spaziale e temporale dell’attuale stato dell’essere. Il segno cardiaco del 2° grado risveglia il pensiero del cuore, quella facoltà intuitiva e istintiva che poneva l’umanità in contatto diretto con l’energia universa, e che è stato in parte perduto attraverso la necessaria evoluzione umana verso la razionalità, il pensiero della mente. Il cammino esoterico non comporta certamente la perdita della razionalità, conquista terribile, faticosa e dolorosa, ma la riacquisizione e la coordinazione mentale e spirituale di quegli elementi di sensibilità sottile perduti dall’uomo nel suo cammino evolutivo. Il segno addominale del 3° grado riattiva il terzo gran nodo energetico dell’uomo, quello generativo, la cui forza, come recita l’Ecclesiaste, «è più forte della morte». Frate Elia da Cortona fu un notevolissimo personaggio, successore di S.Francesco nell’Ordine e perseguitato per sospetta eresia da S. Antonio da Padova e da Gregorio IX. In un suo sonetto ermetico Elia accenna a questa operatività quando afferma: Allor ti puoi tocar sotto il belicoe dire: i’ son Maestro certamente. I toccamenti massonici, segno di riconoscimento dei Fratelli nei vari gradi, esprimono lo stesso concetto, in quanto le dita della mano esprimono a loro volta vari tipi d’energia, secondo gli schemi analogici della cosiddetta »mano pantea» misterica e neoplatonica. La presa o griffe del Maestro, detta anche i «Cinque punti della Maestria», che rappresenta la parte finale del rituale d’elevazione al grado di Maestro, rappresenta una vera trasmissione fisiologica e metafisica di poteri iniziatici. È da notare che la ritualità massonica non è in genere una trasmissione personale e diretta di un’influenza spirituale. Essendo la trasmissione esoterica, quella, appunto, iniziatica, del terzo stato sociale, ha caratteristiche collettive, perché necessita di un certo numero di Fratelli, tre o cinque o sette, per la validità del rito. La presa di Maestro è invece l’unica forma massonica concessa di trasmissione iniziatica diretta e personale, da Maestro a Discepolo. Un altro esempio di ritualità massonica attraverso il gesto e il contatto consiste nella Catena d’unione. Introdotta nella Massoneria francese nella seconda metà del XVIII secolo, ha origini primordiali nell’ambito della ritualità universale. L’uso rituale della catena d’unione, mantenuto nella liturgia massonica, ha un’antichissima origine nelle danze rituali dei popoli antichi. Per questi la danza non era soltanto un mezzo di puro divertimento, ma aveva una scopo pragmatistico di ritualità magica, in cui ci si riprometteva di mettere in opera una forza sovra-individuale, cercando di metterla a profitto della comunità. Quest’antica operatività, la cui arte esiste ancora in alcune comunità religiose od esoteriche, è tuttora vivente. Secondo queste concezioni, la danza agisce nel frattempo su due piani: Eggregorico: la formazione d’eggregoro è facilitata dalla simultaneità dei movimenti, indotta dal ritmo musicale ossessivo, spesso dalla ripetizione di un motivo cantato di tipo mantrico, ecc. che produce una sinergia simultanea delle componenti psichiche ed animiche dei partecipanti Individuale: lo stordimento della coscienza impegnata in un’attività fisica di notevole fatica, l’assenza di pensiero che ne deriva, favorisce, in una sorta d’inebriamento spesso aumentato da bevande ed eccitanti, il distacco dei corpi sottili e quindi la possibilità d’estasi e visioni e di contatto quindi con i piani superiori. A esemplificare quest’operatività si possono ricordare le danze dionisiache, che potevano terminare con il furore delle baccanti e delle menadi, i sacerdoti cananei di Baal, i profeti israeliti. Ai nostri tempi possiamo ricordare come nell’islamismo vi sia ancora la confraternita religiosa Mawlawiyyah (in turco ‘Mevleva’), o dei «dervisci giranti», la setta metodista degli Jumpers (saltatori) in Inghilterra ed in America, quella dei Chlysti nella Russia. Nell’antico mondo mediterraneo i balli ciclici o pirrici, sia maschili sia femminili o misti potevano essere di semplice girotondo o tendendosi stretti incrociando le mani dietro le spalle. Il mito narra che fu Teseo che, per sciogliere un voto ad Apollo, danzò con i suoi compagni prima a destra, poi a sinistra, stabilendo così i primi ritmi della strofe e dell’antistrofe. Sono così caratterizzati i nostri stessi procedimenti d’apertura e chiusura rituale con deambulazione a destra (senso orario o solare), e, in alcuni usi rituali, la chiusura con deambulazione a sinistra (senso antiorario o polare). La storiografia riporta queste danze, ricordate anche nei poemi omerici alla tradizione cretese. Le pirriche presero il nome da Pirro, figlio d’Achille che l’avrebbe danzata in tali forme. Alessandro l’avrebbe danzata a Faselide, intorno alla tomba di Teodette, prima della conquista della Persia. È chiaro in questo caso che Alessandro intendeva ottenere magicamente un rapporto od un’identificazione con l’eroe defunto.Ognuna di queste danze originarie fornì il tipo della lirica corale per i generi melici, già tradizionalmente affermati nelle caratteristiche di melodia e di ritmo. Le battute che segnarono il tempo delle danze furono più spesso di 2/4 o 6/8 e meno frequentemente di 2/4 o 6/8 e, tra queste, quelle di 6/8 e 5/8, più proprie delle danze che si chiamavano stasimotere, nelle quali i danzatori, pur movendosi per evoluzioni diverse, non si allontanavamo mai dal luogo scelto per l’esecuzione orchestrale; mentre il 2/4 e 2/2 erano tempi appropriati agli embateri o danze processionali, che più da vicino si riportavano al passo della pirrica. Alcame, per primo, nei parteni, usò alternare i ritmi di 6/8 e 2/6 e concepì un nesso ritmico-melico che nelle danze stasimotere e processionali si susseguivano di continuo. I vari passi tradizionali che accompagnavano i ritmi meriterebbero un’analisi da un’esperta di questo settore, e producevano certamente un loro particolare effetto sia psichico sia metafisico.Pur senza dilungarsi in descrizioni tecniche, si può ricordare che ogni euritmia aveva una particolare finalizzazione, così come insegnava ancora pochi decenni fa la scuola esoterica di Gurdgjeff. Un’altra applicazione statica di questa dottrina si può ancora esemplificare nei segni d’ordine massonici o iniziatici in genere. La caratteristica della catena d’unione così come oggi è effettuata è quella di aumentare in proporzione geometrica la potenzialità eggregorica dei partecipanti, che il capo-catena ha il compito di raccogliere e finalizzare con particolari metodiche. Il contatto fisico dei partecipanti, eseguito secondo le regole della fisiologia sottile, produce energia: la concentrazione dei partecipanti e quella del capo-catena la dirigono. Questo contatto fisico si ottiene semplicemente stringendo con la mano destra la mano sinistra del partecipante, e viceversa, come nella pratica rituale del girotondo che inconsciamente i bambini effettuano da sempre, tenendo conto che l’energia circola meglio secondo queste considerazioni: la mano destra dell’uomo ha polarità positiva, la sinistra negativa. Per la donna, la polarizzazione è opposta. Se la catena fosse formata da soli uomini o sole donne, sarebbe sufficiente il tenersi semplicemente per mano. Se la catena è mista si deve procedere in tal modo: gli uomini incrociano le braccia (la destra sulla sinistra), prendendo la mano sinistra dell’uomo che gli è accanto con la mano destra. Le donne (alternate agli uomini) non incrociano le braccia ma avendole distese prendono con la destra (-) la destra (+) dell’uomo che gli è accanto a destra e con la sinistra (+) la sinistra (-) dell’uomo che gli è accanto a sinistra. Se le posizioni non fossero queste avremmo la sinistra dell’uomo (-) unita con la destra (-) della donna e la destra della donna (-) con la sinistra dell’uomo (-). In questo caso l’energia non potrebbe ne prodursi ne circolare. Curiosamente la catena d’unione massonica, nelle comunioni solo maschili, - corretta in quanto sinistra [-] con destra [+] - è effettuata come se dovessero esservi elementi femminili. Quando la catena è correttamente chiusa ogni membro a occhi chiusi visualizza intensamente il volto del capo-catena che a sua volta, sempre a occhi chiusi, visualizza lo scopo o l’effetto proposto. Quando il capo-catena ritiene che l’energia si sia prodotta e sia circolata correttamente, invia l’energia, scuotendo per tre volte le braccia (ogni volta con una pausa d’alcuni secondi) producendo lo stesso effetto nei partecipanti alla catena, che la sciolgano subito dopo. Le antiche scuole iniziatiche avevano una vera e propria teoria rituale sull’uso operativo della catena d’unione.
La parola - La parola costituisce il modo di comunicazione legato alla razionalità, ed interagisce con essa. La raggiunta razionalità degli esseri umani ha prodotto l’uso della parola, ma l’uso della parola a sua volta produce razionalità. L’esposizione di un concetto, astratto o concreto che sia, attraverso la parola è una tecnica mentale complessa e raffinatissima che è oggetto di una precisa branca di studi psichici e psicologici. All’origine di questa razionalità la definizione di una qualsiasi realtà, fisica o metafisica che fosse, attraverso la parola, era considerata un potere formidabile sulla stessa realtà considerata. Per il principio esoterico d’unità globale non vi era differenziazione fra realtà descrittiva e realtà descritta, e nominare una cosa significava nel contempo possederla. L’uso di formule magiche, di lingue arcaiche, o anche di semplice glossolalia determinava quindi dominio o potere sulla cosa desiderata o anche sulle stesse divinità di cui si possedeva il nome. Per questo molto spesso gli Dei o anche le città avevano un nome segreto, da nascondere ai profani o ai nemici. Lo stesso concetto è applicabile all’uso di all’assumere uno ieronimo all’atto dell’iniziazione. Nel rituale massonico, come in ogni rituale d’altro genere, vi sono due componenti essenziali. Una parte liturgica, basata sulle modalità sovradescritte di spazio, tempo e modo, in una schematicità ormai ampiamente descritta e codificata scientificamente, in modo tale che è possibile oggi avere dei parametri oggettivi di giudizio rituale. Cade così ogni soggettività individuale nella «correzione» o «restaurazione» di un rituale massonico, spesso affidate all’arbitrio estetico o ideologico del singolo. La parte letteraria del Rituale, in cui si esprimono concetti etici e morali, speranze, desideri e volontà, costituisce le finalizzazioni indispensabili, che possano anche variare con il mutare dei tempi, in modo da riportarne l’evoluzione-involuzione su basi tradizionali. La prudenza in questo campo è però indispensabile. La parte liturgica, che si fonda su principi immutabili ed eterni - come quelli che pongono l’uomo in contatto fisico e metafisico con l’universo - non può esser variata. I termini simbolico-operativi della Massoneria, ad esempio, avendo acquisito nel tempo una loro suggestività, ma soprattutto una loro potenza eggregorica, sono divenuti degli schemi liturgici a noi specifici e non possono più esser variati. In questi termini la Massoneria si può rilevare come un ponte forse unico fra un lontanissimo passato e un lontanissimo futuro, quando l’umanità avrà effettuato un salto di qualità tale da avere in se stessa gli schemi razionali ed istintivi assieme che collegano l’uomo alla natura, all’universo e a Dio. Quando questo avverrà, gli strumenti religiosi, rituali, iniziatici diverranno le stampelle che il malato ormai guarito lascia, come un ex-voto, ai santuari dei miracoli.
Vittorio Vanni

18 marzo 2011

- Giuliano Kremmerz


La storia della magia è indissolubilmente legata ai popoli e agl’uomini che nei secoli l’hanno profusa e praticata. L’Italia meridionale era chiamata dagli stessi greci Magna Grecia, non solo per ragioni geografiche, ma per le origini occulte dei popoli che la occupavano, come gli etruschi. La capitale esoterica dell’Italia Meridionale è da sempre stata Napoli, La Napoli di Enea, della Sirena Partenope, di Virgilio Mago, di Giordano Bruno, del Della Porta, del Campanella, del Conte di San Severo, di Domenico Bocchini, di Giustiniano Lebano e di Giuliano Kremmerz, solo per citarne alcuni. Le dottrine e i rituali magici dell’Italia intera dipendono dal sistema Egizio-Greco degli Alessandrini, poi sviluppato e migliorato da San Severo e custodito e trasmesso dal Lebano col nome Arcana Arcanorum, quindi non posso fare a meno di gettare luce su tali insigni maestri e sugl’ordini esoterici che essi hanno fondato, anche al fine di fornire allo studioso la dovuta conoscenza sulla storia esoterica d’Italia.
Carlo III di Borbone, Re di Napoli, fece costruire la sua sede estiva a Portici per le splendide ricchezze naturali del luogo: lo stesso Re che s’intratteneva in lunghi discorsi con il Principe Raimondo di Sangro di San Severo. E fu grazie alla monarchia che i grandi intellettuali del tempo passarono per Portici, come J.J. Winckelmann, l’archeologo di Ercolano e Pompei, o Mozart che vi soggiornò nel 1770. Durante la reggenza di Ferdinando IV troviamo alla sua corte uomini illustri quali Mario Pagano, Pietro Colletta, e Filangieri. Nel 1812 vi dimorarono Lord Byron, Giacomo Leopardi, Gioacchino Rossigni e Vincenzo Monti. Con Re Francesco II Portici prosperò: conobbe l’illuminazione a petrolio, e vi fu costruita la prima ferrovia italiana, ma il benessere non durò molto. Nel 1848 quando scoppiarono i grandi sovvertimenti nazionali e sociali d’Europa Portici ne subì a pieno le conseguenze in quanto sede della reggia dei Borboni, a quel tempo il Maestro Izar alias Pasquale de Servis (1837-1893) aveva 11 anni. Il 12 Gennaio di quell’anno Palermo insorse e i moti si estesero fino in Campania, al punto che Ferdinando II dovette concedere la costituzione, e al nord Carlo Alberto lo statuto al Piemonte. Quindi i democratici mazziniani imposero il programma della costituente italiana, e a Roma fu indetta la fine dello stato pontificio, nonché la proclamazione della repubblica romana. Ma ben presto le truppe di Luigi Bonaparte vinsero sulla resistenza restaurando i preesistenti stati: i moti nazional-liberali furono sconfitti. Nonostante tutto il Piemonte di Vittorio Emanuele conservò la costituzione divenendo il punto di partenza per l’unificazione nazionale. Fu il momento storico del grande statista Cavour, il quale permise un dialogo tra le diverse forze politiche che portò alla modernizzazione dello stato, senza dimenticare l’apporto di Giuseppe Garibaldi, gran maestro della Massoneria. Cosi nel 18 febbraio 1861 fu proclamato il regno d’Italia sotto la monarchia dei Savoia, e pochi mesi dopo, l’otto Aprile, Kremmerz nasceva, il De Servis aveva 24 anni. Il nome completo del Kremmerz era Ciro Nicola Salvatore Formisano, in quegl’anni le nutrici aiutavano a partorire in casa, e già il giorno seguente i neonati venivano battezzati nella chiesa del paese, che in questo caso fu quella di San Ciro nell’omonima piazza di Portici. La famiglia risiedeva in via della Torre, in un palazzo ancora oggi visitabile. Sui genitori del Kremmerz non sappiamo molto, il padre Michele Formisano, era un assistente di opere stradali e morì giovane quando Ciro era ancora piccolo, difatti fu lo zio materno a prendersene cura, mentre la madre, Gaetana Argano, apparteneva ad una facoltosa famiglia imprenditoriale. La coppia, sposata dal 1845 si era ormai rassegnata a non avere figli, quando, dopo oltre sedici anni di matrimonio, nacque il piccolo Ciro. I Formisano ospitavano il De Servis, ex ufficiale del genio Borbonico, figlio del medico Romolo De Servis e di Fiorini Angela, in un appartamento di loro proprietà. Izar usava affermare di essere figlio naturale di Ferdinando II, nonché discepolo alchimista della Scuola Napoletana Occulta facente capo a Raimondo de Sangro. Il De Servis si affezionò molto al piccolo Ciro diventandone poi il maestro. Kremmerz parlò sempre di Izar con venerazione. Ma chi era il De Servis? Negli ambienti Kremmerziani si sostiene che il De Servis avrebbe avuto come maestro lo stesso di Bulwer-Lytton, il famoso scrittore inglese innamorato dell'Italia ed ivi iniziato alla magia, da Domenico Bocchini che più verosimilmente può essere stato il maestro di Izar e di Filippo Lebano, padre di Giustiniano. Kremmerz divenne professore autorizzato all’insegnamento d’italiano storia e geografia per la provincia di Napoli fin dal 1878. Quindi insegnò all’istituto “Schioppa” negl’anni 1880-1882, poi presso l’istituto “Torricelli”, ed in fine all’Ateneo Municipale di Alvito negl’anni 1884-1885. Nel 1879 divenne Direttore letterario della Roux e Favale di Torino, incarico che coprì fino al 1880. Nel contempo si occupò dello stabilimento tipografico-libraio della casa editrice Tovene e C. di Napoli, trovando anche il tempo di pubblicare dei libri didattici: “Il sommario della storia d’Europa, ed. Jovene”, “La storia d’Italia, ed. Jovene”, “L’Elocuzione e la Letteratura, ed. La Cava” e “L’Avviamento alle belle lettere, ed. La Cava”. In quel periodo i genitori proposero al figlio il matrimonio con la primogenita di una ricchissima famiglia di Portici. La scelta del maestro cadde però su una donna più modesta: Beato Anna. Celebrate le nozze a Bari il 15 agosto 1887, la nuova coppia andò a risiedere in un appartamento di proprietà della signora Gaetana, accanto alla Chiesa di San Ciro. Il Kremmerz era un abile scrittore, così si dedicò al giornalismo. Fu prima corrispondente da Napoli del Giornale di Sicilia, poi grazie all’amico Paolo Scarfoglio, direttore del Mattino, venne assunto come redattore dello stesso giornale, dove fu vivamente apprezzato, ma purtroppo anche deriso dai colleghi per il suo interesse verso l’occulto. Così il Formisano preferì concludere la sua carriera giornalistica. Nel frattempo, nell’agosto del 1888, la consorte Anna aveva dato alla luce una bambina, cui venne dato il nome di Gaetana. Stavolta il maestro per uscire dalle ristrettezze si rivolse allo zio Materno, Ferdinando Argano, che però gli oppose un netto rifiuto, in seguito al quale i rapporti fra i due s’interruppero. Ma Kremmerz non si perse d'animo: dopo vari tentativi infruttuosi di sistemazione tentò, come molti meridionali del suo tempo, la via dell'emigrazione. Nei primi mesi del 1889 partì per Montevideo in Uruguay, lasciando nelle ristrettezze la consorte Anna che era di nuovo incinta, e la piccola Gaetana che aveva solo quattro mesi. Ma molti non sono d'accordo sulla veridicità del soggiorno americano del Kremmerz, questi rimase effettivamente assente per cinque anni, dando poche notizie di sé, ma sebbene discepoli ed amici abbiano raccontato storie favolose e poco attendibili, il biografo più affidabile del Maestro, Arduino Anglisani, nelle sue “Notizie Biografiche sul Maestro Giuliano Kremmerz”, esclude che il Kremmerz sia stato effettivamente in America, e avanza l'ipotesi che egli sia rimasto in Francia sbarcando a Marsiglia dalla nave che avrebbe dovuto fargli attraversare l'Oceano. Quel che si sa di certo è che la moglie lo vide partire su una nave diretta in America, ed arrivare cinque anni dopo a bordo di un'altra che aveva fatto il percorso inverso. Malgrado le tante leggende in realtà il maestro tornò povero da una forzata emigrazione. Il sottoscritto ritiene più credibile che il Kremmerz si recò in America per uscire dalle ristrettezze economiche, difatti il Mezzogiorno di fine ottocento era un territorio povero dove l’unica vera risorsa era l’agricoltura, a quei tempi predominava la figura del borghese rurale attaccato all’uso parassitario della rendita. Il nuovo regno d’Italia aveva problemi economici enormi: diversi sistemi d’imposizione e riscossione dei tributi, diverse tariffe doganali, diverse monete, diversi debiti pubblici. Occorreva dunque unificare i sistemi amministrativi e colmare il massiccio disavanzo causato dai vari ex Stati e dalle spese di guerra. Si studiò così un sistema di prelievo fiscale che però finì per colpire maggiormente i redditi mobiliari e i consumi popolari rispetto alla ricchezza fondiaria. La severa politica finanziaria di Quintino Sella prometteva di raggiungere al più presto il pareggio del bilancio ma alla fine del 1865 la politica finanziaria italiana era ancora gravemente deficitaria. Il ministro Scialoja introdusse allora il corso forzoso dei biglietti di banca, che se da un lato alterò il rapporto tra valore reale e valore nominale dell’oro e della moneta con effetti negativi sui prezzi e sui salari, consentì dall’altro lato di sopperire ai bisogni dello Stato, poi con la legge di liquidazione dell’asse ecclesiastico che colpì i beni della Chiesa e con quelle successive finalmente nel 1876 il governo Minghetti poté annunciare il pareggio contabile dello Stato. Ma per creare nuova ricchezza bisognava ammodernare il Mezzogiorno rimasto indietro rispetto al nord, un processo che possiamo dire perdurare ancora ai nostri giorni. Ora se rapportiamo quanto detto al piccolo comune di Portici dove accanto alle ville dei signori, coesistevano i rigattieri e gli analfabeti del popolino: colpiti duramente dalla recessione, possiamo capire perché il Kremmerz fu costretto ad emigrare in America. Innanzi tutto lavorò come redattore capo del giornale “L’operaio Italiano” di Buenos Aires dal quale in seguito si dimise. Nello stesso periodo, o poco dopo, divenne socio capitalista di un’impresa commerciale di compravendita di vino e liquori. Durante il suo soggiorno nell’America del sud praticò la professione di medico attraverso l’uso sapiente delle erbe, spostandosi di continuo tra una città e l’altra. Ma con spiegabile sollievo, il maestro avrebbe ricevuto nell'aprile del 1893 la lettera che lo richiamava in patria, dove il bisogno si era fatto meno pressante avendo sua madre ereditato una discreta quota della fortuna del facoltoso fratello, don Ferdinando Argano, passato nel frattempo a miglior vita. Quando il Kremmerz ritornò poté vedere la secondogenita Adele venuta alla luce nell'agosto del 1889, e a circa un anno dal rientro la signora Anna partorì l'atteso erede: il piccolo Michele. Ma poco prima che il Kremmerz potesse rivedere Napoli, l'amato maestro Izar lasciò improvvisamente questo mondo. Una mattina la signora Anna, recatasi come al solito ad accudirlo, lo trovò defunto: erano le 16:30 del vent’otto Febbraio 1893, Izar moriva a 56 anni. A questo punto, considerato che la famiglia si era accresciuta con la nascita dei bambini, la casa di Portici non era più sufficientemente grande. Nel 1895 il maestro, approfittando dell’eredità, si stabilì a Napoli dove prese in affitto un vasto appartamento nella zona di piazza Garibaldi, arredandolo riccamente. Nell'anno successivo, il Kremmerz gettò le basi per la costituzione di una Fratellanza Ermetica: la Fratellanza Terapeutica Magica di Myriam. Nel 1896 il Kremmerz subì un gravissimo tracollo finanziario: investì nell’allora florida ditta Florio e Rubantino che però sfortunatamente fallì. Così dovette trasferirsi in un appartamento assai più modesto al Vomero, in via S. Francesco, Palazzo Griselli, vendendo gran parte del mobilio e privandosi anche della servitù e della carrozza. Il Kremmerz ebbe anche bisogno di lavorare per arrotondare le rendite o quel che ne restava, perciò si assunse l'incarico di sbrigare la corrispondenza della Casa Editrice Detken e Rocholl di Napoli, che aveva sede in Piazza del Plebiscito, ai Portici di San Francesco di Paola. Il compenso giornaliero per questa sua prestazione era fissato in 5 lire, una cifra modesta, ma che unita a altre entrate gli permetteva di iniziare a proprie spese la pubblicazione del "Mondo Secreto", era il 1897. Attorno a quella rivista si formò un vasto cenacolo di occultisti e spiritualisti, suscitando consensi e polemiche. La stessa eccezionale personalità del Kremmerz polarizzava interesse e simpatie: sempre allegro, scherzoso e disponibile. Sembrò tuttavia inaudito a molti iniziati che la magia, ritenuta da sempre privilegio di pochi, anzi dei pochissimi che fossero riusciti a pervenirvi dopo aver cercato e bussato ovunque, magari per tutta la vita, venisse propagandata a mezzo stampa. Difatti questo gli costò l’amicizia con l’illustre maestro Giustiniano Lebano (1832-1909). Soprattutto dopo la morte di Izar, il Kremmerz gli fece frequenti visite, in principio apprezzate dal Lebano che aveva notato le eccezionali doti del giovane; tuttavia quando l'avvocato apprese della fondazione della Myriam e dei suoi scopi divulgativi, interruppe i rapporti. Infatti se ad una catena di anime non appartengono altro che uomini attaccati alla materia, ad essa mai si avvicineranno gli Eoni o i Geni più evoluti, così i suoi anelli formeranno una trappola. In una catena l’anello più debole trova giovamento dalla forza degl’altri, mentre l’anello più forte deve sopportare il maggior peso derivante dalla fiacchezza degl’anelli deboli, e così la catena diviene nel contempo uno strumento d’evoluzione oppure d’involuzione, dunque non bisogna fare certo distinzioni in base al ceto o al blasone, ma è giusto giudicare se un uomo ha le qualità morali e spirituali per intraprendere la via della magia. Ma in cosa consisteva la propaganda magica? Il Maestro Giuliano Kremmerz, insegnava, la magia naturale, la Terapeutica e le Evocazioni, attraverso la padronanza delle quali lo studioso poteva accedere alla più elevata e riposta magia trasmutatoria, di cui non si scrive se non nei simboli indecifrabili ai profani. Il Maestro Kremmerz proponeva la pratica della Filosofia Ermetica, da non confondere con il semplice ermetismo filosofico. La dottrina ermetica è un complemento della pratica, e senza di questa resta un enigma incomprensibile. L'eccezionale merito del Kremmerz è stato l'aver ristabilito, con proprio personale sacrificio e pericolo, l'insegnamento e la pratica iniziatica. Il Kremmerz ebbe sempre più di un rifugio segreto per operare in magia fuori dell'ambiente familiare. Uno di questi studi si trovava nei pressi del vecchio palazzo delle Poste a Monteoliveto, attualmente sede della Facoltà di Architettura. Il maestro era comunque continuamente assillato da richieste di numeri del Lotto, come i tempi e le usanze richiedevano, ma non si piegò mai di buon grado a queste richieste, come è certo che mai ne approfittò per sé. Il famoso cambiamento di posizione economica del 1897, non fu ottenuto come alcuni calunniatori hanno sostenuto, attraverso le vincite al Lotto, ma con un'attività lavorativa connessa agli eccezionali poteri terapeutici di cui il maestro era dotato, ed alla sua conoscenza di prodigiosi rimedi empirici per le malattie più incurabili. Al riguardo sono illuminanti le sue stesse parole tratte dal “Commentarium” un’importante rivista alla quale partecipò per anni: “Occorre per sommi capi che io riferisca brevemente i tentativi fatti per la costituzione di un laboratorio ermetico sperimentale. Cominciai ad occuparmene personalmente nel 1895, con mezzi assolutamente miei, fondandolo in una casa di campagna a Lettere, presso Castellammare di Stabia, allora che io dimoravo nei dintorni di Sorrento. Mio coadiutore fu un ottimo e profondo studioso di medicina ermetica G.G. che aveva preso impegno di dedicarsi al lungo lavoro di preparazione. Ma avvenuta la sua morte nel 1897, il disegno abortì e fu tutto dimenticato. Si ripetette l’identico tentativo al 1900 ed anche questa volta si dovette smettere. Al 1906 conobbi due signori che, associati, avevano messo su un laboratorio esperimentale pere i loro studii, un francese e un sud-americano. Ci unimmo per ampliare e completare quanto essi avevano già fatto. Causa la mancanza proporzionale del denaro necessario – per renderlo completo ne occorrerebbe moltissimo – cercammo di fare il meglio possibile per arredarlo fino al 1909. Parve allora che tutto dovesse nuovamente fallire, dovendo uno dei collaboratori ritornare in America; scongiurato questo secondo disastro, sono sei mesi che le esperienze, sul serio, si sono iniziate. E’ poco, come si vede; i risultati, i primi risultati mediocrissimi; ora si accenna ad avere un primo prodotto integrale – il mercurio specifico. Devo, per farle capire cosa voglio indicare, con questo nome spiegarle le idee generali delle applicazioni alchimico-ermetiche, a questa ricostruzione farmaceutica con criteri non solo chimici, ma alchimici nel senso ermetico. L’alchimia negli studii moderni e rimodernati vien considerata come una iperchimica dal punto di vista delle conoscenze analitiche della scienza contemporanea, ma in sostanza come è nella sua idea madre importa la soluzione non di quattro problemi come osserva il Piobb – la quadratura del circolo, il moto perpetuo, la panacea universale, e la fabbricazione dell’oro- ma un quinto e più complesso enigma dell’angelizzazione dell’uomo inferiore. Accingersi alla soluzione di uno solo dei cinque quesiti, è proporsi l’enigma alchimico. Lasciando da parte quattro di queste proposizioni e riferendoci solo al problema della panacea universale e dell’elixir di lunga vita, anche secondo gli studii odierni profani alla continuazione delle antiche e discreditate pratiche, questa idea sintetica di un medicamento tipico, atto a distruggere il principio morboso nell’uomo, non è un sogno inverosimile né una follia che resterà ternamente senza risposta. Infatti anche dal punto di vista bipologico, ammesso che ogni morbo è di origine microbica e parassitaria, il rinvenimento di un farmaco (veleno) che uccida tutti i microbi e parassiti e di un alexifarmaco (medicamento) che riattivi tutti i fattori biologici positivi, non è un enunciato che ripugna la logica. Senonchè la via per arrivarci è da studiarsi e saggiare. Mettiamo d aparte le opinioni filosofiche, entriamo nella pratica, e ognuno coi suoi mezzi cerchi di raggiungere la soluzione dell’enigma. Non è un esempio il risultato ottenuto due anni fa dal biologo Delage che ha fatto schiudere delle uova di ricci di mare non anteriormente fecondate? Non è una vera creazione artificiale di esseri viventi? La via che seguiamo noi è scientifica nel senso ordinario della parola? Lo vedremo dopo, in seguito alle esperienze, e nella lontana ipotesi che le esperienze possano raggiungere la perfezione, il metodo nostro (saremmo dei settari se non lo facessimo) lo metteremo alla portata di tutti i laboratori profani pro salute populi. Parlare ora di questi metodi è anche prematuro non solo, ma ridicolo, quando si vede che tra studiosi e studiosi di simboli alchimici vi è grande disparità di interpretazione che non è possibile intenderci – eppure l’alchimia di ieri sarà la scienza concreta e officiale di domani. Il nostro proposito non è di far discussioni; come nella scuola, il metodo è positivo: provare, esperimentare, riuscire. Dopo verranno altri se riusciremo a trovare le leggi e a presentarle con tutto il corteo scientifico per consolidarne i procedimenti. Questo che io le accenno è argomento sul quale ritornerò, ma per darle un lontano esempio dei garbugli alchimici, le voglio ricordare che questo mercurio, il quale, almeno pare riuscito, è un nome che si presta a mille interpretazioni e ognuno degli studiosi lo capisce in un modo o nell’altro leggendo i trattatisti di ermetismo alchimico. Affinché non si prenda abbaglio io le dico che il nostro mercurio è metallico ottenuto col trattamento continuo del fuoco o fornelli a dodici lampade, per triplice saturazione sofica, facendolo lambiccare al bagnomaria… tutte bestemmie per lei, ma tutte verità per noi e parole chiare, perché in ogni molecola o milionesimo di molecola vi è messo dentro un poco di quella materia cosmica o eterea che fa l’anima dell’uomo, con questo si vuol dire che nel nostro mercurio c’è parte importantissima dell’essenza vitale dei suoi preparatori. Questo primo prodotto – scarso come quantità, non ne abbiamo fatto che una trentina di grammi e il resto è andato perduto – lo abbiamo in gran parte distribuito in esperimento. Se ne desidera si rivolga all’Accademia che conosce.” È bene tuttavia ricordare che il Kremmerz predicò sempre la terapeutica gratuita, e gratuitamente la esercitò egli stesso, coi risultati strabilianti ricordati da molti ancora oggi. Se egli ne ricavò un qualche utile, forse anche notevole, questo consistette esclusivamente in doni effettuati spontaneamente dai beneficiati più facoltosi, che volevano manifestargli la loro gratitudine. Ma ciò gli costò caro dato che probabilmente qualcuno della cerchia dell’ordine osirideo lo denunciò per uso abusivo della professione medica, difatti per quanto capace e sapiente non era un dottore, inoltre a ciò vanno aggiunti i dissapori successivi con il regime fascista che nell’insieme giustificano le sue difficoltà con la legge del tempo. Nel decennio 1897-1907 il maestro continuò a vivere a Napoli, mentre “Il Mondo Secreto” si affermava sempre più e la fratellanza di Myriam si espandeva rapidamente. Per la Detken e Rocholl darà alla luce opere quali: “Angeli e Demoni dell'Amore”, nel 1899 il terzo numero de “La Medicina Ermetica”, Bollettino di Istruzioni ai Praticanti, sui cui figura il “Patto Fondamentale” di costituzione della Myriam. Nello stesso periodo il Kremmerz curò anche la pubblicazione, presso l'Editore Rocco di Napoli di una interessante collana di volumetti di occultismo intitolata “Biblioteca Esoterica Italiana”. Vi figurano una “Storia dell'Alchimia” di Pietro Bornia, la “Medicina Mistica” del Catalano, con introduzione e note dello stesso Kremmerz, “Cristo, la Magia e il Diavolo” di Eliphas Levi, “Il Guardiano della Soglia” del Bornia e la collezione del “Mondo Secreto”, raccolta in due volumi. Il Kremmerz amava scrivere nelle ore di silenzio notturno. Talvolta, d'inverno, si levava improvvisamente dal letto per porsi a scrivere, continuando sino al mattino. Buona parte della sua produzione letteraria è nata così. Nel 1907 il Maestro si trasferì a Ventimiglia, dove rimase fino al 1909, anno in cui, sulla Rivista "Luce ed Ombra" del Marzorati di Roma, cominciò ad apparire a puntate un'opera che subirà uno strano destino: “I tarocchi dal punto di vista Filosofico”, che ci è pervenuta incompleta poiché, improvvisamente, il Maestro ne diede il manoscritto alle fiamme molto prima che la pubblicazione ne fosse ultimata. Nel 1910 la Casa Editrice Laterza, di Bari, pubblicava in una edizione fuori commercio “Avviamento alla Scienza dei Magi”, opera fondamentale del Maestro, di inquadramento teorico della Magia. Nel 1909 il Maestro si era trasferito a Camogli, dove nel luglio 1911 la signorina Gaetana, la sua primogenita, si sposò. Nel 1912 si stabilì definitivamente in Francia sulla costa azzurra, precisamente a Beausoleil nei pressi di Montecarlo. Sempre a causa della pubblicizzazione dell'occultismo, nel 1911 si verificherà un altro incidente con un altro occultista: "Ottaviano", al secolo, il Duca Leone Caetani dell'Aquila di Sermoneta, alto iniziato all'arte regia e dotto islamista, che ritirò improvvisamente la propria collaborazione dal “Commentarium”, con una lettera polemica pubblicata sulla stessa rivista. Il Duca fu indignato, anche lui come il Lebano, per gli argomenti sacri che il Kremmerz esponeva ai profani. Dopo pochi numeri la Rivista cessò le pubblicazioni: le argomentazioni di “Ottaviano” erano condivise anche in alto? Sembrerebbe proprio di sì in quanto il Kremmerz ammise di essere stato costretto a interrompere la pubblicazione della rivista. Nel frattempo le difficoltà in Italia erano divenute insopportabili per le persecuzioni giudiziali innanzi dette e forse alcuni, invidiosi del suo successo, gli mossero una guerra occulta e palese, così il Kremmerz fu costretto a partire, e lo fece con profondo rammarico poiché adorava Napoli. Nei primi anni egli non mancò di fare frequenti viaggi sia a Napoli che a Bari e Roma, fin dall'epoca del soggiorno a Ventimiglia. In occasione di questi viaggi in visita alle Accademie, egli teneva conferenze interessantissime accompagnate da esperimenti di magnetismo. Nel 1929 videro la luce i “Dialoghi sull'Ermetismo”. Ma il maestro, data l’età non veniva più in Italia, specie per una frattura al braccio che gli rendeva difficile e faticoso il viaggio. In compenso, numerosi discepoli e ammiratori si recavano a trovarlo a Beausoleil. Negli ultimi anni della sua vita, a causa della minorazione al braccio, il Maestro dettava ad altri tutti i propri scritti: compresa la personale corrispondenza. Egli continuava così a dirigere la Myriam ed i discepoli, uno per uno, guidandoli moralmente e materialmente. L'incarico di segretario amanuense del maestro venne assunto da un giovane occultista, il parigino Jean Brennieére, studioso appassionato di ermetismo e assai legato affettivamente al Kremmerz. Nelle vacanze estive le due figliole, i generi e qualcuno dei nipoti andavano a trovarlo. Tra i tanti, il più grande dolore del Kremmerz era l’impossibilità di aiutare il figlio Michele inetto al lavoro. Verso la Pasqua del 1930 il devoto segretario Brennieére vide in sogno una bara; quando lo riferì al maestro, questi, sentendo che al giovane non era riuscito di vedere per chi fosse la cassa, lo avvertì: “Riavrete lo stesso sogno, sappiate vedere meglio”. Quando dopo qualche giorno il Brennieére risognò la bara, con sua dolorosa sorpresa, gli riuscì di vedere che vi stava disteso il corpo del kremmerz! La signora Anna, preoccupata dalla terribile premonizione, volle a Beausoleil la figlia Gaetana col marito, i quali cedendo alle insistenze del Kremmerz, e forse presaghi anch'essi della fine imminente, acconsentirono a restare con lui sino a maggio. Ai primi di maggio il Maestro cominciò a star male: avvertiva uno stato di malessere generale, non digeriva più, si sentiva la testa pesante. La sera del 6 maggio, al Casinò di Monaco si esibiva il Balletto Russo. I familiari per distrarlo, lo vollero con sé allo spettacolo, ed egli non seppe rifiutare. Tornato a casa stanco, trascorse una notte molto agitata. La mattina del giorno successivo, non dava quasi più segno di vita, rispondendo appena con cenni a qualche domanda. Il medico, chiamato di urgenza, diagnosticò un’emorragia cerebrale. Furono applicate delle mignatte, ma senza alcun risultato. Verso le undici il Maestro peggiorò ancora e serenamente spirò, erano le 16:00 del sette maggio. Per chi intendesse far visita alla tomba del Maestro, le coordinate della tomba sono le seguenti: SETTORE B, tomba N. 102, la tomba appartiene alla famiglia “Carenino-Lavino”, il cimitero è ovviamente quello di Beausoleil in provincia di Montecarlo.
Iniziazione Antica

16 marzo 2011

- Il Rituale Come Prassi Filosofica


Il rituale d’apertura dei lavori in grado d’apprendista ha un incedere solenne, maestoso, e non potrebbe essere altrimenti: pone le basi, le fondamenta dell’opera massonica anche per i gradi successivi. Chi ben comincia è a metà dell’opera. A ripensarci, è evidente il sapore massonico di questo adagio, sia sul piano rigorosamente operativo, in cui salde fondamenta garantiscono la durata d’un edificio, sia sul piano iniziatico, in cui il cominciamento del cammino è conditio sine qua non. Anche all’osservatore più distratto non può sfuggire il valore che nel rituale d’apertura è attribuito al tre: tre le domande del testamento a cui il profano deve rispondere, tre l’età simbolica dell’apprendista, tre i colpi di maglietto e della batteria, tre le luci e i gioielli di loggia, tre volte si nomina lo zenit, acme del percorso solare; tre i principî guida dell’opera: la saggezza, la forza, la bellezza; tre volte ripetuti i divieti di parlare di politica e religione, tre volte ripetuta la concessione della parola; il delta luminoso, infine, alle spalle del Maestro Venerabile. Meno evidente invece la tripartizione che organizza e ritmicamente scandisce le fasi dell’apertura. Tre volte ci si pone all’ordine: 1) dopo la copertura del tempio, per verificare che tutti siano liberi muratori; 2) al momento di consacrare il tempio, con l’apertura del libro sacro e la sovrapposizione di squadra e compasso; 3) alla vera e propria apertura dei lavori. Non a caso ci si pone all’ordine tre volte: per scandire con la massima solennità le tre fasi d’apertura dei lavori. Nella prima fase il Maestro Venerabile si accerta che l’officina abbia consapevolezza dei proprî doveri: e sono nove i doveri menzionati, multiplo di tre, come la triplice batteria. Quindi si accerta che vi siano le condizioni idonee, nel tempo e nel fine: e ne enumera tre . La seconda fase riguarda la consacrazione del tempio, e la triplice comunicazione dei divieti che comporta. L’ultima, che vede la vera e propria apertura dei lavori, ribadita dai principî che la devono guidare: saggezza, forza, bellezza. Ciò significa che il tre non è solo un importante simbolo del grado, ma un fondamentale criterio organizzativo, un sistema concettuale o filosofico o sapienziale, di cui tutto il rituale d’apertura è imbevuto; e questo criterio si applica sia ai singoli elementi, come l’età del grado e così via, sia a tutto l’insieme. In altre parole il rituale d’apertura ha struttura triadica o tripartita. È nel rituale d’apertura che si manifesta, immediatamente, un sistema organizzativo del pensiero: chi ben comincia è a metà dell’opera; o forse ancora più in là, come sostiene Aristotele. In tempi in cui le tre Luci non avevano sotto mano il rituale stampato, e forse per ragioni di sicurezza nemmeno disponevano di un manoscritto, era assolutamente necessario darsi una struttura mentale per non dimenticare l’ordine rituale dei lavori, le proprie e le altrui funzioni, e per istruire l’officina: inevitabile dunque far ricorso all’arte della memoria. Ed è parecchio stimolante notare che per Giordano Bruno, che il Grande Oriente d’Italia considera come proprio precursore, «la sede della mente e della memoria è distinta in tre parti». L’indicazione di Bruno non è rimasta senza seguito. Francesco Bacone, nell’istituire una metodologia di ricerca sulla natura di tipo induttivo, che si fondi sull’esperienza e sulla verifica dell’esperienza, pone come fondamento la «dottrina delle tabulae», o delle tavole, termine non ignoto ai massoni. La compilazione delle tavole -così si esprime Bacone- apre la possibilità, da un lato, di condurre alla «fonte delle cose», e dall’altro di «organizzare e ordinare i contenuti acquisiti in modo da consentire all’intelletto d’agire su di essi»; quest’attività organizzativa dei contenuti acquisiti Bacone la chiama «Ministratio ad memoriam», organizzazione della memoria. In ciò le tavole, nel metodo baconiano, hanno funzione fondamentale, soprattutto le tavole di primo grado, che organizzano e dividono la conoscenza acquisita in tre parti, secondo il metodo di Bruno. Si avrà così la tabula presentiae, che raccoglie i casi in cui il fenomeno si manifesta; la Tabula absentiae, con i casi in cui il fenomeno non si manifesta, e la tabula graduum, dove rientrano i casi misti, graduali. Riconnettendosi esplicitamente alla tematica di Bruno della luce, delle tenebre, e dell’ombra, che è un caso graduale dei due fenomeni, Bacone, principiando l’indagine della natura dal fenomeno calore, ricovera nella tabula presentiae il sole e nella tabula absentiae la luna, altre effigî non sconosciute al tempio massonico. L’ipotesi d’un influsso baconiano, per ciò che riguarda la consuetudine delle tavole massoniche, ci riconduce alle origini della metodologia moderna, ai tempi in cui a Londra la Royal Society innalzava a vessillo di una nuova filosofia sperimentale della natura proprio Francesco Bacone: correva l’anno 1660. Sappiamo che tra i fondatori della società figuravano Elias Ashmole e Robert Moray, entrambi massoni da quasi vent’anni e soci influenti, al punto che Isaac Newton, il grande personaggio della Royal Society, ha per molto tempo studiato l’antologia di Ashmole sugli alchimisti inglesi. La Royal Society nasceva in quell’anno dopo una lunga, quasi ventennale gestazione. Le riunioni che porteranno alla prestigiosa fondazione cominciano intorno al 1645 per iniziativa di Haak, un tedesco originario del Palatinato, e di Wilkins, il cappellano del principe palatino. La Yates ha dimostrato con dovizia di dati come dal matrimonio del principe palatino con Elisabetta Stuart d’Inghilterra sortisse l’abbondante letteratura rosacrociana del Seicento. L’Europa protestante vide nel matrimonio la possibilità di fermare la Controriforma cattolica e la potenza asburgica dominante. È in quel clima fervido di speranze per una riforma generale delle arti, delle scienze, della religione, che i manifesti rosacrociani (1614) destano entusiasmo in tutta Europa. E le speranze per la riforma universale, brutalmente troncate dalla guerra dei trent’anni, si concreteranno quarant’anni dopo, almeno per i territorî scientifici, nel baconianesimo della Royal Society, e nella sua «dottrina delle tavole». E, per comune intento di superare definitivamente i conflitti religiosi che avevano devastato l’Europa, era proibito, nelle riunioni della Royal Society, parlare di religione: un altro aspetto non ignoto ai massoni. Tra gli altri fondatori della Royal Society appare anche Cristopher Wren, il famoso architetto della cattedrale di S. Paolo, Gran Maestro della massoneria operativa. La sintomatica presenza di questo architetto d’influsso vitruviano-palladiano nella società che vedeva massoni e studiosi d’alchimia e pensiero rosacrociano ci introduce all’altra fondamentale influenza sul rituale d’apertura, in particolare sulla sua organizzazione mnemonica e metodologica tripartita, che proviene dal De Architectura di Vitruvio. In Inghilterra Vitruvio conosce una fortuna straordinaria in quel lasso d’anni che vede il fervore di riunioni e la fondazione della Royal Society, la fondazione della Gran Loggia Unita d’Inghilterra nel 1717, e la pubblicazione delle Costituzioni massoniche di Anderson del 1723. Periodo che i manuali di storia dell’arte definiscono «palladiano», fenomeno esclusivamente, tipicamente inglese, tanto che Anderson, nelle Costituzioni, lamenta con cognizione che «il grande Palladio non fu tuttavia sufficientemente imitato in Italia». Il testo di Vitruvio viene riscoperto e pubblicato in Italia nel Cinquecento: quattro edizioni latine e nove in italiano, senza contare le copie manoscritte e disegnate da architetti di grande fama. In Europa, salvo due edizioni cinquecentesche, la prima a consacrare la fama di Vitruvio tra gli architetti è del 1649, ad Amsterdam. È un’edizione quanto mai ampia, che raccoglie i commenti di Daniele Barbaro ed Henry Wotton. Nella concezione di Daniele Barbaro l’architettura «sopra ogni Arte, significa cioè rappresenta le cose alla virtù».
Il pensiero era condiviso anche dal Palladio, che nel suo trattato sull’architettura, dove dichiara Vitruvio suo «Maestro e guida», aveva posto a frontespizio un tempio con la virtù in trono sulla sommità: il suo trattato innalza letteralmente «un tempio alla virtù». Palladio che, giova ricordarlo, aveva compiuto il tradizionale percorso del maestro muratore, riteneva che l’arte poggiasse su principî universali e perciò approssimasse alla sapienza. E il suo amico Barbaro sosteneva che la «virtù consiste nell’applicazione»: la si raggiunge edificando. Quanto a Wotton
, nei suoi commentarî a Vitruvio, ricordava che il «Maestro Vitruvio» invitava a non essere un «Artefice superficiale e malcerto; ma un uomo che si immerge nelle Cause e nei Misteri della Proporzione» (corsivi e maiuscole come nel testo). Henry Wotton è altra persona legata al movimento rosacrociano che ha origine nel Palatinato giungendo addirittura a un culto per Elisabetta, la moglie del principe palatino, che durò tutta la vita. Ma primo promotore della riscoperta dell’architetto e trattatista romano è Inigo Jones, amico di Wotton, architetto inglese e massone cui si deve l’avvìo dello stile palladiano che avrà stessa, straordinaria fortuna anche negli Stati Uniti d’America: basti pensare alla Casa Bianca.
Inigo Jones, in esordio di carriera, viaggiò tra il 1613 e il ’14 tra Italia e Germania. Nel nostro paese studiò attentamente l’architettura antica, Vitruvio, e naturalmente Palladio; in Germania, dove lavorò anch’egli al servizio del principe palatino, il protettore dei rosacrociani, ebbe modo di approfondire gli studî su Vitruvio: stabilendo un’intensa amicizia col vitruviano Salomon de Caus, architetto francese protestante col quale nascerà un sodalizio che avrà un determinante seguito in Inghilterra negli anni Quaranta, nella stagione palladiana. De Caus, che progettò il giardino del castello di Heidelberg, dove viveva il principe palatino, connotandolo di una marcata flessione esoterica ed ermetica, nello stesso giro d’anni pubblica Les raisons des forces mouvantes, fortemente influenzato dai capitoli vitruviani sulla meccanica. Inigo Jones e Salomon de Caus, «sotto l’influsso della riscoperta di Vitruvio, coltiveranno quelle discipline che Vitruvio raccomanda come indispensabili per il vero architetto: le arti e le scienze basate sul numero e la proporzione, la musica, la prospettiva, la pittura, la meccanica e così via» Tornato a Londra Inigo Jones progettò per la città un grandioso piano articolato in tre poli, distrutto purtroppo dall’incendio del 1666. A tentare una sintesi, appare chiaro che il recupero di Vitruvio, del suo trattato e del suo modus operandi ci riconduce ogni qual volta, in quell’epoca, a persone direttamente o indirettamente legate al mondo massonico. Palladio, che è il primo, con Daniele Barbaro, a riscoprirlo, conobbe ancora le antiche corporazioni muratorie. Inigo Jones e quindi Cristopher Wren, entrambi massoni. De Caus e Wotton, di cui non sappiamo se fossero massoni, sono però legati al rosacrocianesimo che si sviluppa dal Palatinato, come lo stesso Inigo Jones. E al rosacrocianesimo d’impronta palatina sono legati molti esponenti della Royal Society, anch’essi massoni, e lo stesso Wren, Gran Maestro della Massoneria operativa, architetto vitruviano, cioè cultore di scienze e perciò promotore della Royal Society. Infatti molti storici sostengono che il palladianesimo angloamericano sia, di fatto, lo stile architettonico della Massoneria. D’altronde un’attenta lettura delle Costituzioni di Anderson del 1723, sceverando mito da storia, conduce nella medesima direzione. Il primo architetto storico menzionato da Anderson è Vitruvio, «padre di tutti gli autentici architetti». Seguono a ruota, tra le figure storiche di «autentici architetti» Palladio e Inigo Jones, «Grande Maestro Muratore»: «al tempo di Augusto, sotto il cui regno nacque il Messia, Grande Architetto della Chiesa, visse Vitruvio, il Padre di tutti gli Autentici Architetti fino a oggi…il Grande Palladio non fu tuttavia sufficientemente imitato in Italia, ma giustamente esaltato dal nostro Grande Maestro Muratore Inigo Jones» . Chiude la carrellata Cristopher Wren, cui spettano lodi e menzioni. Non è dunque un caso se la prima edizione londinese del De Architectura di Vitruvio esca qualche anno dopo le Costituzioni di Anderson, con i commenti di Barbaro, Wotton e naturalmente Inigo Jones, citato anche nel titolo; e nel giro di poco tempo, dopo una totale assenza nel mercato librario, si registrano ben cinque edizioni di cui una replicata l’anno successivo, cosa, a quei tempi, da best seller. È da immaginare che persone così autorevoli, architetti e scienziati, soci della Royal Society, urbanisti, trattatisti e poeti, difficilmente in officina si siano limitati a portare la «bavetta rialzata». È da immaginare che abbiano contribuito attivamente alla edificazione della massoneria speculativa almeno quanto hanno contribuito all’edificazione della città, come voleva Vitruvio, e alla diffusione del suo stile. È da immaginare che abbiano plasmato il lavoro di loggia come plasmavano le fasi di progettazione e realizzazione architettoniche. È da immaginare insomma che abbiano introdotto loro, nel rituale, non solo le copiose citazioni da Vitruvio, ma la stessa struttura concettuale del «padre di tutti gli autentici architetti». A un primo esame del testo vitruviano ci si imbatte nell’ormai familiare sistematizzazione logico-geometrica del pensiero per progressioni triadiche, prima delle quali divide le ‘parti’ dell’architettura in aedificatio, o costruzione, gnomica, o l’arte di misurare il tempo per la realizzazione d’orologi, e la machinatio, o meccanica. La aedificatio a sua volta si suddivide in tre generi: defensio, o architettura militare, religio, o edilizia religiosa, e opportunitas, le costruzioni di pubblica utilità. La aedificatio è governata in tutti i suoi generi da tre concetti: la firmitas, la venustas, la utilitas. E qui troviamo i primi concetti a noi consueti: firmitas, che si traduce correntemente in ‘solidità’, è criterio essenziale per il fondamento dell’opera; il rituale ne dispiega le valenze recitando: «la forza lo renda saldo»; la venustas è propriamente la bellezza - «la bellezza lo irradi e lo compia»; quanto all’utilitas, Vitruvio specifica che «richiede che la costruzione risponda allo scopo». Qui giova ricordare che per Palladio, il maestro indiscusso degli architetti inglesi, «l’arte si avvicina alla sapienza», e questo deve essere il suo scopo. Ed ecco il rituale auspicare che «la sapienza illumini il nostro lavoro». Se scopo dell’apertura dei lavori è d’innalzare «templi alla virtù», come volevano Barbaro e Palladio sulla scia di Aristotele, e dunque lavorare nel campo della aedificatio, allora i lavori devono vitruvianamente essere governati da utilitas, firmitas e venustas: sapienza, forza e bellezza. Per Palladio l’arte si avvicina alla sapienza, ma la sua era sintesi del pensiero vitruviano, non escogitazione autonoma. Per Vitruvio l’architetto è uomo che si muove a suo agio sia per esperienza che per raziocinio, versato in molti campi e discipline; l’animo nutrito dalla filosofia, evita l’arroganza e la parzialità, deve cioè essere tollerante. È evidente che tale perfezione etica e filosofica non può essere raggiunta che da «coloro che fin dall’età puerile salgono per questi gradi di dottrine». Ma la ragione della necessità di essere versato nello scibile umano, oltre la pratica che porta l’architetto a dover costruire opere per le più svariate funzioni, è che solo l’insieme delle discipline conduce a una «scienza universale»: alla sapienza. Solo le disparate discipline, nel loro insieme, ricostruiscono, l’universo intero. E questo Vitruvio lo spiega con il principio di corrispondenza tra microcosmo, l’uomo, e il macrocosmo, l’universo: «Io non penso che taluni possano a ragione chiamarsi così di subito Architetti, se non coloro che fin dall’età puerile salendo per questi gradi di dottrine, e nutriti della cognizione di molte scienze e arti, giugneranno al più alto colmo dell’Architettura…tutte le scienze hanno fra loro una corrispondenza e una comunicazione: perché la scienza enciclopedica, ossia universale, è, a guisa di un corpo intero, composta da tutti questi membri». Credo che questa descrizione dell’architetto sapiente, tollerante, riflessivo e attivo, inserito nel cerchio cosmico, si attagli abbastanza a ciò che dovrebbe essere il massone, e certamente la sapienza deve illuminare il lavoro d’entrambi. Vi sono altre triadi concettuali che costellano il trattato vitruviano: ordinatio dispositio e distributio, symmethria eurythmia e decor, che a loro volta si diramano in ulteriori progressioni triadiche. Ma è da notare che non si tratta solo di astrazioni. Tutt’altro: si tratta di momenti concretamente operativi, legati intimamente alla prassi del cantiere. Ma il rituale di apertura mostra di seguire la stessa scansione che nel trattato di Vitruvio ha la aedificatio, o costruzione, per la semplicissima ragione che i lavori si aprono per costruire. Tenendo presente che il trattato procede con una visione complessiva, universale: con una visione urbanistica di realizzazione della città come immagine del mondo.Perciò la prima parte del trattato affronta la defensio, o l’architettura di difesa, soprattutto mura e torri. Che è quanto il rituale affronta con i primi due doveri: la copertura del tempio, prima, e la verifica che chi si trova dentro sia libero muratore. Dopo la costruzione delle mura, va suddiviso lo spazio interno della città «secondo gli aspetti del cielo», cioè orientando la città secondo i quattro punti cardinali: «Innalzate tutto all’intorno le mura, rimane ad effettuarsi la distribuzione interna del suolo, e la direzione delle piazze, non che dei capi delle strade giusta gli aspetti del Cielo». Il metodo è il seguente: «Circa un’ora prima di mezzogiorno si segni, su un piano di marmo a livello, posto al centro della città, con uno gnomone, l’estremità dell’ombra; parimenti, dopo mezzogiorno…»: si giunge così all’individuazione dei punti cardinali. E qui il rituale prescrive che il Venerabile, dopo essersi accertato della posizione dei due Sorveglianti, cioè a sud e occidente, e della propria a oriente, chieda a che ora sia consuetudine aprire i lavori e che ora sia in quel momento; e riceve per due volte la risposta: «mezzogiorno». Così, anche il «piano di marmo posto al centro della città», ricorda non poco il quadro di loggia.A questo punto la fase successiva del trattato vitruviano investe la religio o l’architettura religiosa. Vitruvio indica chiaramente che il tempio abbia il lato minore la metà del maggiore, come l’ideale tempio massonico, e che sia disposto con la cella sacra a oriente: «I sacri templi degl’Iddii immortali debbono situarsi in modo che siano rivolti a quell’aspetto a essi conveniente…l’effigie riguardi verso Occidente, così che quelli che vanno all’altare per farvi immolazioni e sagrifizj, guardino l’Oriente». Il rituale segue la stessa scansione: il primo Sorvegliante, come «quelli che vanno all’altare a farvi immolazioni e sagrifizî», procede verso l’oriente, apre il libro sacro e vi sovrappone squadra e compasso. L’accensione delle tre luci e le tre invocazioni, che seguono la consacrazione del tempio, abbiamo già visto coincidono con i principî vitruviani della utilitas, firmitas e venustas.Il trattato di Vitruvio affronta, dopo gli edifici religiosi, quelli di pubblica utilità, che riguardano la cittadinanza intera e l’ex Venerabile, al termine delle tre invocazioni, ricorda che il fine dei lavori è «di pubblica utilità», è per «il bene dell’umanità». Il trattato di Vitruvio getta luce anche su altri aspetti del rituale che sono stati oggetto di estenuanti, e contrastanti, disamine simbologiche. Per esempio le tre età massoniche -tre, cinque, sette- corrispondono alle possibili tipologie del tempio. Tre sono gli ordini, cinque le specie di intercolumni e sette i generi planimetrici di templi. I tre ordini concernono la tipologia della colonna, le sue proporzioni e il suo ornamento, e ciò si attaglia all’Apprendista, che deve lavorare su se stesso, sulla pietra grezza, in solitudine e silenzio. Le cinque specie di intercolumni (letteralmente: ciò che sta tra le colonne) concernono invece i rapporti tra le colonne: cominciano a collegare, direbbe Vitruvio, le varie «membra» del tempio, come in grado di Compagno, il cui etìmo richiama appunto la condivisione. Mentre i sette generi planimetrici si attagliano alla figura del Maestro, che ha finalmente raggiunto una visione globale e non lavora più sulla pietra, ma sul progetto. E infatti i tre gradi sono distinti da pietra grezza, pietra cubica, e tavola tripartita. Spero di essere riuscito a restituire una minima parte dell’importanza che alle origini della massoneria speculativa si attribuiva al rituale d’apertura, col suo vigoroso impulso all’edificazione: chi ben comincia è a metà dell’opera. E l’avvìo non può che riguardare il comportamento, cioè l’etica: «innalzare templi alla virtù».È comprensibile che chi conosceva bene il trattato di Vitruvio, come accadeva a Inigo Jones e ai suoi amici, difficilmente dimenticasse l’ordine di apertura dei lavori e d’altro canto chi cominciava a impratichirsi nel rituale si trovava agevolato nello studio dell’architetto romano. Ma non è solo funzione utilitaristica. Il rituale d’apertura ci si presenta, sotto l’angolazione vitruviana, come un vero, grandioso progetto di costruzione della città ideale, centrato su una rigorosa struttura di pensiero tanto teorica quanto operativa, che tante menti ha impegnato, dalla
Città del Sole di Tommaso Campanella alla Nuova Atlantide di Francesco Bacone: per il bene dell’umanità.
Maurizio Nicosia