29 settembre 2011

- Bruno filosofo ermetico




Per collocare Giordano Bruno nella storia dell’ermetismo e della magia rinascimentale occorre riferirsi in primo luogo alle sue opere mnemoniche, il De umbris idearum, il Cantus Circaeus e il Sigillo dei Sigilli che contengono i suoi primi scritti sulla memoria. Quest’arte classica, considerata per lo piu mnemotecnica, ha avuto una lunga storia nel corso del Medio Evo. Nel rinascimento si rivifica tra neoplatonici ed ermetici come metodo per imprimere nella memoria immagini fondamentali ed archetipe presupponendo lo stesso ordine cosmico e consentendo cosi’ anche una profonda conoscenza dell’universo. Le ‘’ombre delle idee ’’ di Bruno sono immagini magiche, immagini archetipe celesti, che sono più vicine alle idee della mente divina di quanto non siano le cose inferiori; e non e’ da escludere che lo stesso Ficino, nel suo frequente uso della parola ‘’ombre’’, abbia voluto anch’egli intenderla in questa accezione. Chi era in possesso di un tale sistema si innalzava al di sopra del tempo e rifletteva nella propria mente l’intero universo della natura e dell’uomo come riflesso gnostico dell’universo nella mente. Imprimendo nella memoria immagini celesti, immagini archetipe del cielo che sono ombre vicine alla idea della mente divina dalla quale dipendono tutte le cose inferiori e imprimendo nella fantasia figure zodiacali ‘’si può ottenere il possesso di un’arte figurativa che assiste meravigliosamente, non solo la memoria, ma tutti i poteri dell’anima’’. Il sistema bruniano della memoria è perciò rappresentativo della memoria di un mago, che conosce la realtà oltre la molteplicità delle apparenze, avendo conformato la propria immaginazione ad immagini archetipe, e che, grazie alla sua penetrazione nella realtà, ha conseguito anche poteri operativi. L’operazione di Bruno appare assai semplice. Egli ha ricondotto la magia rinascimentale alle sue fonti pagane, abbandonando i tentativi del Ficino di elaborare una magia innocua dissimulandone la fonte principale, l’Asclepius, e schernendo violentemente gli ermetici religiosi che hanno creduto di fondare un ermetismo cristiano facendo a meno dell’Asclepius, e proclamandosi un Egiziano convinto che ha deplorato la distruzione fatta dai cristiani del culto degli dei naturali della Grecia e della religione attraverso cui gli egiziani avevano raggiunto le idee divine, il sole intelligibile, l’Uno del neoplatonismo; ed ha auspicato il ritorno della religione magica egizia e le loro leggi morali che sostituiranno il caos. Al contempo si rese conto che tali operazioni non potevano essere ne' comprese, ne' attuate da tutti, ma che era necessaria una selezione degli animi ed un graduale avvicinamento sia ai temi specifici che all'operatività che ne conseguiva. Lo disse e scrisse chiaramente sia nel preambolo della sua prima opera mnemonica, il “De Umbris Idearum”che inizia con l'incipit:
Ombra profonda siamo, e voi non tormentateci, o inetti : un’opera tanto importante non si rivolge a voi, ma ai dotti.
Sia poi nel discorso introduttivo di Hermes che, come manifesto programmatico dell'Arte della memoria dice:
Quest'arte non serve soltanto ad acquisire una semplice tecnica mnemonica, ma avvia e introduce anche alla scoperta di numerose facoltà. Di conseguenza, coloro ai quali sarà concesso di apprendere i più profondi principi dell’Arte, conformemente alla sua maestà, ricordino: di non divulgarla senza distinzione a chiunque, senza una selezione, ed elargiscano i suoi canoni esplicitamente ai singoli, in modo più intenso o più dilazionato a seconda dei meriti e delle facoltà ricettive di coloro ai quali deve essere comunicata. Inoltre, sappiano coloro cui è giunta questa arte: il nostro ingegno non è tale né da essere legato a una determinata corrente di filosofia altrui né da disprezzare universalmente qualunque altro indirizzo filosofico. Davvero non c'è nessuno che non teniamo in gran conto tra coloro che si sono appoggiati al proprio ingegno per giungere alla contemplazione delle cose e che hanno costruito qualcosa con arte e metodo. Non trascuriamo i misteri dei Pitagorici, né sminuiamo la fede dei Platonici e non disprezziamo neppure i ragionamenti dei Peripatetici, quando si fondano su una premessa reale.

L'operazione iniziatica appare chiara: un percorso non per tutti, ma accessibile a tutti. Una iniziazione progressiva dove conformemente a stati interiori di consapevolezza e di percezione, corrispondono capacità ricettive di insegnamenti arcaici, sempre più vicini alla Sorgente iniziale di gnosi.
“Quando l'orecchio del discepolo è pronto a ricevere la parole, giungono le labbra del Maestro a pronunciarle”
Con la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 e con la rivoluzione
copernicana del 1530, il mondo occidentale si trovò a fare i conti con una nuova realtà. Erano crollati muri e barriere che si credevano invalicabili e definiti per sempre; tutto tornò in discussione, il predominio del papato subiva la riforma luterana dopo quella anglicana, il mondo diventava più ampio e si preparava una nuova era, quella della modernità. Bruno comprese ed accettò il sistema copernicano, ma alzò la testa verso le stelle, verso l'universo infinito e nella “Cena de le Ceneri” portò la sua critica a Copernico. La Cena de le Ceneri è il primo dei sei dialoghi italiani seguito dal “De la causa, principio et uno” e il “De l’infinito universo et mondi”, come primo trittico sul concetto di infinito universo e lo “Spaccio de la bestia trionfante”, la “Cabala del cavallo pegaseo” e “De gli eroici furori” per indicarne la riforma etico, morale e sociale che tale percezione comporta passando attraverso la tecnica cabalistica come chiave di lettura dell’intellegibile, per la liberazione dell’animo umano nei furori. Bruno li scrisse e pubblicò tutti a Londra, nell’arco di due soli anni dal 1584 al 1585, e in italiano, come il precedente “Il Candelaio”, commedia anch’essa in volgare per rivolgersi ad un pubblico più vasto e lanciando semi da fare attecchire e germogliare negli animi più predisposti, capaci poi di seguirlo nelle opere latine dove affina e da metodologie operative al suo pensiero. Ne ”La cena delle ceneri”, Bruno getta le basi della sua “nova filosofia”e racconta di come si scontrò coi dottori di Oxonia per la sua critica all’eppur nuova e straordinaria teoria copernicana. Ma la sua non era critica, era solo un completarla, intuiva l’Universo infinito senza centro…. o con infiniti centri. Copernico s’era limitato a sostituire il geocentrismo con l’eliocentrismo, aveva intuito, ma non fino in fondo, aveva calcolato, ma nei limiti dei calcoli, non aveva immaginato equazioni più profonde. Bruno intuì l’universo, infinito, senza limiti e con innumerevoli mondi: da questa intuizione inizia il suo percorso, come nuova condizione umana ad una nuova concezione del mondo. Il presupposto fondamentale di tutta la filosofia bruniana è che: una volta ammesso che Dio è infinito, e questo lo ammettevano anche prima di Bruno, e una volta ammesso, soprattutto con Bruno e proprio nella Cena, che anche la natura è infinita, due infiniti non possono concettualmente coesistere rimanendo separati e distinti, ma due infiniti non sono che un medesimo infinito. E il sapiente, il filosofo, il mago, colui che cerca, cerca la natura, ma nel cercare nella natura, cerca anche Dio, Dio che è fatto natura. (Emblema Atalanta Fugiens) Bruno parla di “profonda magia”, cioè di quella magia che è un sapere tanto forte da essere in grado di penetrare nelle segrete singolarità della realtà naturale e nella Cena delle ceneri fa precisazioni importanti, ispirato da un punto di vista speculativo dal pensiero di Plotino, in termini di filosofia religiosa, il problema del rapporto tra Dio e Natura: Dio è trascendente, rispetto alla natura, che agostinianamente ha creato rimanendo al di la di essa, oppure: Dio è immanente nella natura, cioè è l’attività produttrice che è come il motore interno della natura, ma non se ne distacca. E nella Cena delle Ceneri, per trovare una via d’uscita dallo scontro con la filosofia trascendentistica dominante, Bruno adopera l’idea plotiniana del duplice atto. Infatti parla delle due Sofie: una, la sapienza di Dio, trascendente, e la sapienza, viceversa terrena, immanente nella natura; e dice che all’uomo è dato di conseguire soltanto la seconda, la sofia terrena, in cui la verità è immanentizzata nella natura; quell’altra Bruno non la nega ma riconosce che è preclusa alla capacità dell’uomo. Ma in quella che Bruno chiama sofia terrena, cioè la conoscenza della natura, è una conoscenza in cui, che cosa si conosce? Che cos’è che costituisce il vero e proprio contenuto di questo conoscere? La verità è l’idea, ma l’idea noi non la vediamo e tocchiamo; piuttosto noi vediamo e tocchiamo le cose sensibili che sono, platonicamente “ombre delle idee”, come Bruno titola appunto la prima delle sue opere. Ad una nuova visione del cosmo deve necessariamente corrispondere una nuova visione dell’uomo. Con queste parole poste all’inizio della cena delle ceneri, Bruno annuncia la nuova era, che apre lui stesso, lui che
“ha disciolto l'animo umano e la cognizione,
e……. ch'ha varcato l'aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati gli margini del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia de le prime, ottave, none, decime ed altre, che vi s'avesser potuto aggiungere, sfere, per relazione de vani matematici e cieco veder di filosofi volgari; cossì al cospetto d'ogni senso e ragione, co' la chiave di solertissima inquisizione aperti que' chiostri de la verità, che da noi aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donati gli occhi a le talpe, illuminati i ciechi e ……. Far quel progresso col spirto che non può far l’ignobile e dissolubile composto, “
ignobile e dissolubile composto che è il corpo umano appesantito dalla materia. Bruno s’erge come uomo cerniera fra il vecchio e nuovo mondo che s’apriva col ‘600, ultimo della tradizione rinascimentale che con immagine plotiniana, traboccava, aprendo la via al secolo dei lumi. La sua nuova visione dell’universo dentro il quale l’uomo si inserisce e si ritaglia un proprio spazio, fatto a misura di ciò che realmente è, per quello che vale e per come può incidere nella realtà che lo circonda, che è a sua perfetta somiglianza: ciò che è percepisce, come se si specchiasse in se stesso. Vedeva il rapporto uomo – natura come immagine riflessa da uno specchio: quello che esiste oltre lo specchio non è altro che ciò che gli mostra. La natura si riflette in noi come noi in lei, in una vicissitudine dove l’uomo diviene sempre centro di quell’universo che da lui si propaga. Dal macro al micro cosmo, l’uomo si pone quindi in modo nuovo, come uno degli infiniti punti e quindi sempre centro per suo volere, potere ed azione: “Se l’universo è infinito, ogni punto è centro dell’universo” La dimensione della visione del reale si sposta quindi dall’orizzontale al verticale. Posto che la percezione sensoriale non rappresenta che uno degli infiniti modi con cui si può percepire la realtà e posto che il nostro “punto di osservazione” dipende esclusivamente da come siamo “NOI” e da come osserviamo il mondo e che da questo punto d’osservazione noi agiamo, interveniamo sul divenire, interagiamo con esso, con l’intensità della nostra energia data dal modo e dal mondo in cui viviamo e da cui percepiamo la realtà, quel che di essa assorbiamo e di cui ci alimentiamo, e come con essa interagiamo. Passare dall’orizzontale al verticale, significa quindi “porsi” ad un determinato livello o piano geografico, geometrico o geodetico di vibrazione, assorbendo l’energia che poi il reale ci restituisce.
“La costruzione d’una natura padroneggiabile dalla mente perché la mente possa ricevere
a sua volta ritmo e proporzione dalla natura”
Con la sua sfolgorante visione, Bruno apre le porte al mondo moderno, mondo della ragione, della scienza, della ricerca e della conoscenza che vede nell’uomo non tanto il centro dell’universo come scopo del creato per intervento divino, ma la centralità dell’uomo nell’universo, come una delle tante manifestazioni della natura, capace di percorrere la strada che lo porta sempre più ad una dimensione finanche “divina” del tutto. Proprio come Pico aveva magnificamente espresso sul finire del XV° sec.
" Non ti diedi, Adamo, una stabile dimora, ne un’immagine propria, né alcuna peculiare
prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volontà, quella dimora, quell’immagine, quella prerogativa che avrai scelto sicuramente. Una volta definita la natura alle restanti cose, sarà pure contenuta entro prescritte leggi. Ma tu senz'essere costretto da nessuna limitazione, potrai determinarla da te medesimo, secondo quell'arbitrio che ho posto nelle tue mani. Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo. Non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, alle divine."
Roberto Momi

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