1 settembre 2011

- LA TOMBA DEL TUFFATORE












Della pittura di Paestum non si aveva alcuna possibilità di poter parlare se non per il IV secolo, quando una ceramica riconosciuta per pestana e le tombe dipinte lucane attestano un interesse particolare verso questa forma d’arte, insieme ad atteggiamenti di notevole significato e certamente autonomi, dei quali, però, sfuggiva la correlazione con l’arte greca.Il rinvenimento nell’estate del 1968 di una tomba dipinta greca degli inizi del V secolo ha offerto, improvvisamente, dati nuovi, oltre che un’opera d’arte di valore assoluto.Nell’ambito di ricerche programmate dai Convegni di Taranto sulla Magna Grecia, ci si era posto il problema del significato e della intensità dell’influenza della cultura greca dell’Italia meridionale nei confronti della cultura e della vita economica e politica dell’area etrusco-laziale: ci si chiedeva, in altri termini, se e come, in età arcaica, dall’VIII al V secolo a.C., l’Etruria e la nascente Roma avessero recepita la cultura greca, ed entro quali limiti la grecità avesse agito, in particolare su Roma, quale elemento formativo in età arcaica. Tale problema ha nella Campania uno dei suoi elementi chiarificatori, facendo questa regione da cerniera tra i due mondi, a causa della sua posizione centrale rispetto agli itinerari, sia terrestri che marittimi, che collegavano le splendide città greche fiorenti sul mare Jonio, Taranto, Metaponto, Siri, Sibari in particolare, con il mondo etrusco-laziale: non a caso il fiume Sele è stato sempre considerato dagli antichi come netto confine tra due mondi, e non a caso, ancora, la piana campana e le acque di Cuma hanno visto i più cruenti scontri tra mondo etrusco e mondo greco.Si poneva quindi la necessità di intensificare l’indagine archeologica in quelle aree della necropoli di Paestum, nelle quali si aveva ragione di sospettare la presenza di tombe greche di età arcaica, onde eventualmente cogliere documenti interferenti nel problema delle correlazioni tra mondo greco e mondo etrusco-laziale.Sino a questo punto ci ha guidato la consapevolezza del problema storico e la conoscenza del terreno archeologico della piana di Paestum: da questo momento in poi subentra la buona fortuna, la quale spesso, nella ricerca archeologica, suole sposarsi con quanti fanno di tale ricerca un atto razionale e, nello stesso tempo, un atto di fede e di amore. Iniziatosi lo scavo, la quarta tomba posta in luce, in circostanze certamente fortunate, è la Tomba del Tuffatore: si verificava così il più sconvolgente rinvenimento archeologico da moltissimi anni a questa parte.E’, la Tomba del Tuffatore, una normale tomba a cassa, formata, cioè, da lastre di travertino locale: due lunghe formano le fiancate, due corte le testate, una quinta lastra, la più grande, serve da copertura. Nulla lasciava sospettare, al momento del rinvenimento, che questa dovesse particolarmente distinguersi dalle molte migliaia di tombe che si sono rinvenute da tempo intorno a Paestum, al di fuori di una cura particolare posta nel suturare con stucco bianco le congiunzioni tra le varie lastre, come se si fosse voluto evitare che l’acqua o il terreno penetrassero nell’interno della tomba.Sollevata la lastra di copertura, ecco apparire la tomba completamente affrescata, non solo nelle pareti interne delle quattro lastre formanti la cassa, ma anche, e questa è una strana novità, nell’interno della lastra di copertura; la seconda sorpresa è costituita dall’unico vaso contenuto nella tomba, vaso che per la sua tipica forma è chiaramente databile ai primi decenni del V secolo a.C.; terza sorpresa è quella costituita dagli affreschi che appaiono essere coevi al vaso contenuto nella tomba, e stilisticamente e qualitativamente di gran lunga diversi e superiori rispetto a quanto sino ad oggi ci era stato tramandato dal mondo antico. In sintesi il giudizio immediato è stato quello di trovarci per la prima volta di fronte a pitture greche, databili tra il 480 e il 470 a.C.Vediamo ora, in particolare, cosa significhi tutto ciò. Di tombe antiche dipinte ne abbiamo molte, e l’esempio più noto è rappresentato dalle tombe etrusche, le quali, però, sono grandi tombe a camere, formate spesso da più ambienti, con pareti in moltissimi casi affrescate, tombe che risalgono negli esempi più antichi al VI secolo, e che, sia pure con momenti di stasi o di pause, si prolungano sino a tutto il terzo ed anche, in parte, al II secolo a.C.: tutta la pittura etrusca a noi nota, salvo piccole lastre architettoniche, è quindi pittura funeraria. Di tombe di normale grandezza, con le pareti interne dipinte, il mondo etrusco non ne ha tramandate, per cui è da ritenere che non erano nel costume etrusco. Diffuse, invece, le tombe a cassa con pareti interne dipinte nell’area compresa a nord da Capua e a sud da Paestum, così che quest’uso sembra proprio delle regioni già greche, ma poi passate sotto il controllo delle popolazioni italiche, precisamente sannitiche e lucane. In territori greci dell’Italia meridionale non appaiono tombe dipinte, se non eccezionalmente nell’area pugliese, ove però i sarcofaghi, quando sono internamente dipinti, presentano motivi decorativi geometrici e floreali.I greci non dipingevano, in età classica, l’interno delle tombe: questo è quanto sapevamo, e ce lo attestava il fatto che mai tomba greca dipinta era stata trovata, non solo in Magna Grecia, ma in tutto il mondo greco antico. Proprio per questo noi non possedevamo nulla di pittura greca, al di fuori dei mosaici figurati, che iniziano col primo ellenismo, dei vasi dipinti, e di qualche illeggibile frammento insignificante; ma possedevamo quanto gli scrittori antichi ci hanno tramandato di ricordi della loro pittura: nomi di artisti, citazioni delle loro opere, qualche caratteristica della loro arte, ma di pittura uscita da pennello di artista greco, nulla nel modo più assoluto. Se si aggiunga che attraverso le fonti la pittura sembrava essere per gli antichi proprio la forma più alta raggiunta dall’arte greca, e che la ceramica dipinta, pur così raffinata, non poteva dare se non una eco pallida della grande pittura, si comprenderà come, conoscendo l’architettura greca, attraverso i grandi templi conservati, conoscendo la scultura greca anche attraverso gli originali dell’età arcaica e del V secolo (si pensi alle sculture di Olimpia ed a quelle del Partenone), si sentisse il limite posto dalla totale mancanza della pittura alla conoscenza dell’arte antica.Pertanto, il rinvenimento di pitture greche a Paestum non poteva non suscitare l’emozione e l’interesse di tutto il mondo scientifico, e non poteva, proprio perché apriva un capitolo ignoto dell’arte greca, un capitolo che si temeva non più conoscibile, non far presa anche su di un pubblico meno scaltrito.Ma sono pitture certamente greche? La domanda posta con ansia piena di speranza o con scetticismo dettato dalla prudenza, ha avuta immediata risposta all’VIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, dove a pochissimi giorni dal rinvenimento, le abbiamo illustrate ad un pubblico che era pariteticamente diviso tra la speranza che la notizia venisse confermata ed il timore che non lo fosse. Ma nessun dubbio è stato sollevato sulla grecità di questi nitidi affreschi, e la vivacissima discussione che ha tenuto dietro alla relazione si è aggirata su due punti soltanto: il primo tendeva a chiarire se la pittura fosse greca di scuola attica, come noi avevamo proposto e crediamo, oppure se fosse greca di scuola ionica, come qualcuno preferiva credere: nell’uno come nell’altro caso, comunque, nessun dubbio sulla sua grecità. Il secondo punto della discussione si è centrato, e con molta vivacità, sul contenuto iconografico della pittura, nel senso che ci si è domandati se il soggetto rappresentato ha attinenze con la vita quotidiana, oppure è da interpretarsi solo come scena di significato funerario.Infatti, le cinque lastre dipinte rappresentano: nel primo lato lungo un rito conviviale, con due personaggi impegnati in una scena d’amore e tre altri occupati nel gioco kottabos; nel secondo lato lungo ancora una scena conviviale, con cantori, suonatore di doppio flauto e suonatore di lira; nel terzo e quarto lato, cioè nei due lati corti, nel primo appare un efebo nudo nell’atto di versare del vino da un gran vaso collocato su di un tavolo ornato di festoni, e nel secondo v’è un uomo ammantato appoggiato ad un bastone ricurvo, quindi una figura giovanile nuda che procede verso destra, come le altre, ma a passo di danza, al suono di un flauto suonato da una fanciulla tutta vestita di bianco, l’unico personaggio femminile di tutta la scena. La quinta lastra, quella di copertura della tomba, ci offre una insolita rappresentazione: in uno spazio completamente aperto, delimitato e realizzato da due eleganti alberelli, posti ai due lati estremi, vi è un alto trampolino, dal quale un tuffatore completamente nudo si getta, con perfetto stile, in uno specchio d’acqua.Sulle prime lastre nessun dubbio: rappresentano una scena di convito funebre, allietato, come era nel costume greco, da canti e da suoni, da giochi e da amori. La quarta lastra può essere interpretata o come il transito del defunto, simboleggiato nella figura nuda centrale, oppure come una scena di allenamento sportivo, usando gli atleti greci allenarsi al suono del flauto: ci sono argomenti pro e contro l’una e l’altra interpretazione. Credo che si sia indotti a vedere in questa lastra una scena di contenuto atletico per la suggestione della rappresentazione della lastra di copertura; qui il tema rappresentato è di assoluta novità, e l’unico confronto possibile, anche se non assolutamente stringente, è offerto da un particolare dell’affresco della tomba etrusca detta della Caccia e della Pesca. Diremo che è nostro meditato convincimento che, sia nella seconda delle lastre corte, come in quella di copertura, è rappresentato il distacco da questa ed il viaggio verso l’altra vita, espresso dallo stupendo tuffo verso l’aldilà.Sull’età della pittura si può essere certi; siamo, si è già detto, tra il 480, e il 470 a.C., in una età in cui Paestum vive il suo momento più splendido, diremmo il suo momento magico, tutto illuminato da una grecità purissima. Non sono ancora trascorsi venti anni dalla costruzione del tempio detto di Cerere, e tra altrettanti anni, o poco più, si comincerà ad innalzare quello che è il più grande ed in un certo senso il più greco dei monumenti greci di tutte le età, il tempio detto di Poseidon: in questo clima un oscuro pittore affresca la tomba da noi ritrovata. E le immagini rappresentate, nella loro conclusione formale, nella contenuta organicità compositiva, nella loro tendenza a superare l’episodico, pur presente e vivo, per esprimere, invece, valori e sentimenti trascendenti, parlano assolutamente greco, mentre la purezza della linea costruttiva dell’immagine, la fluidità del colore che già tende a conquistare valori tonali, l’intuita e realizzata ricerca di piani di profondità, una umanità sentita e controllata insieme, nella individualità di ogni ritratto, distaccano questa pittura da tutta la pittura antica sino ad ora conosciuta. E ciò rende ancor più cocente il rammarico per la grande pittura greca perduta, perché questa di Paestum, non dimentichiamolo, è l’opera non di un grande artista, ma di un artigiano, sia pure molto colto, anche se la distinzione tra artista ed artigiano è sostanzialmente più in noi che nella coscienza degli antichi. Potremo, allora, chiederci quale doveva essere la pittura che ornava i grandi monumenti pubblici greci, quella alla quale hanno posto mano i più celebrati pittori antichi, se in quella che ornava una tomba e destinata a vivere alla luce solo per poche ore, prima di essere sepolta per sempre nel buio sotterraneo, ci si esprime con tanto nitore e con tale compiuta chiarezza formale!Il rinvenimento, per le novità che comporta, è tale che dovrà passare del tempo prima che queste pitture possano essere del tutto comprese, inquadrate in una visione storica chiara, prima, cioè, che possano essere classificate e passate tra le cose giudicate; assisteremo al fiorire di studi, di ipotesi, di interpretazioni; si discuterà se l’artista sia di estrazione culturale attica o ionica, se sia nativo della Grecia orientale o peninsulare, o piuttosto della Magna Grecia o forse proprio di Paestum, laddove ancor più lunga sarà la discussione sui problemi delle correlazioni che queste pitture naturalmente pongono.Ma è chiaro che in questa sede a noi interessa un problema in particolare, quello dell’inquadramento degli affreschi della Tomba del Tuffatore nell’ambito delle manifestazioni artistiche di estrazione pestana. Abbiamo detto, e su ciò non abbiamo dubbio alcuno, che per la loro organicità compositiva e per la conclusa fermezza della struttura queste pitture sono certamente greche; ma vi è qualcosa anche di diverso da quanto ci saremmo attesi da un’opera d’arte greca dei primissimi decenni del V secolo. C’è un gusto narrativo di estrema vivacità, c’è, in particolare, una tendenza a cogliere dei valori individuali, sia nei tratti somatici che nell’aperta manifestazione dei sentimenti dei singoli, controllabile, tutto ciò, in particolare nella prima delle lastre lunghe che, in una con l’affresco della lastra di copertura, è la migliore, la più chiaramente realizzata. Si veda quanta evidente avidità sensuale c’è nel volto, nella bocca dischiusa del primo personaggio di destra, si veda ancora il terzo personaggio, quello che, distraendosi dal gioco del kottabos, si volge indietro e guarda con avida curiosità i primi approcci amorosi tra il primo personaggio e l’efebo: c’è nel suo gesto, nel suo sguardo un po’ ebete, nella bocca semiaperta una nota quasi di ironica caricatura. Anche se non rompono la conclusa e coerente unità compositiva della scena, queste annotazioni del particolare, questo indugio narrativo, questo sottolineare l’individualità dei singoli personaggi sono caratteri che non indugiamo a chiamare propri della Magna Grecia, e ancor meglio, tipicamente pestani. Per quanto si tratti di cose tra di loro molto lontane, vi è in queste pitture e nelle metope più arcaiche dell’Heraion di Foce Sele qualcosa di comune, per cui si può affermare che il pittore della Tomba del Tuffatore è un greco di Paestum, che sulla scia di una cultura artistica attica è aperto a tutte le componenti determinanti l’ambiente artistico pestano, aperto cioè ad uno sfumato ed ormai forse superato ionismo, e, ancor di più, ad un gusto più congenialmente pestano teso verso il narrativo ed il sottilmente ironico.E’ un gusto che si evidenzierà maggiormente nella pittura di IV secolo, ad esempio nei vasi dipinti di Assteas, ed ancor più nella pittura lucana. In questa pittura la tendenza centrifuga della composizione, con la consequenziale rottura della unità ed organicità compositiva, è un fatto barbarico e non solo non greco, ma antigreco, però è ancora evidente da un lato una lontana lezione greca, particolarmente sensibile e chiara nelle pitture della tomba di Albanella conservate al Museo di Napoli o nella tomba Laghetto 6 del Museo di Paestum, ma ancor più da un altro lato è evidente l’insistenza di modi narrativi, episodici, ironici che, al di là del mutato ambiente e dei tempi nuovi, resta il denominatore comune di fondo dell’ambiente artistico pestano.

MARIO NAPOLI












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