5 ottobre 2009

- Libero Arbitrio


Da millenni l’uomo si interroga sul senso della vita, sul significato degli accadimenti esistenziali, sul valore dei rapporti con gli altri esseri umani, sull’utilità o vanità delle esperienze che si succedono, differenziate o ripetute, mentre l’età aumenta. Si interroga sulla gioia e sul dolore, sui sentimenti più nobili e le pulsioni più viscerali, sul perché della morte e quindi della vita stessa. Si interroga sul destino. E, da millenni, alterna e sovrappone risposte diverse, chiedendo ausilio alla fede, alla scienza, alla cultura o alla filosofia, al pragmatismo o al fatalismo, ma ritornando più o meno sempre al punto di partenza: quel misterioso punto nello spazio-tempo che è la propria nascita, con le sue eterne domande rinnovate. Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Anche l’astrologia ha fornito un contributo a questa ricerca di verità; anzi, il cielo è stato forse il primo e primario ausilio a cui l’uomo si è rivolto per meglio capire il proprio essere sulla terra. Un ausilio ancora valido, e che sopravvive anch’esso da millenni non perché abbia saputo fornire una risposta assoluta e definitiva ma perché, a differenza della fede, della scienza, della filosofia o di ogni altro strumento conoscitivo, l’astrologia ha qualcosa in più: l’identikit del punto di inizio, l’evento simbolico della propria genesi, immortalato nel tema natale come un codice di riconoscimento istantaneo, un riferimento originale ma contestualizzabile e insieme decifrabile nel tempo. In quanto immagine, un tema di nascita si mostra evidentemente come opera in corso: sembra la fase di un divenire, stadio di un essere già formato ma che si sta ancora costruendo. Non ha nulla della purezza originale degli inizi, non è un quaderno bianco, una geometria perfetta, non ha la disarmante e profetica tenerezza di un volto neonatale... Ha invece, proprio come un volto adulto, già incise le tracce di una pesantezza accumulata, di un decadimento che si è già espresso, di un’inerzia che resiste; ha carenze, incognite o sproporzioni, ed altrettante speranze, offerte, prospettive. C’è già tanto e tanto ancora manca, in un tema di nascita. E’ l’istantanea di un presente che riflette un passato e contemporaneamente evoca un futuro. Osservando un tema natale, considerare l’esistenza che inaugura e rappresenta come un tutto autosignificante risulta difficilissimo per l’astrologo; se non altro perché disconoscere una domanda non equivale a rispondere. Dunque, è indubbiamente possibile non credere alle vite precedenti, a una esistenza ultraterrena o a un Ente superiore, mantenendo quindi un atteggiamento laico e agnostico nella pratica astrologica - tant’è che non tutti gli astrologi sono religiosi o, nel caso, reincarnazionisti - ma non è risolutivo: il tema natale resta lì, in tutta la sua evidenza, come un bagaglio e insieme un viatico, una malattia e insieme una cura; la tappa di un cammino iniziato - forse di un viaggio iniziatico - ed anche la direzione che lo guida. E resta lì, anche, come interrogativo. D’altra parte, se pure non ci fosse né origine né meta, resterebbe da chiedersi perché l’individuo nasca con un tema così dettagliato e non con un altro, laddove l’unica risposta verosimile dovrebbe ricorrere al caso, facendo rientrare dalla finestra il dubbio destinico cacciato dalla porta... Sono sempre stata una sostenitrice del compito anche previsionale dell’astrologia, riferendomi all’originale etimo di “oroscopo” come uno strumento di osservazione del tempo ed appoggiandomi in ciò a ben più illustri colleghi, Barbault e Volguine in testa. Tuttavia, ho anche sottolineato più volte che il termine “previsione” non equivale a “predizione”, e che tale differenza non è certo secondaria o marginale. Non si tratta, infatti, di mettere le mani avanti nei confronti di possibili o inevitabili errori previsionali ed ancor prima interpretativi, dovuti alle mille variabili che convergono a far sì che accada qualcosa e non qualcos’altro; si tratta di considerare da un punto di vista assolutamente diverso sia l’osservazione del cielo simbolico che la sua traduzione in termini reali sul piano terrestre. E’ vero che, per fare un esempio, alla nascita di un bimbo noi astrologi possiamo già dire che, dopo circa 29 anni, quel bimbo ormai uomo dovrà confrontarsi con le verifiche del ritorno di Saturno, come tutti; ma non potremmo mai affermare che si tratterà dell’ingresso nel mondo del lavoro, di una paternità responsabilizzante o di un qualche altro bilancio che si troverà a sostenere. Anche conoscendo altri transiti contemporanei, potremmo aggiungere che quel periodo della sua vita sarà affrontato da lui con grinta e fiducia oppure con inquietudine o timore, che forse si concentrerà su un settore piuttosto che un altro, ma anche così sapremmo descrivere solo un eventuale approccio personale nei confronti di una realtà di fatto, di per sé inconoscibile. Il futuro è in continuo movimento: non si fa imbrigliare, né lusingare da aspettative o scaramanzie; cambia mentre cambiamo noi raggiungendolo, e si sposta più avanti man mano che si fa presente. Mentre un tema astrologico rispecchia sempre un vissuto soggettivo; ed è per questo - essenzialmente per questo – che non è possibile oggettivarne le manifestazioni. Eppure... Se fosse solo così, se l’astrologia fosse solo questo, non aggiungerebbe in fondo granché alla filosofia, alla religione, alla psicologia e persino alla scienza. Invece, l’astrologia ha nell’osservazione del tempo uno strumento eccezionale ed unico in quanto tale. Io apro le effemeridi spesso, anche solo per sfogliarle a caso, senza controllare date precise o movimenti planetari specifici. Il mio sguardo corre su quei numerini tutti in fila e ben sistemati, sobri e discreti nel loro presentarsi imparzialmente, privi di commenti e comunque autorevoli in ciò che rappresentano. Tutto è così diverso e insieme simile, rispettosamente autonomo nelle sue parti seppur ciclicamente scandito ed armoniosamente collegato, e in tale composta semplicità la foglia non ha minore importanza dell’albero o della foresta, purché si inseriscano tutti nel medesimo e più ampio contenitore che chiamiamo Natura ma che a sua volta rimanda a qualcosa di altro e di più. Se riusciamo a sistemare in fila dati e date, gradi e segni, ingressi, lunazioni ed eclissi... se riusciamo a farlo con il solo ausilio della scienza matematica e astronomica e senza che sia necessario nient’altro, all’astrologia resta il compito e l’onore di riconoscere che un tale ordine è di per sé una realtà spirituale, perché la sola natura materiale - foss’anche celeste ed infinita - è invece, di per sé, entropica; come la scienza stessa ha decretato. E questo non può che essere un conforto per l’uomo, che vaga sulla terra da sempre alla ricerca di un senso, di un motivo per mettere un passo dopo l’altro, di un valore a cui dedicare tale fatica e possibilmente di una meta verso cui dirigersi. Se, come astrologi, non ci limitiamo alla ricerca ma facciamo anche consulenza, non possiamo negare che le domande dei nostri consultanti, più o meno complesse o raffinate dalla cultura personale, non sono altro che una traduzione individuale e contingente delle eterne domande dell’uomo: appunto chi sono? da dove vengo? dove vado? Possono esprimersi in termini modesti o superstiziosi, possono riguardare il lavoro, l’amore, la salute o il denaro, ma ciò che segnalano è un bisogno di rassicurazione, un bisogno di aiuto, un bisogno di significato; e non esistono bisogni meno impellenti o legittimi. Il fascino e insieme la difficoltà di questa disciplina è che i livelli in cui un segnalatore astrologico può esprimersi sono davvero tanti, se non infiniti.
Importante, e non certo facile, è saper riconoscere a quale livello e in quale fase si trova un soggetto, perché i movimenti celesti, come disse Platone, sono “marcatori del tempo” ed è assolutamente inutile o persino pericoloso parlare ad un consultante di realtà a lui incomprensibili, o comunque non comprensibili in quel momento; mentre per chiunque ed in qualunque momento c’è sempre qualcosa “di più” o “di meglio” che lo riguarda e a cui quindi può accedere. E perché per chi fa consulti ciò che più conta è, appunto, l’essere umano: con la sua individualità, la sua unicità, le sue piccolezze e grandezze; e in fondo il suo bisogno più grande, sottinteso ai tanti che può avvertire o manifestare, è di trovare un posto nel mondo, un senso alla vita.
L’astrologia moderna, soprattutto quella psicologica, ha preso le distanze dagli aspetti divinatori del proprio esercizio, prediligendone la funzione conoscitiva del carattere e delle tendenze e possibilità evolutive.
In particolare, l’astrologo orientato su un approccio umanistico tende giustamente a negare l’esistenza di “influssi” diretti e causali tra movimenti in cielo e vita sulla terra, rivendicando e promuovendo il diritto-dovere dell’uomo ad interpretare in senso più maturo gli accadimenti sia interiori che esterni della propria vita. Tuttavia, se torniamo indietro fino alla protostoria dell’astrologia babilonese, non si può dire che allora ci fosse un atteggiamento culturale, ideologico o persino tecnico, particolarmente deterministico. L’idea degli “influssi” o i concetti di causa effetto erano lontanissimi dal pensare e agire di quel tempo, in cui si credeva che il movimento dei corpi celesti fosse niente di più e niente di meno che una “scrittura divina”. Un linguaggio, insomma, decifrabile solo da sacerdoti o da saggi e non certo alla portata dei profani, che però in quanto tale cominciò necessariamente ad essere codificato in una sintassi, con regole sempre più precise, pur rimanendo un mezzo di comunicazione tra cielo e terra, anzi uno studio del cielo finalizzato a comprenderne i significati per la vita sulla terra; per gli uomini, appunto. Anche se quella di allora era paragonabile solo molto parzialmente all’astrologia che conosciamo oggi e che si sviluppò più tardi, resta il fatto che la finalità attribuita a una tale scrittura celeste era quella del presagio, e quindi dell’avvertimento, della richiesta, del suggerimento o della guida. Per cui il compito degli astrologi non era affatto quello di scoprire cosa sarebbe accaduto, ma cosa sarebbe potuto accadere “se”: se si facevano o non si facevano determinate cose, se ci si comportava in un modo piuttosto che in un altro... Il che presupponeva una possibilità - se non proprio una capacità - di interagire in modo dialettico con gli eventi. L’idea di una partecipazione alla costruzione del futuro, e quindi di un dialogo creativo con il destino, nacque proprio da quel dia-logos tra movimento celeste e azione terrestre, e si basava essenzialmente sulla certezza di un qualche legame tra Alto e Basso. Una tale idea è poi giunta sino a noi attraverso l’ermetismo e il neoplatonismo rinascimentale, per approdare alla sincronicità junghiana senza sostanziali alterazioni, che sono intervenute invece solo a livello di convivenza culturale e molto più recentemente; cioè quando l’era moderna, con l’arroganza seguita alla conquista del senso dei diritti e il trasferimento dell’oggetto fideistico dalla divinità alla scienza, ha cominciato a pensare che la libertà non fosse questione di coscienza individuale, ma quasi esclusivamente di esistenza fisica, materiale o comunque visibile e tangibile. Da questo a sostenere che l’uomo fosse artefice del suo destino, il passo fu breve; ma è ancora oggi un passo avventato... Nel suo insaziabile bisogno di rassicurazione, l’uomo può esprimere il massimo del coraggio e dell’orgoglio, come il massimo della fragilità e codardia. E in questa delicatissima condizione può accettare o rifiutare ogni aiuto: filosofico, scientifico o religioso. L’astrologia si offre a lui come una luce - piccola o grande che sia – per osservare meglio ciò che è dentro e fuori di lui, le cose che gli accadono o forse, come disse Rudhyar, le cose a cui lui accade... Lo lascia però libero di usare o meno una tale fiaccola, laddove l’astrologia non giudica né obbliga, non dà prove e nemmeno chiede scuse; ed è importante che anche l’astrologo faccia altrettanto, indicando senza imporre, giustificando ma responsabilizzando, spiegando e soprattutto comprendendo. E suggerendo al consultante non le “risposte esatte” che così spesso cerca, ma le domande più giuste - perché più sue; inserendole in quel generoso vocabolario di significati che è il suo tema natale. Credo che tutti noi ricordiamo almeno un momento della nostra esistenza che l’ha segnata inesorabilmente con un “prima” e un “dopo”. Ci sono transiti che avvengono una volta sola nella vita, e ognuno di noi ha probabilmente vissuto il proprio, o lo vivrà. E’ raro che si tratti di momenti felici, e non perché il destino prediliga il linguaggio della sofferenza per farsi ascoltare, ma perché la fatica, il dolore o lo smarrimento si pongono in quanto tali come domande, ci spingono a farle, ci costringono a farcele; mentre la felicità può farne a meno volentieri, essendo già risposta... forse l’unica e vera risposta che conta. Sono dunque e paradossalmente i momenti più difficili quelli che ci offrono la possibilità di diventare partecipi, se non artefici, del nostro destino. Perché è in quei momenti che possiamo scegliere: non certo di cambiare la realtà, di direzionarla a piacimento e con la sola forza dell’intenzione verso circostanze o prospettive diverse; pensare che la libertà umana arrivi a questo significa peccare di ingenuità o di superbia. Ma non per questo è meno potente e creativa la libertà che invece possediamo di modificare la realtà modificando il nostro modo di osservarla e di giudicarla; e in questo sì che l’intenzione diventa strumento magicamente efficace e, oltretutto, disponibile in ogni momento. Gli stoici la chiamavano “accettazione della necessità”; Assagioli la tradusse poi in “collaborazione con l’inevitabile”... Ma io credo che sia qualcosa di più, o forse di altro. Non si tratta infatti di nobilitare la fatica con trucchetti filosofici o di compensare la frustrazione con una sublimazione sacrificale. No: si tratta di esserci. Di esserci anche noi in quell’avventura destinica, proprio in quel momento ed esattamente in quel modo, per rispondere in prima persona non tanto o soltanto ad eventuali vite precedenti ma in particolare a questa, che è in fondo l’unica a competerci e su cui possiamo intervenire. E si tratta di guardarla con gli occhi amorevoli di una madre per cui il figlio è sempre meraviglioso, e che cerca di capirlo ed aiutarlo quando soffre, mai limitandosi a soffrire per lui o con lui... Se è vero, e lo credo fermamente, che essere inclini a qualcosa non significa essere “condannati” a farla, è altrettanto vero che la differenza cruciale non è tra fare o non fare, e forse nemmeno tra fare in un modo piuttosto che in un altro, bensì nel capire cosa stia davvero accadendo, e quindi trasformare in Essere sia l’esperienza vissuta che quella subita. Solo un tale interesse (essere dentro) può permetterci infatti di capire anche il perché di ciò che accade e ci accade, e poco importa che sia prima, durante o dopo la relativa esperienza: in fondo, se c’è una cosa che l’astrologia ci insegna è che la coscienza può usare il tempo quando vuole, ma non può farsene usare se non vuole... E forse, proprio per questo, non è l’uomo a costruire il proprio destino, bensì il destino a costruire l’uomo: a volte senza la sua autorizzazione preventiva, spesso con la sua complicità inconscia, ma pur sempre con il suo tacito consenso.
Sandra Zagatti

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