30 dicembre 2009

- Messaggio di capodanno 2010


Carissimi Fratelli
Vorrei introdurre questo mio messaggio di Capodanno con le parole del poeta e Massone tedesco G.E. Lessing: «Massone è colui che gestisce la propria vita in modo da contribuire alla realizzazione di quell’Opera d’Arte che è la vita di tutta l’umanità. Nessuno può contribuire al bene del genere umano, se non fa di sé stesso ciò che lui può e deve diventare.» Se noi Massoni d’oggi confidiamo in questa verità, allora sul cammino verso il futuro, già intrapreso, non troveremo ostacoli.
Ogni Massone, in occasione della sua Iniziazione, si è impegnato ad assumere un comportamento positivo verso i propri simili. La forza e la perseveranza per le sue azioni le trova tuttora nei principi massonici e nei Rituali che si svolgono nelle singole Logge. In ogni fase della vita occorre attingere nuovamente a queste fonti, affinché l’insegnamento massonico rimanga sempre attuale.
Le allegorie dei nostri Rituali permettono ai Fratelli di avviarsi verso la propria realizzazione e la personale responsabilità etica. Si tratta dunque essenzialmente di un «servizio», ossia di una corresponsabilità nei confronti dell’umanità e, dunque, non la ricerca di una carriera profana in seno alla Fratellanza.
Oggi – nel nostro mondo confuso e mutevole – la possibilità di sviluppare la propria personalità, grazie al contatto reciproco con persone di idee affini, senza interessi economici o finanziari, è particolarmente importante. Ma occorre rispetto verso l’altro e, qualche volta, porsi dei limiti. Il Fratello non deve pretendere a tutti i costi i propri diritti e i propri vantaggi, deve anche saper cedere e rinunciare. Il rispetto e la stima della personalità altrui, come pure l’accettazione delle qualità dei nostri simili, sono valori che caratterizzano i Liberi Muratori.
Uno dei compiti più nobili di ogni Loggia è dunque quello di propagare e tutelare questi principi fondamentali tra i Fratelli. Ciò implica un ripetuto processo formativo da svolgere in modo consapevole e senza tregua. Dunque, nelle Logge, sulla quantità deve prevalere la qualità, affinché le idee massoniche vengano vissute nella giusta misura anche nella vita profana di tutti i giorni. La libertà di pensiero, la giustizia e la dignità dell’uomo vanno portate nel mondo profano con l’esempio di ogni singolo Fratello.
Il Massone deve confrontarsi, in modo qualitativo, con sé stesso e con il mondo che lo circonda. Se viviamo secondo i nostri principi etici e morali, agiremo in modo sensato e anteporremo il valore dell’uomo ai beni materiali.
Noi Massoni siamo consapevoli che ogni essere umano dipende dalla collettività e che può realizzarsi soltanto nel gruppo, ossia nelle relazioni sociali con il prossimo.
Collettività, però, non significa né società né ordine sociale; quest’ultime sono caratterizzate dalla storia, dall’economia, dalla politica, dalle religioni o dalle leggi. La collettività è piuttosto un’unione di persone con obiettivi comuni. L’adesione alla società è una questione di cittadinanza, l’adesione alla Libera Muratori un atto di fratellanza. Questa Fratellanza cerca di realizzare le proprie idee partecipando alla vita sociale, incrementando la responsabilità personale e sviluppando il senso del dovere verso il prossimo. Per la riuscita di questi intenti ci serviamo anche dei nostri Simboli e dei nostri Rituali.
La libertà di pensiero e la responsabilità individuale vengono vieppiù sostituite, se non addirittura ostacolate o represse, da informazioni di massa. Dobbiamo dunque incrementare l’impegno in favore degli ideali massonici praticandoli nella vita quotidiana.
Non dimentichiamoci, essere Massone è un privilegio, ma anche un impegno.
Eccoci dunque nuovamente a Capodanno pieni di speranze e buoni propositi. In questo senso auguro di cuore, a voi e ai vostri cari, ogni bene per l’Anno Nuovo.
Bruno Welti, Gran Maestro

21 dicembre 2009

**** AUGURI ****


16 dicembre 2009

- I pianeti hanno aperto tutte le sette porte di metallo.



Fin dall’antichità il sette ha esercitato un fascino enorme sull’uomo influenzando da vicino il suo mondo psicologico, religioso e culturale. Questo numero è formato da una triade di prinpici creativi ,coscienza attiva, subconscio passivo e forza coordinatrice della cooperazione e da una quaterna materiale associata ai quattro elementi e alle facoltà sensoriali , aria corrispondente all’intelligenza, fuoco corrispondente alla volontà, acqua corrispondente al sentimento/sentire ed infine terra corrispondente alla morale.Questa suddivisione del sette nelle sue due componenti, il tre spirituale e il quattro materiale, si è protratta per lungo tempo nel pensiero e nella mistica occidentali ed è strettamente associata alla divisione ad opera di Aristotele delle arti in Trivium e Quatrivium. Grammatica, Retorica e Dialettica da una parte, Matematica, Geometria, Astronomia e Musica dall’altra erano alla base degli insegnamenti superiori nel medievo ed erano considerate "septem artes liberales". Da un punto di vista più pratico gli studiosi avevano osservato che ogni periodicità sembra legata al sette, pensiamo ad esempio ai sette toni della scala musicale che tornano al primo nell’ottava. Sulle basi di tali osservazioni da sempre il sette fu associato alle fasi di sviluppo e di crescita dell’uomo e della Natura. Già in epoca antichissima il filosofo greco Solone aveva diviso la vita umana secondo le sfere astrali in sette livelli di sette anni ciascuno. I pensieri del filosofo vennero ripresi da Filone di Alessandria e dai suoi seguaci. Mistico, filosofo di provenienza greco-ebraica nonchè sommo interprete delle Sacre Scritture, Filone di Alessandria scrive a proposito dell’evoluzione umana: "Alla fine del primo settenario i denti da latte vengono sostituiti dai denti veri, alla fine del secondo si raggiunge la maturità sessuale, al terzo all’uomo spunta la barba (corrisponde cioè all’inizio della sua identità psicologica), il quarto è l’apogeo dell’esistenza umana, il quinto il momento del matrimonio, il sesto porta la maturazione della ragione, il settimo al compimento della comprensione e della ragione, l’ottavo è il momento della contemplazione, il nono il dominio delle passioni e quindi la giustizia e l’indulgenza. Tuttavia" ci dice Filone con un espressione che si è conservata nel tempo " è meglio morire nel decimo, poiché quanto resta ancora da vivere all’uomo non è che fragile ed inutile vecchiaia". Ed anche l’Antico Testamento ci conferma che " la durata della vita è, in sé, settant’anni". Tre periodi sembrano acquistare nella tradizione popolare un’importanza rilevante per lo sviluppo della vita umana scandito dalla simbologia del sacro sette e del nove: sette per sette, nove per nove, sette per nove. Quest’ultimo ritenuto particolarmente infausto poiché il sessantatreesimo anno di vita è quello del "grande climaterio". Non solo nell’area mediterranea il sette pone in essere le fasi di sviluppo umano, anche nell’antica Cina questo numero è legato all’evoluzione della vita ed in particolare a quella della donna: all’età di sette mesi la bambina mette i denti da latte, all’età di sette anni li perde, in due volte sette anni si apre "la strada dello yin" ovvero si compie la sua maturità sessuale ed infine a sette per sette, cioè quarantanove anni, raggiunge il climaterio. Da un punto di vista biologico ciò è esatto se si tiene conto poi che il ciclo mestruale si manifesta nella donna in periodi contrassegnati da sette per quattro giorni e che la gravidanza viene calcolata grazie al supporto del numero sette, si può essere certi che questa unità di misura rientri a pieno nello svolgimento dell’essere femminile. "In base alle sue forze occulte" dunque " il sette sembra porre in essere tutte le cose, dispensa la vita ed è fonte di ogni mutamento, poiché la Luna muta le sue fasi ogni sette giorni. In questo modo il sette influenza tutte le cose sublunari" ed è perciò particolarmente legato alla creazione e alla mutazione delle forme da sempre attribuita ai misteriosi influssi lunari.
Le sette sfere celesti nella visione Tolemaica.
In astrologia la Luna è infatti creatrice e distruttrice delle forme vitale signora di quel mondo fisico che si muove e si trasforma sotto l’influsso animico delle forze lunari. L’adorazione del sette nelle culture più antiche potrebbe risalire proprio all’osservazione delle fasi della Luna, la cui forma muta visibilmente ogni sette giorni. In molte antiche civiltà, tra le quali anche gli assiro-babilonesi, il dio della luna era una divinità suprema inoltre, sempre presso i babilonesi, erano conosciuti ed utilizzati nelle predizioni astrologiche i sette pianeti comprendenti : Sole, Luna, Mercurio, Marte, Venere, Giove e Saturno. Come si può ben notare il numero sette in questo caso comprende anche due non-pianeti, il Sole e la Luna ed è perciò che molti pensatori sono arrivati alla conclusione che i due luminari siano stati aggiunti proprio per raggiungere così il "sette ideale". Con un’allusione ai misteri dell’universo svelati da questo numero sacro Goethe, grande conoscitore della simbologia numerica, scrive: Die Planeten haben alle sieben Die metallnen Tore aufgetan (I Pianeti hanno aperto tutte le sette porte di metallo) L’india conosce i sette Chakras, i punti sensibili del corpo umano nei quali si concentra la meditazione. Questi "canali dell’energia" sono associati ai sette pianeti e alle chiavi segrete della conoscenza che essi rappresentano e che, secondo l’Astrologia Esoterica, devono essere girate ciascuna sette volte prima che ci rivelino la loro particolare lezione. Tornando nell’area mediterranea ancora presso i babilonesi la piramide sacra, lo Zikkurat, ha sette gradini e allude al mistero della conoscenza insito nel sette. Da ciò sembra siano derivati anche i sette scalini del Tempio di Salomone, il tempio della conoscenza e della saggezza sacro agli Ebrei. Ancora in ambito ebraico il sacro sette svolge una funzione determinante: sette sono le braccia del Menorah, il candelabro ebraico, associati ai sette rami dell’Albero della Vita dove crescono su ciascuno sette foglie Già nel V secolo a.C. Filolao paragona il sette alla dea Atena, "conduttrice e signora di ogni cosa, eterna divinità, perseverante ed immota, sempre uguale a sé stessa, diversa da ogni altra" enunciando così le qualità essenziali di questa entità numerica. Il carattere "non generante" del sette è ripreso dalla mistica ebraica: il settimo giorno della settimana il sabato, l’uomo deve osservare il precetto del riposo e non deve produrre nulla. La ripetizione delle formule magiche, come delle preghiere e delle invocazioni in tutte le culture è scandita dal tre e dal sette. Un influenza particolare ha avuto in questo senso l’alchimia medievale i cui procedimenti e le cui formule sono scandite dal numero sette: importante ad esempio era l’uso di ripetere sette volte le distillazioni. Anche i procedimenti magici di tutti i generi conoscono l’usanza di ripetere tre o sette volte una formula già efficace per sé stessa ed è perciò che anche la medicina antica, ancora legata a pratiche occulte, conosceva bene il significato e l’uso del sette. La scuola di Ippocrate ci dice che: "Il numero sette domina le malattie e tutto ciò che nel corpo viene colpito dalla distruzione". Agli antichi medici era noto che le malattie dolorose durano sette giorni o un multiplo di sette e questa credenza è sopravvissuta nella tradizione popolare di alcune culture.
L'albero alchemico
Similmente per i pitagorici il sette era sinonimo di crisi e tutti i giorni divisibili per sette venivano considerati critici, compreso il settimo mese. Il sette come numero dello sviluppo e dell’opera occulta dell’intelligenza divina sulle forme, è il numero del cambiamento, della mutazione e per questo motivo viene anche considerato negativamente come numero "critico". Ma il cambiamento e la trasformazione si manifestano il più delle volte come ascesa dell’uomo verso Dio o verso la saggezza. E’ il caso della religione di Mitra e delle antichissime concezioni dell’ascesa dell’anima attraverso le sfere astrale da cui con ogni probabilità si è giunti nel mondo cristiano alla concezione dei sette gironi del Purgatorio e all’idea diffusa soprattutto in Oriente dei sette livelli mistici. La religione di Mitra affonda le sue radici nell’antica Persia anche se successivamente arriva ad esercitare un’enorme influenza in tutta l’area mediterranea giungendo fino al nord Europa. Mitra all’origine era una divinità solare, il culto poi, come numerosi movimenti religiosi del Vicino Oriente, viene sempre più sviluppandosi come una religione dei misteri. Nei misteri di Mitra l’anima sale a dio attraverso le sette sfere planetarie rappresentate da sette porte attraverso le quali l’iniziato doveva passare abbandonando di volta in volta un capo del vestiario, gesto che si riferiva all’abbandono delle qualità umane. Dinnanzi all’ottava porte o Monte della Trasfigurazione l’anima si trovava ormai spogliata delle sue qualità materiali e pronta alla rinascita, a ricevere la luce. Di conseguenza i riti espiatori e purificatori dei misteri di Mitra si svolgevano seguendo una cadenza di sette giorni, frequenza che ricorre ancora oggi in numerose pratiche e credenze popolari: ci vogliono di norma sette anni per essere liberati da uno spirito ed è noto che le apparizioni della dama bianca si ripetono preferibilmente ogni sette anni. Se in base a tutto ciò ogni sette anni avviene un cambiamento considerevole nell’uomo nella sua parte spirituale o materiale oppure in entrambe è altresì notevole che ogni sette anni la voce di Dio si manifesti nella vita di ogni singolo individuo.Non può stupirci quindi che grazie alla sua presenza in ogni periodicità dell’esistenza il numero sette possa essere inteso come numero tondo. Si pensi a tal proposito ad alcuni famosi stereotipi: i sette mari o le sette meraviglie del mondo o ancora nell’ambito mitologico alle sette teste dell’Idra o ai sette strati dello scudo di Aiace. Senza dimenticare l’uso del sette come numero tondo nelle fiabe, nelle filastrocche e nei detti popolari di tutti i generi. Chi non ha sentito nominare almeno una volta nella sua infanzia i sette nani, i sette corvi, le sette caprette o i sette cavalieri? Sicuramente tutto ciò ci ha influenzato da un punto di vista psicologico all’uso quotidiano del sette ed è difficile capire quanto la tradizione da un lato e la psicologia dall’altro svolgano un ruolo importante nell’interpretazione di questo numero carismatico. Ciò che invece è chiaro è come ancora oggi molti di noi abbiamo la sensazione che la propria esistenza sia legata a particolari costellazioni numeriche all’interno delle quali sicuramente il sette svolge un ruolo importante come numero misterioso, occulto, perfetto, sapiente e sacro.
Elisabet Mantovani

11 dicembre 2009

- Diritti e Doveri


A prima vista - e non solo - sembrerebbe ed è un tema tanto vasto da spaventare anche il più coraggioso dei ricercatori. L’argomento è stato affrontato fin dal passato più lontano da tutte le angolazioni; religiosa, filosofica, morale e giuridica. Già Platone, per bocca di Socrate, parla di doveri dell’uomo.
Qua e là questa materia viene trattata da vari pensatori classici, greci e latini (per i primi, i tragici, per i secondi Cicerone e Seneca, per limitarci ai latini che più direttamente hanno affrontato il problema), ma, dopo la carta dei diritti e doveri del cittadino elaborata dai pensatori illuministi ai tempi della Rivoluzione francese, in tempi più recenti sarà Mazzini a parlare di diritti e doveri dell’uomo. La fonte più ricca e autorevole rimangono comunque le Sacre Scritture, Bibbia e Vangeli. Questa rapida (e abbondantemente incompleta) carrellata consente di rendersi conto della vastità del tema, che ha interessato l’uomo si può dire dalla sua comparsa sulla terra o, quanto meno, dal momento in cui si costituì a società. Cosa si può dire dunque su un tema tanto vasto e già tanto trattato nel passato e nel presente? Temo si possa dire ben poco di nuovo, ma si può tentare di focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti più interessanti sotto il profilo massonico, se non più inediti.
La Libertà
La domanda che dobbiamo rivolgerci potrebbe essere questa: quale o quali tra i diritti e i doveri sono oggi avvertiti come più negati, disattesi o impellenti nella nostra società? Vediamone alcuni. Tra i diritti, il più agognato dagli uomini, quello per il quale l’uomo da sempre ha lottato per vederlo realizzato, è la libertà. Si tratta di un prisma dalle molte facce, anche se, nell’ottica massonica, andrebbe privilegiata, a mio avviso, la dimensione spirituale. Quale forma più sublime di libertà possiamo concepire di quella che il Fratello realizza nel contatto costruttivo con gli altri Muratori, quale baluardo più sicuro contro le frivolezze profane della ricchezza interiore? Tutto il cammino massonico, come peraltro quello di tanti nobili e illustri pensatori del passato e del presente, è volto alla sapienza. La sapienza dissolve le tenebre dell’ignoranza e ci consente di spaziare in territori sconfinati, ci restituisce insomma alla libertà. Questo bene dal valore inestimabile non è qualcosa che ci può provenire dal di fuori, anche se le condizioni sociali, politiche ed economiche possono favorirne l’affermazione, ma è soprattutto una condizione interiore: poco conta che si viva in una società libera, se poi siamo schiavi di mille passioni, incatenati da mille pregiudizi, vittime di mille condizionamenti. Il percorso iniziatico ci aiuta a spezzare queste catene e quindi a sprigionare tutto il nostro potenziale di energia spirituale. Non è essenziale (non è neppure possibile) giungere alla mèta: l’importante è incamminarsi sulla via giusta, con l’attrezzatura giusta e la compagnia giusta. Il Fratello è consapevole di tutto questo e, libero, punta in alto, al G.A.D.U. Non lo raggiungerà mai ma non si sentirà né frustrato, né perduto, si sentirà come un pioniere che esplora vasti territori, si arricchisce durante il viaggio, scopre nuovi interessi e scruta orizzonti sempre più lontani. Lo spazio dello spirito non ha confini, non c’è l’est, né l’ovest, il nord o il sud. Si orienterà con il Sole, la Luna e le Stelle, lo stesso firmamento riprodotto sulla volta del Tempio. Non è forse questa la forma più elevata di libertà? Il diritto sommo di ogni Uomo?
Doveri morali e legali
Quanto ai doveri, il campo è vastissimo. Già gli antichi parlavano di doveri morali e doveri scritti, ovvero di etica e di leggi. Leggiamo in Seneca che l’ambito dei doveri morali è infinitamente più vasto di quello dei doveri imposti dalle leggi. Non possiamo dargli torto. Molti comportamenti infatti, pienamente consentiti dalle leggi, sono però deplorevoli sotto il profilo morale. Si può essere, dice il filosofo latino, perfettamente in regola con le leggi, ma essere nel contempo degli esseri moralmente abietti e spregevoli. Il riferimento implicito è sicuramente quello ai doveri nei confronti del prossimo. Il modello massonico, anche in questo caso, fa scuola. Solidarietà, reciproco aiuto, collaborazione, cooperazione nella ricerca comune della Verità, senso di appartenenza alla stessa famiglia, sono tutti caratteri peculiari del credo massonico e fanno parte delle Tradizioni più radicate dei Liberi Muratori. Questi sono i doveri che il Fratello sente dentro di sé e, più in generale, che l’uomo avverte come primari nei confronti del prossimo. Sull’etica del dovere varrebbe la pena soffermarsi a lungo, vista soprattutto la condizione e le tendenze delle nuove generazioni. I giovani di oggi (ma forse anche quelli di un tempo) sono molto attenti ed esigenti nel far valere i loro diritti, ma non altrettanto nel compiere i propri doveri. Una parte della responsabilità di tale situazione è sicuramente da imputarsi a una società eccessivamente permissiva, che tutto concede e, almeno ai giovani e soprattutto ai giovanissimi, poco o nulla richiede. Salvo poi presentare il conto tutto insieme - e a volte con gli interessi - da adulti. È facile infatti prevedere il disagio e le difficoltà cui andranno incontro molti giovani, che in età scolare eludono sistematicamente i loro impegni, quando dovranno assumere ruoli anche di responsabilità nel mondo del lavoro o quanto meno compiere quotidianamente il loro dovere da dipendenti. A volte la famiglia è latitante o per impegni lavorativi di entrambi i genitori o per incapacità o debolezza nell’azione educativa.
Senso della legalità
Come si vede, il tema è assai complesso, ma si può riassumere in poche parole: è necessario che l’uomo, in particolare il giovane, strutturi dentro di sé un codice di comportamento, nel quale il senso del dovere occupi una posizione di primo piano. Il dovere è prioritario rispetto al diritto, in quanto io posso pretendere di far valere un mio diritto solo quando abbia assolto il mio dovere: chi è in difetto per il primo si mette in una posizione in cui non è legittimato a far valere alcun diritto. Il campo dei doveri ha molti confini. Confina anche con la legalità. L’impegno educativo è anche in questo caso doveroso. L’affermazione di una cultura della legalità è quella che consente a un Paese di prosperare nell’economia, di vivere civilmente nella società, di progredire in tutti i campi. Dove non vige la legalità tutto questo non è possibile. La mancata osservanza dei doveri fiscali, ad esempio, ha come diretta conseguenza l’impoverimento dello Stato e quindi la sua difficoltà a perseguire gli stessi fini istituzionali che ne giustificano l’esistenza. La mancata osservanza delle norme del codice stradale è fonte di possibili incidenti. La prevaricazione degli uni sugli altri è motivo di disagio, sofferenza e può determinare gesti disperati. Dicevamo prima che tutto nasce dentro di noi. Solo, infatti, chi è intimamente convinto della necessità e dell’utilità di conformarsi a certe norme e di assumere determinati comportamenti lo farà sempre, efficacemente e spontaneamente. Chi viceversa rispetta le regole solo per paura di trasgredirle, senza essere intimamente convinto della loro utilità, sarà sempre una persona che nella migliore delle ipotesi sarà ligia ai propri doveri e alle leggi, ma che, non appena ne ravviserà l’utilità, sarà pronta a trasgredirli. Dovremmo convincerci che il bene degli altri è il nostro bene e in questo il credo massonico è quanto mai incisivo ed efficace. Nella strutturazione di un’etica del dovere il profano si trova sicuramente più disorientato, anche se non mancano codici, norme e figure positive di riferimento. Possiamo dire però che il Fratello può attingere a un sapere antico, che fa delle norme etiche dei principi fondanti, ai quali è tenuto, dall’appartenenza stessa alla Famiglia, a sottostare.
La privacy
Si è detto poco dei diritti. Forse vale la pena soffermarsi maggiormente su uno di quelli meno rispettati o addirittura più calpestati. Uno di questi diritti negati, che non è certamente il più importante - in quanto dal suo mancato rispetto non dipende la vita di nessuno, ma è un valore caro ai Massoni - è il diritto alla privacy. Se ne sente molto parlare, esiste addirittura un organismo di vigilanza preposto alla salvaguardia di questo fondamentale diritto della persona in una società civile, ma non si è mai stati bersagliati da messaggi di ogni tipo, tra l’altro personalizzati (e qui sta il dubbio: da dove provengono i dati personali dei destinatari?), come in questi tempi. Se non si vuole vivere nella segretezza o anche solo nell’anonimato, non si vuole vivere neppure sotto i riflettori o le telecamere. Chiunque di noi - e un Massone in particolare - ama poter appartarsi e ritagliarsi dei propri spazi, senza essere continuamente spiato o invaso o disturbato. La reazione naturale di chi viene fatto oggetto di frequenti assalti è quella di difendersi, di chiudersi nel proprio guscio,magari persino di cingersi di un alone di mistero o di segretezza o almeno di diffidenza. È un atteggiamento diffuso e a volte rimproverato ai Fratelli, frutto sicuramente di una cultura della riservatezza e di una diffidenza dovuta alle persecuzioni religiose e laiche, morali e materiali del passato (anche recente), ma non di meno di questo clima di invadenza e di limitazione degli spazi della privacy di cui, a dispetto di tutte le leggi e le autority, siamo vittime. Mi sembrava giusto toccare questo tasto, non per suonare le campane a morto, ma per segnalare un guasto, per fa scattare un allarme. Se poi mi si chiede cosa si può fare concretamente, come si può difendere questo diritto violato quotidianamente, la risposta non è né sicura, né univoca. A volte si ha l’impressione che si debba ricorrere al «fai da te», ci si debba cioè difendere con le armi che la democrazia e la tecnologia ci mette a disposizione. Qualcuno però dirà che è proprio la tecnologia ad attaccarci (Internet e quant’altro), insidiando pesantemente la nostra privacy o negandoci il diritto a reperire informazioni che ci servono senza sottostare a continui messaggi pubblicitari o a volgarità di ogni genere. A questa obiezione non sapremmo cosa rispondere, se non dando il consiglio di attrezzarci e di agguerrirci sempre di più, magari cementando la nostra appartenenza alla Grande Famiglia Massonica e intensificando la nostra attività all’interno della stessa a tutti i livelli.
Filippo Di Venti

8 dicembre 2009

- PRIMA DEL VOLO


“ Non mi domando perché io non sia felice. Posso solo prenderne atto. Ciò che invece mi angustia è perché non sia almeno sereno, o non sappia sorridere. Ma è come arrampicarsi sugli specchi. Non so da dove o da che iniziare, il peso dell’infanzia, il circolo vizioso, il labirinto della coscienza, gli istinti, la bestialità, il divino, il ridicolo isterismo. Né posso dire: nascerò domani, se non anche: oggi muoio. Troppo fantastico sarebbe svegliarsi una mattina nuovo, con una carezza sulla pelle, con un sapore che ti scenda fresco per la gola e si perda in tutte le cellule del corpo e dell’anima, tirato a lucido come un ciottolo di fiume.”
- PRIMA DEL VOLO - è il titolo del libro del carissimo fratello Francesco Federico Bianchi
leggerlo è stato un continuo volare attraverso paesaggi, profumi e sensazioni di una natura incontaminata, conosciuta da noi canuti. Un ritorno al passato, alla gioventù con tutte le sue problematiche. Vita vissuta di “ Uomini liberi e di buoni costumi.”

30 novembre 2009

- Il Triangolo


Nei libri di geometria si legge che il punto è un ente geometrico che non ha dimensioni. Quindi il punto è una mera congettura, una convenzione. É da chiedersi: il punto è una ipotesi progettuale o è una monade? É forse un ente allo stadio utopico? Su questo si scontrano religioni e filosofie di tutti i tempi; vedasi l'Uno di Pitagora, di Platone e dei neo platonici.
É interessante quanto scrisse nel 1684, nelle sue «meditazioni», il filosofo tedesco Gottfried Wilhell Leibniz: « Monade significa una sostanza individuale e spirituale che
riproduce in sé stessa la struttura di tutta la realtà.» È evidente che questo termine è assunto in senso metafisico, sospeso tra l'essere e il non essere, già connotato di individualità.
Il punto come unità.
Tentiamo di determinare una consequenzialità dalle congetture e dai fenomeni. Se si uniscono tre punti nello spazio si ha la prima figura piana, la prima elementare manifestazione razionale, si ha il primo stadio della realizzazione di qualsiasi progetto. Lo sanno bene i matematici e gli ingegneri che il sistema della triangolazione è alla base di tutti i problemi di calcolo e di misurazioni perfino in astrofisica e geodesia.
Quindi, mentre il punto è la verità in senso assoluto, la prima figura piana, il triangolo diviene lo strumento di mediazione tra l'astrazione e la realtà. Si palesa così in modo inequivocabile la prima testimonianza del pensiero razionale; si manifesta la ratio, la quale media la verità e la realtà. Sui banchi di scuola ed oggi sull'impalcatura, mentre affresco questo simbolo, subisco il fascino del suo mistero. Quest’immagine elementare diviene forma, diventa realtà fisica se alla bidimensionalità aggiungo la terza dimensione, quella spaziale, lo spessore. La quarta dimensione, quella temporale, è da prendere in esame successivamente. Ebbene, questo è il momento magico della creazione. Questo è il motivo per cui Leonardo da Vinci dispose la sua Mona-Lisa leggermente obliqua. Cito Leonardo, ma potrei citarne altri come Donatello, Scopas ecc. Ne consegue che il parto creativo è struttura, è forma reale anche nella luce, nel pensiero, nella musica; è il momento in cui si manifesta la realtà. Hegel dice: «É reale ciò che è razionale.» Noi usiamo dire che la verità è in mens Dei, tant'è vero che il pensiero, quale ente astratto, è stato rappresentato sempre da un occhio: immagine più comprensibile di un punto, e per la sua dimensione umana in cui l'uomo ha bisogno di identificarsi e per la sensazione di presenza vigile dell'Ente Supremo. Non c'è dubbio però che quell'occhio è il punto, il sole, la monade di Pitagora; è l'ente geometrico che non ha dimensioni, è il pensiero, la verità, la vita.
Verità, realtà, vita.
La realtà, fase che succede alla verità, è quella che ci coinvolge nella totalità esistenziale, nella totalità del pensiero e dei sensi: è la stessa filosofia dell'esistenzialismo. Ne consegue che la struttura, nel momento in cui determina una forma, cioè nel momento stesso che subentra il meccanismo strutturante, origina la materia. La struttura è il processo creativo, logico, dell'intelligenza attiva. Per converso, la materia stessa, nel suo ridursi ad ente infinitamente piccolo diceva Einstein, diviene energia. Ora,...che il passaggio dal pensiero alla forma..., dall'energia alla materia e viceversa, venga prodotto dalla quarta dimensione, la velocità (massa per velocità della luce al quadrato), questo poco importa ai fini di questa disamina; anche se ritengo utile ricordare che l'Osservatore Romano alla morte di Einstein asserì che questi si era convertito. Ciò per il fatto stesso che la scoperta dell'energia, nell'infinitamente piccolo, equivarrebbe alla scoperta scientifica dell'anima. Non sfuggirà quanto suddetto del passaggio pensiero-forma. É un argomento questo di ben più vaste proporzioni filosofiche perché implica l'accettazione della preesistenza del pensiero, la progettazione dell'universo. Sant'Agostino, quando parla della Trinità, riduce ad unità materia e spirito da cui scaturisce per sinergismo - non certo in ordine di tempo la vita. Unità questa che sussiste nella stessa logica del creato. Detto pensiero è stato molto deviante per cui diviene dogma (mysterium fidei). Gli stessi dotti della chiesa cattolica, nella ricerca della verità subirono e subiscono disorientamenti. Si pensi alle incomprensioni patite da S. Francesco ed i suoi fraticelli per quella filosofia solo apparentemente prosaicamente panteista alla quale il Papa attuale s'informa. Mi preme ora far notare che l'uomo primitivo quando prendeva coscienza di sé, manifestava la propria presenza con il ricorso alla geometria. Esaltato dalla scoperta di una forma pur minimale, come questo triangolo che ora vado dipingendo, su di essa e con essa organizzava l'evoluzione del pensiero e, quindi, della propria civiltà. Come del resto si entusiasmano i bambini quando dalle espressioni grafiche occasionali, dalla propria gestaltica passano alle prime forme organizzate razionalmente.
Tornare all'infantile.
Nel passato si è avuta la civiltà del triangolo. Dagli studi fatti ricordiamo il tesoro d'Atreo, le mura di Tirinto, le strutture Lidiache, la porta dei leoni di Micene. Senza andare tanto lontano un esempio interessante si ha qui vicino a noi, ad Alatri. Certamente dal XVI-XV sec. a. C. in poi il triangolo non veniva limitato alle strutture architettoniche, ma anche a quelle del pensiero: «il passato, il presente, l'avvenire», «la saggezza, la forza, la bellezza», «la nascita, la vita, la morte», «la luce, le tenebre, il tempo». La Pietra filosofale, con i suoi tre principi, «il sale, lo zolfo, il mercurio», fece parte di una cultura pre-umanistica nel medioevo. La chiave di volta del Cristianesimo non è forse l'assunto della trilogia antropomorfa della Trinità? Ed ancora: Brahama, Siva, Visnù in India, come, del resto, la simbologia pagana antica e non. Le fasi primitive delle varie civiltà sono sempre state geometriche. È questa tesi che ci conferma se un popolo ha origini autoctone o è di derivazione: vedi la civiltà romana, la quale nascendo dalla fusione di quella greca e quella etrusca, non ha attraversato la fase geometrica. Il triangolo lo vediamo, tra l'altro, nell'incedere della nuova logica che la cultura europea veniva sostituendo a quella vecchia nei primi anni di questo secolo. Gli artisti vollero ribellarsi in forma spettacolare a quella che definivano la logica bellica dei guerrafondai, la logica antiumanista della ferrea legge della civiltà industriale. Nacque il «dadaismo» quale denunzia. La Terra, come la mater-matuta nelle antiche civiltà era considerata sempre feconda e sempre vergine. Questa sinusoide per i dadaisti era irrazionale tanto che, per diffondere il messaggio Dada un certo Hugnet, a Parigi, distribuì dei volantini nei quali affermava che anche la Madonna fu dadaista per aver sovvertito la logica del reale. A questo periodo di rottura seguì quello affannoso di una risalita verso la logica. Quindi i futuristi ed i cubisti, gli artisti della Bauhaus dei Weimer e di Dessau ricominciarono a ristrutturare in modo infantile una geometria elementare con il punto, la linea, il triangolo. Nella purezza dell'infantilismo erano ricercati nuovi equilibri nelle forze contenute nel triangolo. In Massoneria si usano i tre punti quale sintesi del Delta, del Triangolo divino. Il pittore Attanasio Soldati agli inizi del '900, insieme a Mario Radice ed altri, disse: «Dimostreremo il lirismo della geometria.»
Triangolo equilatero e verità.
È d'uso corrente un testo di psicologia nel quale, con una certa grafia triangolare, si tende a dimostrare l'intelligenza riflessiva di speculazione intellettuale, filosofica e spirituale. Per far capire ai miei allievi il potere di persuasione occulta del triangolo, affidavo ad essi uno isoscele a sviluppo verticale, uno a sviluppo orizzontale egualmente isoscele ed uno equilatero. Ebbene, nel momento di inserire degli elementi grafico-decorativi era inevitabile che accadesse un fatto interessante. In quello verticale il senso di leggerezza era l'aspirazione costante delle fragili linee ivi inserite, come nell'architettura gotica. Nel triangolo a sviluppo orizzontale - come nei frontoni dei templi pagani si rilevavano elementi ritornanti fortemente al suolo con curve energiche e ribassate. Nel triangolo intermedio, invece, quello equilatero, si evidenziava il dramma della ricerca, si scatenava il dualismo tra realtà ed astrazione; in questa fluttuante instabilità gli artisti hanno ravvisato le linee di tensione emotiva dei grandi temi della vita, la tensione egualitaria delle verità fondamentali come nella simbologia acquisita. Non a caso quella «G» che si trova nel «Delta» o nella «Stella fiammeggiante» significa la struttura di tutte le realtà: Gravitazione, Geometria, Generazione, Genio, Gnosi. Oppure semplicemente God; Grande Architetto.
Dante Alighieri edificò il poema della Divina Commedia in struttura triangolare. Sulla base fortemente ancorata, quella dell' «Inferno» passionale e magmatica, egli volse la sua opera verso l'astrazione, la transumanazione (termine che egli stesso usa). Si volge verso l'incorporeità, verso la Luce come nel pensiero degli egizi (si veda in particolare la piramide di Chèope). Ciò dimostra ulteriormente che nella struttura del triangolo equilatero ci si dibatte alla ricerca della Verità, come del resto avviene nella metafisica del quotidiano degli artisti.
Il triangolo nell'arte.
Nel triangolo della Pietà michelangiolesca, quella del Vaticano, l'artista congela le contraddizioni etiche sia nella composizione che nei ritmi plastici. L'arco del Cristo, in quel triangolo, aderisce al dramma della vita e la luce ne plasticizza la forma, mentre il panneggio retrostante è vibrato dal contrapposto. Intanto la giovane madre diciotto-ventenne, ed il maturo figlio trentatreenne sembrano sfuggire alla realtà, mentre aderiscono ad una logica solo apparentemente irrazionale. Anche Bramante ed il Palladio, nelle composizioni dalle strutture organiche triangolari, tendevano alla ricerca di quegli equilibri. A questo proposito mi piace ricordare che Michelangelo scrisse all'Ammannati che il progetto nucleiforme di S. Pietro, fatto dal Bramante, era più vicino alla VERITÀ di quello del Sangallo. Anzi quest'ultimo si era discostato dalla verità. Tra il Bramante ed il Palladio esistono delle differenze che non sto qui ad evidenziare, ma entrambi partivano da una progettazione frontale triangolare. Leonardo da Vinci tenta di chiudere in strutture triangolari alcune sue composizioni. I suoi triangoli erano immersi in paesaggi, ma conclusi nel loro sfumato plastico. Egli, Leonardo, è stato un seguace della filosofia metafisica della matematica di Pitagora, Cusano ed altri. Egli realizza un'opera dalla coerenza stilistica ai limiti dell'umano: la Gioconda. Mona-Lisa, col suo sorriso e con le sue alterazioni biomorfologiche, evidenti nelle tumefazioni temporali e delle mani, è compiaciuta di essere depositaria del mistero della trasmissione della vita. Dal freddo surrealismo dell'ambiente retrostante, nel triangolo in cui si raccoglie e si solidifica l'immagine, è presente la vita.
Simbolismo geometrico.
Ad ulteriore sostegno di tutto ciò che ho detto citerò quanto ha scritto Nikolaus Chrypffs, il cardinale vissuto nella prima metà del 1400, appunto il Cusano al quale ho fatto riferimento prima: «La prima divinità può essere attinta solo attraverso immagini simboliche geometriche. » Pitagora, Cusano e Giordano Bruno sono vicini a detta logica con la loro matematica magico-simbolica.
Pur nel timore di non essere stato abbastanza rigoroso nella logica di quanto detto, non posso che concludere affermando che il Punto, la Monade delle monadi, il Sole, l'Occhio, non poteva che essere inserito in un triangolo equilatero, una struttura geometrica elementare le cui forze, quelle antitetiche dell'universo, vanno alla costante ricerca della perfezione nell'equilibrio: il progetto del GADU.
MANLIO MANVATI

24 novembre 2009

- Etica


L’escursus di questa tavola sarà anomalo, partirò dalla profanità, intesa come crogiuolo dell’umana creatività, per ricercare nel suo guazzabuglio gli elementi che possono condurre ad una loro mescolanza nell’Atanor della Spiritualità, agendo alchemicamente, come espressione del pensiero, passando attraverso le tre fasi alchemiche: nigredo, albedo, rubedo. Mi avvarrò, quindi, di una ricerca suggestiva, come quella cinematografica, estraendo dalle pellicole, films da tutti conosciuti, il messaggio etico che vi ho trovato e che inconsapevolmente o meno, il regista ha espresso e che il sottoscritto ha preteso di intravedere nella trama,immagini, suoni e parole recitate dai vari protagonisti.
Pertanto, i films, saranno la traccia per lo sviluppo dell’argomento, che si suddivide in varie esposizioni, attraverso la finzione cinematografica, per giungere a quella reale della vita.
Partiamo dalla etimologia:Etica dal greco “ethos” (costume).
L’etica è il costume, la consuetudine;essa forma quella parte della filosofia che si occupa del comportamento umano che studia la condotta umana, i movimenti che la determinano e le valutazioni morali. Un complesso di norme di comportamento (non leggi) in contrapposizione ad un atteggiamento individuale - interessato.
Si suole identificarla con la morale che designa invece, un’etica orientata per l’applicazione delle giuste azioni e l’individuazione di quelle sbagliate, da cui i concetti del bene e del male utilizzati nelle religioni, ma anche nella vita quotidiana.
-Etica di ieri e quella di oggi - quello che prima non era giusto oggi lo può essere, è il male che diventa il bene o è un rilassamento delle coscienze; essere nel bene è più difficile in questa epoca del consumismo sfrenato (colpa messaggi pubblicitari - stultificazione).
L’etica è il filtro delle nostre azioni duali, è il bivio del nostro comportamento, dove l’azione può divenire mezzo di difesa (a beneficio di tutti) o di offesa (a beneficio del singolo) “mors tua vita mea”. Ma cosa forma l’etica? La filosofia, la conoscenza, l’acquisizione della scienza e del sapere; e ci si domanda, ancora,l’agire comune è sempre conformato all’etica? vedremo se vi è risposta.
Il nostro percorso si svolge attraverso una articolazione dell’etica in: - etica nella filosofia, - etica nella politica, - etica nella famiglia e nei giovani, - etica nelle nazioni (come rispetto degli esseri umani), - etica nella industria, - etica nelle religioni e nella massoneria.
-L‘Etica nella filosofia; è consapevole dei propri limiti, come quella socratica fondata sul “sapere di non sapere” alla ricerca del vero, del bene, del giusto, pronta sempre a confutare le proprie posizioni dopo un confronto, per liberarci dagli errori e per essere più liberi e felici.Quindi confutazione come argomentazione dialettica e non semplice conversazione, come insegna Aristotele; dimostrare l’incompatibilità fra determinate posizioni come il rispetto assoluto per la vita e la disponibilità all’aborto ed alla eutanasia.
Dunque l’”etica” come parte della filosofia che si occupa delle azioni e del comportamento dell’individuo in rapporto con la società e con se stesso (R. Chissotti - moderno dizionario massonico ed. Bastogi).
Tale definizione sposa integralmente il principio massonico “fai agli altri tutto ciò che vorresti fosse fatto a te”, che ha come pietra d’angolo “conosci te stesso” (prima di poter intraprendere qualsiasi cammino, dunque studio e conoscenza).
Nel pensiero greco, il problema etica-morale (ricerca dei mezzi atti a concretizzarla), viene affrontato come problema della felicità, realizzazione della natura umana e dell’armonia, quale perfetto equilibrio fra vita esteriore e quella interiore.
Massima virtù resta la giustizia, come capacità di equilibrare l’individualismo con il sociale, assicurando legalità ed uguaglianza nell’ordine delle nazioni.
Continuando, esaminiamo l’etica, come riflessione rinascimentale, basata sul naturalismo ottimistico di Giordano Bruno, per giungere all’empirismo settecentesco con la critica del razionalismo in termini di morale naturale, infine l’illuminismo porta all’adozione della morale utilitaristica, per giungere a quella (l’etica) che la massoneria considera come l’insieme delle regole e dei principi morali e comportamentali compresi nella Costituzione e nei Regolamenti dell’Ordine e dibattuti nel corso delle Tornate di Loggia.
Interessante per il contesto generale è prendere in esame sia pur in forma breve la “Summa” di San Tommaso d’Aquino; che all’interno del primo volume (prima secundae) parla degli atti umani (q.6-89), in quanto volontari e liberi ed in quanto tale esso non è moralmente buono nella misura in cui è conforme alle regole della ragione evangelicamente rettificata (q.6-21).
Per giungere nel secondo volume (secunda secundae) al concetto di azione (morale) che è tale se si serve correttamente dei mezzi giusti in vista del fine buono;ciò non è possibile se non grazie ad una ragione che sappia consigliare, giudicare e comandare.
Nel neoplatonismo (quale interpretazione del pensiero di Platone in età ellenistica) troviamo il principio dell’etica-razionalista.
Il suo diffusore in chiave occidentale fu Plotino che a Roma fondò una scuola neoplatonica, che ha origine dal pensiero razionalista di Parmenide e degli aleatici, basato sull’identità di “Essere e Pensiero“;concetto ripreso da Cusano, Pico della Mirandola, Sant’Agostino, San Bonaventura, M. Ficino, che consideravano l’Uno come principio dell’Emanazione;che in G. Bruno si traduce in ottica panteistica, dove la verità oggettiva è tale quando prende coscienza nel soggetto.
Tutto ciò è Etica da riscoprire e riproporre per la salvezza dell’individuo, che come unica radice la si ritrova nel pensiero dell’uomo che rivolge il suo sguardo verso l’Alto trascrivendo le sue meditazioni o trasmettendo oralmente le sue riflessioni ai suoi allievi, come avveniva per i filosofi antichi. Nessuna trasposizione cinematografica.
-L’Etica nella politica- seguendo la prima traccia cinematografica, l’occasione ci è offerta dal film “Il Gattopardo” tratto dall’unico libro del Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
La pellicola del ‘63 fu realizzata dal regista Luchino Visconti con una trasposizione eccellente, bella quasi quanto il romanzo. Il cast di livello internazionale era formato da :C. Cardinale, Burt Lancaster, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Alain Delon ed altri interpreti.
Con l’opera si raffigura un periodo di grande importanza per l’unità d’Italia, ed esattamente subito dopo il “sacco piemontese“, con la conseguente annessione della Sicilia al resto d’Italia;quindi il suo passaggio dalla casata dei Borbone a quella Sabauda.
Un cambiamento epocale dopo la consegna della nascente Italia dal generale G: Garibaldi nelle mani del re V:Emanuele II, dove “tutto sembrava cambiare, affinché nulla cambiasse“, come sentenziava il Principe di Salina a colloquio con l’inviato del nuovo regnante che offriva una carica di senatore al principe, il quale pur rifiutando sosteneva questo nuovo connubio, più che ambiguo, fra la nascente borghesia e la eventuale trasformata o in fase di trasformazione, della vecchia aristocrazia siciliana.
Sta per sorgere, almeno questo era l’intento, una nuova rappresentazione politica dei “nuovi italiani” utilizzando in pratica vecchi pezzi di coloro che già rappresentavano il potere. Ma da subito si erano disseminati sémi cattivi che avrebbero prodotto cattivi politici e molti politicanti, non servitori dello Stato e rappresentanti dei cittadini, ma al proprio servizio. Il Principe aveva ragione “tutto si cambia, per non cambiare nulla”.
Ma da dove si ricava il concetto di Etica nella politica, quando è che è nata, se mai è nata!
Tutto si ritrova nel colloquio che Don Fabrizio, il Principe, ha nel suo studio con Chevalley incaricato dal nuovo governo, di offrirgli l’alta carica di Senatore; a questo punto rileggiamo questo colloquio:
Chevalley- dopo la felice annessione….. volevo dire…. dopo la fausta unione della Sicilia al Regno di Sardegna, è intenzione del governo di Torino di procedere alla nomina a Senatori del Regno d’Italia di alcuni illustri siciliani…… si è subito pensato al suo nome.
L’inviato si aspettava una rapida accettazione;ma il principe già pronto al rifiuto, chiede che cosa rappresenti veramente questa carica.
Principe- che cosa è veramente questa carica,un semplice appellativo onorifico, una specie di decorazione? O bisogna svolgere funzioni legislative, deliberative?
Il piemontese, il rappresentante del solo Stato liberale italiano s‘inalberò:
Chevalley- ma … Principe il senato è la Camera Alta del Regno:in essa il fiore degli uomini politici….. Propongono il progresso del paese;… adesso la Sicilia non è più terra di conquista ma libera parte di un libero Stato.
Principe-… L’intenzione è buona ma tardiva;
Il principe parlava ancora piano e disse:tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche e desiderio di oblio.
Chevalley -… ma… non le sembra di esagerare un po’, principe? Io stesso ho conosciuto a Torino dei siciliani emigrati Crispi … tutt’altro che dei dormiglioni.
Principe- non posso accettare…sarei un legislatore inesperto, avete bisogno di persone non compromesse con i vecchi tempi, giovani con la mente aperta, giovani svelti ..; e suggerisce il nome di Sedara…
Chevalley- Principe… ma se gli uomini onesti si ritirano, la strada rimarrà libera alla gente senza scrupoli…
Il rifiuto se pur giusto e motivato del principe, è stato il prodromo per la non creazione di una corretta genia di rappresentanti governativi e quindi di una giusta etica; ancora oggi se ne cerca il valore mai formatosi, in quanto nata già con un vizio di origine e chissà mai quando si formerà. Altra trasposizione cinematografica per una riflessione sull’etica nella politica ai giorni nostri è emblematicamente rappresenta da un famoso sketch quello del “vagone letto” del ‘52 con Totò protagonista e Mario Castellani sua impareggiabile spalla nella parte del politico. Castellani è il prototipo del politicante che si è formato dopo l’unità d’Italia;tronfio e pettoruto, senza arte né parte, ma forte nei suoi privilegi, che si connotano tutti nel momento della sua conoscenza con l’altro occupante il vagone letto (Totò)..:“… io sono l’Onorevole”…. e Totò (Fr:.) di rimando … ”chi?”… e squadrandolo da capo a piedi e accompagnandosi con un gesto della mano, ribatte..”… ma mi faccia il piacere..”.
-L’etica nella famiglia e nei giovani-
La traccia da seguire in questo caso è una commedia-film “Napoli milionaria” per la prima parte e il film “3 metri sopra il cielo” per la seconda parte.
Ma una prima riflessione la poniamo su cos’è l’etica senza la cultura (intesa come conoscenza);nella equazione etica – cultura - conoscenza, quest’ultima va intesa come terminale finale, riferimento interessante in quanto alla domanda fanno seguito risoluzioni concrete e in tal senso il libro “L’ospite inquietante” di U. Galimberti, che tratta del “nichilismo e i giovani” come causa dell’affossamento dell’etica, intendendo il nichilismo come l’ospite più inquietante, tesi sostenuta anche da Nietzshe.
Nella sua accezione più generale, il nichilismo è la negazione di qualsiasi valore o verità: chi non crede in nulla (come i giovani!!). Perché?
La famiglia, come punto appropriato di partenza, non desta alcun richiamo e la scuola non suscita alcun interesse.
“La musica sparata nelle orecchie, per cancellare tutte le parole, un po’ di droga per anestetizzare il dolore”. L’autore ritiene e sono d’accordo, che tale disagio non è esistenziale, ma culturale e quindi aggiungo la non conoscenza dell’etica come valore originario. Seguono poi la sistematica distruzione delle consuetudini e quindi le falsificazioni dei buoni comportamenti umani come modelli e la ricerca di falsi modelli “simil - commerciali” votati al dio del consumismo e alla sua dea altrettanto falsa del:”voglio tutto quello che tutti hanno”, che hanno prodotto l’abbattimento del “valore del desiderio” come conquista, mercificando ogni scelta senza dare una giusta scala di valori al senso del sacrificio, ponendo sull’altare un altrettanto falso mito:”tutto mi è concesso” quindi tutte le azioni più abiette sono giustificate pur di raggiungere il possesso di ciò che desideriamo.
Come ci ricorda il filosofo rumeno Costantin Noice.”… le stelle si sono ammalate; anche il cielo è malato;anche il tempo è malato;anche la luce è malata;anche il logos è malato. Oggi conosciamo solo anime individuali…”. La mancanza di un futuro come premessa,priva genitori ed insegnanti dell’autorità necessaria, la non autostima e la non autoaccettazione ci privano della forza necessaria per far fronte agli eventi avversi della vita.
Il “senso della famiglia” è stato contrabbandato con “la vita è mia e la gestisco da solo”; la scuola non da più l’emozione della conoscenza, del fascino iniziatico che apre le porte su di un mondo ricco di buone cose scritte e quindi il piacere di vivere per scoprire il senso del Divino -inteso come Armonia- che non giunge più al nostro Orecchio perché sovrastato da tanti inutili rumori. La soluzione come sostiene Galimberti è il ribaltamento non l’azzeramento, prendere consapevolezza e cercare in se stessi la rivelazione di sè a sè. E questo ci riporta ancora una volta al nostro principio massonico:”conosci te stesso”. Ora affrontiamo l’etica nei giovani e la scelta cade a differenza degli altri riferimenti cinematografici di pellicole più datate - e non è un caso- al film “Tre metri sopra al cielo” dove il lucchetto (catenaccio) assume un significato psicologico particolare.
L’opera del 2004 del regista Luca Lucini è tratta dal romanzo di Federico Moccia; è una storia d’amore fra giovanissimi, troppo diversi fra loro come status sociale, ma che ha fatto sognare i giovani. In generale la storia non ha nulla di nuovo, tenuto conto che il canovaccio può rifarsi a quello eterno di Romeo e Giulietta di W.S.
Il film, opera prima - anche questo è da tener presente- racconta le emozioni, la difficile conquista, la diversità dei ceti sociali, tutte situazioni abbastanza scontate, che comunque hanno incontrato il favore degli spettatori specie fra i giovanissimi. Il giurarsi “eterno amore” non passa questa volta attraverso la lame di un “pugnale”, ma attraverso il più prosaico catenaccio che chiude la catena dell’amore di cui si sono adornati i lampioni di molte città italiane (a Napoli via Caracciolo ne è piena). Perché?
In un’epoca in cui non ci sono più valori, dove la moralità e quindi l’etica sono irriconoscibili, dove i giovani sono senza referenti certi, ritrovano nonostante tutto il desiderio di restare uniti per sempre (almeno in teoria), come se questa unione potesse difenderli da tutti i mali come in un castello delle favole, portando i protagonisti del film e i giovani “tre metri sopra il cielo”. Scopriamo che il libro prima ancora di uscire nelle librerie, già circolava in fotocopia fra i giovani, quindi approvato da loro senza nessun intervento mediatico-culturale. Scopriamo anche che allora l’etica nei giovani esiste, anche se si è trasformata -nemmeno tanto da quelli di una volta- si è solo adeguata: nel film vi è questo passaggio “ti regalo la mia verginità recita Baby la protagonista femminile e Step il protagonista maschile l’accetta come vero pegno d’amore che li unirà per sempre. Questo è la trama del film, ma nella realtà funziona allo stesso modo? Le cronache sono piene di assassini perpetrati da uomini e donne abbandonati dai rispettivi partner e questo perché i giovani si sono modellati un’etica che funziona solo fra due persone, non allargata a nessun altro, risultandone un’etica fragile come i giovani che una volta perso il riferimento della persona presunta amata vengono travolti perdendosi successivamente nei canali della droga, dell’alcool e della violenza. Questo tipo di non-etica si innesta in una non-etica allargata alla intera nazione.
-L‘etica delle Nazioni- per sviluppare l’etica delle nazioni, il filo conduttore è il film del ‘59 “La gatta sul tetto che scotta” tratto dal romanzo di Tennessee Williams, regista Richard Brooks, interpreti principali Elizabeth Taylor e Paul Newman, altri interpreti Jack Carson e Burl Ives (genere drammatico). La storia si sviluppa intorno ad un autoritario proprietario terriero del Mississipi, malato di cancro che festeggia il 65° compleanno. E’ uno spaccato della cultura della ricca e sudista proprietà terriera americana, che ben si potrebbe adattare a qualsiasi nazione. In particolare esprime il concetto di nazione, in questo caso americana,con tutte le sue implicazioni (anche lo yes-man moderno) che tale è rimasto -almeno- fino a questa epocale elezione di un afro-americano (Obama) a Presidente degli U.S.A. e anche se meno epocale ma altrettanto interessante in Europa, esattamente in Francia con l’elezione di Sarkozy che francese non è, in quanto di padre aristocratico ungherese, madre figlia di un medico ebreo sefardita di Salonicco, convertitosi al cristianesimo, moglie italiana. Pertanto possiamo affermare che “il pesce fete più o meno dalla testa” a seconda chi incarna la figura di Capo di Stato, intesa come l’espressione del comportamento -a specchio- dei suoi concittadini o nel caso di case regnanti, suoi sudditi.
Vero è che nelle nazioni, la compagine di più individui rappresentano per le loro radici storiche più anime che dovrebbero confluire in un univoco significato di appartenenza, anche se così non lo è ancora. La difesa delle proprie pseudo-radici, provoca rigurgiti di individualismo di natura ancestrale-terroristica, a scapito della più ampia appartenenza, quella universale, intesa come unicum-iniziatico. Ci aiuta in questa esemplificazione il film citato , dove nella storia di questo autoritario proprietario terriero, è forte il senso di ciò che assumiamo;il cancro di cui è malato -malattia in un primo momento nascostagli e poi svelatagli senza compromessi dal figlio minore P.N.- fanno emergere tutte le frustrazioni di una famiglia che è lo specchio di una nazione, da cui si ricava come un distillato quello di etica-nazione-famiglia. I personaggi moglie, figli, nuore, nipoti, servitori negri (gli esclusi, ma i più misericordiosi) accendono i riflettori su tutte le loro miserie umane:debolezze, arrivismo, individualismo, frustrazioni, senso della rapacità. Alla fine dopo la brutale verità, gettatagli in faccia dal figlio minore, in un delirante ma psicoanalitico confronto (scava profonde prigioni) si portano alla luce i sensi dell’etica, nascosta (metaforicamente) in una vecchia valigia di fibra che il padre-padrone conserva come unico ricordo di suo padre, un povero vagabondo alcolizzato. Ma sentiamo alcuni passaggi del dialogo: Padre- mio padre morì lasciandomi solo una valigia vuota…. mentre a voi ho dato tutto… ricchezza, benessere, potere. Figlio- non volevo tutto questo (in tono irato)…. volevo solo affetto..amore; Dimmi (rivolto al padre) volevi bene a tuo padre? Padre-… sì volevo bene a quel vecchio vagabondo ubriacone che mi portava sempre con sé. Figlio-.. e tu dici che ti ha lasciato solo una valigia vuota?… quella valigia era piena di una ricchezza immensa “l’Amore”. Ecco, noi siamo ancora in attesa di aprire quella valigia; come nazioni prendere coscienza e ricordo dell’Amore;far rinascere un nuovo uomo, un padre-padre e non un padre-padrone e quindi giungere al concetto di “Nuova Nazione”, dove il cammino è a ritroso, dall’etica ritrovata individuale a quella collettiva che si identifichi nell’espressione di Nazione e del suo primo rappresentante.
-L’Etica nella Industria- Anche in questa esemplificazione, il riferimento -non sarà casuale - è un film del 1954 di Billy Wilder (un remake nel ‘95 è di Sidney Pollack), - Sabrina -; interpreti Audrey Hepbur, Humpherey Bogart, William Holden. Considerato di genere sentimentale, nel 2002 è stato scelto per la preservazione dal National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Ma prima di capire perché la scelta è caduta su questo film, è necessario distinguere tre figure diverse che operano nella gestione della produttività nell’industria:
- industriali - categoria di coloro che a capo di una impresa privilegiano un utile personale, affaristico - individuale.
- imprenditori - coloro che pur privilegiando l’utile personale hanno coscienza del ruolo ,nella produttività,dei propri collaboratori.
- capitani d’industria -figura quasi del tutto scomparsa, formata da personaggi nei quali il concetto di capitalismo produttivo si trasmette come patrimonio di famiglia (le grandi famiglie di industriali dell’ ‘800), quasi di valore dinastico - monarchico, dove la scelta del futuro capitano d’industria travalica l’ambito familiare, in onore di un’etica capitalistica - industriale, dove esisteva il rispetto reciproco padrone-operaio, basato su valori reali comuni, anche se con suddivisione dei profitti non corrispondenti al personale processo lavorativo. Pertanto, nel film – Sabrina - seppure definito di genere sentimentale, emerge, estrapolata dal suo genere, un’etica nella produzione dell’industria. Non a caso ritengo, che questa pellicola è stata scelta e conservata nella Biblioteca del Congresso. Nello specifico, uno dei figli (H.B.) del ptriarca delle industrie Larreby, ben impersonifica “il capitano d’industria”; americano del dopoguerra (II° g. mondiale), facente parte di una solida famiglia che costituisce la “nobiltà” degli immigrati, che ha accumulato una forte ricchezza, anche sull’attività dei propri antenati, non sempre legale (furono corsari); comunque i moderni successori portano avanti il concetto di sviluppo industriale, con un occhio attento ai diritti dei suoi dipendenti o se si vuole con un concetto paternalistico, del capo d’impresa memore dei suoi trascorsi. Una trama cinematografica che rivela una verità reale, basti pensare alle grandi dinastie, come quella dei Ford, che innestavano su di un concetto prevalentemente utilitaristico - reddituale, un concetto sociale sia nella produzione (la prima catena di montaggio) come aiuto meccanico per alleviare la fatica dell’operaio e sia la distribuzione del prodotto a prezzi popolari (H.F. è stato Fr:. Massone). Nel nostro paese il capitano d’industria si è impersonificato nella famiglia Agnelli (G. Agnelli) che non affidò al proprio figlio, non ritenuto all’altezza, la gestione manageriale della FIAT, affidandola all’Ing. Vittorio Valletta (altro Fr:. Massone), che progettò l’auto per il popolo, la mitica Topolino (che tanto ci ricorda Walt Disney, anch’esso Fr:. Massone). I passaggi nel film ad un occhio attento si captano abbastanza facilmente;dove il primogenito H.B. tutto villa e industria dedito solo al suo sviluppo “amore” condiviso con i suoi dipendenti, si distingue dal fratello minore (W.H.) dedito solo alle feste ed alle donne;alla fine è proprio l’ algido capitano d’industria (H.B.)che viene travolto dall’Amore per la figlia dell’autista di famiglia - America democratica e sempre stupefacente. Questa etica nella industria, oggi è inesistente risultando un’etica solamente utilitaristica di mero profitto che si cerca di incrementare con:delocalizzazione delle sedi di produzione nei paesi a manodopera a basso costo;sfruttamento del lavoro minorile e delle donne senza parità retributiva a parità di lavoro o stessa tutela lavorativa dei maschi; protezionismo governativo della produzione oltre limiti accettabili. Eppure sarebbe semplice coniugare -senza essere grandi economisti- (Keynes od altri)che la forza di produzione di una impresa è costituita dalla massa dei consumatori che debbono essere preservati,che deve andare di pari passo con una tassazione non vessatoria, deduttiva e non induttiva. Poter lasciare nelle tasche dei cittadini-consumatori 50 euro o 50 dollari,al netto di tutte le spese significa muovere l’economia mondiale. Oggi a tutto questo, si è sostituito il concetto della schiavitù economica attraverso le -carte di credito- (sostitutivo moderno delle vecchie cambiali) che non sono altro che -carte di debito- che ti legano a complessi finanziari al limite della attività legale, fino alla propria morte economica. I due più conosciuti sistemi economici quello capitalistico c.d. del libero mercato e della libera iniziativa con tutela della proprietà privata e quello nazional-comunista, con lo Stato padrone dei sistemi produttivi e della abolizione della proprietà privata, sono entrambi falliti miseramente. Vanno ricercati nuovi modelli economici in cui l’etica e la morale siano predominanti,dove il lucro delle imprese si coniughi con l’interesse pubblico, creando ricchezza a beneficio di entrambi, l’uno come produttore e l’altro come consumatore; riscoprire le -Pubblic Company- almeno per quanto riguarda settori di produzione di beni di prima necessità o di consumo sociale.
- L’Etica nelle religioni e nella Massoneria- “L’etica è quella parte della filosofia che si occupa delle azioni e del comportamento dell’individuo in rapporto con la società e con se stesso”moderno dizionario massonico di Riccardo Chissotti. Così intesa è collegata strettamente al concetto di comportamento che in massoneria significa rispetto delle regole profane ed esecuzione dei rituali in massoneria, non disgiunto dalla coerenza come armonia nella ricerca. La coerenza, quindi, assume un ruolo essenziale nel comportamento del buon massone sia dentro che fuori del Tempio,unica strada che l’Istituzione massonica può percorrere per il Bene e il Progresso dell’Umanità. Non esiste altra esemplificazione dell’etica nelle varie religioni (monoteiste, politeiste,deiste) se non una stessa “Illuminazione” da un unico Dio appellato con diversi nomi (Dio,God,Godan,Wodan,Woden,Odino,Zeus,Theos,Deus).
Pertanto l’etica nelle religioni e in massoneria, và intesa come un valore da proporre e da usare nella vita quotidiana ed anche come forma di dialogo fra le differenti confessioni religiose. Se il -Dialogo- come forma di “catena d’unione”, vista come acceleratore di particelle interiori, raffigurate da due parole uomo (come individuo) e mente (come intelligenza), si facessero scontrare in un ipotetico big - beng, si ricreerebbe la “particella divina” unica e sola, quella dell’Amore. Quindi, non gli orpelli chiesastici generatrici di guerre sante fratricide, non la creazione di una religione - laica nel senso di credenza, comportamenti, rituali e culture, legati al concetto di soprannaturale, già esistente nelle coscienze dell’Uomo fin dalla sua comparsa su questo pianeta.
Se ciò non è avvenuto è colpa in egual misura di entrambe le Istituzioni.
Lucio Bruno

21 novembre 2009

- Labirinto


Fulcanelli riserva al labirinto una descrizione importante. Tra i motivi usati più di frequente nelle cattedrali, è bene parlare dei labirinti, tracciati sul suolo nel punto di intersezione della navata col transetto. Nel labirinto di Amiens, si notava, al centro, una grande lastra, nella quale era incastonata una sbarra d'oro e un semicerchio dello stesso metallo, che raffigurava l'alzarsi del sole sulla linea dell'orizzonte. Più tardi il sole d'oro fu sostituito da un sole di rame, poi sparì anche quest'ultimo e non fu mai più rimesso a posto. Quanto al labirinto di Chartres, chiamato volgarmente la lega (sta per il luogo, cabala fonetica: lieu = lega, lieu (luogo) si pronunciano in francese allo stesso modo) e disegnato sul pavimento della navata, si compone di tutta una serie di cerchi concentrici che si ripiegano gli uni sugli altri con un'infinita varietà di combinazioni. Un tempo al centro di questa figura, si notava il duello tra Teseo e il Minotauro. Questa è un'altra prova dell'infiltrazione dei soggetti pagani nella iconografia cristiana e di conseguenza è anche prova d'un senso mito-ermetico evidente. Però il problema non è di stabilire un qualsiasi rapporto tra queste immagini e le famose costruzioni dell'antichità: i labirinti di Grecia e d'Egitto. Il labirinto delle cattedrali, o labirinto di Salomone, è -ci dice Marcellin Berthelot, "una figura cabalistica che si trova anche sul frontespizio di alcuni manoscritti alchimici e che fa parte delle tradizioni magiche attribuite a Salomone. E'una serie di cerchi concentrici, interrotti in certi punti, in modo da formare un percorso bizzarro ed inestricabile". L'immagine del labirinto ci si offre dunque come emblema dell'intero lavoro dell'Opera, con le sue due maggiori difficoltà: quella della strada da seguire per raggiungere il centro - nel quale si scatena il duro duello delle due nature - e l'altra quella della strada che l'artista deve seguire per uscirne. A questo punto ha bisogno del filo di Arianna se non vuole vagare tra i meandri dell'opera senza riuscire a scoprire l'uscita.
Non è nostra intenzione scrivere, come fece Bastsdorff, uno speciale trattato per insegnare cos'è il filo di Arianna, che permise a Teseo di compiere la sua impresa. Ma appoggiandoci alla cabala speriamo di fornire agli investigatori sagaci alcune precisazioni sul valore simbolico del famoso mito. Arianna è una forma di airagne (ragno). La nostra anima non è forse il ragno che tesse il nostro corpo? E' la virtù rinchiusa in quel corpo chiamato dai saggi: nostra magnesia, l'Hiram massonico, il divino Ariete, l'architetto del Tempio di Salomone. Arianna è anche assimilabile - per la cabala fonetica - all'Oriente (sole che sorge), alla 'calamita', alla stella, il sole sorgente.
Ricordiamo rapidamente che il più celebre dei labirinti antichi,quello di Cnosso a Creta, che fu scoperto nel 1902 dal dottor Evans, di Oxford, era chiamato Absolum. A questo punto, faremo notare che questa parola è assai vicina a quella di Absolu (Assoluto), nome con il quale gli antichi alchimisti indicavano la pietra filosofale".
Con l'identico processo si ricorre alla mitologia greca. Teseo che lotta nel labirinto di Cnosso è l'alchimista che combatte tra le difficoltà della Grande Opera, difficoltà dalle quali si esce solo possedendo il filo d'Arianna, ossia la necessaria conoscenza segreta che fornisce la chiave del lavoro da svolgere; Dedalo ed Icaro, che nel mito evadono dal labirinto usando ali di cera, rappresentano le materie volatili. Ma il culmine dell'attenzione mostrata dagli alchimisti per i miti greci è raggiunta nell'interpretazione delle vicende di Giasone e del Vello d'oro. Il Vello d'oro, il cui possesso dà l'abbondanza, è la Pietra Filosofale; Giasone che parte sulla nave Argo è l'alchimista che intra - prende la via umida; le fatiche dell'eroe sono altrettante allegorie delle operazioni da compiere per arrivare al perfezionamento dell'Opera.
Santarcangeli evidenzia che la caverna, e con essa il labirinto, rappresentano il grembo materno, in tal modo “la caverna appare anche come l’uscita verso la vita, come ciò che è nascosto e sconosciuto.” Il labirinto e la caverna sono “legati ambedue alla stessa idea di un viaggio sotterraneo”, a cui è sotteso poi un significato iniziatico. Il rito dell’iniziazione è, inoltre, strettamente congiunto all’alchimia che, dai surrealisti, è tenuta in gran conto. Anche il motivo dell’albero, presente in alcune opere di Magritte, come ad esempio La condizione umana (1934) o La vie heureuse (1944), rinvia ermeticamente all’albero della vita che, secondo Santarcangeli , si collocherebbe al centro del labirinto. Il disegno labirintico è ulteriormente connesso con “la raffigurazione dei nodi e degli intrecci.”, una struttura che si può riscontrare in Alfabeto delle rivelazioni (1935), dove nel primo dei due pannelli accostati compare un aggrovigliato intreccio, che si rivela essere quasi una trappola, un enigma. “Il labirinto è gioco anche e soprattutto nel senso che è un indovinello.” L’unico desiderio che la pittura di Magritte manifesta consiste, in effetti, nella capacità di far emergere il mistero, l’enigma. Brion evidenzia “il senso segreto, mistico, e la parentela emblematica dei nodi, degli intrecci e dei labirinti, la loro stretta relazione concettuale.”
Il labirinto sembra il ‘viaggio’dell’iniziazione massonica:i viaggi di Apprendista si compiono lungo il percorso apparente del Sole, fonte di vita e di luce. L’iniziando parte da occidente, entra nelle tenebre del settentrione,raggiunge l’oriente e poi fa ritorno a mezzogiorno. Il simbolismo più autentico dei viaggi iniziatici, osserva Guenon è da ricercarsi nel cambiamento profondo che l’esperienza del viaggio stesso determina nel soggetto che lo compie; non è mai fuga, ma ansia di evoluzione, di elevazione spirituale, di affinamento etico e consente di procedere dal mondo delle tenebre - quello profano - a quello di luce. Ecco perché ogni viaggio iniziatico deve avvenire in primo luogo all’interno di noi stessi alla ricerca di quella conoscenza lapidariamente sintetizzata nell’antico motto "Conosci te stesso" inciso sul frontone del Tempio di Delfi. Questa forma di conoscenza, che tende all’identificazione dell’individuo con le strutture del macrocosmo, in qualsiasi modo la si definisca - ermetismo, filosofia occulta, dottrina esoterica, scienza iniziatica - ha sempre avuto l’unico fondamentale obiettivo di condurre l’uomo verso la sua realizzazione spirituale".Il mito e il suo mistero iniziatico Pasifae, signora di Creta, è colta da una passione incontrollabile nei confronti del toro sacro. Per potersi unire con lui si fa costruire dall’architetto Dedalo un simulacro igneo di una vacca. La regina si introduce all’interno e riesce ad accoppiarsi con l’animale. Dall’unione nasce il terribile Minotauro, metà uomo e metà toro. Il “mostro” si nutre di vergini e per bloccare in qualche modo la sua fame insaziabile viene introdotto con uno stratagemma all’interno del labirinto. Lì lo ucciderà Teseo, l’eroe straniero, che è riuscito a giungere negli inestricabili cunicoli grazie ad Arianna, sorella dello stesso Minotauro. L’uccisore e la principessa, dopo aver eliminato la “bestia” fuggono su una nave. Ma dall'alto dei cieli sono scorti da Artemide, anche lei sorella del Minotauro, che per vendicare il fratello scocca una freccia infallibile e uccide Arianna. Teseo torna solo in patria e appena giunto a terra compie una danza di ringraziamento. Fin qui il mito sembra perfettamente comprensibile. Ma ecco che gli studi filologici di Colli aprono insospettabili complessità. Infatti il nome Minotauro può essere tradotto anche in "Stellante" ed Arianna in "Colei che fa assumere in cielo " .La freccia che la uccide significa "pensiero folgorante". Inoltre la danza che compie Teseo è "quella della gru", ovvero "danza del labirinto", o anche "ballo dell'estasi". In questa nuova chiave il mito significa che grazie ad Arianna il Minotauro è assunto in cielo e la ricompensa per la donna è il pensiero intuitivo. Teseo celebra l'avvenimento con un rito estatico che permette all'uomo - eroe di concepire in se alcuni aspetti del divino. Ma non è finita. Perché come abbiamo già detto Dioniso è rappresentato anche come fanciullo leggiadro ed innocuo. Ed invece anche in questo caso si cela l'ambiguità. Perché secondo Euripide quel bimbetto attira gli uomini all'interno del cerchio delle baccanti e gli cinge il collo con un filo d' oro. Presi dal ballo rituale gli incauti non si avvedono che finiscono con lo strozzarsi con il loro stesso movimento. Sotto sembiante innocente il dio rivela atrocità impensabili. Come il rovescio della medaglia delle storie del Minotauro. C'è anche dell'altro. Dioniso è descritto dai sapienti come “colui che si guarda allo specchio”, ma l'immagine riflessa non è quella del dio, bensì del mondo degli uomini. Questo vuol dire che il creato è «apparenza, ombra, dell'eterno'. Per concludere, ecco l'ultimo momento del puzzle sapienziale. Il labirinto può essere tradotto anche come "enigma", "nodo da sciogliere", "problema". Quindi l'uomo che riesce a risolvere l'enigma scopre che il mondo è apparenza e che l'unica realtà è la sostanzialità di dio. Ma per arrivare a questo deve abbandonarsi all'estasi che può essere raggiunta mediante la danza bacchica. Gli antichi padri della conoscenza hanno dunque gettato attraverso i millenni i loro enigmi affinché generazioni successive di uomini si cimentassero con la propria intelligenza e tentassero di capire i "reconditi segni". Qui abbiamo riportato spiegazioni che sono costate vite intere di ricerche e forse è proprio questa la spiegazione. Forse. Perché Platone ha anche tramandato nella VII lettera che «nessun sapiente affiderebbe alla scrittura nulla di veramente importante». Ultimo inquietante interrogativo che deve servirci ad ulteriori riflessioni. Anche perché Platone per esprimere questo concetto contro la scrittura adopera proprio la scrittura!

18 novembre 2009

- Rito e ritualità.


Una concezione purtroppo corrente nella società contemporanea, diffusa non solo nel mondo profano, tende a considerare tutto ciò che appaia come «rito» o «rituale» alla stregua di un armamentario ideale superato, una ferraglia da rottamarsi il più velocemente possibile.
Il ragionamento sotteso a tale sotto-cultura ha una visione del rito esclusivamente «esteriore », ossia ne enfatizza la ripetitività, l'immobilismo, l'arcaicità, tutte categorie intese come contrapposte alla ragione, al dinamismo, alla modernità. Non si mancherà di notare peraltro che una sorta di svalutazione dell'apparato rituale è presente anche in alcune manifestazioni dominanti del Cristianesimo, ove la dimensione simbolica della sacramentalità dell'officio liturgico è stata fortemente ridimensionata, non sempre con piena coscienza o altrimenti suscitando estremizzazioni tanto eclatanti quanto circoscritte. Di pari passo, con tale atteggiamento anti-rituale, si registra, segnatamente in ambiente laico, uno sconfortante senso di estraneità di fronte a tutte le occasioni che con la ritualità sono connesse; il rito, anche e soprattutto nelle sue forme civili, istituzionali, militari, accademiche e sportive, viene lasciato «degenerare» proprio come si trattasse di una noiosa formalità. Si tratta insomma di un impiccio di cui bisogna sbarazzarsi nel modo più solerte, con conseguenze che oscillano tra il ridicolo e la stupidità. Anzi, possiamo dire che nella nostra società ogni seria manifestazione rituale appare sempre più di difficile comprensione, soprattutto se non inquadrata in un ambito espressamente confessionale e pertanto ben circoscritto, e anche in questo caso con qualche problema.
Purtroppo questi condizionamenti non possono essere presi alla leggera all'interno di una comunione come quella massonica, ove la ritualità costituisce un momento senza dubbi centrale, sia sul piano esoterico e formativo, oltremodo significativo del percorso massonico. Questo breve articolo vuole quindi offrire soltanto uno stimolo, al fine di focalizzare e chiarificare un problema sotto molti aspetti nodale.
Etimologia e semantica
In primo luogo mi sembra utile tentare una ridefinizione di «rito» in quanto tale (e pertanto a prescindere dai singoli «riti» che sono accolti nell'ambito del G.O.I.), partendo da una riflessione in chiave etimologica. Il termine latino ritus, da cui l'italiano rito, ha una storia molto complessa; esso, infatti, deriva in ultima istanza da un'antichissima radice indoeuropea ar, che, mediante una serie di diverse suffissazioni, sta alla base di una famiglia semantica estremamente ricca, costituita per esempio in latino da ars, ar-ti-s «arte, abilità », ar-tus «articolazione», in greco da arthmos «legame, unione», ar-thron «giuntura, articolazione, membro», arithmos «numero», ma anche dai verbi ar-ar-isko «adatto, armonizzo» e artuno «adatto». Tale radice indoeuropea ha trovato poi nelle lingue indoiraniche, come il sanscrito - la lingua dei Veda - , e nell'avestico, quella dei testi più antichi attribuiti a Zarathustra a alla sua cerchia, ma anche nell'antico persiano, lingua dei sovrani achemenidi Ciro, Cambise, Dario, Serse, ecc., una serie di sviluppi di estremo interesse: infatti, sia nei Veda sai nell'Avesta, il concetto di «ordine», di «armonia cosmica» è stato rispettivamente rappresentato mediante un tema nominale, che in sanscrito appare come ri-ta-e in avestico come asha- (da ar-ta-), a cui si aggiungerà anche l'antico persiano arta-, che nelle iscrizioni dei sovrani achemenidi ha assunto anche un significato più connotato sul piano politico. A questa categoria fu opposta dualisticamente quella della «menzogna » o del «disordine cosmico», espressa dal sanscrito druh-, dall'avestico druj- e dall'antico persiano drauga-. Inoltre, con una suffissazione diversa, il sanscrito ri-tu- e l'avestico ra-tu- vennero a designare «l'ordine stagionale », un «tempo fissato», e quindi più in generale la «regola», la «norma» (si confronti a questo punto anche il gr. ar-tus «sistema, ordinamento»). Non stupirà quindi più di tanto notare che il latino ritus, dal quale siamo partiti, abbia avuto alle sue spalle una pregnanza e un significato ben articolato, che, al di là delle ben note accezioni di «cerimonia, consuetudine, modo, costume tradizionale», si estrinseca come una «ordinanza», nel senso di un'armonizzazione ordinata, di una sorta di legame tra tutte le sue parti costitutive.
Il senso iniziatico
Se il lettore avrà benevolmente perdonato questa prima parte, forse un po' dotta e pedante, avrà altresì notato quanto vi sia di profondo alle spalle di un termine quale rito, nonché del concetto stesso di ritualità, che da esso inevitabilmente scaturisce. Se ci si limitasse però a quest'aspetto, avremmo solo posto un problema di ordine culturale, mentre lo scopo del presente contributo è differente e meno profano. Una società iniziatica non può prescindere dal rito (inteso come già detto in termini di «ritualità applicata» e non contrapposto all'Ordine dei primi tre gradi della Massoneria azzurra), in quanto strumento di ordinamento e di armonizzazione dell'Officina e dei singoli Muratori. Il rituale è quindi un atto comune e individuale ad un tempo; mette in gioco il singolo Fratello e la comunità massonica a cui appartiene, la quale, a sua volta, è chiamata nella sua totalità, attraverso l'applicazione di una Tradizione simbolica, a stimolare in ciascun Iniziato un percorso interiore. La Massoneria non offre al recipiendario e poi all'Iniziato un «credo», ma un'occasione profonda per misurarsi con se stesso, mediante il confronto con altri uomini che accettano una comunanza di regole e landmarks fondamentali; tale comunione, per quanto si esprima con l'ausilio di un linguaggio simbolico senza dubbio antidogmatico, non è però certamente improvvisata e casuale. Aprire le porte ad una sorta di riduzionismo formalistico del rito e della ritualità, come se si trattasse di anticaglie, secondo una certa vulgata profana, significherebbe devastare alla radice l'esperienza massonica e la sua centralità iniziatica per farne invece un club più o meno ristretto, ma senza un centro, senza un ordine profondo.
Uguaglianza
Bisogna considerare che il rituale, con le regole e i limiti che esso impone, è anche strumento di eguaglianza ferrea; esso infatti impedisce che i ruoli sociali profani si affermino all'interno del Tempio, giacché l'apprendista – qualsiasi sia la sua cultura e importanza – tace e ascolta (senza che però gli sia vietato arrovellarsi nel suo scranno a settentrione), così come ai compagni e maestri è comunque vietato intrattenersi in questioni di politica e di religione, che porterebbero «fuori squadra» i lavori massonici, né è loro concesso scadere in dibattiti o ancora assumere atteggiamenti scomposti e intolleranti. Tutti, in ogni caso, sono soggetti all'autorità/autorevolezza del Maestro Venerabile, che ha il potere/ dovere di armonizzare architettonicamente i lavori e garantire il rito nel senso profondo di atto conformante la parte al tutto. Il senso profondo della ritualità, delle garanzie che offre, nei limiti che al contempo pone, sono tutti aspetti ignoti alla vita profana e alle esperienze che essa può proporre. Non si può quindi ignorare che questo aspetto dell'esperienza massonica costituisce per molti versi un unicum nella vita attuale e come tale esso deve, nelle forme concesse, essere fatto conoscere al di fuori della comunione massonica. Di questa ricchezza enorme, peraltro, i Fratelli devono essere consci, in quanto si tratta di una forza eccezionale, protesa sia verso l'interno sia verso l'esterno.
Edificare il Tempio interiore
Ci soffermeremo ora sul fatto che il rituale di costruzione del Tempio, che è anche metafora dell'ordinamento di un «Tempio interiore», a guisa di pietra che si squadra sempre più perfettamente, fuoriesce dal tempo normale, dal «quotidiano ». Tra l'apertura e la chiusura dei lavori, tra mezzogiorno e mezzanotte, un tempo «altro» scandisce il lavoro massonico, un tempo che è circoscritto e separato da quello dell'esperienza profana. Tale «esperienza» – giacché di esperienza si tratta, in quanto il rituale non è semplicemente spiegabile, ma deve essere attualizzato e vissuto direttamente (di qui almeno una parte del segreto massonico) – si articola e si sviluppa in un «metatempo», in una sorta di dimensione «diversa », alla quale si accede per gradi sotto la volta stellata del Tempio, in un luogo che simbolicamente trascende la sua apparente e contingente esteriorità, ma si pone come centro o asse del mondo. L'accensione del testimone e la squadratura del Tempio, come una sorta di lustratio o di pradakhinâ, circoscrivono uno spazio che verrà in breve tempo catapultato in una dimensione temporale nuova, in una comunione che, nella separazione netta dalla vita e dal tempo profano, si pone come una sfida interiore ad un'ascesa a cui tutti i Muratori devono contribuire. Onestamente non sempre ciò riesce, ma quando tutto è stato veramente «giusto e perfetto», l’autocoscienza di aver partecipato ad un'esperienza, ove il rito non è stato vacua ripetizione di gesti e di formule prescritte, ma armonizzazione di una molteplicità di coscienze, segna fortemente l'Iniziato e gli elargisce una nuova profondità capace di aprire, anche in chi pensava di già aver scoperto tutto, nuove possibilità di ricerca interiore.
In una società dell'immagine, capace di soppesare con interesse solo ciò che «rende», il rito, inteso come strumento vitale di un percorso umano, etico e intellettuale, è indubbiamente una sfida e una provocazione. Per tutti coloro che a priori odiano la Massoneria, ciò appare come una sorta di mostruosità difficile da deglutire, giacché una tale dimensione spirituale non è neanche lontanamente supposta presso una setta di adoratori di «Bafometto» o una consorteria di «intriganti affaristi». D'altro canto, proprio perché non siamo né una cosa né l'altra, non possiamo che lavorare ritualmente la pietra grezza e ricordare, dentro e fuori, che questo è il cammino proposto attraverso l'Iniziazione massonica.
ANTONIO PANAINO

15 novembre 2009

- Il Tempo


Ci sono nozioni filosofiche con le quali tutti noi dobbiamo fare dolorosamente i conti. Sono idee, a tutta prima astratte, che si rivelano nella storia con drammatica concretezza: fra queste, al primo posto, è il Tempo. Di esso si è scritto a proposito e a sproposito; fisici, poeti, letterati e pensatori ne hanno esaminato le varie facce.
La problematicità della nozione Tempo esercita un fascino irresistibile su chiunque anche non interessato, normalmente, a questioni teoretiche; il fatto che il tempo richiama, per immediata associazione, il concetto di durata e, con essa, quello della ineluttabilità della morte. Nascita, crescita, declino si legano intimamente all’antichissima concezione del ciclo, su cui si basarono le religioni mediterranee pre-indoeuropee. Tenteremo anche noi, qui, un’analisi per approcci del problema-tempo, visto nel suo aspetto storico e semantico, con l’obiettivo di riaffermare quel filo di continuità culturale che, sin da epoca arcaica, sembra apparentare le prime speculazioni mitologiche alle più recenti acquisizioni della fisica contemporanea.
Il tempo nella storia etimologica.
Per la nostra indagine sommaria (sull’argomento potrebbero versarsi fiumi d’inchiostro) partiremo dalla Grecia. Gli Elleni, indoeuropei e, perciò, affini agli ariovedici dell’India sanscrita, chiamarono il tempo chronos, da una radice gher; in tutta l’area linguistica aria designa il concetto di recingere, chiudere, delimitare e simili. Essi, dunque, videro la durata come limite, già intimamente associata all’idea dello spazio, uno spazio non vuoto (come comunemente si ritiene) ma come recipiente di potenzialità: il chaos teogonico – si pensi a Esiodo, a Ferecìde – che si riallaccia agli omologhi termini chaschànò, chàschò, connessi al significato di serbatoio. Il chaos non era il nulla (concetto, in realtà, estraneo alla mentalità degli antichi) ma l’antefatto della vita, della molteplicità dei fenomeni, e - per questo – quasi sempre indicato come progenitore della realtà. Caos come spazio, allora, e lo spazio – come si sa – si è rivelato in tempi assai recenti come tutt’altro che vuoto (il vuoto non esiste), portatore di materia interstellare, addirittura di vita; l’analisi spettroscopica degli astrofisici ha individuato tutti gli elementi organici necessari alla costituzione del fenomeno-vita proprio negli spazi interstellari. E siamo al modernissimo concetto di unità spazio-tempo, il cronotopo come è stato chiamato con termini greci, che la fisica relativistica, da Einstein in poi, ha posto come esigenza della sua visione cosmologica di base. Chronos, dicevamo, fu inteso e – l’etimologia ce ne da conferma – come delimitazione della realtà, una realtà che, dunque, supera il tempo per ampiezza e durata. Alle stesse conclusioni giunse, già di buonora, la sapienza arcaica dei Latini: all’ellenico chronos i Romani contrapposero tempus, la parola che ha dato origine all’italiano tempo. Ma questo termine degli indoeuropei italici fu mutuato dal vocabolario greco anch’esso: tempus ha la sua radice etimologica in tem, che troviamo in temno, tagliare, cingere, conchiudere. Si riafferma, anche in questo caso, la nozione di limite, di porzione limitata della realtà. E la Grecia e Roma sono solo due esempi, fra i più significativi, di questo modo di concepire il tempo nato con tutta probabilità nell’età tardo neolitica. Fu allora, infatti, che le prime società di agricoltori imparando a coltivare regolarmente la terra si avvidero anche delle ferree leggi del ciclo naturale delle stagioni, a cui le colture erano di necessità soggette. Fu anche l’epoca in cui ci si rese conto della dualità della natura: giorno-notte, caldo-freddo, luce-buio, nascita e morte del mondo vegetale, fenomeno – quest’ultimo – a cui fu spontaneo associare anche l’uomo. Nacque così, in embrione, l’idea dell’identità fra microcosmo (l’uomo) e il macrocosmo (l’universo), che nel mondo antico giunse a completa maturazione speculativa con la riflessione degli Stoici che intesero l’universo come un tutto vivente (universo: ciò che si volge a unità...). La nozione di ciclo, apparsa con la cultura neolitica della religiosità agraria mediterranea, è responsabile – come abbiamo visto – dell’ètimo di chronos e del tempo, del loro essenziale significato di limitazione. E quest’idea antichissima si è in fondo mantenuta fino ai nostri giorni nella coscienza comune, chiaro retaggio delle nostre inalienabili radici motivazionali.
Nemico e limite dell’uomo.
Ma il tempo, nemico dell’uomo in quanto lo limita, lo frena nel suo irresistibile impulso di autotrascendimento, si prestò anche ad altre interpretazioni, anch’esse sopravvissute fino ai nostri giorni: in tutte le culture ritroviamo accanto al tempo-limite anche il tempo-senza tempo, l’eternità come proiezione e realistico traguardo della durata-provvisoria. La geometria ci ha insegnato che il segmento è una porzione finita della retta infinita; in filosofia riscontriamo l’analogo rapporto tempo-eternità ed eternità etimologicamente si ricollega al tempo, all’evo, al grande ciclo affermato dalla filosofia induista (il para-brahman, il kali-yuga). Perché, sin dal sorgere della speculazione mitica, prima, e ragionale, poi, gli uomini sono stati portati istintivamente a vedere nel tempo il suo superamento? Probabilmente perché vi è innata nell’uomo un’esigenza di totalità, che gli fa cogliere intuitivamente l’infinito, pur essendo questo posto al di là della possibilità del nostro pensiero e, quindi, rappresentabile solo attraverso il simbolo. Il simbolo ci dà la chiave di volta, di decifrazione della realtà metastorica, dell’al-di-là delle cose. L’origine della parola ci rinvia ai concetti di allusione, di contrassegno e di riferimento sottinteso; e non è un caso che nel mondo della sapienza greca, magistralmente scandagliato da Giorgio Colli, riscontriamo agli albori della speculazione l’enigma, il nascosto. «La natura ama nascondersi », affermava Eraclito. «Agli dèi non piace ciò che è manifesto, essi amano l’enigma», affermano ancora le Upanishad indiane. La soluzione del limite nell’illimitato trovò il suo primo ambito di pertinenza nelle società misteriche. E non c’è dunque da stupirsi se già con l’orfìsmo chronos il limite fu identificato (associazione magica fondata sull’omofonìa) con Kronos, l’antico dio dei monti della religiosità pregreca. Qui Ker, la radice di Kronos, allude al fare, all’eseguire e fu facile per le speculazioni mistiche dell’antica Grecia sovrapporre alla figura mitologica di Kronos un’attività demiurgica di creatore della realtà, che si attribuì, quindi, al tempo, alla dimensione dionisiaca che troverà ancora un’eco nell’interpretazione di Nietzsche. L’innocenza creativa si svolge nella dimensione del limite per superarsi e trascendere nel senza-limiti, nell’Eternità agognata da tutti gli iniziati d’ogni tempo, dagli Orfici ai teosofi del mondo contemporaneo.
Tempo come Tempio.
E veniamo alla seconda coincidenza semantica. Il verbo greco témno, che – abbiamo visto – significa tagliare e che, in questa sua accezione particolare, ha provocato la formazione del vocabolo latino tem-pus, tempo, nasconde altre possibilità di analisi che rinviano alla contrapposizione del tempo profano a quello sacro, del tempo secolare a quello mitico dell’eterno. Témno ha prodotto la parola témenos, recinto chiuso e consacrato, propriamente: cioè, il tempio greco, il luogo di dio. E lo stesso termine, ripreso dal vocabolario ellenico, ritroviamo nel latino templum, nell’italiano tempio, sempre col medesimo significato di fondo a cui rimanda l’etimologia. V’è, sottinteso, un fecondo rapporto dialettico di identificazione magica fra tempo e Tempio, di cui s’è perduta cognizione ma non sentimento. L’uomo in questa polarità di significati, entrambi validi e veri ad un diverso livello dell’esistere, compie una scelta di campo irreversibile per il suo stesso destino: vivere nel limite o, piuttosto, nella dimensione di eternità. La svolta drammatica in più tempi riproposta dall’antico invito delfico «Conosci te stesso», svela il senso profondo dei misteri e del messaggio mitico, di cui la filosofia non serberà che un parziale ricordo, un’oscura nostalgia come aspirazione alla sapienza. E chi è sapiente? Chiunque può esserlo, e in potenza lo è. E ancora Colli (La nascita della filosofia) a ricordare che sapiente è chi getta luce nell’oscurità, chi scioglie i nodi, chi manifesta l’ignoto, chi precisa l’incerto. Per essere sapienti bisogna tornare al mito. Di miti c’è ancora – e, soprattutto oggi – grande bisogno. Ma la dimensione mitica mal si attaglia all’esasperato razionalismo, alle rigidità filologiche. La filosofia corrente non ci viene in soccorso perché essa ha perduto il filo d’Arianna: il simbolo. Persino un grande filologo, come il tedesco Ulrich Wilamovitz von Moellendorf, notissimo per il suo estremo scrupolo testuale, ebbe un cedimento mitico. E scrisse, narrando d’un suo viaggio in Arcadia, d’essersi imbattuto in un Sileno... E il suo racconto non fu privo d’una certa commozione. Il simbolo è un’esigenza profonda dello spirito, la via per superare il tempo e accedere al Tempio.
Bent Parodi