31 ottobre 2009

- Immaginazione e magia in GIORDANO BRUNO


L'uomo degli inizi, non essendo in grado di avvolgere la realtà, pur desiderando di trovare il proprio posto nell'universo, si è rivolto all'animismo, come strumento dell'immaginazione, creando così un universo simbolico, oltre, vicino e alcune volte anche contro l'universo reale. Tramite l'animazione, la personificazione e l'iperboleggiare dello sconosciuto, l'uomo è arrivato gradatamente alla magia, alla religione e alla letteratura; l'apparente libertà alla conquista dello spazio immaginario imponeva praticamente una serie di regole, di tabù e di interdizioni magico - religiose che sono state alla base della grande scuola di disciplina dell'umanità appena uscita dall'animalità. La lingua fu la sorgente comune per la magia, la religione e la letteratura, attività puramente immaginative dal punto di vista del concetto; le formule fisse e soprattutto le formule magiche che non tolleravano alcuno sbaglio se si teneva conto dell'efficienza del rito, hanno costretto gli uomini a trovare mezzi mnemotecnici sicuri, cosicchè si potrebbe affermare di essere arrivati prima della nascita della poesia, alla versificazione, alle sequenze ritmiche che hanno permesso la fluidità del discorso. Il montaggio del rito faceva diventare il mago stesso, drammaturgo, regista e attore, insomma, un uomo di teatro avant la lettre. Dall'altro canto, le preghiere religiose hanno lasciato più spazio all'immaginazione, all'improvvisazione, alla creazione poetica alla quale si poteva arrivare sotto l'impulso delle necessità profonde e delle forti emozioni. Il tema dell'immaginazione e della fantasia ha rappresentato una preoccupazione costante per i filosofi che hanno riconosciuto in esso sia la funzione cognitiva, sia che hanno trovato in esso un ostacolo sulla strada della conoscenza della verità. Aristotele appartiene alla prima categoria, sorprendendo in "De anima" il legame indistruttibile tra immaginazione e sensazione (nota l'etimologia della parola "phantasia" da "phaos", che significa "luce", e "senza luce non si può' vedere"; Platone appartiene alla seconda categoria, prendendo l'immaginazione per una perdita di se stessi, perdita che permette l'accesso a quello che non si mostra a tutti i mortali: "I poeti, ciechi nel mondo visibile, vedono l'invisibile (Guido de Rosa, Il concetto dell'immaginazione nel pensiero di Giordano Bruno). Da Giordano Bruno, il tema dello spirito fantastico prende un posto centrale, con la sintesi delle posizioni dei due filosofi, diventando cosi la facoltà intermediaria tra sensibilità e intelletto, come origine comune di entrambi. La ragione umana, come ragione sensibile con radici immaginative, apre sempre nuovi orizzonti cognitivi, fra i quali l'orizzonte della mnemotecnica, che ci permette l'analisi del ruolo dell'immagine e dell'immaginazione nel pensiero, nel conoscimento e nello sviluppo della funzione simbolica del linguaggio. L'immaginazione è vista come potere cognitivo, mentre l'immagine mentale e messa in relazione con la psicologia della personalità "ispirata"; dunque, l'arte della memoria appare come una tecnica di manipolazione dei fantasmi e si fonda sul principio aristotelico della precedenza della fantasia sulla parola e dell'essenza fantastica dell'intelletto. Preoccupandosi dell'allenamento dell'immaginazione nella direzione delle arti occulte della memoria, Giordano Bruno perpetua una tradizione rinascimentale, che proveniva dal rinascimento ermetico, visto che l'esperienza religiosa dello gnosticismo ermetico consisteva nella riflessione dell'universo nella propria mente o memoria. A questo stato si poteva arrivare soltanto in seguito alla convinzione che la mente umana fosse divina in sè e dunque in grado di riflettere la mente divina. D'altra parte, il riconoscimento di una mens super omnia oltre alla mens insita omnibus rappresenta una delle concessioni che Bruno fa alla trascendenza; sostiene, invece, la mens insita omnibus alla quale si può arrivare tramite la ragione, e non la mens super omnia, la quale, trovandosi al di sopra di tutto, può essere assimilata soltanto tramite la fede. Le sue parole, lontano da essere un'espressione del misticismo, mettono in risalto l'unità che l'uomo riesce ad acquistare tramite la ragione nell'insieme dei fenomeni, e non tramite la mente suprema che esisterebbe oltre, secondo la credenza. L'educazione della memoria magica, che riflettere il mondo, diventa in Bruno una tecnica per acquistare una personalità da mago, da mago convinto di poter manipolare lui stesso un individuo oppure una collettività, un mago capace di invocare la presenza di esseri invisibili ricorrendo soltanto agli strumenti dell'immaginazione e alla conoscenza dei legami (vincula) giusti. Per poter eseguire il suo sogno di diventare il Padrone dell'universo, capace di disporre su natura e società, il mago deve stabilire un contatto con il sacro, riattivando le forze e le capacità psichiche ed immaginative eclissate dal razionalismo del logos. Tramite la magia, era capace di elaborare un modo di pensare in grado di esprimere il mondo dall'aldilà, al quale apparteniamo volens o nolens, cioè il mondo del sacro. Basandosi sull'osservazione che l'uomo sia l'unico essere sulla terra capace di essere felice o infelice a causa delle proprie fantasmagorie, il "mundus immaginalis" del Rinascimento ha sviluppato una cultura del fantastico la quale, conferendo un'immensa importanza ai fantasmi suscitati dal senso interno, ha favorito l'esercitazione della facoltà umana di operare attivamente sopra i fantasmi o con i fantasmi "che venivano trasmessi dall'apparecchio fantastico del mittente a quello del ricevente" (Culianu), con l'unica condizione di credere nell'efficienza della magia che veniva applicata, certamente, partendo dalla premessa che la felicità oppure l'infelicità non sono che fatti interni, di coscienza, dunque soggettivi. Gli implicati partecipavano tramite l'ascolto, l'immaginazione ed il vivere interno all'azione magica, per riacquistare la fiducia nelle proprie forze, nella possibilità di lottare e di vincere. Con il suo aiuto diventava tutto possibile; si è sentito, dunque, il bisogno di stabilire un limite fra quello che era lecito e quello che non lo era nella magia, differenziando così la magia bianca dalla magia nera, oppure la magia spirituale dalla magia demoniaca. G. Bruno differenzia anche lui la magia naturale dalla magia transnaturale (oppure demonomagia). Siccome l'interesse di questa relazione è indirizzato sulla magia naturale, mi fermerò pochissimo sulla demonomagia. derivata dalla sovrapopolazione dello spazio, inaccessibile alla percezione repentina, con le personificazioni iperbolizzate di numerosi dei o demoni dell'aria, dell'acqua o della terra, frutto dell'immaginazione umana spaventata davanti allo sconosciuto. La natura, ai tempi del Rinascimento, era invasa da queste creature immaginarie, che suscitavano passioni individuali, che determinavano disastri cosmici oppure, nel miglior dei casi, azionavano costringendo naturalmente (sonno, desideri erotici) quelli che gli si opponevano. L'intento di rabbonirle con le preghiere e i sacrifici ha portato allo sviluppo della religione, mentre quello di manipolarle o di ottenere la loro indifferenza, alla magia. Bruno, vedendo in queste creature spiriti invisibili che hanno la capacità di azione sul. senso interno, portando ad allucinazioni visive ed auditive, distingue cinque classi di demoni, in una gerarchia dalla bruta animalia, agli dei (De Magia, III). In base agli strumenti e ai metodi, lui identifica nove tipi di magia, suddivisi in tre categorie: magia physica, matematica e divina, tra le quali la prima e l'ultima sono benefiche e la seconda. da caso a caso, potendo essere sia benefica, che malefica. Alla magia physica corrisponde il mondo naturale, fisico (fuoco e acqua), alla seconda, la ragione (luce e buio) e alla terza categoria, l'archetipo (l'amicizia e lotta). Prendendo le sue precauzioni contro gli attacchi dei monaci, il nolano condanna le forme di magia che agiscono tramite i demoni e, per rivendicare la dignità della magia davanti alla sua demonizzazione da parte dei preti ignoranti, non esita ad aprire una sottile polemica contro l'oscurantismo di Malleus Maleficarum, provocando una discussione semantica intorno alle parole "mago" e "magia". "Si è detto che il mago è uno stupido e cattivo stregone, che ha ottenuto, tramite il patto col demone cattivo, la possibilità di fare del male o di gioire di certe cose. Questo parere non si incontra nei filosofi o nei filologhi (apud gramaticos), ma negli infagottati in cappuccio (incappucciati), venendo prelevata dai catechismi per gli ignoranti e per i preti assonecchiati" (De magia. III). Il mago di Bruno non può essere associato in nessun caso ai classici stregoni che provocavano o si provocavano un "sogno della ragione partoriente dei mostri" con l'aiuto degli allucinogeni , che risuscitavano i fantasmi oppure i demoni. Per lui, il mago e un saggio con capacità pratiche; non si confonde neppure con i maghi che facevano talismani, preparavano pozioni magiche o farmaci; per lui, la magia significa conoscenza, scienza. "Il mago studia la natura, si appropria delle sue regole e poi, sulla base di queste conoscenze, riesce ad anticipare gli avvenimenti materiali. Su questa linea di un sapere qualitativo e non quantitativo, Ernst Bloch colloca tantissimi altri autori che pur muovendosi in un terreno pre-scientifico, hanno contribuito a creare i presupposti per la vera ricerca scientifica". "De vinculis" rappresenta un vero manuale pratico del mago, che può diventare un buon manipolatore, nel momento in cui coscientizza il significato dei "vincula", le specie di "vinculum", e le condizioni in cui essi vengono applicati su un soggetto oppure su una collettività, le regole generali secondo le quali i soggetti possono essere divisi. L'azione magica si può realizzare tramite contatto diretto (virtualem o potentialem), tramite suoni (voce, canto, formule ritualiche) e tramite figure, in grado di esercitare il loro potere sull'udito o sulla vista, imprimendo, così, sull' immaginazione "piacere o disgusto, attrazione oppure avversione". Ma la vista o l'udito sono soltanto porte secondarie attraverso cui il mago (animarum venator) può introdurre "i legami , "i concatenamenti" , in quanto la porta principale (porta et praecipuus aditus) della magia resta la fantasia, raddoppiata però dall'intervento della facoltà cognitiva. Una prima condizione che s'impone è quella del manipolatore, che si deve difendere dal controllo che gli altri possano esercitare su di lui, rimanendo immune a qualsiasi emozione provocata da stimoli esterni tramite un controllo totale della propria immaginazione. Un'altra è la credenza, il legame dei legami (vinculum vinculorum), ma Bruno afferma che "è necessario che l'operatore possieda una credenza attiva e il paziente una credenza passiva". Generalmente, la sua influenza si realizza più facilmente sulla moltitudine di gente, motivo per qui qualsiasi religione rappresenta una forma di manipolazione della gente, utilizzando tecniche efficienti per dirigere l'immaginazione dei gruppi ignoranti, direzionando le loro emozioni verso l'autosacrificio. Bruno non ha l'intento di criticare la religione, ma soltanto di demolire i suoi meccanismi, trovando le masse disposte ad accettarla e ricevere il messaggio per convertirsi; dimostrando come si può dominare la moltitudine di gente, lui anticipa le ricerche di Gustave Le Bon ("Psicologie des foules" ) e di Freud in questo campo. A livello dell'eros, le specie di vinculum si differenziano in base al ricevente dell'affetto, in quanto si decidono i rapporti tra i membri della famiglia , tra gli amici, tra le persone che appartengono o meno allo stesso genere, della stessa età o che occupano la stessa posizione sociale. "In generale, l'uomo è più libero nella scelta dei legami rispetto agli animali" . Bruno stabilisce, dunque, alcune regole generali che agiscono a livello del subconscio nel momento in cui realizza legami fra i soggetti, tenendo conto dell'età, del carattere, della fisionomia e della posizione sociale. I bambini, gli adolescenti e gli adulti reagiscono in modo diverso alle seduzioni erotiche. Fra i quattro temperamenti, i malinconici, dotati di una fantasia più forte, sono meno stabili sul piano affettivo e prendono in considerazione il proprio piacere, e non il perpetuarsi della specie. Altrettanto instabili sono anche "i soggetti con una fisionomia somigliante al capro (con tibia fragile, naso prominente e curvato), quelli della specie dei satiri, dediti ai piaceri, all'allegria". Per quello che riguarda i rapporti sociali, ai superiori piacciono essere lusingati, cosicchè i subalterni , per legarli, devono "lodare le virtù mediocri, attenuare i vizi, scusare quello che non è proprio scusabile, trasformare i difetti in pregi". Sembrano parole prese dal "Principe" di Machiavelli, con l'unica differenza che Bruno si occupa della manipolazione psicologica in generale, mentre Machiavelli si occupa della manipolazione politica. Il suo operatore sa che qualsiasi essere, anche senza consapevolezza, appartiene a una rete intersoggettiva, partecipando così a un processo magico e, osservando questi rapporti, aziona nella direzione di un migliore conoscenza del soggetto e dei suoi desideri, per poter realizzare il legame o per poter manipolarlo. Lo psicanalista è il prototipo moderno del manipolatore bruniano che rappresenta anche nella società contemporanea una figura chiave, agendo anche lui a livello dei rapporti intersoggettivi nel campo della sociologia o della psicologia. "Il mago si occupa oggi delle relazioni pubbliche , di propaganda, di indagini sociologiche e di mercato, di pubblicità, di informazione, contro-informazione, disinformazione. Così la magia non è scomparsa in quanto le sue promesse (ottenere la luce, spostamento rapido da un posto all'altro, comunicazione a distanza, il volo, la grande capacità di memorizzazione) sono state messe in pratica della tecnica (l'elettricità, i trasporti, il telefono, la radio e la TV, l'astronautica e il computer). Molti testi letterari testimoniano il fatto che tutte queste scoperte furono percepite inizialmente dalla gente semplice come fatti del diavolo e accettate con paura, con una certa ostilità. Lo spazio del sacro si limita sempre di piu per l'uomo moderno che vede nella religione un atto di abdicazione e di sottomissione, dovuto al sentimento dell'inferiorità dell'uomo. La magia, al contrario, è stata e continua ad essere, con la sua nuova formula tecnica, un atto di audacia, di confronto e di soggiogamento del sovrannaturale alla realtà. Bruno, in grado di intuire questo sviluppo, convinto delle verità affermate, sopravvive oggi, gridando oltre i secoli ai giustizieri, con una straordinaria superbia intellettuale: "Credo che in questo attimo siate voi ad avere più paura pronunciando questa sentenza, che me, ascoltandola!"
Aurora Martin

28 ottobre 2009

- Cabala e Massoneria.




Tralasciando le grandi parole e le frasi pompose, e riconducendo tutto alla semplicità originale, la Cabala si presenta come un sistema di pensiero esoterico filosofico psicologico. E’ una guida fidata e sicura alla comprensione tanto dell’Universo, quanto del proprio Sé. Come i saggi di sempre hanno insegnato, che l’Uomo è un universo in miniatura, che riassume in sé le diverse componenti di quel macrocosmo in rapporto al quale è microcosmo. Nel glifo cabalistico noto come Albero della vita, troviamo al contempo la mappa simbolica sia dell’universo nei suoi aspetti macroscopici che della sua copia su scala ridotta, l’uomo. La Cabala svela alla comprensione la natura di tutta una certa fenomenologia fisica e psicologica. La tragedia dell’uomo civilizzato è quella di essere stato diseredato della consapevolezza degli istinti che gli sono propri. La Cabala può aiutarlo a conseguire la comprensione e l’intendimento necessari per congiungersi alle fonti originarie. Invece di essere in balia di forze delle quali ignora la natura, egli possa imbrigliare e utilizzare consciamente queste forze. La Cabala non ha nulla a che spartire con alcuna fede. Per secoli è stata oggetto di tentativi partigiani di sfruttarla per conferire più elevati significati mistici a fedi ormai sterili. Ebbe il massimo sviluppo nel medioevo, periodo in cui un esercito di studiosi videro appagati in questo sistema la fame delle loro menti atte alla ricerca di una visione del mondo che consentisse loro di decifrare i veri significati della vita e che sapesse svelare la realtà dell’intimo legame che tutto unisce. La cabala tratta della natura del Grande Architetto dell’Universo, dei sephiroth, degli angeli, dell’uomo. Il Grande Architetto permea e contiene tutto l’universo. Essendo infinito, la mente non può contenerlo. Per giustificare la sua esistenza, la divinità divenne attiva e creativa, attraverso dieci sephiroth, o intelligenze, emanati da esse come raggi di luce di una lampada. Il primo sephiroth fu il desiderio di essere manifesto, e conteneva in se altri nove sephiroth , che vennero a turno emanati l’uno dall’altro: il secondo dal primo , il terzo dal secondo, e cosi via. L’ Albero della Vita è lo schema fondamentale attorno al quale si sviluppa la sua costruzione, l’ordinamento geometrico di Nomi, Numeri, Simboli, e Idee. Sistema atto alla classificazione dei fenomeni dell’Universo e all’individuazione delle loro reciproche relazioni. I dieci Sephiroth, formano l’albero della vita, che è lo scheletro di Adam Qadmon, l’Adamo celeste, simile nell’anatomia alla sua controparte umana, l’Adamo terrestre. L’uomo è una combinazione di tre sfere di forza: l’intellettuale, la morale e la fisica, che sono collegate a Neshamah, Ruach e Nephesch. Questi tre aspetti dell’uomo non sono completamente distinti e separati, ma sono l’uno dentro l’altro come i colori dello spettro, i quali, sebbene si susseguano, non possono essere distinti completamente perché fusi l’uno nell’altro. A partire dalla sfera fisica, dal potere più basso di Nephesh e attraverso la morale Ruah risalendo fino al più alto grado dell’intelletto Neshamah si trovano tutte le gradazioni, come quando si passa dall’ombra alla luce attraverso la penombra. Grazie a questa unione interiore, a questa fusione degli aspetti, il numero Nove ( la triplice modalità di ogni aspetto ) si perde nell’unità per produrre l’uomo, spirito vitale che unisce in sé i due mondi. Osservando la figura sopra riportata, vediamo che il cerchio Nephesh, e i cerchi 10, 9, 8 sono le sue modalità; Ruah e i cerchi interni 7, 6, 5 sono le sue qualità. Infine c’è Neshamah con i gradi della sua essenza, 4, 3, 2 . Quanto al cerchio 1 , questo ritrae la totalità dell’essere vivente. Le 10 Sephiroth sono la potenza d’essere di tutto ciò che cade sotto il concetto di numero, sono dieci diversi attributi con cui il Grande Architetto rende manifesto qualcosa della sua realtà inaccessibile.
La Cabala sostiene che la manifestazione primordiale, dell’Assoluto al relativo, sia fondata sui numeri, in effetti, tale transizione implica prima di tutto il passaggio dell’Unità alla distinzione e tutto ciò che è differenziazione riposa essenzialmente nel numero. E’ sostituendo alla perfezione dell’Assoluto il rapporto dell’Uno a ciò che non è più Uno, vale a dire l’Altro, che nasce la relazione. Soltanto per questo apparirà la dualità e la triade; giacché la relazione implica contemporaneamente opposizione e unione. I nomi delle Sephiroth sono estratte da concetti che contrassegnano l’atto unificatore nel Sapere, nell’Essere e nel loro rapporto. In questa maniera le Sephiroth costituiscono tre ternari. Il primo Corona,Saggezza,Intelligenza,il secondo Grazia, Rigore, Bellezza, il terzo: Vittoria, Onore, Fondamento. Infine la decima il Regno. E’ dunque tramite la funzione della ragione, vale a dire il sapere, che l’Assoluto deve rivelarsi come principio di ogni manifestazione e di ogni creazione. Nel rispetto di un equilibrio bilaterale, la struttura delle Sephiroth è disciplinata in tre colonne : s. Severità, c. Clemenza, d. Misericordia . In un primo momento ( Apprendistato ) è difficile scorgere l’abisso tra l’umano ed il divino, questo perché la coscienza “ immediata” è ancora legata ad un “ tutto” fisico, ignora la separazione ed i piani diversi. Il principio Materia prevale sul principio Spirito: la Squadra è sovrapposta al Compasso. Durante il percorso, germoglia uno stato coscienziale animico, particolare del (Compagnonaggio), in cui al massimo si raggiunge una precisa coscienza della dualità dell’abisso, sopra il quale v’è la legge infinita e sotto, l’uomo determinato e finito. I due principi Spirito e Materia si equilibrano: la Squadra è incrociata al Compasso. Solo in un terzo momento, ( Maestria ) , in altre parole solo e quando si è sperimentato l’abisso, da esso si prendono le mosse per rendere possibile l’esperienza del contatto conoscitivo e trascendente. Infatti avendo piena coscienza, accade che si cerca una via che superi l’esperienza dell’unità distrutta dalla molteplicità. Si cerca, inoltre, di ristabilire nello Spirito l’originaria unità di tutte le cose. Il principio Spirito prevale sul principio Materia: il Compasso è finalmente sovrapposto alla Squadra. Che cosa sia o come possa essere descritto questo rapporto con l’Unità, è il grande enigma, il “ Segreto “ intorno al quale si sono arrovellati sia gli autori che hanno scritto dell’esperienza, sia coloro che l’hanno effettivamente vissuta. Si reputa, infatti, acquisito un modo di conoscere particolare che, verosimilmente, comporta una trasformazione dell’uomo, di tutto il suo modo di vedere, di interpretare, di valutare. Siamo di fronte ( come dice Scholem ) ad un sapere che per la sua essenza stessa è senz’altro inesprimibile. Inoltre questo sapere si collega fin da principio con un sapere che osserva una condizione di segretezza anche per i modi del suo tramandarsi. Cabala e Massoneria due “ esperienze “ conoscitive e realizzative che, basano sugli stessi presupposti, possono tranquillamente non distinguersi. Queste vie “ eroiche “ che tentano di superare i limiti del conoscibile umano e naturale e che senza negare la Legge, cercano di andare oltre per indagare nei segreti della vita e della realtà metafisica e questo al solo scopo di trovare risposte alle eterne domande : “ Chi siamo ? Da dove veniamo ? Dove Andiamo ? “.

24 ottobre 2009

- Etica ed Intelletto.


La reale “ tradizione ermetica “ è riferibile unicamente ai testi ermetici, cioè agli Ermetica, incluso il Corpus Hermeticum , l’Asclepio , i Frammenti di Strobeo e le Definizioni Ermetiche.
Il riferimento è ai testi originali e non alle traduzioni rinascimentali, perché queste ultime, inserite in una cultura fortemente cristiana, hanno subito una forzatura nell’interpretazione.
L’Ermetismo si inserisce appieno nella visione Massonica Esoterica. Essa consiste nel porre l’uomo, e in particolare il suo intelletto, al centro della pratica esoterica. L’uomo non è solo misura del cosmo ma ne è anche l’effettivo demiurgo o architetto, per cui la coscienza dell’uomo e la sua attività intellettiva sono intesi come la visione della coscienza cosmica, che non lo origina, ma che lo attesta a livello intellettivo.
Il pensiero ermetico può essere considerato come una specifica concezione esoterica.
Essa è tale, in particolare, per il fatto che ruota intorno alla nozione di iniziazione, per cui l’accesso alla dimensione dell’invisibile e dell’oltre non passa attraverso una visione teologica e un atteggiamento di fede , bensì un impegno del singolo, pur anche con una rivelazione , che si attua solo con una pratica conoscitiva.
L’accesso a tale dimensione , quindi , non è dato all’uomo dall’esterno, ma è il risultato di un processo che si fonda sull’uso dell’intelletto umano.
L’uomo non è considerato come una creatura dell’Uno, ma partecipa della sua stessa sostanza.
La sua natura quindi è divina.
La conoscenza del ” divino “ nel senso dell’oltre e dell’invisibile, e non dell’ente supremo teologicamente determinato, porta alla conoscenza di se stessi e, reciprocamente, la conoscenza di se stessi porta alla conoscenza del divino-invisibile.
Lavorare alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo presuppone che si sia in grado di farlo, con adeguati strumenti.
E ciò significa che l’uomo possiede tali strumenti e che essi sono della stessa natura di ciò che si vuole conoscere.
Questo strumento è l’intelletto che caratterizza la concezione ermetica e che è un nucleo centrale della Massoneria.
La Massoneria segue il metodo ermetico che pone al centro l’individuo, la sua ricerca interiore e la parola rivelata, non in quanto effettivamente rivelata da parte di un ente supremo, ma come appercezione, autocoscienza dell’intelletto.
Il massone, infatti, intende rivolgersi intellettivamente e non misticamente a se stesso. Tale rivolgimento è il primo passo verso la conoscenza delle cose invisibili.
“ Chi conosce se stesso, conosce ogni cosa.”
“ Sgrossatura e levigatura della pietra grezza. “
“ V.I.T.R.I.O.L. “
In effetti, tutto il simbolismo massonico poggia su queste definizioni ermetiche, per cui la conoscenza di sé è la conoscenza di ogni cosa.
“ La Massoneria inizia solamente uomini che siano liberi e di buoni costumi. “
“ I Massoni devono essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore e di onestà “
In questi articoli della Costituzione, limitarsi a considerazioni di ordine etico morale significa limitare quelli che sono gli obiettivi Massonici.
La prima virtù dell’uomo non è tanto riferita al suo comportamento morale, quanto alla sua intenzione conoscitiva.
“ La virtù dell’anima è la sua conoscenza.”
La dimensione etica è quindi un risultato della dimensione conoscitiva.
Da qui il fatto che comportarsi eticamente deriva dal personale stato di conoscenza raggiunto.
Oggi è chiaro che le parole di passo derivano dall’ermetismo, e si ritiene probabile che siano state introdotte in massoneria e poste a lato delle parole sacre a testimonianza del contatto stabilito tra le due tradizioni, la muratoria e l’ermetica.
L’Ermetismo e la Massoneria hanno per fine la “Grande Opera della trasmutazione”.
Le due tradizioni trasmettono il segreto di un’arte, che entrambe designano con il termine di “Arte Regia“ detta anche semplicemente l’arte, è un’arte e non una dottrina od una confessione.
Le due tradizioni muratoria ed ermetica pongono la stessa ed unica condizione al profano da iniziare: il principio della libertà di coscienza e conseguentemente della tolleranza.
Dimenticare o tentare di snaturare il carattere universale, libero e tollerante della massoneria, per imporre ai fratelli delle Logge particolari punti di vista ed obiettivi, sarebbe mettersi contro lo spirito della tradizione muratoria della fratellanza.
Conferire un colorito al suo spiritualismo significa allontanarsi dallo spirito di assoluta imparzialità.

20 ottobre 2009

- Il bene e il male e la loro fondamentale asimmetria


La filosofia degli opposti pervade tutta la cultura filosofica teologica e massonica. Due sono le correnti di pensiero che a mio parere si occupano di questa tematica: quella esoterica e quella essoterica. Nella corrente di pensiero essoterica il bene e il male sono al di fuori dell'uomo e fungono da punti cardinali.
Nella maggior parte delle culture essoteriche il creatore è però posto sul cardinale del bene e il male si distingue come discordanza primordiale all'agire del bene-ente-supremo. In questo modo la figura rappresentante il male si trova in posizione subordinata e il creatore in posizione dominante in quanto creatore anche del cardinale del male. Si osserva quindi una fondamentale asimmetria tra bene e male. Il male assoggettato al bene.
Nella cultura esoterica il quadro d'insieme è rovesciato, anche se si percepisce un parallelismo di fondo. Il bene e il male sono intrinseci dell'uomo ed esistono uno in funzione dell'altro, cosa che è esclusa dall'essoterismo; il bene-creatore non esiste in funzione del male e della sua rappresentazione, in caso contrario ci si troverebbe di fronte a due entità supreme e creatrici, cosa che normalmente è esclusa. Nell'esoterismo il bene e il male si fronteggiano, acquisendo reciprocamente senso e valore; la rimozione di uno dei due poli farebbe perdere all'altro la ragione di essere e il tutto collasserebbe nell'indistinto. Questo aspetto è ben simboleggiato dal simbolismo orientale di Yin e Yang.
Come nel caso essoterico anche qui non si ritrova una perfetta simmetria tra le due forze. Questo fatto è ben esemplificato nel racconto di Stevenson «Lo strano caso del Dr Jekhyll e di Mr Hyde». Questo racconto narra le vicende del Dr Jekhyll che scopre una pozione in grado, bevuta, di trasformare le persone facendo emergere il lato oscuro-male della personalità. Consumandola una prima volta si trasforma nel gretto e pericoloso Mr Hyde, che, nel corso della sua breve esistenza, si macchia di varie atrocità tra cui anche un delitto verso un personaggio politico, per il quale viene condannato a morte. Bevendola una seconda volta può invece tornare ad essere il Dr Jekhyll. Il dottore coltiva con una certa indulgenza questo proprio lato oscuro bevendo a più riprese la pozione, ma ad un certo punto non riesce più a controllare la sua trasformazione in Mr Hyde che diventa spontanea e sempre più difficilmente reversibile. Questo fatto lo porta alla decisione finale di suicidarsi per evitare di lasciare libero il campo a Mr Hyde che comunque è ricercato dalla polizia. Come scrive il Dr Jekhyll nella sua confessione finale, la fondamentale differenza tra bene e male è che il bene solitamente riconosce il male e si compiace della sua esistenza in quanto generatrice di senso per la propria esistenza. Il bene ha quindi un occhio di indulgenza per il male. Infatti il Dr Jekhyll coltiva il proprio lato oscuro con la pozione da lui ideata che permette al suo lato oscuro di emergere. Tuttavia questa indulgenza non è reciproca. Il male non si cura affatto dell'esistenza del bene, se non quando l'esistenza fisica dell'uomo (uomo come portatore di entrambi) è in pericolo. Cioè il male, persa l'attitudine maligna che gli viene attribuita dalla cultura essoterica, assume le sembianze della totale materialità; il male è l'assoggettamento dell'uomo alla soddisfazione immediata dei suoi bisogni e desideri materiali, senza nessun riguardo per gli altri e per la società. Una sorta di caos primordiale. Questo male è disposto a cedere spazio al bene come è ben illustrato dalla storia raccontata nella novella che sto analizzando, solo quando è fisicamente minacciato di morte dalla pena capitale inflittagli. In questa interpretazione allora anche il bene perde la sua sacralità essoterica e diventa semplicemente un bene esoterico, non meno importante, il cui scopo è la costruzione armoniosa del sistema mondo-società.
La fondamentale difficoltà del gestire questa dualità è il fatto che il bene, con la sua indulgenza, rischia di offrire al male troppo spazio di manovra, al punto tale che quest'ultimo può causare danni irreparabili. La soddisfazione individuale è spesso in contrasto con il benessere della totalità, obiettivo principale del bene esoterico. Questa idea dualistica si ritrova in altri simboli e miti. Uno su tutti è forse il mito delle origini dell'amore proposto dal discorso di Aristofane nel Simposio. I proto-uomini, creati dalle divinità con 4 gambe, 4 braccia, 2 teste ecc., si dimostrano troppo felici della propria esistenza e sotto questo aspetto si avvicinano pericolosamente allo statuto di divinità. Per questo, in un secondo tempo, vengono divisi in modo da ricordar loro di essere umani e non divini. La divisione a metà dei loro corpi e delle loro anime fa si che gli umani attuali passino la maggior parte del proprio tempo alla ricerca dell'anima gemella. Affondando nella simbologia massonica si può reperire, tra i vari oggetti, la squadra che sicuramente più di altri ci rimanda alla riflessione precedente. Sia la sua forma sia la sua funzione rimandano alla dualità bene-male. Il cateto orizzontale solitamente è associato alla materialità e il cateto verticale alla spiritualità. Ecco di nuovo bene e male con un nuovo vocabolario. L'asimmetria tra i due aspetti è simboleggiata dal fatto che non sempre si ha a che fare con una squadra a 45°. In una squadra di 60° per esempio, uno dei due cateti è lungo il doppio dell'altro. Indicando la prevalenza di uno dei due aspetti sull'altro. Tuttavia la squadra indica chiaramente anche la mediazione che deve avvenire tra i due opposti, simboleggiata dall'ipotenusa che li collega. Si ha quindi un'infinita serie di abbinamenti bene-male (cateti) collegati dall'appropriata mediazione (ipotenusa) con i quali si può comunque avere un angolo retto che può essere usato per la costruzione del tempio. Questo ci sta ad indicare che quello che conta fondamentalmente è la mediazione tra i due opposti, mediazione che, indipendentemente dalla prevalenza di una delle due forze, ci permette di costruire. Allora, puntualizzando nuovamente il simbolismo, posso dire che se un cateto (orizzontale) indica la materialità-male e l'altro la spiritualità-bene, l'ipotenusa indica la volontà-mediazione che li collega. Il dovere di ciascuno è quindi quello di trovare la propria ipotenusa affinché la nostra opera sia costruttiva, e di vegliare affinché il male non prenda il sopravvento, facendo simbolicamente collassare la squadra ad un segmento lineare senza spiritualità.
Giorgio Pioda

Lettera del Sole alla Luna crescente.
Il Sole dice alla Luna:
“ In gran debolezza ti darò luce della mia bellezza “.
La Luna risponde al Sole:
“ Tu hai bisogno di me come il gallo ha bisogno della gallina ,e io ho bisogno delle tue opere , o Sole , senza interruzione , perché tu sei d’indole perfetta , padre di tutte le luci , l’alta luce , il gran Padrone e Signore “.

14 ottobre 2009

- Saggezza Forza Bellezza


«Che la Saggezza illumini il nostro lavoro. Che la Forza lo compia e lo renda saldo. Che la Bellezza lo adorni e lo renda sublime. » Ecco tre concetti, o qualità, di alcuni Fratelli che ho conosciuto nel mondo, i quali, con il loro comportamento, mi hanno insegnato ad amare la libertà nel rispetto dei diritti e dei doveri di ogni uomo.
Probabilmente il significato di questo trinomio può essere definito da chiunque, senza necessità di ricorrere ad alcun processo esoterico. Molti, comunque, data l’apparente semplicità di tale simbolismo, riterranno inutile e superfluo dedicare oltre modo il proprio tempo ad approfondire elementi impliciti. Beati loro che professano il dubbio metodico, per asserire certezze, perché coloro non hanno bisogno del disegno tracciato. Confesso che il grado di Apprendista è stato il periodo più bello che ho vissuto nell’Istituzione massonica, purtroppo oramai un quarto di secolo fa. Nel periodo di osservazione silenziosa dei lavori di Loggia, attraverso l’affannosa ricerca di brevi e sintetiche traduzioni del simbolismo massonico, cercavo di appagare la mia curiosità. L’impeto e l’irruenza tipica dell’età non mi consentiva di comprendere che il simbolismo, per la via iniziatica, è come una cura preventiva, il cui farmaco essenziale va assunto a dosi omeopatiche, affinché il paziente possa rigenerarsi nella sua nuova dimensione. Solo molto più tardi compresi che la via iniziatica è una questione di identità e non di appartenenza. La Massoneria consente, attraverso un complesso sistema simbolico rituale, di formare un aspetto particolare dell’identità personale di colui che vuole percorrere la via esoterica, ma non obbliga nessuno a raggiungere quel particolare traguardo; infatti molti non lo raggiungono mai. La semplice iscrizione ad un ordine massonico, ed i gradi da questo conferiti, attestano unicamente l’appartenenza a quell’ordine, così come una laurea ad honorem in filosofia, non conferisce la profonda conoscenza di quella materia. Forse farà conseguire il titolo di dottore in filosofia, ma certo ciò non dimostrerà di per sé, che il soggetto sia dotto e padrone di quella materia.
La Massoneria europea apre e chiude i Lavori di Loggia con l’accensione e lo spegnimento dei tre ceri rappresentanti la Saggezza, la Forza e la Bellezza. Che importanza hanno questi simboli? Qualcuno risponderebbe, forse tautologicamente, che la Massoneria Europea apre e chiude i Lavori di Loggia con l’accensione e lo spegnimento di questi tre ceri poiché rappresentano tre virtù (pilastri) che il Massone Libero Muratore deve sempre perseguire, all’interno della Loggia come all’esterno nel mondo profano. Apprendiamo dalla storia della Massoneria regolare che questa pratica non fu introdotta subito, ma successivamente, verso la fine del XVIII secolo. I tre elementi erano già presenti in alcune correnti esoteriche ed occulte del Medio Evo. Il contenuto del trinomio è forse scontato per un Massone, che in questo periodo storico relega ad un piano di secondo ordine lo studio per l’approfondimento del simbolismo e del suo aspetto rituale.
Il Maestro delle Cerimonie invita i Fratelli ad abbandonare i metalli prima di entrare in Tempio, proprio per sottolineare che nel Tempio, ed in genere durante i lavori di Loggia, occorre riferirsi ad altri valori, spesso non riscontrabili nel comportamento della società profana, alla quale il trinomio nulla dice, se non il suo significato letterale e mondano di saggezza, forza e bellezza.
«Saggezza-Forza-Bellezza» è un simbolo ternario. Il Simbolismo è un metodo di espressione tanto caro agli antichi quanto completamente estraneo alla mentalità moderna ed a uomini che sono soliti diffidare di tutto ciò che non comprendono. Ciascun simbolo non ha un significato univoco, ma la sua interpretazione è relativa alla sensibilità dell’iniziato. Il Libero Muratore procede nella via iniziatica, che non ha mai termine, mediante il perfezionamento interiore che si realizza con l’interpretazione in chiave esoterica dei simboli. La Saggezza, la Forza e la Bellezza sono pilastri fondamentali della Loggia. La Massoneria Europea utilizza tale simbolo ternario nel rituale di apertura e di chiusura dei Lavori di Loggia. I diversi rituali prevedono la pronunzia di frasi sia all’accensione che allo spegnimento dei ceri. La Loggia è la cellula di base di tutte le organizzazioni massoniche. Nella Loggia il Massone svolge il suo lavoro, così come il fabbro fa nella sua officina. L’officina è il luogo dove il fabbro realizza il suo lavoro, ma è anche l’insieme di tutti gli strumenti di lavoro che necessitano, utensili per misurare, trasformare la materia prima, ecc… Al pari dell’officina del fabbro, la Loggia (che dai Massoni viene chiamata anche Officina) è la cellula di base dove si riuniscono i Liberi Muratori, e dove si trovano presenti tutti gli strumenti necessari per svolgere il Lavoro, che simbolicamente viene definito la «Grande Opera». Così come il fabbro, per realizzare le sue opere, ha bisogno di utensili di lavoro, così il Libero Muratore, per realizzare il suo Lavoro, ha bisogno dei simboli, quali strumenti di lavoro presenti nella Loggia. Fatte tali precisazioni, penso che il simbolo ternario Saggezza, Forza e Bellezza sia fondamentale per lo scopo della Massoneria. Tale simbolo si riferisce a quella parte del lavoro che é esotericamente rivolto verso sé stessi, così come il simbolo ternario Libertà, Uguaglianza e Fratellanza si riferisce a quella parte del lavoro che è rivolto verso l’altro, sia esso Fratello o profano. Il loro insieme rappresenta la Pietra Cubica, quale forma di pietra filosofale che il Massone, Libero Muratore utilizza per la costruzione del Tempio.
La Massoneria, fondata sulla leggenda Hiramitica, ha lo scopo di formare uomini con una coscienza autonoma, con una volontà libera, che attraverso la saggezza, siano in grado di imporre a se stessi una regola di comportamento, che salvaguardi contemporaneamente la loro dignità ed il bene di quanti li circondano. Questo governo di sé stessi è un Piano, in virtù del quale la Pietra di costruzione si sagoma e si pulisce per la costruzione del Tempio, dirigendo la propria attività con umiltà, senza mai sminuirsi, ma, al contrario, arricchendosi con la cultura e la qualità dei rapporti umani. Questo ideale contiene delle esortazioni: per il dovere, per la giustizia, per l’amore; nella sua unità appare la parola perduta. Il nuovo uomo esprimerà opinioni e non certezze, poiché consapevole che le stesse sono il frutto della spontanea libertà; perseguirà la Verità con esame imparziale, sapendo però che a lui è dato conoscere solo la verità relativa, e non detenendo alcuna verità assoluta, rispetterà la diversità delle opinioni con piena dignità, senza alcuna sottomissione. Sin dal Medio Evo la Forza era rappresentata dal Bronzo, la Bellezza dall’Argento e la Saggezza dall’Oro. Così il pensiero alchemico considerava l’Oro lo stato finale della trasmutazione, l’Uovo Filosofale. La Massoneria persegue il fine del benessere dell’umanità. Il mezzo è rappresentato dalla conquista dell’identità massonica dell’adepto. La Massoneria, dunque, educando l’individuo alla consapevolezza che la propria salute, fisica e spirituale, sarà quella della collettività in cui vive, auspica il benessere della società. Pertanto nella sostanza altro non è che una particolare metodologia, perfezionata attraverso varie esperienze secolari, intesa a rendere migliore la società, attraverso il perfezionamento dell’individuo che la costituisce e che ne pone in essere le caratteristiche. Per la Massoneria il miglioramento dell’individuo è l’unico mezzo per raggiungere il miglioramento della collettività. Ma questo individuo, per svolgere questa funzione deve essere libero, egli deve decidere il suo percorso, egli deve trasformare la pietra grezza, quale realtà ricevuta, in pietra levigata quale frutto del proprio lavoro, che è l’elemento determinante per la trasformazione.
La Massoneria è figlia prediletta dell’Illuminismo, dal quale si è distinta per aver esteso la visione, oggettiva e scientifica, con la visione metafisica della vita, il cui fine è l’evoluzione ed il progresso dell’Umanità, attraverso l’Arte Reale. La Massoneria è un’arte dell’anima. I suoi simboli, quali il grembiule, il martello, la cazzuola, lo scalpello, la squadra, la livella, il filo a piombo, il compasso e così via, sono simboli del lavoro interiore sull’essere umano, necessario per la costruzione di quel Tempio meraviglioso che è la scena dell’anima umana, per l’evoluzione ed il progresso dell’Umanità. Il Fratello Goethe fece il primo passo verso la conoscenza della natura umana tripartita. Affrontò il tema della libertà, fra il rapporto della natura animale e la natura spirituale dell’uomo, per affermare che la libertà dell’uomo appare non come donata, ma come qualcosa che solo l’uomo stesso può conquistare. Nel Faust Goethe mostra tutta la sua ricerca nel simbolo dell’anima umana, lacerata dall’eterno conflitto tra il bene ed il male, la salvezza e la dannazione. Lascia intendere, a chi conosce il linguaggio inziatico, l’elemento determinante della volontà nelle scelte umane.
Se la libertà dell’uomo si estrinseca nella scelta di determinazione, occorrono dei valori affinché questa sua determinazione non risulti inutile, o addirittura dannosa, per l’umanità. Il pensiero ermetico, alchemico e gnostico, percorre la strada, in maniera eretica focalizza il centro sull’uomo, in perenne lotta tra il bene ed il male, il quale attraverso il suo comportamento incide sulla sua vita, contraddistinguendola nella buona e cattiva sorte, comunque decidendo la via da intraprendere, egli è l’unico artefice della sua vita.
La Saggezza, la Forza e la Bellezza sono i tre simboli di formazione che dal grado di Apprendista portano a quello di Maestro Libero Muratore. La Saggezza, frutto dell’esperienza, sintesi di quel incessante lavoro fra ragione, istinto e sentimento, che affligge l’uomo nel processo decisionale, gli permette di orientarsi nella luce come nel buio. La Forza della ragione evita il pregiudizio. La Forza potrebbe portare però a qualsiasi decisione. Il bene potrebbe diventare male; il male potrebbe diventare bene. Il pensiero massonico sa che il bene ed il male non sono categorie assolute. La Bellezza dell’anima, per mezzo della quale ci avviciniamo all’espressione dell’arte, ci guida intuitivamente verso quella dimensione che la nostra ragione non può comprendere. Non possiamo infatti razionalmente capire perché ci piace un quadro, una scultura o un brano musicale. Non possiamo negare il sentimento che viene dal cuore come entità contrapposta alla ragione, che identifichiamo come amore. Ma di tutti questi processi di trasformazione, a mio parere, il più importante è quello della Bellezza, legato simbolicamente al lavoro del Compagno. La Bellezza comporta la formazione, nel Massone, di una cultura Estetica, tramite un lavoro di trasformazione nell’identità dell’individuo. L’obbliga a ricercare i valori dell’arte nelle opere, in altri termini, è un processo di assimilazione e di apprendimento verso il linguaggio dell’altro che ne modifica il modo di sentire e di valutare. Comporta un processo lento di trasformazione nella nostra identità. La formazione del Compagno è forse la più importante, nonostante questo grado venga spesso svilito ed incompreso come periodo di passaggio. In realtà il compimento del percorso di questo secondo grado comporta la maturità del Libero Muratore. Infatti, il grado di Maestro è un grado moderno, aggiunto, e rappresenta la sintesi del lavoro compiuto nei precedenti gradi, e l’acquisita Sapienza di saper dosare, controllare ed apprendere il risultato dell’eterna lotta fra forza e bellezza, nell’esprimere la nostra dimensione di Uomo libero, nel bene e nel male. La Saggezza, la Forza e la Bellezza sono le tre fondamentali virtù dell’Arte Reale che un Massone pazientemente impara durante il suo cammino iniziatico. L’arte nasce dalla speranza, guarda al futuro. È un progetto di convivenza verso una vita migliore, anche quando ci mostra il peggior aspetto negativo. Ed é per questo che il Libero Muratore costruisce il Tempio attraverso l’incessante ricerca della Verità, pur sapendo di non poterla mai raggiungere. Assiste, nell’unità temporale, alla distruzione del Tempio ed alla sua ricostruzione, ma non desiste, perché l’arte è la meta del suo lavoro che svolge con Saggezza, Forza e Bellezza. Il lavoro esoterico a cui l’Iniziato si sottopone per accedere ai piani di conoscenza superiore, consiste nel compiere passo dopo passo la digestione del simbolico trinomio, per riscoprire in se stesso il baricentro etico e adottare quei valori che si esprimono nel segno dell’universalità e dell’immutabilità. La lettura del passato impone un atteggiamento di fermezza nella continuità dei valori, ma non deve tradursi in un’avversione al nuovo, al progresso, di cui la Massoneria è portatrice verso l’umanità. Anche se oggi quegli eterni valori di fratellanza, di pace e di unione, sono flebili, anche nella stessa Massoneria, solo un ritorno alle nostre origini ed intenzioni, potrà in futuro permettere di condividere con alcuni una società non compromessa da un cieco egoismo, che sembra essere penetrato nel tessuto connettivo della civiltà umana. La nostra società, sollecitata da mille richiami, occupata come è a conservare, se non ad aumentare il benessere materiale, è in una fase dove gli interessi personali, così come le autonomie personali, condizionano fortemente i rapporti umani, caratterizzando quelli interpersonali principalmente da interessi economici ed egoistici.
Paul Ricoeur, uno degli ultimi grandi filosofi del 900, scomparso recentemente, ebbe a dire: «Il mondo ha bisogno di grandi simboli per cercare il filo conduttore del labirinto umano». La Massoneria del XVIII secolo questi simboli li ha indicati e realizzati. Noi Massoni di oggi? «Che la Luce della Sapienza, della Forza e della Bellezza resti nei nostri cuori» .
Michele Gentile

12 ottobre 2009

- Il Modulor


Fin dall’antichità le varie culture utilizzarono dei canoni per la rappresentazione della figura umana. È accertato, infatti, che perfino gli egizi seguirono delle regole ben determinate nell’esecuzione delle loro statue e sembra probabile inoltre che, nelle diverse epoche, essi abbiano utilizzato canoni differenti. Secondo alcuni studiosi, sembra che essi abbiano stabilito come unità di misura (modulo), prima la lunghezza del piede, successivamente quella del dito medio. L’intero corpo umano dalla pianta dei piedi fino alla sommità del cranio doveva misurare esattamente 19 volte la lunghezza del dito medio. Anche i Greci utilizzarono canoni diversi; fra questi uno dei più importanti fu quello di Lipsio, tramandato da Vitruvio, che fu utilizzato anche in tutto il Medioevo. Il modulo di questo canone è la testa contenuta esattamente otto volte nel corpo umano e anche gli artisti del Rinascimento seguirono i canoni greci. Leonardo da Vinci accettò invece la regola del quadrato degli antichi, secondo la quale l’uomo con le braccia aperte può essere inscritto in un quadrato. Inoltre egli dimostrò che, se le braccia sono leggermente sollevate dalla posizione orizzontale e le gambe alquanto divaricate, la figura umana può essere inscritta in un cerchio il cui centro corrisponde all’ombelico. Leonardo seguì inoltre la regola di Lipsio secondo la quale l’altezza della testa è uguale all’ottava parte dell’altezza totale del corpo, ma in realtà la regola vale solo per le persone al di sopra dei 185 cm. Le Corbusier, uno dei maestri dell’architettura moderna, ideò nel 1946 una scala di misure usata poi in tutte le sue opere: il Modulor. Tali misure ubbidiscono contemporaneamente alle misure del corpo umano e ad una regola matematica: il cosiddetto rapporto aureo. Modulor, perché? Le Corbusier cerca di fondere anche nel nome l’esigenza di una regola matematicamente armonica (in francese module, modulo e or, oro) con un chiaro richiamo al rapporto aureo di Fibonacci. Esaminando i concetti del Modulor, si può vedere come Le Corbusier, accusato spesso di essere troppo dogmatico e legato ai suoi percorsi, sia invece propenso ad adottare le buone regole quasi sempre. L’invito rivolto al progettista è dunque di applicare rigorosamente le norme solo quando è possibile e di trasgredirle liberamente quando queste si rivelino miopi e anguste. Il Modulor è un sistema di misure e di proporzioni, scaturite dalle misure del corpo umano e utilizzabili sia dal sistema metrico decimale sia da quello anglosassone. Come unità di queste relazioni potrebbe essere perfetto, ma il suo stesso inventore però suggerisce di vagliarne di volta in volta la effettiva utilità. La rappresentazione grafica del Modulor è avvincente e, ad una prima occhiata, convincente. Una figura umana stilizzata con un braccio steso sopra il capo si trova vicino a due misurazioni verticali, la serie rossa basata sull’altezza dell’ombelico (108 cm nella versione originale, 113 cm nella versione riveduta) poi divisa in segmenti secondo il Phi, e la serie blu basata sull’intera altezza della figura, doppia rispetto all’altezza dell’ombelico (216 cm nella versione originale, 226 cm nella riveduta), e divisa in segmenti allo stesso modo. Una spirale, sviluppata graficamente tra la serie rossa e la blu, sembra mimare il volume della figura umana. Il Modulor è una gamma di dimensioni armoniche alla scala umana, universalmente applicabile in architettura e in meccanica. La sera del loro incontro a Princeton, Albert Einstein scriveva a Le Corbusier a proposito del Modulor: «Si tratta di un sistema bidimensionale che rende difficile il male e facile il bene.» Questa invenzione di Le Corbusier, una volta brevettata, fu resa di dominio pubblico nel 1947. Nel 1948 apparve la prima edizione di Le Modulor, che fu ben presto esaurita e dovette essere ristampata. È apparso anche un secondo volume, Modular 2. Le Corbusier aveva concluso il primo volume con le parole: «Solo l’utente ha la parola.» E, infatti, il Modulor, senza la minima propaganda, si è diffuso in tutto il mondo e viene utilizzato con entusiasmo, specie dai giovani. Corrisponde ad un’esigenza impellente, poiché non si possono risolvere i moderni problemi della standardizzazione, normalizzazione, industrializzazione senza una nuova scala dimensionale. Il Modulor ne ha proposta una.

8 ottobre 2009

- Alla ricerca della Bellezza – dell’Armonia universale


Albert Einstein: «Quella del mistero è la più straordinaria esperienza che ci sia data di vivere. Quindi, chi sa e non prova meraviglia, chi non si stupisce più di niente, chi non cerca in profondità è simile ad un morto, ad una candela che non fa più luce.» È come il profondo senso di stupore che pervade chi osserva il «Rapporto Aureo».
Che cosa hanno in comune la disposizione dei petali di una rosa, dei semi nelle mele, la forma a spirale di alcune conchiglie, gli ammassi di galassie, un quadro di Giotto, di Duccio da Boninsegna o, (sorpresa!) di Salavador Dalì, o i progetti di Le Corbusier, e magari il Partenone o la Piramide egizia di Giza, svariate composizioni di Bach o di Mozart, o la successione numerica del matematico Fibonacci (1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55… in cui ogni numero è la somma dei due precedenti) o, ancora, il violino Stradivari e, addirittura, lo schema ritmico di un tergicristalli? Sembrerà strano ma in queste realtà si nasconde, un numero particolare, una proporzione geometrica scoperta e formulata dai pitagorici, definita «Divina Proporzione» e in seguito, nell’Ottocento, «Sezione Aurea».
Il simbolo che indica questo rapporto è la lettera greca «tau» (dal greco tomè, taglio, sezione) rappresentata più tardi con la lettera f (phi) in onore al grande scultore Fidia e ai suoi capolavori di cui uno fra i più celebri il Partenone. Il valore di questo «simbolo», derivato dalle dimostrazioni matematiche che descriverò in succinto, è «1,6180….».
Esso è un numero irrazionale, cioè non si può esprimere con una frazione e ha infinite cifre decimali senza sequenze ripetitive. Deriva dalla geometria ma ciò che è stupefacente è che tende a mostrarsi nei luoghi più impensati. Esso pertanto ha affascinato le migliori menti matematiche di ogni tempo ma anche biologi, artisti, musicisti, storici, architetti, psicologi, perfino mistici ed è apparso come simbolo dell’Armonia e della Bellezza dell’universo. Un universo progettato da un dio matematico quindi? Lascio la risposta agli addetti ai lavori, anche se le dimostrazioni potrebbero portare a questa conclusione. Ma la Massoneria non pretende di dare risposte concrete lasciando ai suoi adepti la facoltà di trovare la Propria Verità. Tuttavia, quali Massoni, non possiamo sottrarci perlomeno ad una riflessione, una domanda: che importanza assume la Sezione Aurea come simbolo nei confronti dei principi, nella manifestazione e nel lavoro massonico? Se il simbolo della Sezione Aurea assume la valenza per la quale Armonia e Bellezza sono le sue primarie risultanti, anche la Massoneria non dovrebbe avere nessuna difficoltà nel riconoscerlo nei suoi rituali che vogliono che tutto sia «giusto e perfetto».
Cosa è la Sezione Aurea?
Dal punto di vista della geometria «la sezione» deriva dal verbo sezionare, tagliare. E pertanto definita da una scomposizione di un segmento in uno o più punti. Una prima definizione fu formulata ca. tre secoli a.C. dal fondatore della geometria quale sistema deduttivo, Euclide, grande matematico greco di Alessandria. Euclide si è soffermato su un particolare rapporto di lunghezze, ottenibili in modo relativamente semplice dividendo una linea secondo quella che chiamò la sua «proporzione estrema e media». Si può dire che una linea retta sia stata divisa secondo la proporzione estrema e media quando l’intera linea sta alla parte maggiore così come la maggiora sta alla minore. Quindi: una linea AB sulla quale si trova un punto C è più lunga del segmento AC ma nel contempo il segmento AC è più lungo del segmento CB. Se il rapporto tra AC e CB è uguale a quello fra AB e AC, si può dire che la linea è stata divisa secondo una proporzione estrema e media, ovvero secondo il suo Rapporto Aureo. Come detto sopra questo rapporto definito da Euclide a fini esclusivamente geometrici avrebbe poi avuto conseguenze in rami che vanno dallo studio della disposizione delle foglie in botanica a quello degli ammassi di galassie in astronomia e della matematica pura sino alla critica d’arte. Questo ci fa capire che il numero aureo è stato individuato ed elaborato da altre grandi menti e scuole d’arte e di pensiero durante i secoli passati sino ai contemporanei. Il teorema quindi ha assunto una connotazione ben più ampia che tocca temi e dimensioni per le quali il Massone non può sottrarsi al suo meraviglioso segreto. In questo contesto il Rapporto Aureo è un magnifico esempio di quel profondo senso di meraviglia cui Einstein attribuiva tanta importanza: «Quella del mistero è la più straordinaria esperienza che ci sia dato di vivere. Quindi, chi sa e non prova meraviglia, chi non si stupisce più di niente, chi non cerca in profondità è simile ad un morto, ad una candela che non fa più luce.» La Sezione Aurea è quindi un rapporto numerico ma un rapporto particolare che si incontra ovunque, nella natura, nell’arte, nel macro come nel microcosmo e che contribuisce a definire bello e armonioso tutto ciò che ci circonda. Ma ecco una succinta rassegna che illustra la sua molteplice ed importante «apparizione».
Le infinte apparizioni
Come detto, troviamo la sezione Aurea in geometria, dapprima nella retta, ma poi nella costruzione del triangolo, che nelle Logge massoniche è rappresentato dal Delta luminoso posto ad Oriente o formato dalla posizione triangolare del Venerabile Maestro e dei due Sorveglianti. Nel pentagono, dalla cui figura che si manifesta la stella a cinque punte, simbolo assai importante e conosciuto non solo in termini massonici. Ma anche in altre forme geometriche o esoteriche: il rettangolo (penso al quadro di loggia) e al cerchio (la morte, la vita, l’eternità), sino alle forme più complesse come ad esempio la spirale per la quale mi è sembrata di particolare profondità la frase scritta sulla tomba di un’altrettanto famoso matematico che si confrontò con il numero aureo, Jakob Bernoulli, che cita: Eadem mutata resurge: restando la stessa, risorgo mutata! Esempi lampanti si riscontrano nella fisica soprattutto in riferimento alle vibrazioni ed ai suoni. Come non ricordare il concetto degli antichi greci della «musica delle sfere» riferita ad una suprema armonia che solo pochi eletti erano in grado di intuire. «Le orecchie dei mortali sono piene di suoni - diceva Cicerone - ma essi sono incapaci di udirli…» Eppure anche la forma dell’apparato uditivo (tromba di Eustachio) è costruito in Sezione Aurea proprio in rapporto armonico per recepire vibrazioni e suoni. In questo contesto la musica ed il ritmo assumono un aspetto importante nel rapporto numerico della Sezione Aurea per la composizione di moltissimi brani musicali. Il Pentagramma ne è la comprova. Bach, Beehtoven, Mozart, Bartok non sono che pochi fra i molti musicisti, perfino contemporanei, nelle cui varie composizioni è riconoscibile la Sezione aurea. È anche grazie ad essa che il nostro animo riesce a percepire i sentimenti più disparati riuscendo persino a prediligere, spesso inconsapevolmente, una produzione valida da una meno appropriata. La zoologia, dove l’uomo appare come un «animale proporzionato» ci ricorda che le proporzioni ideali dell’uomo erano già note agli scultori della Grecia e della Roma antica. Vitruvio indicava la regola che l’uomo, se in piedi con gambe chiuse e braccia distese in orizzontale, può essere inscritto in un cerchio di cui il centro cade sulle parti genitali; la lunghezza globale del corpo viene dalla vita tagliata in due segmenti di cui il più lungo è una sezione aurea. Leonardo, Le Corbusier e molti altri ancora hanno formulato e scoperto il medesimo Rapporto. Nella botanica si trovano esempi lampanti di Sezione aurea nella disposizione delle foglie, dei semi, dei petali e si potrebbe continuare a lungo: dappertutto ritroviamo la serie di rapporti numerici del citato matematico Fibonacci. Architettura e arti decorative, pittura e, come formulato in precedenza, nella musica, gli esempi sono innumerevoli e vanno dall’arco gotico a sesto acuto, dal capitello ionico con le sue spirali logaritmiche, ai rosoni circolari, ai rapporti delle misure dei lati delle piante di base e l’altezza di molteplici costruzioni.
Simbolo di Bellezza
Questa elencazione tecnica potrebbe dilungarsi ancora, ma penso e spero di avere gettato uno sguardo sufficientemente ampio per suscitare il desiderio di intraprendere una qualche ulteriore ricerca più approfondita. Per me è stato importante, percepire la forza intrinseca di questo meraviglioso Simbolo, determinando volumetrie affascinanti. Vorrei però concludere con alcune considerazioni che trovino una collocazione più vicina al pensiero massonico. Attraverso l’esternazione di Einstein, descritta in precedenza, mi è sembrato di percepire il messaggio fondamentale che trascende da questo Numero-Simbolo. Esso esprime il confronto proporzionale nella dimensione cosmica della vita e della morte, della luce e delle tenebre, del lavoro e dell’inerzia. Esso ricorda il rapporto dualistico che ci mette giornalmente a confronto e per il quale dobbiamo costantemente trovare la giusta proporzione, la risposta equilibrata. Sul percorso lineare del nostro cammino massonico non è sufficiente porre semplicemente dei punti; essi devono trovare il collegamento conclusivo, il punto fisso, il caposaldo sul quale proseguire con fermezza e sicurezza verso la prossima meta: il triangolo di base, quale piattaforma per la costruzione del solido, per raggiungere altre forme più elevate. Il simbolo della Bellezza, luce che viene accesa all’inizio di ogni lavoro in Loggia, assume ora una connotazione ancora più profonda; con esso riusciamo ad individuare il segmento quale percorso per individuare il punto di arrivo che sta in noi. Ma per arrivarci dobbiamo lavorare con Forza. Ed ecco che il secondo simbolo di confronto ci viene in aiuto, posto sullo stesso segmento, o per meglio dire sullo stesso percorso. Il viaggio però non è terminato; solo con la la Sezione Aurea appare in tutta la sua completezza. Il rapporto fra armonia, giustizia e perfezione, fra libertà, fratellanza e uguaglianza è individuato: ora il lavoro può iniziare. Ho preso lo spunto della citazione di Einstein, lasciando in sospeso tutte le varie dimostrazioni matematiche (vi rimando ai molteplici siti Internet nonché ad una nutrita documentazione cartacea), per le cui comprensioni occorre una conoscenza specifica, cercando di dare alla Sezione Aurea un senso che si avvicini il più possibile al pensiero ed al lavoro quotidiano del Massone, nella ricerca della propria verità, un senso che ci accomuna sotto la volta stellata delle nostre Logge ma, soprattutto, sotto la volta stellata universale.
Marco Reck

5 ottobre 2009

- Libero Arbitrio


Da millenni l’uomo si interroga sul senso della vita, sul significato degli accadimenti esistenziali, sul valore dei rapporti con gli altri esseri umani, sull’utilità o vanità delle esperienze che si succedono, differenziate o ripetute, mentre l’età aumenta. Si interroga sulla gioia e sul dolore, sui sentimenti più nobili e le pulsioni più viscerali, sul perché della morte e quindi della vita stessa. Si interroga sul destino. E, da millenni, alterna e sovrappone risposte diverse, chiedendo ausilio alla fede, alla scienza, alla cultura o alla filosofia, al pragmatismo o al fatalismo, ma ritornando più o meno sempre al punto di partenza: quel misterioso punto nello spazio-tempo che è la propria nascita, con le sue eterne domande rinnovate. Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Anche l’astrologia ha fornito un contributo a questa ricerca di verità; anzi, il cielo è stato forse il primo e primario ausilio a cui l’uomo si è rivolto per meglio capire il proprio essere sulla terra. Un ausilio ancora valido, e che sopravvive anch’esso da millenni non perché abbia saputo fornire una risposta assoluta e definitiva ma perché, a differenza della fede, della scienza, della filosofia o di ogni altro strumento conoscitivo, l’astrologia ha qualcosa in più: l’identikit del punto di inizio, l’evento simbolico della propria genesi, immortalato nel tema natale come un codice di riconoscimento istantaneo, un riferimento originale ma contestualizzabile e insieme decifrabile nel tempo. In quanto immagine, un tema di nascita si mostra evidentemente come opera in corso: sembra la fase di un divenire, stadio di un essere già formato ma che si sta ancora costruendo. Non ha nulla della purezza originale degli inizi, non è un quaderno bianco, una geometria perfetta, non ha la disarmante e profetica tenerezza di un volto neonatale... Ha invece, proprio come un volto adulto, già incise le tracce di una pesantezza accumulata, di un decadimento che si è già espresso, di un’inerzia che resiste; ha carenze, incognite o sproporzioni, ed altrettante speranze, offerte, prospettive. C’è già tanto e tanto ancora manca, in un tema di nascita. E’ l’istantanea di un presente che riflette un passato e contemporaneamente evoca un futuro. Osservando un tema natale, considerare l’esistenza che inaugura e rappresenta come un tutto autosignificante risulta difficilissimo per l’astrologo; se non altro perché disconoscere una domanda non equivale a rispondere. Dunque, è indubbiamente possibile non credere alle vite precedenti, a una esistenza ultraterrena o a un Ente superiore, mantenendo quindi un atteggiamento laico e agnostico nella pratica astrologica - tant’è che non tutti gli astrologi sono religiosi o, nel caso, reincarnazionisti - ma non è risolutivo: il tema natale resta lì, in tutta la sua evidenza, come un bagaglio e insieme un viatico, una malattia e insieme una cura; la tappa di un cammino iniziato - forse di un viaggio iniziatico - ed anche la direzione che lo guida. E resta lì, anche, come interrogativo. D’altra parte, se pure non ci fosse né origine né meta, resterebbe da chiedersi perché l’individuo nasca con un tema così dettagliato e non con un altro, laddove l’unica risposta verosimile dovrebbe ricorrere al caso, facendo rientrare dalla finestra il dubbio destinico cacciato dalla porta... Sono sempre stata una sostenitrice del compito anche previsionale dell’astrologia, riferendomi all’originale etimo di “oroscopo” come uno strumento di osservazione del tempo ed appoggiandomi in ciò a ben più illustri colleghi, Barbault e Volguine in testa. Tuttavia, ho anche sottolineato più volte che il termine “previsione” non equivale a “predizione”, e che tale differenza non è certo secondaria o marginale. Non si tratta, infatti, di mettere le mani avanti nei confronti di possibili o inevitabili errori previsionali ed ancor prima interpretativi, dovuti alle mille variabili che convergono a far sì che accada qualcosa e non qualcos’altro; si tratta di considerare da un punto di vista assolutamente diverso sia l’osservazione del cielo simbolico che la sua traduzione in termini reali sul piano terrestre. E’ vero che, per fare un esempio, alla nascita di un bimbo noi astrologi possiamo già dire che, dopo circa 29 anni, quel bimbo ormai uomo dovrà confrontarsi con le verifiche del ritorno di Saturno, come tutti; ma non potremmo mai affermare che si tratterà dell’ingresso nel mondo del lavoro, di una paternità responsabilizzante o di un qualche altro bilancio che si troverà a sostenere. Anche conoscendo altri transiti contemporanei, potremmo aggiungere che quel periodo della sua vita sarà affrontato da lui con grinta e fiducia oppure con inquietudine o timore, che forse si concentrerà su un settore piuttosto che un altro, ma anche così sapremmo descrivere solo un eventuale approccio personale nei confronti di una realtà di fatto, di per sé inconoscibile. Il futuro è in continuo movimento: non si fa imbrigliare, né lusingare da aspettative o scaramanzie; cambia mentre cambiamo noi raggiungendolo, e si sposta più avanti man mano che si fa presente. Mentre un tema astrologico rispecchia sempre un vissuto soggettivo; ed è per questo - essenzialmente per questo – che non è possibile oggettivarne le manifestazioni. Eppure... Se fosse solo così, se l’astrologia fosse solo questo, non aggiungerebbe in fondo granché alla filosofia, alla religione, alla psicologia e persino alla scienza. Invece, l’astrologia ha nell’osservazione del tempo uno strumento eccezionale ed unico in quanto tale. Io apro le effemeridi spesso, anche solo per sfogliarle a caso, senza controllare date precise o movimenti planetari specifici. Il mio sguardo corre su quei numerini tutti in fila e ben sistemati, sobri e discreti nel loro presentarsi imparzialmente, privi di commenti e comunque autorevoli in ciò che rappresentano. Tutto è così diverso e insieme simile, rispettosamente autonomo nelle sue parti seppur ciclicamente scandito ed armoniosamente collegato, e in tale composta semplicità la foglia non ha minore importanza dell’albero o della foresta, purché si inseriscano tutti nel medesimo e più ampio contenitore che chiamiamo Natura ma che a sua volta rimanda a qualcosa di altro e di più. Se riusciamo a sistemare in fila dati e date, gradi e segni, ingressi, lunazioni ed eclissi... se riusciamo a farlo con il solo ausilio della scienza matematica e astronomica e senza che sia necessario nient’altro, all’astrologia resta il compito e l’onore di riconoscere che un tale ordine è di per sé una realtà spirituale, perché la sola natura materiale - foss’anche celeste ed infinita - è invece, di per sé, entropica; come la scienza stessa ha decretato. E questo non può che essere un conforto per l’uomo, che vaga sulla terra da sempre alla ricerca di un senso, di un motivo per mettere un passo dopo l’altro, di un valore a cui dedicare tale fatica e possibilmente di una meta verso cui dirigersi. Se, come astrologi, non ci limitiamo alla ricerca ma facciamo anche consulenza, non possiamo negare che le domande dei nostri consultanti, più o meno complesse o raffinate dalla cultura personale, non sono altro che una traduzione individuale e contingente delle eterne domande dell’uomo: appunto chi sono? da dove vengo? dove vado? Possono esprimersi in termini modesti o superstiziosi, possono riguardare il lavoro, l’amore, la salute o il denaro, ma ciò che segnalano è un bisogno di rassicurazione, un bisogno di aiuto, un bisogno di significato; e non esistono bisogni meno impellenti o legittimi. Il fascino e insieme la difficoltà di questa disciplina è che i livelli in cui un segnalatore astrologico può esprimersi sono davvero tanti, se non infiniti.
Importante, e non certo facile, è saper riconoscere a quale livello e in quale fase si trova un soggetto, perché i movimenti celesti, come disse Platone, sono “marcatori del tempo” ed è assolutamente inutile o persino pericoloso parlare ad un consultante di realtà a lui incomprensibili, o comunque non comprensibili in quel momento; mentre per chiunque ed in qualunque momento c’è sempre qualcosa “di più” o “di meglio” che lo riguarda e a cui quindi può accedere. E perché per chi fa consulti ciò che più conta è, appunto, l’essere umano: con la sua individualità, la sua unicità, le sue piccolezze e grandezze; e in fondo il suo bisogno più grande, sottinteso ai tanti che può avvertire o manifestare, è di trovare un posto nel mondo, un senso alla vita.
L’astrologia moderna, soprattutto quella psicologica, ha preso le distanze dagli aspetti divinatori del proprio esercizio, prediligendone la funzione conoscitiva del carattere e delle tendenze e possibilità evolutive.
In particolare, l’astrologo orientato su un approccio umanistico tende giustamente a negare l’esistenza di “influssi” diretti e causali tra movimenti in cielo e vita sulla terra, rivendicando e promuovendo il diritto-dovere dell’uomo ad interpretare in senso più maturo gli accadimenti sia interiori che esterni della propria vita. Tuttavia, se torniamo indietro fino alla protostoria dell’astrologia babilonese, non si può dire che allora ci fosse un atteggiamento culturale, ideologico o persino tecnico, particolarmente deterministico. L’idea degli “influssi” o i concetti di causa effetto erano lontanissimi dal pensare e agire di quel tempo, in cui si credeva che il movimento dei corpi celesti fosse niente di più e niente di meno che una “scrittura divina”. Un linguaggio, insomma, decifrabile solo da sacerdoti o da saggi e non certo alla portata dei profani, che però in quanto tale cominciò necessariamente ad essere codificato in una sintassi, con regole sempre più precise, pur rimanendo un mezzo di comunicazione tra cielo e terra, anzi uno studio del cielo finalizzato a comprenderne i significati per la vita sulla terra; per gli uomini, appunto. Anche se quella di allora era paragonabile solo molto parzialmente all’astrologia che conosciamo oggi e che si sviluppò più tardi, resta il fatto che la finalità attribuita a una tale scrittura celeste era quella del presagio, e quindi dell’avvertimento, della richiesta, del suggerimento o della guida. Per cui il compito degli astrologi non era affatto quello di scoprire cosa sarebbe accaduto, ma cosa sarebbe potuto accadere “se”: se si facevano o non si facevano determinate cose, se ci si comportava in un modo piuttosto che in un altro... Il che presupponeva una possibilità - se non proprio una capacità - di interagire in modo dialettico con gli eventi. L’idea di una partecipazione alla costruzione del futuro, e quindi di un dialogo creativo con il destino, nacque proprio da quel dia-logos tra movimento celeste e azione terrestre, e si basava essenzialmente sulla certezza di un qualche legame tra Alto e Basso. Una tale idea è poi giunta sino a noi attraverso l’ermetismo e il neoplatonismo rinascimentale, per approdare alla sincronicità junghiana senza sostanziali alterazioni, che sono intervenute invece solo a livello di convivenza culturale e molto più recentemente; cioè quando l’era moderna, con l’arroganza seguita alla conquista del senso dei diritti e il trasferimento dell’oggetto fideistico dalla divinità alla scienza, ha cominciato a pensare che la libertà non fosse questione di coscienza individuale, ma quasi esclusivamente di esistenza fisica, materiale o comunque visibile e tangibile. Da questo a sostenere che l’uomo fosse artefice del suo destino, il passo fu breve; ma è ancora oggi un passo avventato... Nel suo insaziabile bisogno di rassicurazione, l’uomo può esprimere il massimo del coraggio e dell’orgoglio, come il massimo della fragilità e codardia. E in questa delicatissima condizione può accettare o rifiutare ogni aiuto: filosofico, scientifico o religioso. L’astrologia si offre a lui come una luce - piccola o grande che sia – per osservare meglio ciò che è dentro e fuori di lui, le cose che gli accadono o forse, come disse Rudhyar, le cose a cui lui accade... Lo lascia però libero di usare o meno una tale fiaccola, laddove l’astrologia non giudica né obbliga, non dà prove e nemmeno chiede scuse; ed è importante che anche l’astrologo faccia altrettanto, indicando senza imporre, giustificando ma responsabilizzando, spiegando e soprattutto comprendendo. E suggerendo al consultante non le “risposte esatte” che così spesso cerca, ma le domande più giuste - perché più sue; inserendole in quel generoso vocabolario di significati che è il suo tema natale. Credo che tutti noi ricordiamo almeno un momento della nostra esistenza che l’ha segnata inesorabilmente con un “prima” e un “dopo”. Ci sono transiti che avvengono una volta sola nella vita, e ognuno di noi ha probabilmente vissuto il proprio, o lo vivrà. E’ raro che si tratti di momenti felici, e non perché il destino prediliga il linguaggio della sofferenza per farsi ascoltare, ma perché la fatica, il dolore o lo smarrimento si pongono in quanto tali come domande, ci spingono a farle, ci costringono a farcele; mentre la felicità può farne a meno volentieri, essendo già risposta... forse l’unica e vera risposta che conta. Sono dunque e paradossalmente i momenti più difficili quelli che ci offrono la possibilità di diventare partecipi, se non artefici, del nostro destino. Perché è in quei momenti che possiamo scegliere: non certo di cambiare la realtà, di direzionarla a piacimento e con la sola forza dell’intenzione verso circostanze o prospettive diverse; pensare che la libertà umana arrivi a questo significa peccare di ingenuità o di superbia. Ma non per questo è meno potente e creativa la libertà che invece possediamo di modificare la realtà modificando il nostro modo di osservarla e di giudicarla; e in questo sì che l’intenzione diventa strumento magicamente efficace e, oltretutto, disponibile in ogni momento. Gli stoici la chiamavano “accettazione della necessità”; Assagioli la tradusse poi in “collaborazione con l’inevitabile”... Ma io credo che sia qualcosa di più, o forse di altro. Non si tratta infatti di nobilitare la fatica con trucchetti filosofici o di compensare la frustrazione con una sublimazione sacrificale. No: si tratta di esserci. Di esserci anche noi in quell’avventura destinica, proprio in quel momento ed esattamente in quel modo, per rispondere in prima persona non tanto o soltanto ad eventuali vite precedenti ma in particolare a questa, che è in fondo l’unica a competerci e su cui possiamo intervenire. E si tratta di guardarla con gli occhi amorevoli di una madre per cui il figlio è sempre meraviglioso, e che cerca di capirlo ed aiutarlo quando soffre, mai limitandosi a soffrire per lui o con lui... Se è vero, e lo credo fermamente, che essere inclini a qualcosa non significa essere “condannati” a farla, è altrettanto vero che la differenza cruciale non è tra fare o non fare, e forse nemmeno tra fare in un modo piuttosto che in un altro, bensì nel capire cosa stia davvero accadendo, e quindi trasformare in Essere sia l’esperienza vissuta che quella subita. Solo un tale interesse (essere dentro) può permetterci infatti di capire anche il perché di ciò che accade e ci accade, e poco importa che sia prima, durante o dopo la relativa esperienza: in fondo, se c’è una cosa che l’astrologia ci insegna è che la coscienza può usare il tempo quando vuole, ma non può farsene usare se non vuole... E forse, proprio per questo, non è l’uomo a costruire il proprio destino, bensì il destino a costruire l’uomo: a volte senza la sua autorizzazione preventiva, spesso con la sua complicità inconscia, ma pur sempre con il suo tacito consenso.
Sandra Zagatti