24 maggio 2011

- Mundus Imaginalis



Henry Corbin nasce a Parigi nel 1903 e, dopo studi di filosofia, si dedica all’approfondimento della lingua araba. Il suo percorso spirituale passa attraverso l’iniziazione alla teosofia orientale, con il suo maestro Sohravardî, e un’esplorazione sistematica dell’Oriente simbolico. La sua riflessione si orienta presto verso l’ismailismo (eresia musulmana sciita), in particolare quello riformato di Alamût. In Germania incontra Heidegger, di cui sarà il primo traduttore in Francia. Insieme a Jung, Eliade, Durand e altri intellettuali del tempo, prende parte agli incontri del gruppo di Eranos, di cui condivide lo spirito anti-accademico e aperto. Di Eranos Corbin scrive: “ciò che vorremmo chiamare il senso di Eranos, e che è anche tutto il segreto di Eranos, è che esso è il nostro essere al presente, il tempo che noi agiamo personalmente, il nostro modo di essere. Ecco perché forse non siamo «del nostro tempo», ma siamo di più: noi siamo il nostro tempo”. Dal 1955, Corbin si divide tra Parigi, dove insegna all’École des Hautes Études e dirige il Dipartimento di Iranologia dell’Istituto franco-iraniano, e Teheran. Nel 1959 esce una delle sue opere più rilevanti, Imagination créatrice dans le soufisme d’Ibn ‘Arabî, fondamentale per capire la nozione di “mondo immaginale”. Nell’introduzione all’opera, l’autore precisa subito il suo scopo: “ciò che ci si proporrà è una valorizzazione straordinaria dell’immagine e dell’immaginazione per l’esperienza spirituale”. Secondo Corbin, il mundus imaginalis della teosofia mistica è un mondo mediano e mediatore, che si pone tra il mondo empirico della percezione sensibile e il mondo della pura intuizione intellettiva.
L’immaginale è quindi il ponte tra il sensibile e l’intelligibile, rendendo immateriali le forme sensibili e fornendo “immagini” alle forme intelligibili. La potenza immaginativa non solo non è degradata alla pura “fantasia”, intesa in senso riduttivo, ma è rivalutata nella sua potenzialità di mediazione tra due mondi. Qualsiasi figura divina archetipica non può essere contemplata che attraverso una figura “concreta”, sensibile o immaginale, che la rende “visibile” esteriormente o mentalmente. Mettendo in evidenza la visione mistica, Corbin ne presenta alcuni caratteri fondamentali: essa sfugge al tempo lineare del quotidiano, è sincronica; nascendo dall’immaginale, è un’ “interfaccia”, una mediazione tra il mondo delle Essenze e quello della percezione; infine, è attiva e creatrice, perché l’immagine, nella visione mistica, è pienamente “reale”, nel senso che è trasformatrice del mondo. Corbin mostra così come tutta la mistica iraniana concepisca l’immaginazione come una forza attiva: la visione della divinità avviene attraverso un atto volontaristico che, desiderando la visione, la pone in essere. Nel 1971 esce la sua opera maggiore, En Islam iranien, dedicata a sua moglie, Stella Leenhardt. È senza dubbio merito di Corbin aver restituito alla potenza immaginativa e all’immaginale (potremmo dire, utilizzando un sinonimo, all’immaginario) quello statuto che in Occidente avevano perso soprattutto con l’Illuminismo e l’enfasi sulla ragione e la razionalità.
Valentina Grassi

19 maggio 2011

- Le due Colonne del Tempio

La colonna, elemento essenziale dell’architettura, costituisce il supporto dell’edificio e ne rappresenta la solidità: scuotere le colonne significa minacciare tutto l’edificio, sia esso architettonico, sociale o personale. Appoggiandosi alle colonne, Sansone distrusse il Tempio e schiacciò i suoi nemici. La colonna rappresenta l’albero della vita: la base indica le radici, il fusto il tronco, il capitello il fogliame. La gran maggioranza delle colonne egiziane è trasposizione nella pietra dei supporti vegetali che un tempo sostenevano i soffitti degli edifici in legno. Esse prendono a prestito la loro forma da quella della palma e del papiro ed esprimono la vita infusa nell’edificio. Nell’arte greco-romana le colonne votive e trionfali erette in onore di un uomo o di un’impresa, con la decorazione scultorea a spirale ascendente, rappresentavano i rapporti fra cielo e terra, manifestavano la potenza di Dio nell’uomo e la potenza dell’uomo sotto l’influenza del Dio.Generalmente una coppia di colonne, come le colonne d’Ercole, sta ad indicare un limite, ad inquadrare una porta, a segnare il passaggio da un mondo ad un altro. Innumerevoli erano le colonne del palazzo e del Tempio di Salomone, ma due, le più celebri, si innalzavano davanti al vestibolo del Tempio. Il re Salomone fece venire da Tiro Hiram, figliolo di una vedova della tribù di Neftali. Egli si recò dal re Salomone ed eseguì tutti i lavori da lui ordinati. Fece le due colonne di rame. La prima aveva diciotto cubiti d’altezza e una corda di dodici cubiti misurava la circonferenza della seconda. E fuse due capitelli di rame, per metterli in cima alle colonne; l’uno aveva cinque cubiti d’altezza, e l’altro cinque cubiti d’altezza. Traducendo le misure del nostro sistema metrico, si ottiene l’altezza di 8 metri per il tronco, più di 2 metri di capitello; alla circonferenza di metri 5.40 corrisponde un diametro di metri 1.70.Fece un graticolato, un lavoro d’intreccio, dei festoni a guisa di catenelle, per i capitelli ch’erano in cima alle colonne: sette per il primo capitello e sette per il secondo. E fece due ordini di melagrane attorno all’uno di quei graticolato, per coprire il capitello ch’era in cima all’una delle colonne; e lo stesso fece per l’altro capitello. I capitelli posti sulle due colonne erano circondati da duecento melagrane, in alto, vicino alla convessità ch’era aldilà del graticolato; c’erano duecento melagrane disposte attorno al primo e duecento intorno al secondo capitello. Egli rizzò le colonne nel portico del Tempio; rizzò la colonna a mano destra, e la chiamò Jakin (Egli stabilirà); poi rizzò la colonna a mano sinistra, e la chiamò Boaz (In Lui la forza). Il nome dato alla colonna di destra (entrando), Jakin, evoca in ebraico l’idea della stabilità, mentre quello della colonna di sinistra, Boaz, suggerisce l’idea della forza. Nei nomi delle due colonne si possono scorgere anche i principi contrapposti della sessualità; quello di destra, Jakin, esprimerebbe il principio attivo, la mascolinità, quella di sinistra, Boaz, il principio passivo o femminilità (passività non nel senso riduttivo di subire, ma in quello nobile di ricevere); da qui deriva un simbolo generale di fecondità come risultante dei due principi attivo e passivo, all’entrata del santuario che è ricettacolo di forze divine, labirinto, grotta e ventre materno. Questa interpretazione è rafforzata dal simbolismo della melagrana, che sta appunto a significare fecondità e discendenza numerosa. Il frutto, con i suoi molti chicchi, richiama anche l’unione di tutti i Liberi Muratori, affratellati per un fine comune e stretti dentro la dura scorza che ricorda il male, così duro da vincere.Gli Apprendisti che siedono a settentrione sono in corrispondenza con la colonna B, Boaz, che significa “In Lui la forza” e che rappresenta il principio passivo, a significare che l’Apprendista è tenuto all’apprendimento, alla ricezione; i Compagni d’Arte che siedono a meridione in corrispondenza con la colonna J, Jakin, “Egli stabilirà”, rappresentante il principio attivo, sono invece tenuti ad esercitare attivamente il consolidamento del Tempio. Se la prima colonna sta a rappresentare la passività, la ricezione, il dovere, la seconda richiama l’attività, la ragione, il diritto. Le due colonne all’entrata del Tempio segnano i confini fra il mondo profano e quello sacro e raffigurano l’equilibrio delle forze contrarie che producono l’eterno movimento, eterna rigenerazione, l’eterna fecondità, cioè l’immortalità. Superate le due colonne ed entrati nel Tempio, troviamo in esso molti elementi simbolici; alcuni di essi sono indispensabili ed essenziali per identificare come un Tempio qualsiasi spazio, anche aperto; essi sono il Quadro di Loggia, i tre candelieri al centro ed infine l’Ara con la Squadra, il Compasso, il Libro Sacro.
RL Quatuor Coronati

17 maggio 2011

- Il libro rosso di Jung tra Dio e abisso



Dio nella mia anima draghi nel mio cuore
Nel 1913 Carl Gustav Jung ha quarant´anni ed è un uomo realizzato: ha "fama, potere, ricchezza, sapere". Ma all´improvviso incominciano incubi e visioni apocalittiche. Il padre della psicologia analitica li annoterà e li disegnerà per tutta la vita su un quaderno che diventerà il "Libro rosso" Uno stupefacente diario intimo, monumento all´inconscio, testo alchemico di straordinaria ricchezza. L´opera, rimasta a lungo segreta, ora esce in Italia.Quando, nell´ottobre 1913, ebbi la visione dell´alluvione, mi trovavo in un periodo per me importante sul piano personale. Allora, all´età di quarant´anni, avevo ottenuto tutto ciò che mi ero augurato. Avevo raggiunto fama, potere, ricchezza, sapere e ogni felicità umana. Cessò dunque in me il desiderio di accrescere ancora quei beni, mi venne a mancare il desiderio e fui colmo d´orrore. La visione dell´alluvione mi sopraffece e percepii lo spirito del profondo, senza tuttavia comprenderlo. Esso però mi forzò facendomi provare un insopportabile, intimo struggimento, e io dissi: «Anima mia, dove sei? Mi senti? Io parlo, ti chiamo… Ci sei? Sono tornato, sono di nuovo qui. Ho scosso dai miei calzari la polvere di ogni paese e sono venuto da te, sono a te vicino; dopo lunghi anni di lunghe peregrinazioni sono ritornato da te.
Vuoi che ti racconti tutto ciò che ho visto, vissuto, assorbito in me? Oppure non vuoi sentire nulla di tutto il rumore della vita e del mondo? Ma una cosa devi sapere: una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta. Questa vita è la via, la via a lungo cercata verso ciò che è inconoscibile e che noi chiamiamo divino. Non c´è altra via. Ogni altra strada è sbagliata. Ho trovato la via giusta, mi ha condotto a te, anima mia. Ritorno temprato e purificato. Mi conosci ancora? Quanto a lungo è durata la separazione! Tutto è così mutato. E come ti ho trovata? Com´è stato bizzarro il mio viaggio! Che parole dovrei usare per descrivere per quali tortuosi sentieri una buona stella mi ha guidato fino a te? Dammi la mano, anima mia quasi dimenticata. Che immensa gioia rivederti, o anima per tanto tempo disconosciuta! La vita mi ha riportato a te. Diciamo grazie alla vita perché ho vissuto, per tutte le ore serene e per quelle tristi, per ogni gioia e ogni dolore. Anima mia, il mio viaggio deve proseguire insieme a te. Con te voglio andare ed elevarmi alla mia solitudine». Questo mi costrinse a dire lo spirito del profondo e al tempo stesso a viverlo contro la mia stessa volontà, perché non me l´aspettavo. In quel periodo ero ancora totalmente prigioniero dello spirito di questo tempo e nutrivo altri pensieri riguardo all´anima umana. Pensavo e parlavo molto dell´anima, conoscevo tante parole dotte in proposito, l´avevo giudicata e resa oggetto della scienza. Credevo che la mia anima potesse essere l´oggetto del mio giudizio e del mio sapere; il mio giudizio e il mio sapere sono invece proprio loro gli oggetti della mia anima. Perciò lo spirito del profondo mi costrinse a parlare all´anima mia, a rivolgermi a lei come a una creatura vivente, dotata di esistenza propria. Dovevo acquistare consapevolezza di aver perduto la mia anima. Da ciò impariamo in che modo lo spirito del profondo consideri l´anima: la vede come una creatura vivente, dotata di una propria esistenza, e con ciò contraddice lo spirito di questo tempo, per il quale l´anima è una cosa dipendente dall´uomo, che si può giudicare e classificare e di cui possiamo afferrare i confini. Ho dovuto capire che ciò che prima consideravo la mia anima, non era affatto la mia anima, bensì un´inerte costruzione dottrinale. Ho dovuto quindi parlare all´anima come se fosse qualcosa di distante e ignoto, che non esisteva grazie a me, ma grazie alla quale io stesso esistevo.
Giunge al luogo dell´anima chi distoglie il proprio desiderio dalle cose esteriori. Se non la trova, viene sopraffatto dall´orrore del vuoto. E, agitando più volte il suo flagello, l´angoscia lo spronerà a una ricerca disperata e a una cieca brama delle cose vacue di questo mondo. Diverrà folle per la sua insaziabile cupidigia e si allontanerà dalla sua anima, per non ritrovarla mai più. Correrà dietro a ogni cosa, se ne impadronirà, ma non ritroverà la sua anima, perché solo dentro di sé la potrebbe trovare. Essa si trovava certo nelle cose e negli uomini, tuttavia colui che è cieco coglie le cose e gli uomini, ma non la sua anima nelle cose e negli uomini. Nulla sa dell´anima sua.
Come potrebbe distinguerla dagli uomini e dalle cose? La potrebbe trovare nel desiderio stesso, ma non negli oggetti del desiderio. Se lui fosse padrone del suo desiderio, e non fosse invece il suo desiderio a impadronirsi di lui, avrebbe toccato con mano la propria anima, perché il suo desiderio ne è immagine ed espressione. Se possediamo l´immagine di una cosa, possediamo la metà di quella cosa. L´immagine del mondo costituisce la metà del mondo. Chi possiede il mondo, ma non invece la sua immagine, possiede soltanto la metà del mondo, poiché l´anima sua è povera e indigente. La ricchezza dell´anima è fatta di immagini. Chi possiede l´immagine del mondo, possiede la metà del mondo, anche se il suo lato umano è povero e indigente.
Ma la fame trasforma l´anima in una belva che divora cose che non tollera e da cui resta avvelenata. Amici miei, saggio è nutrire l´anima, per non allevarvi draghi e diavoli in cuore.
Traduzione Marianna Massimello

14 maggio 2011

- L'INTUIZIONE E LA SCOPERTA DEL TESORO

L'intuizione può essere anche chiamata “colpo di genio”.
La genialità è stata descritta in vario modo ma essa fuoriesce da ogni tipologia di comprensione razionale. In alcuni casi si sente spesso dire come la genialità possa essere considerata una forma di pazzia, in effetti dal punto di vista di una mente molto strutturata questo potrebbe essere una impressione giustificata. Se ci si abitua a rimanere dentro stretti ambiti di pensiero, creando barriere interiori che delimitano il fluire del proprio sé all'interno di categorie, immagini e spiegazioni molto limitate, ci si impedisce di beneficiare della genialità personale e dell'intuizione di cui tutti siamo dotati. Si pensa comunemente che si nasca geni e che ciò dipenda da qualche strano scherzo del destino che per qualche miscela chimico-biologica permette a certi individui di trascendere la normalità. Il concetto di normalità è però un errore se lo si pensa come stato d'essere ma è in realtà un giudizio mosso da chi osserva una situazione e che compie un paragone con la propria: se ciò che è osservato non è comprensibile all'interno dei propri canoni ecco che si definisce anormale.
La normalità è l'illusione della mente che cerca di giustificare la propria permanenza in uno stato limitato. La genialità e l'intuizione, quindi, sono qualcosa che ognuno di noi dispone e sono anzi espressione della nostra natura più vera. Man mano che procediamo nell'istruzione che la società ha predisposto per noi, la fantasia e la capacità creativa vengono convogliate all'interno di schemi preconfigurati che rendono il bambino adulto. Ciò è un fenomeno culturale che ci accompagna da sempre, sia all'interno delle famiglie che nei gruppi più ampi, perchè si tenta di trasferire le informazioni ed esperienze acquisite dai predecessori ai giovani. Spesso però questa pretesa di trasferimento e di aiuto non contempla la possibilità che le giovani personalità in formazione possano avere in sé dei veri e propri gioielli e, non riconosciuti, questi vengono negati dai genitori ed insegnanti come “fenomeni passeggeri dell'età dello sviluppo”. Spesso, purtroppo, con questa o simile giustificazione si troncano dei teneri germogli che avrebbero creato dei preziosi frutti, sia per il singolo che per la collettività. Quindi spesso la genialità individuale viene negata a favore di un conformismo alle strutture già accettate. E' però vero che questa forza interiore si esprimerà nella vita in altre maniere ma, non riconosciuta pienamente, potrà spesso manifestare solo minimi contributi rispetto al potenziale più ampio. Questa è la situazioni che molti possono essersi trovati a vivere ma c'è rimedio e c'è possibilità di recuperare il vero Sé: è tempo di intensificare questo processo attraverso tutte le nostre capacità compresa l'intuizione. L'intuizione qui viene intesa come la comunicazione interiore tra parti del nostro essere che seppure non conosciute e comprese, esistono e sono vive. Comunicazione interiore non vuole intendere che si svolga solo come fenomeno “interno” perchè nella visione olistica dell'essere umano, ogni individuo è in realtà una parte, componente, espressione ed aspetto di un tutto sociale molto più complesso. La stessa umanità partecipa ad un insieme ed un organismo vitale molto più grande e così come una singola cellula compone un organo, così possiamo rappresentarci il rapporto tra individuo e la società nel suo complesso. L'umanità stessa poi partecipa con la propria esistenza ad una più grande dimensione vitale. Ciò non vuole togliere importanza all'individualità che è una ricchezza immensa ma vuole aprire la mente alla possibilità di comunicazione che abbiamo con i macro sistemi.
Quindi quando parlo di intuizione come forma di comunicazione interna, intendo con quest'ultimo attributo richiamare proprio l'immagine di un macro organismo che comunica al suo interno con meccanismi sottili ma efficaci. Attraverso l'intuizione noi comunichiamo con le parti di noi, come individuo, e le parti più ampie delle quali siamo espressione ed aspetto permettendo un trasferimento di informazioni che possono rappresentare una armonia all'interno di una vastità inimmaginabile. Per chiarire, quando noi riceviamo una intuizione, un colpo di genio, stiamo traducendo un impulso che proviene da "spazi" non compresi dalla mente ma che riescono ad inviare un'informazione alla mente cosciente. La mente cosciente non riesce a comprendere “perchè fare questo” ma dentro di sé ha la chiara impressione, anche di carattere emozionale, che ciò è opportuno. Nel compiere l'azione conseguente all'intuizione si scoprono, in seguito, alcuni aspetti che ne fanno comprendere l'importanza. Ecco che il macro organismo comunica con la sua cellula costitutiva per permettere a questa il più grande ed ampio sviluppo: in questo c'è armonia ed Intelligenza. Seguire l'intuizione come anche dar seguito al colpo di genio rimane una scelta che deve essere compiuta. Un aspetto della nostra libertà è nel scegliere cosa vogliamo creare nella nostra quotidianità e possiamo anche essere determinati a permanere nello stato che conosciamo e stare male: la nostra libertà si spinge sino alla possibilità di autodistruzione. Nei sistemi organici complessi vi sono spinte globali che muovono l'intero alla sua evoluzione ed, in questa evoluzione, le esigenze della singola parte sono ben presenti e rispettate. Nel nostro essere ciò che siamo, risiede una vastità tale di opportunità e capacità che vi è anche la possibilità di negare la spinta che giunge dall'intero, poiché noi stessi possiamo spingerci ad esplorare nuovi spazi: questo tipo di scelta è caratteristica del contributo che noi offriamo al tutto. Quindi anche la scelta di non seguire l'intuizione è importante ma quando rimane una scelta consapevole essa è espressione della nostra libertà ma quando viene negata a priori la possibilità di valutare ciò che giunge a noi, ci avviamo alla negazione di ciò che siamo ed alla trasformazione della nostra esistenza in una maschera di ciò che è una vita consapevole. L'intuizione è una porta di accesso alla complessità ed alla multidimensionalità della coscienza e del nostro Essere che merita di essere esplorata. La domanda che vi pongo ora è: voi seguite le vostre intuizioni? Avete mai sperimentato la vostra genialità? Alcuni potranno chiaramente individuare episodi che possono essere ricondotti a questo “fenomeno” ed altri meno perchè avete cancellato persino il ricordo di questo meccanismo o lo avete razionalizzato in schemi che negano la Bellezza di questo processo. Siete interessati ad aumentare l'efficienza della comunicazione interiore e la vostra intuizione? Volete riscoprire la vostra genialità affinchè possa assistervi in questo enorme processo di cambiamento che stiamo vivendo? Qui l'argomento si fa interessante!
STIMOLI SU INTUIZIONE E GENIALITA': LA POTENZIALITA' DI CREARE UNA NUOVA VITA
Come tutte le facoltà innate, le abilità che per predisposizione ognuno di noi ha, queste possono essere coltivate per portarle ad una espressione ampia o piuttosto negate. Sul perchè vengano negate e sui motivi perchè spesso la società induce a questa negazione non mi soffermerò qui ma vi invito ad osservare come molti modelli educativi, familiari, sociali e di “intrattenimento” puntano proprio a questo obiettivo. Il suggerimento che offro è che se in una società vi sono molti individui liberi interiormente e di esprimersi, l'evoluzione viene accelerata ad una tale velocità ed intensità che davvero ben poco può essere mantenuto come “posizione di vantaggio e di gestione”. Quindi osserviamo ora una società che nega le sue capacità individuali più profonde per relegare il fenomeno evolutivo ad un processo che passi attraverso l'istruzione ed al contributo di singoli che, ci viene raccontanto quasi miracolosamente, emergono dal brodo di possibilità create dall'unione di diversi dna, sino a giungere ad un risultato “fuori dalla norma”. Questa visione è completamente fuorviante e parte dal presupposto che ci siano individui appartenenti ad una tipologia speciale che si differenziano dalla massa. Ciò è una profonda convinzione che impedisce alle persone di riconoscersi nella propria genialità e relega la propria autostima e fiducia in sé all'interno di meccanismi che fanno dipendere il benessere personale dal riconoscimento sociale. Molte persone vivono una esistenza intera nella ricerca di ottenimento di amore ed apprezzamento dagli altri, conformando sé stessi a quanto richiesto. Uno dei parametri che vengono utilizzati per valutare gli altri, ad esempio, è il guadagno personale ed il successo sociale, cancellando la visione della bellezza di ogni individuo che non necessariamente porta a questo tipo di risultati. Nella nostra società è più probabile che abbia successo un manager di azienda che non un poeta, ciò però non significa che il contributo del poeta non sia essenziale alla società stessa per evolvere. Tutti i ruoli sono importanti ma se c'è una tendenza a dare riconoscimento solo a coloro che creano un certo tipo di risultati, ecco che assistiamo progressivamente ad un impoverimento del collettivo. Seguire la propria intuizione e genialità non è sempre facile poiché come la vita di personaggi che lo hanno fatto ci ha trasmesso, alle volte si è ostacolati e combattuti. Non è sempre così ma fa parte del sistema educativo immaginare che chi percorra strade diverse dal collettivo sia poi escluso, scacciato, combattuto, distrutto: siamo amanti del dramma e delle storie di terrore, quindi ci colpisce molto di più questo aspetto rispetto ad altre storie nella quali la genialità ha contribuito al nostro attuale benessere. L'intuizione e la genialità molto spesso deve trovare un modo di “traduzione” affinchè il risultato di quanto emerge nell'individuo possa essere accolto dalla società della quale fa parte. Anticipo questo perchè voglia già aiutare a superare un problema di base: l'intuizione e la genialità vanno vissute inizialmente per sé stessi, come esplorazione di sé e della propria natura e solo dopo messa in comunicazione con l'ambiente. Molti rifiutano l'intuizione e le idee innovative perchè alzano immediatamente uno sbarramento interiore di non accettazione di qualcosa che possa modificare il loro status. Per poter amplificare e riconoscere queste doti è importante trovare uno spazio interiore e nella propria vita per viverli, un esempio classico è quello di scrivere i propri pensieri e dedicarsi a forme artistiche che possano far fluire questi stimoli. Man mano che si procederà poi quanto emerso potrà essere tradotto anche per gli altri in un linguaggio adeguato al tempo ed all'ambiente. Quindi non preoccupatevi di questo ma solo di accogliere la vostra intuizione e genialità. Un esempio di come un genio si possa creare il suo spazio per vivere ciò che emerge da sé lo trovate ben rappresentato nella creazione da parte di Carl G. Jung de “Il Libro Rosso”. Approfondite questa opera, se lo sentite, ed avrete un esempio eclatante e mirabile di questa modalità che vi ho suggerito. L'intuizione è percepita da molti come una improvvisa irruzione di irrazionalità all'interno della vita e molte idee vengono scartate appena si presentano. Ciò non permette di approfondire il processo e di ascoltarsi. Il suggerimento ulteriore che posso fornire è quello di creare dello spazio nel quale vi dedicate al vostro ascolto interiore. Con questo non voglio consigliare pratiche di meditazione o tecniche più o meno esotiche ma stimolare ognuno di voi nella ricerca del proprio modo di contatto con le vastità della quale è parte. Nel mio caso, per farvi un altro esempio, questa funzione viene svolta anche dalla scrittura ma altamente utile in questo senso è anche il contatto con la natura. Possono esserci anche lavori manuali ripetitivi o passatempi che vengono svolti anche per questa capacità di immergervi in voi stessi. Qualsiasi sia la modalità, approfonditela in maniera consapevole ed amplificatene gli effetti. In questo processo però potrebbe di nuovo ostacolarvi la mente e le aspettative che nutrite poiché queste bloccano il libero flusso di informazioni: se io mi aspetto che l'intuizione si presenti in una data forma praticamente nego tutte le altre e quindi riduco la possibilità di vivere questa comunicazione. Molte tecniche usate per allenare queste nostre espressioni, difatti, falliscono proprio perchè possono attivare questa tipologia di freni interiori e strutturare qualcosa che non è contenibile in stretti confini di prevedibilità. Un sistema efficace per aiutarsi nell'immersione di ciò che si è viene spesso menzionato ma spesso non compreso nella sua profondità e potenza: l'ascolto del Cuore. Attraverso il Cuore, il nostro cento vitale che non va confuso con la parte biologica che ne è espressione, è la porta alla nostra Infinita Esistenza e permette di allentare la presa della mente e delle aspettative. Uno dei contenuti dell'amore per sé stessi è proprio quello di entrare in questa vastità con l'atteggiamento di un innamorato che abbraccia ciò gli è più caro: non si aspetta nulla, si ama ed ama. Questo può risultare incomprensibile a chi non ha mai sperimentato un grande amore o chi lo ha fatto rivolto solo ad immagini esterne ma le donne possono aiutarsi ed aiutare gli uomini in questo. Quando avete “dato alla luce” vostro figlio, avevate posto delle condizioni per amarlo? Ora io vi chiedo: perchè ponete delle condizioni a voi stessi per amarvi? Qui vi è una chiave intuitiva che forse può aiutarvi, anche gli uomini che hanno maggiore difficoltà a gestire la propria intuizione, ed anche nel contempo una delle possibili spiegazioni del perchè le donne siano indubbiamente espressione con maggior pienezza della creatività, intuizione e genialità. Amate la Donna ed il Femminile, esterno a voi e dentro di voi, perchè è lì la chiave del processo evolutivo verso una più ampia conoscenza di sé e del mondo. Per chi ha bisogno di aspetti pratici posso invitarvi ad osservare i pensieri che vi vengono ed ascoltare la qualità delle emozioni che vi suscitano. La comunicazione intuitiva non è prettamente mentale e di pensiero ma è accompagnata spesso da emozioni e, da quello che posso sperimentare quotidianamente ne è una componente primaria assieme ad una componente, per me, di percezione fisica. Questo insieme di percezioni mi indica che ciò che sto osservando ha una importanza maggiore del constante flusso di pensieri che mi attraversano. L'intuizione è spesso simbolica e necessità di una comprensione che solo voi, però , potrete realmente compiere mentre altre volte può essere chiara e letterale. Spesso per tradurre in azione e pratica una intuizione, ricevuta istantaneamente e complessivamente, si può aver bisogno di molto tempo, anche una intera vita. Nelle esperienze che propongo inserisco sempre un approfondimento pratico di questi aspetti che per iscritto, però, non possono essere riprodotti pienamente poiché la trasmissione di esperienza è più ampia all'interno di un contatto personale. Per chi già utilizza l'intuizione e la genialità nella propria vita questo potrebbe sembrare banale ma suggerisco di pensare come ogni capacità può essere amplificata anche per il fenomeno della risonanza e della confluenza: “frequentate” delle persone geniali ed amplificherete la vostra personale genialità, semplice e positivamente contagioso. La frequentazione può essere attuata sia come contatto personale ma in difetto anche nella conoscenza di quanto trasmesso, come uno scritto, un libro, un film... Non sarà il contenuto a darvi delle risposte ma la risonanza che proverete con l'autore. La risonanza è espressione di quella comunicazione esistente tra individui, singoli all'interno del macro organismo sociale, che utilizza vie non razionali e coscienti ma molto efficaci.
CAOS E NUOVE SOLUZIONI
Perchè preoccuparsi della genialità e dell'intuizione? Semplicemente perchè ne abbiamo tutti bisogno. La nostra vita può attraversare fasi, più o meno lunghe, di difficoltà perchè ci sentiamo persi in un mondo in profondo mutamento e che manifesta qualcosa che è percepibile come caos.
Il caos è solo un espressione di una percezione limitata di ciò che accade che, essendo nuovo e non comprensibile con le esperienze già vissute, non trova una spiegazione e quindi può generare spavento. Ma il caos è solo una incapacità di percezione dell'armonia più ampia ed è similare alla persona che guardi il singolo pezzo di puzzle o tessera di un mosaico senza poter vedere le altre parti e la figura intera. Sembra non avere senso ma se allargassimo la visuale contemplando anche le altre tessere ecco che ci si mostrerebbe la figura ed il senso del singolo aspetto parzialmente incomprensibile. Nella situazione che viviamo la mente non riesce a percepire la figura intera che fuoriesce dai parametri alla quale è stata condizionata a funzionare. E' come se volessimo alzare un peso che è superiore alle nostre attuali capacità: dovremmo allenarci per riuscire. In questo caso è importante allenare la nostra mente ad essere più fluida ed accogliere percezioni diverse dal passato, così che man mano essa potrà mostrarci un disegno razionalizzabile. Sarà comunque un'approssimazione ma utile, come una mappa è utile per muoversi in una città pur non essendo la città stessa, ricordandoci che quest'ultima va vissuta ed esplorata direttamente per essere conosciuta.
In questo momento a causa dei aspetti della vita che stanno mutando grazie alle rivoluzioni economiche e sociali che stiamo sperimentando, può insorgere in noi la paura del caos. Come navigare in questo mare in burrasca? Come affrontare i pericoli delle onde e delle trombe d'aria che appaiono, metaforicamente, dinanzi alla nostra prua? L'intuizione e la genialità costituiscono le risorse che ora sono necessarie. Non abbiamo mappe, ancora, non sappiamo cosa sta accadendo in maniera completa ma abbiamo la comunicazione con l'Organismo intero. Siamo parti del tutto, olograficamente espressioni dell'uno ed interconnessi profondamente a dimensioni inimmaginabili dalla mente. Abbiamo così risorse infinite che possono trasformare il nostro quotidiano, a patto di accogliere gli stimoli. Questo scritto, volutamente semplificato (e spero comprensibile) , vuole portarvi a vedere che ora è necessario aprirsi a sé stessi, alle profondità della propria natura perchè è lì che risiedono le potenzialità di soluzione dei problemi vissuti nel presente. Per chi invece vive già una vita gioiosa, ricordo che il ciclo di benessere va alimentato costantemente ed ampliato ed anche per voi è importante immergersi nelle vostre ulteriori profondità. Ciò però non va fatto con la mente che spezza, disgrega e spiega ma facendo fluire l'esperienza e l'essere: questo è uno dei motivi per i quali ho parlato prima di espressioni artistiche. Serve far fluire ciò che non è razionalizzabile in una forma che possa contenerne aspetti, anche non compresi. Non è la mente che cambierà le vostre vite ma la sua integrazione ed inclusione nel Cuore, nella più ampia Essenza di voi stessi. Attraverso l'intuizione e la comunicazione interiore potrete tornare gradualmente alla vostra grandezza ed unicità, compiendo quel passaggio che ora è urgente. Quanto volete permanere in una situazione non ottimale? Quando siete disposti a lasciare e trasformare una vita insoddisfacente per una espressione maggiore della vostra Essenza? Non si tratta di lasciare posti o persone ma si tratta di trasformare la vostra immagine di voi stessi, che nutrite in voi, in una forma più fluida ed ampia. Siamo in un periodo definibile come iniziazione ad una nuova forma di vita. Abbiamo però spesso di fronte a noi freni, ostacoli e tentazioni che cercano di farci permanere in una situazione oramai logora. Ad ognuno di noi spetta la primordiale scelta di Vivere, il Cosmo poi risponderà. Questo è solo una fase iniziale alla quale seguono altri passaggi ma che saranno toccati in altri momenti sia attraverso degli scritti che tramite esperienze: per ora il mio invito è di risvegliarvi alla vostra vera e profonda Natura di Essere Umano. Cosa deciderete?
Luca Ferretti


10 maggio 2011

- Il Maestro Venerabile e i Dignitari della Loggia



Nel Tempio siamo tutti uguali, anche se dobbiamo svolgere compiti diversi a seconda del Grado, connessi al processo interiore di perfezionamento. Per dirla con il nostro massimo filosofo, Johann Gottlieb Fichte, nel Tempio si raccolgono, in condizioni di assoluta parità, uomini di varia condizione, che portano e danno ciò che ciascuno possiede: il pensatore, concetti chiari e precisi, l’uomo d’azione, la sua capacità e l’agilità nell’arte del vivere, il religioso, la sua religiosità, l’artista, il suo entusiasmo artistico, in un colleganza in cui ciascuno riceve nella stessa misura di quello che dà. Stabilito che in Loggia ogni uomo è fratello all’altro, occorre tuttavia avvertire che per il governo della Loggia vengono assegnati a certi Fratelli Maestri funzioni particolari: i Fratelli a cui vengono assegnate tali funzioni costituiscono il corpo dei Dignitari e degli Ufficiali di Loggia. Dignitari sono: il Primo Sorvegliante, il Secondo Sorvegliante, l’Oratore, il Segretario, il Tesoriere. Ai Dignitari seguono gli Ufficiali, che sono: l’Esperto, il Maestro delle Cerimonie, il Portastendardo, l’Ospedaliere, l’Elemosiniere, il Copritore Interno, il Copritore Esterno, l’Architetto Revisore. A questi si aggiungono il Primo Diacono e il Secondo Diacono, che tuttavia non sono propriamente Ufficiali, ma semplici portaordini, rispettivamente del Maestro Venerabile e del Primo Sorvegliante; le due suddette mansioni vengono di solito riservate a due Fratelli Apprendisti. La più alta espressione della Loggia è il Maestro Venerabile: la sua persona e la sua autorità sono sacre e inviolabili in quanto a lui sono stati “conferiti” i poteri individuali di tutti i membri della Loggia al momento della sua elezione. Gli strumenti del suo potere sono la Spada Fiammeggiante e il Maglietto: con questo apre e chiude i lavori, con la spada inizia, cioè crea prima, e riceve poi, un Libero Muratore. Egli corrisponde al Fuoco (è con il Maestro Venerabile infatti che termina la prova del Fuoco dell’iniziando) e su di lui confluiscono tutte le energie della Loggia, per l’alimentazione costante del Fuoco da cui emana la Luce. Il suo posto è a Oriente, nel punto cardinale da cui nasce il Sole per illuminare la Terra. Il Primo Sorvegliante è il secondo esponente della Loggia per ordine gerarchico: dirige la Colonna dei Compagni che è situata a Mezzogiorno, deve curare particolarmente l’istruzione dei Fratelli Compagni affinché questi proseguano nella realizzazione della via iniziatica muratoria. Il Secondo Sorvegliante è il terzo esponente della Loggia: egli siede al centro della Colonna del Meridione e sorveglia gli Apprendisti che si trovano di fronte a lui nella Colonna di Settentrione. Egli è il tutore della metà notturna della Loggia e presiede all’istruzione e alla formazione dei Fratelli Apprendisti; in particolare è tenuto a far realizzare ad essi il silenzio interiore, seguendoli da vicino nella sgrossatura della pietra e nell’acquisizione della padronanza dello strumento che è loro assegnato, la Squadra. Egli inoltre deve essere in grado di captare gli stati d’animo degli Apprendisti, per farli parlare attraverso di lui, nel rispetto assoluto del silenzio rituale. Seguono in ordine gerarchico l’Oratore e il Segretario, che siedono all’Oriente e per questo si rivolgono direttamente al Maestro Venerabile senza dover chiedere la parola tramite i Sorveglianti. I loro seggi e i loro leggii sono (o dovrebbero essere) sopraelevati rispetto al piano del Tempio. Essi pertanto non si alzano al passaggio dei due Sorveglianti per la verifica della regolarità dei Fratelli presenti, ma facendo parte di coloro che siedono all’Oriente come diretti collaboratori del Maestro Venerabile, sono coloro di cui risponde direttamente il Maestro Venerabile stesso. Sono aspetti simbolici, del Sole l’Oratore, della Luna il Segretario. L’Oratore, assimilabile al Sole, rappresenta la conoscenza diretta ed intuitiva, che brilla di luce propria ed è quindi attiva. Il Segretario, assimilabile alla Luna, rappresenta l’altro aspetto della conoscenza, quello riflesso e passivo. Insieme rappresentano, come altri simboli presenti nel Tempio, la legge della polarità. L’Oratore è il depositario della Legge e cioè delle Costituzioni e dei Regolamenti dell’Ordine, nonché dei regolamenti particolari della Loggia. Nel corso dei lavori l’Oratore garantisce, nel rispetto dello spirito e della forma delle norme, l’ordinato svolgimento dei lavori e vigila affinché questo avvenga con piena rispondenza ai canoni. Qualora egli giudichi che non sia stato raggiunto il necessario equilibrio psichico da parte dei presenti, ha il compito di fornire le indicazioni per gli opportuni correttivi.Il Segretario, nello stendere la Tavola architettonica, deve ricostruire non solo il filo dei discorsi e la sequenza dei lavori svolti, ma deve saper restituire lo spirito dei lavori stessi, l’atmosfera e gli stati di coscienza acquisiti, con funzione di memoria intelligente e non puramente meccanica della Loggia. Al Maestro Venerabile, al Primo Sorvegliante e al Secondo Sorvegliante è attribuita la qualifica di Luce, ma non debbono essere confusi con le tre Grandi Luci del Tempio, che sono, com’è noto, il Libro Sacro, la Squadra e il Compasso. Le tre Luci, cioè il Maestro venerabile e i due Sorveglianti, più l’Oratore e il Segretario, rappresentano insieme il Pentalfa, la stella fiammeggiante, espressione simbolica dell’uomo rigenerato, che con le sue cinque punte raffigura l’unione feconda del 3, che significa il principio maschile, con il 2, che corrisponde al principio femminile.Ai quattro Dignitari, che col Maestro Venerabile compongono il Pentalfa, si aggiunge un altro Dignitario, il Tesoriere, la cui funzione non è solo quella amministrativa dell’incasso delle capitazioni, ma anche quella ben più importante della “caratura” dell’oro che si forma nella Loggia. Simbolicamente, egli verifica e valuta la trasmutazione dei Fratelli in oro spirituale, constata l’arricchimento individuale e di gruppo. Il Tesoriere, nel consegnare i metalli al Maestro Venerabile, fornisce quanto necessario al fine che il Primo Sorvegliante possa pagare gli operai, e cioè distribuire pane e vino agli Apprendisti che non sono ancora in grado di amministrare direttamente le proprie entrate, e il Salario in argento per i Compagni e in oro per i Maestri, secondo quanto essi hanno lavorato e prodotto per il proprio e per l’altrui arricchimento. A seguito di ciò, il Primo Sorvegliante potrà dichiarare, prima che avvenga la chiusura dei lavori, che tutti gli operai sono contenti e soddisfatti a gloria e onore dell’Ordine.
Enzo Heffler

3 maggio 2011

- Inconscio



Forse la distanza più grande che separa Jung da Freud sta nella loro differente interpretazione dell’inconscio. Jung condivide l’impostazione freudiana di una mente inconscia, svincolata da qualsiasi controllo cosciente, che sta alla base dei meccanismi psicologici dell’individuo. E condivide l’enorme influenza che l’inconscio può avere sul comportamento umano cosciente. Ma ne distingue due forme: un “inconscio personale”, generato dall’individuo nel corso della propria vita, ed un “inconscio collettivo”, al quale appartengono contenuti non strettamente personali bensì “prodotti psichici” generati dall’Uomo nel corso di tutta la sua evoluzione.
Inconscio personale
In altri termini, mentre il cosiddetto inconscio personale è fatto di contenuti che provengono dalla storia della vita dell’individuo, vale a dire ciò che è rimosso, retrocesso, dimenticato, sepolto al di sotto della soglia della coscienza, l’inconscio collettivo è un patrimonio ereditario comune a tutti gli uomini e la sua presenza è talmente primigenia da risultare il fondamento di ogni psiche individuale.
Inconscio collettivo
In particolare, l’inconscio collettivo consta di contenuti che rappresentano i tipici modi di reagire dell’umanità, fin dai suoi inizi, nei confronti di situazioni di natura genericamente umana quali la paura, il pericolo, la lotta contro le forze superiori, le relazioni tra i sessi o fra figli e genitori, le figure del padre e della madre, il comportamento di fronte all’odio e all’amore, alla nascita e alla morte, la potenza dei principi dell’oscurità e della luce, ecc. Jung dice al riguardo: “L’inconscio collettivo è la poderosa massa ereditaria spirituale dello sviluppo umano, che rinasce in ogni struttura cerebrale individuale”. E a chi gli obiettava che la scienza escludeva la possibilità che potessero essere ereditate caratteristiche acquisite o ricordi di immagini, Jung rispondeva: “Con questo concetto non si intende una “immagine ereditata”, ma certi percorsi ereditati, dunque il modo innato in cui il pulcino esce dall’uovo, gli uccelli costruiscono i loro nidi, certe vespe colpiscono col pungiglione il ganglio motorio del bruco e le anguille trovano la loro via verso le Bermude; in altre parole esso è un modello di comportamento”. “Sarebbe un grave errore” dice ancora Jung“ supporre che la psiche del neonato sia una tabula rasa, nel senso che sia assolutamente vuota”. Il bambino, sempre secondo Jung, nasce con un cervello già impostato dall’eredità. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, il neonato non agirà in un modo qualsiasi, ma con un atteggiamento già specifico. Si potrebbe cioè dimostrare che i suoi comportamenti sono degli istinti ereditati e dei modelli preformati. Ciò significa che la psiche del neonato nasce già strutturata e che si comporta: “come una lastra fotografica che sia rimasta esposta durante le generazioni anteriori”. “Di conseguenza” insiste Jung “tutti questi fattori che furono essenziali ai nostri antenati, prossimi e lontani, saranno essenziali a noi stessi, incorporati come sono nel sistema organico ereditato”. L’inconscio collettivo è quindi raffigurabile come un grandissimo serbatoio contenente tutte queste emozioni inconsce ma attive, che risalgono alla notte dei tempi del genere umano e che generano dei simboli potenti, delle creazioni artistiche, delle suggestive religioni, ecc. Un inconscio siffatto è paragonabile ad una “biblioteca”, uguale per tutti, dove sono raccolti numerosi volumi (archetipi), da utilizzare per il progressivo sviluppo delle proprie potenzialità psichiche.
L’arcipelago
Per meglio entrare nel senso di concetti non troppo frequentati da chi non è “addetto ai lavori”, tornerà senz’altro utile questo indovinato parallelismo proposto da Frank Tallis: “L’architettura del sistema junghiano si chiarisce ricorrendo a una semplice analogia: l’arcipelago. Le menti umane sono come singole isole in successione, e la superficie del mare è come la soglia di coscienza. Sotto il mare, ogni isola poggia su una formazione rocciosa unica. Questa corrisponde all’inconscio personale. Ancora più in basso, queste colonne isolate di roccia si fondono, condividendo una parte del fondo marino. Il livello in cui le diverse isole si uniscono è l’equivalente di ciò che Jung ha chiamato “inconscio razziale”, un deposito di antiche memorie associate a specifici gruppi etnici (per esempio, i mongoli o gli ariani). Continuando a scendere, si raggiunge un punto dove tutte le isole e le masse terrestri si fondono. Questo, il livello più profondo, coincide con l’inconscio collettivo ”. Una conseguenza strabiliante di questa concezione è che l’inconscio collettivo non è mai malato semplicemente perché è impersonale! Si tratta, quindi, di un inconscio superiore che funziona come un’eredità mentale comune a tutta l’umanità e che ci mette in contatto con la parte più intima dell’Uomo, da sempre immutata.
L’inconscio universale
Ad onor del vero, anche se il concetto di “inconscio collettivo” viene considerato come uno dei contributi più significativi del pensiero junghiano, dobbiamo tuttavia ammettere che tale concetto ben corrisponde alla vecchia idea romantica dell’inconscio universale, un’astrazione le cui sfumature abbiamo già visto essere state esplorate da un’intera generazione di poeti, filosofi e artisti. E già i romantici avevano supposto che nell’inconscio universale fossero presenti immagini primordiali (cioè primitive e arcaiche) che potevano affiorare alla coscienza tramite i sogni o altri stati psichici alterati (ad esempio, per effetto dell’oppio). Merito di Jung fu quello di aver meglio definito il valore e il senso di queste immagini, che alla fine egli chiamò archètipi.
Archetipi e Simboli, Teoria
Definire un archetipo non è semplice poiché è un concetto assolutamente cangiante, in grado di assumere sfumature di significato sempre diverse. Lo stesso Jung, che pure di archetipi doveva intendersene, se non altro per non sconfessata paternità, è a questo proposito categorico: “Non dobbiamo cedere nemmeno per un momento all’illusione di poter una volta finalmente spiegare, e con ciò liquidare, un archetipo. Anche il migliore tentativo di interpretazione non è altro che una traduzione più o meno riuscita in un altro linguaggio figurato”. E in un’altra occasione ribadisce: “Il loro significato ultimo può essere circoscritto, non descritto”. La stessa evoluzione del concetto è piuttosto sofferta. Jung aveva notato che i motivi mitologici, le fiabe, i simboli della storia dell’umanità o le reazioni emotive particolarmente intense tradivano sempre un’origine dagli strati più profondi della psiche, dove era condensata l’energia mentale più potente perché primordiale. Proprio in quanto dotati di questa forte carica energetica emozionale, furono all’inizio (1912) chiamati da Jung immagini primordiali e più tardi (1917) “dominanti dell’inconscio collettivo”.
Suddivisioni del concetto
Solo a partire dal 1919 li chiamò archètipi ma nel 1946 ne propose una revisione distinguendo due tipi: 1) un archetipo in sé, insito nella parte profonda della psiche e non percettibile dalla coscienza; 2) un archetipo attualizzato, cioè ormai entrato nel campo della coscienza e pertanto evidente come “immagine archetipica”, come “rappresentazione archetipica” o come “processo archetipico”. Se queste sono le spiegazioni, potremmo ribadire di aver trovato ambiguità al posto di chiarezza! In effetti, le premesse non sono state certo esplicative e tutti i nostri dubbi circa l’identità degli archetipi rimangono tali. Il che non deve stupire se si tiene conto che la dottrina degli archetipi è senz’altro quella che ha suscitato maggiori controversie, persino fra gli stessi allievi di Jung, tanto che non sono rari i neo-junghiani, anche italiani, che prescindono totalmente dalla teoria degli archetipi, giudicandola del tutto infondata. Per di più, sempre Jung, nel tentativo di risultare maggiormente comprensibile, sembra avvolgersi in una spirale ancora più oscura: “ Gli archetipi non sono determinati dal contenuto. Una “immagine originaria “ è determinata da un contenuto solo quando è conscia e perciò riempita da materiale dell’esperienza cosciente. L’archetipo è in sé un elemento vuoto, formale, non è altro che una facultas preformandi. Segue il famoso esempio del cristallo, che cercheremo di sintetizzare.
L’esempio del cristallo
In pratica un cristallo, prima di prendere la forma tridimensionale definitiva, è solo un aggregato di molecole sparse che mai farebbe presupporre l’aspetto finale. Tuttavia queste molecole hanno insita in sé una “forza morfogenica”, invisibile e inconoscibile, che le disporrà secondo un certo ordine spaziale fino a far loro assumere l’aspetto ultimo, cioè quello del cristallo formato. Un archetipo, perlomeno l’archetipo in sé, quello cioè inconoscibile perché sepolto nel profondo dell’inconscio collettivo, verrebbe quindi ad identificarsi con la “forza morfogenica” delle molecole del cristallo. Per analogia, esso sarebbe quindi in grado di “preformare” (facultas preformandi) i contenuti psichici dell’Uomo secondo linee di sviluppo ben definite, anche se non consce, che condurrebbero il processo al suo prodotto ultimo: il pensiero cosciente.
Gli archetipi come elaborazioni figurate
Anche se qualche barlume di comprensione, a questo punto, sembra accendersi e prendere vigore, si rendono necessarie indiscutibilmente ulteriori spiegazioni. Vediamo di trovarle, rovistando sempre fra gli scritti di Jung e facendo una debita premessa: nel linguaggio dell’inconscio, che è un linguaggio figurato (che si esprime cioè per immagini), anche gli archetipi assumono una forma figurata. E’ questo un concetto da tenere a mente perché ci tornerà utile per comprendere il seguito. Per adesso vediamo come in un’altra sua opera di sapore conclusivo, non per niente pubblicata postuma, l’instancabile indagatore della psiche umana, ormai alle soglie della morte, si sforzi ancora di far comprendere l’intimo significato delle sue idee: “La mia teoria sui “resti arcaici”, da me definiti “archetipi” o “immagini primordiali”, è stata sempre criticata da coloro che non hanno una conoscenza appropriata dei sogni e della mitologia. Il termine “archetipo” è spesso frainteso in quanto viene identificato con certe immagini definite o precisi motivi mitologici. Questi, in realtà, non sono altro che rappresentazioni consce. L’archetipo è invece la tendenza inconscia a produrre rappresentazioni della realtà”. Il che significa che il cervello umano possiede l’innata tendenza a trasformare in “elaborazioni mentali figurate soggettive” determinati “aspetti invarianti e ripetitivi” della realtà. È sempre Jung che tenta di spiegare: “ Esistono per esempio molte rappresentazioni del motivo dei “fratelli nemici”, ma il motivo rimane sempre lo stesso. I miei critici hanno sempre erroneamente sostenuto che io presupponga all’esistenza di “rappresentazioni ereditarie” e su questa base hanno liquidato l’idea di archetipo come mera superstizione. Essi non hanno preso in considerazione il fatto che se gli archetipi fossero veramente rappresentazioni create (o acquisite) dalla nostra coscienza, noi dovremmo essere sicuramente in grado di comprenderle senza trovarci stupefatti e perplessi quando essi si presentano alla coscienza. Essi, in realtà, sono “tendenze” istintive altrettanto marcate quanto lo è l’impulso degli uccelli a costruire il nido, o quello delle formiche a dar vita a colonie organizzate”.
Tendenza della mente
In un estremo sforzo di semplificazione potremmo quindi dire che non si ereditano le immagini, i racconti o le fiabe quanto la tendenza a costruire immagini, racconti o fiabe quando la mente umana incontra vicende esistenziali dotate di una forte valenza primitiva. Il che accade quando l’Uomo viene in contatto, ad esempio, con l’Idea del Coraggio, dell’Origine della Vita, della Saggezza, ecc. Da queste “sollecitazioni mentali” primordiali, che per lungo tempo hanno agito sulla mente dell’Uomo primitivo, si sono pian piano originate delle modalità di reazione psicologica che, alla fine, sono divenute connaturate alla stessa struttura psichica dell’Homo Sapiens. Dato poi che l’inconscio parla solo attraverso immagini, tali reazioni psicologiche non poterono che palesarsi sotto un aspetto figurato, assumendo la vaga forma di “elaborazioni mentali figurate inconsce”, quali ad esempio la figura del Vecchio Saggio, del Grande Padre, dell’Eroe, ecc.
Si distingue la forma dell’archetipo dal simbolo
Non va tuttavia confusa la “forma” (figura) primordiale dell’archetipo con quella successiva
dell’immagine simbolica. Ci dice ancora Jung: “Ciò che un contenuto archetipico sempre esprime è, anzitutto, una “similitudine”. Se esso parla del sole, identificandolo con il Leone, con il Re, con l’Oro custodito dai Dragoni o con la Vitalità o la Salute degli uomini [cioè immagini simboliche],esso non è né l’uno né l’altro bensì un “terzo ignoto” che può venire espresso più o meno adeguatamente per mezzo di tutte quelle similitudini ma che - a eterno dispetto dell’intelletto - rimane fatalmente ignoto e indefinibile”. Come avremo modo di approfondire in seguito questa “non limpidissima“ spiegazione sta a significare che l’immagine simbolica, in quanto similitudine dell’oggetto reale, non può che essere un costrutto mentale secondario, cioè suscitato dall’archetipo, e quindi ad esso successivo (cioè conseguente). Archetipo e simbolo vanno quindi ben distinti, in quanto l’uno è causa e l’altro effetto. D’altra parte sarebbero proprio i simboli, visto che l’archetipo, in quanto nascosto nelle profondità dell’inconscio, non è conoscibile, a creare un legame fra la realtà (evidente) vissuta dall’individuo in un dato momento e l’archetipo (non evidente) che a quella realtà è sotteso. Così, ad esempio, se dovessimo trovarci in una situazione (realtà evidente) che richiede fermezza d’animo e coraggio, potremmo essere aiutati in questo compito gravoso dalla visione di un simbolo, quale ad esempio la Croce, che potrebbe rimandarci ad una inconscia idea figurata di Eroe o di Dio (non evidente) sepolta nelle profondità della nostra psiche.
Simbolo come ponte tra soggetto e archetipo
L’elemento simbolico, in quanto ponte fra soggetto e archetipo, renderebbe a quel punto possibile l’utilizzo delle preziose energie psichiche dell’inconscio e, quindi, il superamento del “blocco psicologico” creatoci da quella difficile esperienza di vita. E’ questa, ad esempio, una delle potenti molle psicologiche che spinge il soldato a correre incontro alla morte. Un conflitto esistenziale così crudele sarebbe infatti difficilmente superabile senza lo sprone simbolico di un crocifisso (Dio lo vuole!) o della bandiera nazionale (La Patria – cioè la Grande Madre – lo vuole!). In definitiva le vaghe figure inconsce (figura dell’Eroe, figura di Dio o del Grande Padre, ecc.) sono gli “archetipi in sé” mentre i racconti, i miti o le fiabe rappresentano gli “archetipi attualizzati”, cioè la trasformazione cosciente e consapevole di un dato psichico inconscio solo vagamente avvertito. Gli “archetipi in sé” funzionerebbero come “nuclei di aggregazione” (una sorta di invisibili calamite psicologiche) attorno ai quali si strutturano i comportamenti degli uomini di ogni epoca. E’ questo un assunto importante ed è essenziale capire meglio come il processo possa realizzarsi. Abbiamo già visto come Jung considerasse l’archetipo un elemento inconoscibile, “vuoto” e “formale”, cioè sprovvisto di sostanza propria e dotato di una forma figurata approssimativa. Ebbene, questa forma, priva di contenuto, “vuota”, si comporterebbe alla stregua di una scheletrica impalcatura di sostegno interna, sempre uguale a se stessa, su cui è possibile costruire una forma (figura) esterna (visibile), dotata di senso compiuto. In un certo senso, ciò ricorda i grandi carri allegorici del Carnevale dove la carta straccia, opportunamente lavorata e sagomata dall’artista, restituisce una figura a tutti comprensibile (drago, diavolo, uomo politico, ecc.) solo grazie all’azione sostentatrice della intelaiatura metallica interna (invisibile). Allo stesso modo, ogni uomo può colmare il vuoto formale dell’intelaiatura archetipica (non conoscibile direttamente) rivestendolo con i propri (cioè personali) contenuti psichici, divenuti, a questo punto del processo mentale, evidenti e consci. E sarà questa sovrastruttura conscia che determinerà lo sviluppo dei suoi successivi comportamenti.
L’archetipo nelle diversità individuali
Ne consegue che l’archetipo, pur restando sempre uguale a se stesso, in quanto “forma” pura idealizzata, può ogni volta essere ammantato con contenuti emozionali differenti derivanti dalle mutevoli esperienze vissute da individui diversi. Così lo stesso archetipo, proprio perché vestito ogni volta con “abiti” differenti, può portare a risultati comportamentali dissimili da uomo a uomo e, addirittura, difformi da momento a momento nella stessa persona. L’archetipo di Dio, ad esempio, potrebbe stimolare la parte più gentile e femminea dell’anima di un uomo suscitando in lui sentimenti di pietà verso i miseri e di vergogna per il benessere raggiunto, a dispetto dei molti che non hanno di che sfamarsi. Travolto da un irriducibile sentimento di carità, potrebbe a quel punto trovare la forza (energia psichica interna) di abbandonare i propri cari, le proprie certezze economiche, il proprio stile di vita per dedicarsi completamente all’umanità sofferente. D’altro canto lo stesso archetipo, in un altro individuo, potrebbe invece istigare la parte più virile e prevaricante del proprio essere ispirando insofferenza verso chi non è della stessa confessione ed aperta ostilità verso tutto ciò che appare incomprensibile. Le tristi conseguenze dei fondamentalismi religiosi sono sotto gli occhi di tutti a riprova di quanto male viene fatto in nome di un innato senso del sacro (archetipo di Dio) presente, più o meno inconsapevolmente, nella mente di tutti gli uomini.
Modelli di comportamento
In estrema sintesi, gli archetipi sono dei modelli primordiali di comportamento umano cui la psiche dell’Uomo fa riferimento quando deve reagire ad esperienze della vita reale che generano forti emozioni o stati d’animo primitivi quali appunto la paura, le relazioni sessuali, i rapporti tra padre e figlio ecc. L’immagine primordiale dell’Eroe è oggi, nell’anima umana, la stessa che nei tempi mitici. E il modo di agire di questo archetipo sulla psiche dell’Uomo continua ad essere sostanzialmente invariato. E’ infatti nei momenti di necessità che emerge il nostro “lato coraggioso”. In quei momenti cominciamo ad avvertire in noi una “forza interna” che spinge la nostra anima oltre i limiti consueti. E’ qualcosa di indefinibile, qualcosa che esula dal nostro comportamento abitudinario ma anche qualcosa che si fa sentire con energia e che sembra indirizzarci con convincente fermezza. E questo “qualcosa” pian piano arriva ad assumere una “forma”, prende le sembianze di una figura indistinta, si umanizza. E’ come se un “amico” si materializzasse al nostro fianco, senza tuttavia riuscire mai ad assumere un aspetto concreto. Per questo ha più parvenza di fantasma che di uomo, ciononostante ne percepiamo la nobiltà d’animo, la capacità di discernere il bene dal male, la dirittura morale inequivocabile. E come rapiti da tanto suadente carisma, inconsapevolmente ci troviamo ad imitarlo, a ragionare con la sua mente regale, a comportarci, come lui, con coraggio. Ogni volta che dubitiamo, la sua evanescente presenza torna a farsi più chiara e distinta e ci sembra di vedere (meglio sarebbe dire immaginare) il suo sorriso, fiero e leale. Oppure ne intravediamo il corpo atletico e possente, le braccia muscolose, lo sguardo attento. Così la mente fanciulla dell’umanità primigenia ha rappresentato un Eroe, e così l’inconscio ce lo ripropone per venirci in aiuto. Ed altrettanto inconsciamente così noi lo utilizziamo, facendolo divenire l’ “Eroe dentro di noi”, il nostro modello di riferimento, colui che sa cos’è il coraggio e che saprà traghettarci da uno stato di ordinaria e pavida inettitudine all’esaltazione gloriosa dell’Uomo-Eroe, metà umano e metà divino. Giova comunque sottolineare che tali modelli, proprio perché “prodotti” dell’inconscio, non possiedono alcuna qualità morale e possono suscitare sia comportamenti etici (lato chiaro) che comportamenti immorali (lato oscuro). Abbiamo già visto come l’archetipo di Dio possa anche giustificare odio e violenza. Starà quindi all’Io, cioè alla parte più cosciente della nostra psiche, fare un’opportuna opera di censura!
L’esperienza dell’analisi psicologica
Se questa teoria sia effettivamente vera, oppure debba inevitabilmente infrangersi contro le inflessibili leggi dell’ereditarietà genetica, è ancora oggi motivo di discussione. Certo è che nella mente possono materializzarsi immagini tanto fantastiche e così peculiari da rendere impossibile qualsiasi nesso con la cultura e la maturità psicologica di colui o colei che quelle immagini ha involontariamente creato. Illuminanti, a questo proposito, i sogni di una bambina di otto anni che Jung analizzò su espressa richiesta del padre, fra l’altro psichiatra, che si ritrovò fortemente imbarazzato dalla stranezza dei contenuti. Si trattava infatti di immagini ad alto contenuto religioso e filosofico, improbabili in una bambina di quell’età. La spiegazione di una esperienza così insolita, altrimenti difficile se non impossibile, poteva invece essere trovata facendo ricorso all’esistenza di concetti primordiali, innati ed ereditari della mente umana. Anche se Jung era fermamente convinto della realtà degli archetipi, e metterli in discussione, anche solo ipoteticamente, sarebbe come contraddire il suo pensiero, potremmo comunque suggerire un compromesso a chi non condivide questo aspetto del suo pensiero ricordando che lo stesso Jung, a proposito del valore simbolico dei sogni, tentò un analogo compromesso affermando che la tesi “non era vera realmente, ma lo era psicologicamente”. Nulla vieta di adottare questo giudizio prudenziale anche per l’intera impalcatura teoretica degli archetipi, che potrebbe considerarsi “vera” solo nell’ambito psicologico e non in quello biologico in senso lato. D’altra parte che “qualcosa” vada escogitato per rendere comprensibili certe manifestazioni dell’Uomo è fuori dubbio. Un altro passo di Jung potrà essere, a questo proposito, oltremodo significativo: “ Del resto gli uomini si sono mai completamente liberati dal mito? Qualsiasi uomo aveva gli occhi e tutti i suoi sensi per accorgersi che il mondo è morto, freddo e infinito e ancora nessuno ha mai visto un dio o è stato costretto ad ammetterne l’esistenza da un’esperienza empirica. Ci volle, al contrario, un ottimismo indistruttibile e contrario a qualsiasi senso della realtà per ravvisare, ad esempio, la suprema salvezza e la redenzione del mondo proprio nella morte ignominiosa del Cristo. Così si può certamente nascondere a un bambino il contenuto degli antichi miti, ma non si può portargli via il bisogno della mitologia. Si può affermare che, se si riuscisse a recidere d’un colpo tutte le tradizioni del mondo, tutta la mitologia e la storia delle religioni incomincerebbero da capo con la generazione successiva. Solo pochi individui, nell’epoca di una certa spavalderia intellettuale, riescono a disfarsi della mitologia; la massa non se ne libera mai. Tutti gli “illuministi” non servono a nulla: essi distruggono soltanto una forma transitoria di manifestazione, ma non la tendenza creatrice. Quelli che si perpetuano [però] non sono racconti di avvenimenti antichi qualsiasi, ma unicamente quelli che esprimono un’idea universale dell’umanità, idea che ringiovanisce eternamente e continuamente”. L’eterna giovinezza del sistema poggia proprio sul fatto che non solo l’Uomo di ieri, culturalmente abituato a prendere per veri i racconti fantastici ed allusivi, ma anche l’Uomo di oggi e quello di domani troveranno sempre in queste produzioni allegoriche e/o simboliche spunti di riflessione, temi di paragone, esempi da imitare o da respingere. In altre parole troveranno motivazione ed incentivo, cioè l’indispensabile energia psichica per proseguire il loro viaggio sull’accidentato percorso della vita.

1 maggio 2011

- L' IMMORTALITA' DELL' ANIMA



Platone parte dalla definizione dell' uomo data da Socrate , e la porta alle estreme conseguenze , a tutti i livelli . La definizione che Socrate ha dato dell' uomo é stata rivoluzionaria : l' uomo é la sua anima ; il corpo é come lo strumento di cui essa si avvale . Prima di Socrate l' anima aveva differenti significati . In Omero é la larva inconsapevole che resta dell' uomo che va agli inferi . Negli Orfici é un dèmone , che per un' originaria colpa commessa cade in un corpo , da cui , sia attraverso le trasmigrazioni , sia mediante le purificazioni , tornerà a liberarsi . Ma essa non coincide con la razionalità dell' uomo . Nei Presocratici é stata in vario modo connessa col principio , ma in modo ancora generico . Con Socrate l' anima diventa ciò per cui l' uomo conosce e determina la sua vita morale . E da Socrate in poi é questo il senso che la parola anima ha assunto . Ma Socrate ha lasciato ancora aperto un problema : quello dell' immortalità . Dal punto di vista della credenza , egli propendeva nettamente per l' immortalità dell' anima ; ma , dal punto di vista teoretico , non aveva ancora guadagnato quei fondamenti metafisici , in base ai quali questa credenza poteva venir dimostrata razionalmente . E' appunto questo il problema che Platone si é assunto , con tutte le conseguenze che ne derivano . L' opera in cui per la prima volta questo problema viene posto in modo radicale é " Il Gorgia " . E proprio sull' impostazione che Platone dà al problema in questo dialogo bisogna concentrarsi per ben comprenderlo . Socrate il giusto é stato ucciso , e l' ingiusto sembra invece trionfare . Il virtuoso e il giusto sono in balìa dell' ingiusto e ne soffrono i soprusi . I viziosi e gli ingiusti sembrano invece felici e soddisfatti delle loro prepotenze . Il politico giusto soccombe , mentre quello senza scrupoli si impone . Dovrebbe trionfare il bene , e invece sembra che trionfi il male . Da che parte sta allora il vero ? Callicle , uno dei protagonisti del " Gorgia " , che dà voce alle tendenze estremistiche che erano maturate in quei tempi con gli epigoni dei sofisti , non esita a proclamare , con sfrontata impudenza , che la verità é dalla parte del più forte , cioè di colui che sa farsi beffa di tutto e di tutti , sa godersi ogni piacere , sa soddisfare tutte le sue passioni e sa saziare qualsiasi suo desiderio . La giustizia é una invenzione , a suo avviso , dei deboli , la virtù é una sciocchezza e la temperanza una assurdità . Chi si astiene dai piaceri e si modera é uno stolto , perchè la vita che costui vive , in realtà , é uguale alla morte . Proprio in risposta a questa concezione estrema Platone recupera le verità orfico - pitagoriche , le fonda sulle basi della sua metafisica , spingendo molto oltre Socrate , anche se sulla scia da lui tracciata . Callicle e tutti coloro di cui Callicle é simbolo dicono che la vita del virtuoso , che mortifica gli istinti , é vita senza senso , e quindi morte . Ma che cosa é la vita e che cosa la morte ? Non potrebbe aver ragione chi dice : " Chi può sapere se vivere non sia morire e morire non sia vivere ? " . E' chiaro allora che per Platone diventa risolutiva proprio la risposta a quel problema che Socrate aveva volutamente lasciato insoluto , ossia il problema dell' immortalità e delle sorti escatologiche dell' anima . Infatti , se l' anima fosse mortale e se , con la morte del corpo , anche lo spirito dell' uomo si dissolvesse , allora la dottrina di Socrate , da sola , non basterebbe a confutare quella di Callicle . Per conseguenza , la dottrina dell' immortalità emerge in primo piano e conferisce una nuova dimensione all' etica e alla politica . Vivere per il corpo , come fanno molti uomini , significa vivere per ciò che é destinato a morire ; vivere , invece , per l' anima significa vivere per ciò che é destinato ad essere sempre . L' uomo giusto che in questa vita viene ucciso , perde il corpo , ossia ciò che é mortale , ma salva l' anima , che é , invece , immortale . E' evidente dunque che le prove dell' immortalità dell' anima rivestono una grandissima importanza nel pensiero di Platone , perchè devono portare questa problematica dal piano della semplice credenza a un piano filosofico di dimostrazione razionale coerente e consistente . Platone si concentra su questo problema nel " Fedone " . Delle tre e molto complesse e articolate prove dell' immortalità , qui ricordiamo il nocciolo della seconda , particolarmente significativo . L' anima umana é capace di conoscere cose " immutabili ed eterne " . Ma la condizione necessaria e indispensabile per cui essa possa conoscere queste cose , é che essa abbia una natura loro affine , altrimenti queste rimarrebbero al di fuori delle sue capacità . Ebbene , come quelle cose sono immutabili ed eterne , così anche l' anima deve essere ontologicamente immutabile ed immortale . E' questa una prova che porta alle estreme conseguenze il principio , già ben radicato nel pensiero greco , che solo il simile conosce il proprio simile , ma riguadagnato sul piano metafisico , sulla base della scoperta del mondo intellegibile delle idee . Un' altra prova dell' immortalità dell' anima é che essa , per dirla proprio alla Platone , partecipa più di ogni altra cosa all' idea di vita e , di conseguenza , come potrebbe partecipare anche a quella di morte ? Ulteriori prove Platone le fornisce nella " Repubblica " e nel " Fedro " . Nella " Repubblica " mostra che i mali del corpo distruggono il corpo , quelli dell' anima , anche portati alle estreme conseguenze , non la distruggono ; il che significa appunto che é incorruttibile . Nel " Fedro " , infine , la prova viene concentrata intorno al concetto di automovimento . Ma la questione decisiva per risolvere in modo razionale il problema posto nel " Gorgia " , é quella strettamente connessa all' immortalità , ossia il problema della sorte dell' anima dopo la morte dell' uomo . La soluzione di questo problema Platone l' ha affidata ai grandi miti del " Gorgia " , del " Fedone " e della " Repubblica " . Il nucleo concettuale che permane identico nelle complesse variazioni e differenziazioni immaginifiche che vengono presentate in questi miti é il seguente . I buoni riceveranno un premio per le loro virtù . Quelli che vissero una vita media , e quindi commettendo colpe sanabili , sconteranno una pena che li purificherà dall' ingiustizia commessa , mediante la sofferenza , perchè dall' ingiustizia , afferma Platone " non ci si può liberare in modo diverso " . Quelli che commisero ingiustizie insanabili saranno condannati nell' Ade a soffrire i patimenti più grandi . Fra le molte affermazioni che Platone fa sulle sorti delle anime nell' al di là , ne ricordiamo due del " Gorgia " , particolarmente rilevanti . Il supremo giudizio viene fatto sull' anima spoglia del corpo e di tutto ciò che sulla terra é legato alla dimensione del corporeo . E nell' anima di colui che viene giudicato " resta tutto ben visibile quando si sia spogliata del corpo e le sue caratteristiche costituzionali e le affezioni che l' uomo le ha procurato , mediante il modo di comportarsi in ciascuna circostanza " . Inoltre , Platone afferma che Zeus costituì come giudici nell' al di là tre suoi figli . In questa affermazione fa veramente impressione l' analogia con l' affermazione evangelica " Il Padre non giudica nessuno , ma affida il giudizio al figlio " . Questa concezione dell' al di là si intreccia con la dottrina orfico-pitagorica della metempsicosi , che può portare le anime vissute in modo malvagio a reincarnarsi in corpi di animali , con cicli complessi , che nel " Fedro " vengono presentati come concludentisi , in ogni caso , con un ritorno alle origini divine dopo 10000 anni , e 3000 per i filosofi che hanno saputo vivere la loro vita per tre volte consecutive in dimensione dell' amore filosofico . Ma lasciando questo quadro dell' immaginario che Platone stesso ci ha detto di intendere non già vero nei particolari , ma solo nel " suo significato di fondo " , traiamo le conclusioni su questo punto . Il pensiero essenziale dell' etica così come nella politica di Platone sta in questo . Ciascuno deve cercare di fare ordine nel disordine delle passioni del proprio animo , così come deve cercare di portare ordine nel disordine che si trova nella società e nello Stato . Fare questo significa " portare unità nella molteplicità e mediare le varie scissioni con la giusta misura in tutti i sensi " . Questo Platone ci dice in varie maniere sia nella " Repubblica " , sia anche nelle " Leggi " . E fare questo significa operare come il Demiurgo quando ha prodotto il mondo , trasformando l' originario caos nel cosmo , legando i molti con l' uno e l' uno coi molti . La " imitazione di dio " , che Platone a più riprese indica come fine supremo dell' etica così come della politica , consiste appunto nell' agire come ha agito dio , producendo il mondo , il quale altro non é che cosmo e ordine .
Diego Fusaro