10 agosto 2009

IL SAPERE ESOTERICO - LA CAPPELLA SANSEVERO









Nel cuore di Napoli, l’antica Partenope, vi sono pezzi vitali che difendono strenuamente la tradizione. Essi sono pezzi che appalesano, tirandole fuori da un groviglio di modernità che sembra volerle cancellare, le origini della nostra storia. Sempre che qualcuno sappia leggere la lingua in cui la tradizione è scritta. Uno di questi pezzi vitali è la Cappella di Sansevero.
Ma capita che prima di arrivare alla Cappella, chi ha i mezzi per decifrare un passato senza il quale non vi sarebbe il nostro presente, si accorga di luoghi come il quartiere di Forcella, che in antichità era sede di una Scuola Pitagorica. Il nome Forcella, infatti, è sinonimo di “Y”, lettera sacra a quella Scuola. Ancora oggi lo stemma del Sedile di Forcella, uno dei Seggi (o Sedili) in cui la città di Napoli era suddivisa, ha per emblema quella “Y”.
E capita di imbattersi, nel raggiungere la Cappella di Sansevero, nella statua del Dio Nilo, che ricorda come fossero presenti in Napoli forti elementi di cultura e riti egizia. O ancora può capitare di imbattersi nella chiesa del Gesù Nuovo, con una facciata di blocchi di piperno lavorati a forma di piramide, ognuno recante incisa la firma del maestro lapicida, ricordo della presenza di corporazioni muratorie presenti nel XV secolo, antesignane della massoneria speculativa. Tutti pezzi di una storia lontana negli anni, ma recente nelle menti e nei costumi, concentrati in una via, detta Spaccanapoli perché divideva in due metà (come se la spaccasse) la Napoli antica. Spaccanapoli è la via che un tempo, nella topografia greca della città, che comprendeva come tutte le città greche tre Decumani, costituiva quello inferiore. Non è possibile non tenere conto di quanta storia emerga dal tragitto che porta alla cappella da qualunque punto lo si inizi. La Cappella di Sansevero racchiude tutta questa storia come uno scrigno che solo gli uomini liberi e giusti possono aprire. Non vi è altra chiave. Gli altri uomini possono solo apprezzare la scorza che racchiude questa storia. Una scorza fatta di statue di eccezionale fattura eseguite in ricordo dei componenti di una famiglia nobile del XVIII secolo.
Situata nel cuore della Napoli antica, la Cappella Sansevero è un gioiello del patrimonio artistico europeo ed è da considerarsi un capolavoro del Barocco Napoletano. Fondata verso la fine del '500 in seguito ad un evento miracoloso attribuito alla Madonna, ebbe la sua sistemazione definitiva nella seconda metà del '700 grazie al Principe Raimondo de Sangro, staordinaria figura di scienziato e alchimista, che per quasi 30 anni si dedicò "abilmente" all'abbellimento di questo Tempio gentilizio, arricchendolo di splendidi gruppi marmorei tra cui La Pudicizia, Il Disinganno ed il celeberrimo Cristo Velato. Al VII Principe di Sansevero si deve, quindi, il mirabile aspetto della Cappella, così come ora noi la ammiriamo, e quel suo particolare fascino frutto dell'intreccio di bellezza e mistero. L’accesso originario alla Cappella non è quello attuale dal quale si fanno accedere i visitatori, bensì quello laterale, ancora presente e al di sopra del quale vi è una lapide con una iscrizione in latino.
La traduzione dell’iscrizione è:"O viandante, chiunque tu sia, cittadino immigrato o straniero, entra e adora riverente l'immagine della Pietà Regina già da anni prodigiosa. Tempio gentilizio già sacro alla Vergine e abilmente ampliato nell'anno 1767 da Raimondo de Sangro Principe di Sansevero, stimolato dalla gloria dei suoi antenati, per conservare all'immortalità nei sepolcri le ceneri sue e dei suoi. Guarda scrupolosamente con occhi attenti e contempla, ahimé piangendo, le ossa degli eroi cariche di meriti. Quando avrai dato opportunamente culto alla Madre di Dio, un contributo all'opera e, ai defunti, ciò che è giusto, pensa seriamente anche a te. Va' pure."
E già tramite questa iscrizione Don Raimondo spiega a chi entra nella Cappella che può trovarvi varie chiavi di lettura. Egli può soffermarsi a contemplare le statue del magnifico barocco napoletano messe in opera da grandi artisti provenienti da tutta l’Italia come gli scultori Corradini, Queirolo, Sammartino, oppure offrire devozione alla Madonna della Pietà a cui è dedicata la Cappella, o ancora commemorare i defunti a cui le statue rimandano, o infine pensare seriamente a se stesso scorgendo una delle chiavi, la più semplice tra quelle presenti, a patto che si voglia impiegare un po’ di tempo per se stessi. Noi cercheremo di scovare il percorso necessario alla costruzione dell’Uomo, abilmente velato affinché solo chi volesse o avesse le capacità di farlo, potesse svelarlo.
Appena entrati nella Cappella si è subito catturati dallo stupendo Cristo Velato posto al centro della navata. Non era quella la sua ubicazione nelle intenzioni del Principe di Sansevero. Noi cercheremo di non farci distogliere nella ricerca del nostro percorso né dalla bellezza di questa opera scultorea, né dalle guide turistiche che vorrebbero farci visitare le statue nell’ordine cronologico di morte dei componenti della famiglia commemorati. Gireremo in senso antiorario, contrariamente al percorso indicato dalle guide turistiche. E rigetteremo tutte le leggende che vogliono che le statue non siano opera di grandi artisti, ma gioco alchemico di Don Raimondo.
Cominceremo il nostro cammino da una statua il cui nome è Educazione. In essa una donna è intenta ad educare un fanciullo che ha in mano il De Officiis di Cicerone, testo ritenuto dalla cultura ufficiale insostituibile strumento di comprensione del problema morale dell’utile e dell’onesto. Alla base un blocco marmoreo reca inciso: “Educatio et disciplina mores faciunt” (L’educazione e la disciplina formano i costumi). La donna che impartisce l’educazione è seduta sulla base di una colonna, quasi che lei stessa sia la colonna mancante, la colonna che sostiene l’educazione. Il fanciullo simboleggia l’uomo di buoni costumi che voglia intraprendere un percorso iniziatico che lo porti al miglioramento di se stesso. Chi meglio della donna può impartire una giusta educazione ad un uomo. E’ la donna che lo segue dalla nascita fino alla sua adolescenza.
Ma non basta essere di buoni costumi. Nella statua successiva, denominata Il Dominio di se stessi, un soldato tiene alla catena un leone, a testimonianza della superiorità della volontà e dell’intelletto sull’istinto, sull’energia selvaggia e sulla vanità delle passioni. Il dominio sulla natura come simbolo del dominio su se stessi, della libertà dall’irrazionale, della volontà di volersi elevare. Ecco l’uomo libero e di buoni costumi. Pronto a morire per resuscitare a nuova vita. Subito dopo questa statua si oltrepassa l’ingresso alla cavea sotterranea che era la destinazione originaria del Cristo Velato ora al centro della Cappella. Forse sarebbe questo il momento giusto per soffermarsi sul Cristo, perché l’uomo di buoni costumi e libero dalle passioni, entra nel gabinetto di riflessione, simbolicamente muore, ritorna nell’utero materno per rinascere a nuova vita. La prossima statua è denominata Sincerità. L’apprendista da principio al suo percorso iniziatico. Una donna regge nella mano sinistra un cuore, simbolo di amore e carità, di sincerità. Ancora oggi, nella lingua italiana, quando si vuole sottolineare la sincerità con cui si sta dicendo qualcosa si usa una frase idiomatica che recita: “Ti parlo con il cuore in mano”. Nella mano destra la donna regge un caduceo, attributo di Mercurio, simbolo di pace e ragione; due serpenti, come due opposti, si intrecciano verso l’alto in modo armonico attorno ad una verga. Nel complesso marmoreo un putto è alle prese con due colombe simboleggianti purezza e fertilità e, nel linguaggio alchemico, l’albedo della materia grezza che si trasforma in pietra filosofale. Amore, carità, pace e purezza rappresentano gli attrezzi necessari per l’uomo che nasce a nuova vita per squadrare la sua pietra grezza, per modellare la sua nuova vita. Al di sopra della statua un medaglione rappresenta un volto appena abbozzato nel marmo, che è mantenuto allo stato grezzo senza che vi si possa identificare alcun lineamento. L’apprendista ha appena cominciato il suo lavoro. La statua successiva, Il Disinganno, rende bene le difficoltà alle quali andrà incontro. La statua è dedicata al padre del Principe di Sansevero, Antonio, il quale, dopo la morte prematura della moglie, si diede ad una vita disordinata e peccaminosa. Stanco e insoddisfatto delle sue sterili peregrinazioni, egli trascorse gli ultimi anni nella quiete sacerdotale. Simbolicamente la statua rappresenta l’Uomo che si libera dal peccato e dalle sovrastrutture materiali ingannatrici rappresentate dalla rete. Un genietto alato, che aiuta l’Uomo a liberarsi dalle maglie intricate, reca sulla fronte una piccola fiamma simbolo dell’umano intelletto. Sotto i piedi un globo terrestre simboleggia le passioni ingannatrici ed una Bibbia aperta ricorda il libro sacro dei lavori massonici. Nel basamento vi è un bassorilievo che ricorda l’episodio evangelico di Cristo che ridà la luce al cieco. Perché il galantuomo libero e di buoni costumi, il cadavere che vuole risorgere, non è altri se non un cieco che chiede la luce. Ed è proprio quanto ancora oggi si recita nei rituali di iniziazione al primo grado.
Di fronte alla statua de Il Disinganno vi è la delicatissima denominata La Pudicizia. E’ dedicata alla madre, che Don Raimondo perse all’età di appena undici mesi, e raffigura una giovane donna velata con lo sguardo perso nel tempo vicino ad un tronco della vita e ad una lapide spezzata, simboli di una esistenza troppo presto troncata. La sua contrapposizione all’uomo che cerca di liberarsi dalla rete delle passioni bene rappresenta la polarità opposta femminile. La donna generatrice di vita ed in quanto tale iniziatrice. Viene in mente la Sapienza di Dante Alighieri simboleggiata da Beatrice. Una sapienza velata che l’Uomo nella sua nuova vita cerca di svelare. Nel basamento vi è il bassorilievo dell’episodio evangelico del Noli me tangere a conferma di una dolorosa impossibilità di ogni contatto prima che il percorso non sia compiuto.
La statua successiva è denominata La soavità del gioco coniugale. Una giovane donna tiene in alto due cuori con la mano destra, mentre nella sinistra stringe un giogo piumato, simboli gli uni di amore, l’altro di dolce obbedienza. Ai suoi piedi un putto alato regge tra le mani un pellicano, emblema della carità (nell’iconografia medievale il pellicano si lacera il petto per nutrire i suoi figli). Il cammino dell’Uomo che nasce a nuova vita è in uno stato più avanzato. Egli riesce a riunire in sé gli opposti, il maschile ed il femminile. E’ alla colonna “J” del passivo dopo essere stato alla “B” dell’attivo. Il Compagno d’Arte è intervenuto sulla pietra grezza ed ora il medaglione che sovrasta la statua mostra tenui lineamenti. Ma il cammino non è ancora compiuto. La successiva statua lo dimostra. E’ denominata Lo zelo della Religione.
Nella statua Lo Zelo della Religione è raffigurato un vecchio, la saggezza, che solennemente tiene nella mano sinistra una lanterna e nella destra una sferza, simboli l’una della luce della verità, l’altra della punizione dell’eresia, dell’ignoranza. Egli preme il piede su di un libro dal quale fuoriesce un serpente, simbolo della cattiva conoscenza. Ed anche il puttino ai suoi piedi sembra intento a cacciare da un libro le cattive conoscenze con la luce offerta da una fiaccola. L’Uomo nato a nuova vita è intento ad agire sul suo intelletto, preso da uno studio profondo volto a discernere con grande fatica e con l’ausilio della luce il vero dal falso. Che l’Opera sia compiuta è testimoniato dalla statua successiva: La Liberalità. La Maestria è raggiunta. Una figura femminile reca nella mano destra delle monete ed un compasso, emblemi di generosità ed equilibrio. Nella mano sinistra vi è una cornucopia riversante denari e gioielli. Non vi è più pericolo per il Maestro di contaminazione con il metallo. Egli saprà elargire ricchezza e diffondere luce grazie al suo intelletto. Saprà aprire i bracci del compasso guidato dalla sua ragione. Il compasso ha sovrapposto la squadra. Ai piedi vi è un’aquila, animale capace di volare in alto con una visione a tutto largo, e capace di fissare il sole. Il medaglione al di sopra della statua oramai effigia una immagine nitida, levigata.
Siamo giunti al Cristo Velato. Come abbiamo già detto la sua ubicazione originaria era la Cavea sotterranea. Verosimilmente, nel cammino che abbiamo fatto avremmo dovuto imboccare la via della cavea all’inizio. Ma la statua del Cristo Velato è talmente bella che è difficile non concludere il percorso con la sua contemplazione. Ma poi, non è forse vero che al raggiungimento della maestria non possiamo fare altro se non rimetterci in discussione e morire nuovamente per intraprendere il cammino di rinascita ogni giorno?
Esistono sicuramente altre chiavi di lettura della Cappella Sansevero. Altrettanto condivisibili. Una di queste vuole che ognuna delle statue rappresenti una delle funzioni presenti in un Tempio Massonico. Così per esempio, la statua della Liberalità, rappresenterebbe il secondo sorvegliante, nell’atto di pagare gli apprendisti. Molte altre statue che non abbiamo considerato nel nostro percorso devono essere, però, prese in considerazione. A cominciare dalla statua di Cecco de Sangro, raffigurante il Copritore interno. Noi abbiamo preferito raccontare il percorso più semplice, quello che ogni uomo di buoni costumi e desideroso di migliorarsi nel suo intimo può capire ed effettuare. E intimamente abbiamo preferito farlo immaginando di camminare sul pavimento originario della Cappella: il labirinto alchemico, realizzato dal Principe con materiali elaborati da lui stesso.
E come curiosità ci piace completare questo viaggio recandoci nella cavea dove avrebbe dovuto esserci il Cristo Velato. Lì oggi vi sono le macchine anatomiche di Don Raimondo. Fra le molte leggende su Raimondo de Sangro, scienziato e alchimista di grandezza straordinaria, vi è quella che vuole che egli avesse iniettato a due suoi domestici, ancora in vita, un maschio ed una donna, una sostanza che, spinta in tutto il sistema sanguigno, si fosse poi metalizzata lasciando intatto tutto il sistema circolatorio dopo la decomposizione degli organi. Falso! Noi non sappiamo come egli sia riuscito a costruire queste perfette macchine anatomiche, ma esse sono soltanto dei modelli di ricostruzione di tutto il torrente circolatorio. Il lavoro fu compiuto in collaborazione di un medico di Palermo, Giuseppe Salerno. Stupisce anche il fatto che il sistema circolatorio sia riprodotto con tanta verosimiglianza, nonostante, all’epoca, le conoscenze di anatomia non fossero così avanzate. Molti turisti si spingono a visitare la Cappella solo per la presenza di tali reperti. Meglio così. Poi scoprono anche il resto. E inoltre, non è forse stato Don Raimondo stesso nella lapide all’ingresso a lasciarci liberi di “prender” ciò che più ci è congeniale? Nella Cappella c’è così tanto da scoprire che non basterebbe forse una vita.

Fr:. Ettore Mariano Schiavone








3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho trovato questo articolo bello nei contenuti e perfetto nella prosa.
Scrivere non è una cosa che s'impara facendo, a scrivere s'impara leggendo.
Eccellente lavoro. I miei complimenti.

fabio comella ha detto...

Salve, in questo caso vengono prima i complimenti, e poi le presentazioni!
Sono una guida turistica di Napoli e la Campania e da un pò mi sto interessando di esoterismo e massoneria (come non farlo vivendo a Napoli?) Per motivi di studio e per hobby mi sono ritrovato in questo blog e articolo cui ringrazio il blogger in quanto è davvero ben scritto è mi è stato parecchio utile per una migliore comprensione del sito!

Anonimo ha detto...

Come si legge nella spiegazione esoterica fatta dall' autore, vi sono moltissime altre chiavi di lettura, tuttavia la trama è ben fatta e merita un plauso e un ringraziamento. Leggendo questo scritto si può accedere a una conoscenza Massonica di cui il Principe di S. Severo sicuramente era in possesso e che si può quasi palpare visitando questo bellissimo Monumento.
PASQUALE.