20 novembre 2010

- RAIMONDO di SANGRO:GRAN MAESTRO DELLA MASSONERIA NAPOLETANA

A bordo della sua carrozza,entra o esce dal suo palazzo nel centro di Napoli il Principe di Sansevero, «Signore di corta statura, di gran capo, di bello e gioviale aspetto, filosofo di spirito, molto dedito nelle meccaniche, di amabilissimo e dolcissimo costume, studioso e ritirato, amante la conversazione di uomini di lettere», come lo descrive l’illuminista Antonio Genovesi. Entra in scena e subito la domina: i vicoli si animano,mille occhi curiosi furtivamente scrutano dalle finestre,da dietro i carretti,dai crocchi,dalla chiesa e dall’osteria. Tutta la massa del popolo che si assiepa intorno al suo palazzo rispetta e riverisce “ sua Eccellenza ‘O Principe” ma anche lo teme. “Ssst jesce ‘o Principe”. Dai bassi e dalle botteghe sguardi indagatori seguono,senza darlo a vedere la carrozza con i valletti,nell’intento di scoprire la destinazione del Principe. E’ un personaggio strano,come il suo palazzo,e quella sua chiesetta che ha riempito di statue strane che non si capisce che hanno a che fare con la religione: Come quella donna “ che da sotto un velo di marmo trasparentissimo ti sbatte in faccia due zizze belle tonde e che lui ha chiamato La Pudicizia”,o quel “povero cristo di pescatore finito nella sua stessa rete e che si dibatte per liberarsi e che ha chiamato il Disinganno”. Il popolo rispetta e teme il Principe,ma non lo capisce. E come potrebbe? Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, è senza dubbio uno dei personaggi più affascinanti e misteriosi del Settecento napoletano. Non si può comprenderne appieno la figura,o capire l’essenza delle sue opere se non si considerano le sue origini ed il contesto storico in cui visse. Discendente da stirpe Carolingia,e dalla casata dei duchi di Borgogna,Raimondo nasce il 30 gennaio 1710 a Torremaggiore, in provincia di Foggia, da Antonio di Sangro e da Cecilia Gaetani d’Aragona, famiglie di antichissimo lignaggio, che vantavano ascendenze al medio evo, un’eredità che li poneva in una posizione di autonomia e privilegio rispetto alle varie dominazioni succedutesi a Napoli. La personalità di Raimondo fu influenzata dalle vicende dei genitori. La madre Carlotta era morta quando il Principe aveva un anno; era figlia di Aurora Sanseverino e Nicola Gaetani, intellettuali, mecenati di filosofi e di artisti come Vico e Solimena, fautori dello sviluppo di un pensiero rinnovatore che i primi del 1700 poteva apparire rivoluzionario. Ma altri personaggi nella stessa casata influenzeranno notevolmente il pensiero e le opere di Raimondo: l’abate del monastero benedettino di Montecassino, S.Berardo, S.Oderisio,il Vescovo Leone Ostiense autore dei primi libri della Cronica Casinensis. Il ramo paterno, di tradizione militare, annoverava numerosi condottieri al servizio dell’esercito spagnolo lungo tutto l’arco del vicereame. Ma è soprattutto nel periodo asburgico (1705-1734), dopo la morte di Carlo II di Spagna, che la famiglia di Sangro divenne particolarmente potente. Il nonno, Paolo di Sangro, si era guadagnato il titolo di Grande di Spagna, di prima categoria, per sé e per i suoi discendenti maschi, oltre a tutti gli incarichi ufficiali presso la corte. La figura del nonno paterno ha un ruolo fondamentale nella formazione di Raimondo, poiché è alle sue cure, cui era stato affidato da piccolissimo, che si deve lo sviluppo intellettuale del Principe e il suo amore per la ricerca. Raimondo era stato mandato a Roma a studiare presso i Gesuiti dove era entrato in contatto con una cultura orientata sia in senso umanistico che scientifico,e per entrambe le branche del sapere Raimondo aveva manifestato interesse ed inclinazione. Fu scrittore arguto e brillante, intellettuale illuminato dall'ingegno vivacissimo e dai molteplici interessi, dedito a studi e ricerche spesso discutibili. La sua conoscenza del pensiero dell’epoca, è dimostrata dalla sua biblioteca: 1600 volumi circa con opere autografe di Pierre Bayle, Denis Diderot, Montesquieu, Voltaire, Condillac, Rousseau, e tanti altri. Innumerevoli le opere a carattere tecnico-scientifico. L’unico testo di carattere cabalistico era Il Conte di Gabalis, scritto dall’abate francese Villars de Mountfauçon, che il Principe aveva nell’edizione originale francese del 1742 e che aveva tradotta in Italiano e pubblicata nel 1752. Esponente di primo piano della nobiltà del Regno,fu tuttavia aperto alla borghesia del tempo,considerando nobili “coloro che mostrano ingegno virtù ed onestà”, Gran Maestro della Massoneria napoletana dalla personalità anticonformista e poliedrica, dopo aver suscitato l'ammirazione e la curiosità dei contemporanei, ma anche forti ed irriducibili opposizioni, ha continuato ad esercitare, nel corso dei secoli, un fascino del tutto particolare, assumendo talvolta gli inquietanti tratti di uno stregone,dell'iniziato e dell'alchimista,dell’inventore,sempre,tuttavia,quelli di un personaggio quanto mai enigmatico. Sarà per tutte queste caratteristiche, per l'enfasi un po' guascona con cui presentava se stesso e ogni sua creazione, che tra gli animi più avveduti un'aura di maldicenza ne accompagna la memoria. “O principe è 'nu riavulo”, ripete ancora e sempre la voce del vicolo;con sufficienza e una punta di fastidio, la casta dei sapienti precisa: “il principe è solo un ciarlatano , credulo nelle antiche fandonie sulla magia alchimistica”. E lui rivendicava la magia quale scienza di ciò che è ancora ignoto in grembo alla Natura. Magia pervasa dal soffio del divino. In questo senso si voleva Mago. Ma la vita del Principe de Sangro è un insieme di simbologie alchemiche,magiche,massoniche ed ermetiche,in accordo con l'originaria dottrina egizia,secondo la quale, per ottenere l'illuminazione bisogna operare un cammino che prevede di tagliare simbolicamente a pezzi il proprio corpo ed aspettare che esso attraversi la sua fase di putrefazione affinché risorga a nuova vita, una vita dominata dallo spirito. E’ la trasposizione del mito della morte e resurrezione di Osiride che, posto all'interno di un sarcofago delle sue dimensioni e fatto a pezzi dal fratello Seth, verrà ricomposto da Iside per dare alla luce il figlio Horus, lo spirito splendente d'oro. E’ ormai noto che la società dei Liberi Muratori in Europa ebbe il suo primo embrione in Calabria con la scuola Pitagorica, denominata per antonomasia Scuola-Italica,ed i misteri di Iside ed Osiride, coi rispettivi rituali delle iniziazioni arcane e misteriose. Dato che si vuole che lo stesso Numa Pompilio sia stato iniziato a questa Scuola misterica,. possiamo dire che Scuola Pitagorica,Scuola Italica e Massoneria Italiana sono da sempre legate da un unico filo che parte dall’Egitto,ed in ossequio alle loro origini, i liberi muratori del Grande Oriente di Napoli si mostrarono sempre gelosi nel custodire le dottrine dell’Ordine ed,a fronte di qualunque ostacolo,ne propagandarono i principi che sono pervenuti sino a noi attraverso molti secoli, I Figli del Sebeto mostrarono sempre coraggio e virtù nell’affrontare arditamente i patiboli e col “non far di berretto o inchinarsi giammai all’odiatissimo dispotismo”. Fu per effetto di questi principi che si proclamò in Napoli il Regime Repubblicano e la Repubblica Partenopea, che costava al popolo tanti sacrifici, non così facilmente si sarebbe spenta se non fosse stata stroncata dal fanatismo religioso appoggiato il dispotismo. Nel napoletano il secolo dei lumi si caratterizza come un momento di fervente attività in ogni campo. E’ un periodo storico, che lascia una traccia profonda nella storia del Mezzogiorno d’Italia, sia sotto l’aspetto culturale che per gli avvenimenti di carattere socio-economico che ebbero a verificarsi. Può ben dirsi, per le iniziative di varia natura che vi si presero, che questo secolo contribuì notevolmente a creare una Napoli proiettata nel futuro. Come non riconoscere i grandi meriti di Carlo di Borbone,nel rinnovamento napoletano dell’epoca? Fu infatti grazie alla sua azione di governo che: -Si costituì il collegio “Nautico”, per la formazione di ufficiali della marina mercantile; -Venne fondato il Corpo dei Piloti di porto; -Furono incrementati gli scambi commerciali fra il Regno di Napoli ed i paesi dell’area mediterranea -Fu introdotto nel Regno il “gioco del lotto”, -Il 2 luglio 1738, nacque l’Ordine Cavalleresco di San Gennaro,che sostituì quello di San Carlo - nel marzo del 1737 ebbe inizio la costruzione del Teatro San Carlo, affidata all’architetto Angelo Carotale, -Su disegno dell’architetto cav. Fuga, fu costruito l’Albergo dei Poveri, aperto ai diseredati di tutto il Regno. -Ed ancora l’opera di ammodernamento della capitale, il miglioramento dell’edificio dei Regi Studi,la costruzione della Reggia di Caserta, su progetto dell’architetto Vanvitelli Anche sul piano culturale, si ebbe un’imponente ripresa di ogni attività esaltante il pensiero umano,infatti si diede in questo periodo, grande impulso agli scavi di Ercolano e di Pompei, istituendo una scuola per la decifrazione dei Papiri Ercolanensi, . L’Università degli Studi di Napoli, fondata da Federico II°, venne ravvivata da Carlo che vi raccolse i migliori intelletti del secolo, facendone il centro motore del movimento illuministico del Settecento napoletano. Anche l’Accademia di Lettere e Scienze mutò sistema di lavoro, abbandonando ogni pompa del passato, prendendo di mira l’utilità della collettività nazionale, richiedendo l’applicazione alle arti, alla medicina, alle lettere, affinché venissero chiariti i punti basilari della storia patria, in modo da contribuire al miglioramento dell’arte di governo dei popoli. Notevole fu l’apporto che questo secolo ricevette dall’azione di uomini illuminati quali: Raimondo di Sangro, Francesco Spirito Principe di Scalea, Paolo Doria Principe d’Angri, Vincenzo Cuoco, Domenico Cirillo, Pietro Colletta, il Tenucci, Gaetano Filangieri, il Marchese Vargas Macciucca, Giuseppe Aurelio De Gennaro, Pasquale Cirillo, Biagio Troie, Mario Pagano, mentre fra gli ecclesiastici ricordiamo il Genovesi, il Galliani, il Martini, Padre Carconi e l’arcivescovo Rossi. Non poteva mancare il contributo femminile a questo particolare momento storico e notevole fu quello dato da donne come: Faustina Pignatelli, Eleonora Pimentel Fonseca e tante altre ancora. Fu appunto questa notevole ripresa culturale della Napoli settecentesca che, assieme all’incrementato scambio con altri paesi, dette quello che poi venne definito: «l’Illuminismo napoletano» che anche sul piano socio-politico, doveva porre i presupposti per quella grande pagina di storia che fu la Rivolta e la gloriosa Repubblica Partenopea. Grande posizione assume in questo quadro, appena accennato,il fenomeno Massonico, per gli uomini che ne furono i propulsori ma anche per la tenace azione da essa assolta nella storia di questo secolo. Fu infatti dalla Massoneria Napoletana che si manifestarono importanti componenti ideali che troveranno poi la loro identificazione più evidente, nei paesi più liberali. Vediamo infatti la giovane Massoneria Napoletana di questo secolo muoversi con la spontaneità propria dei modelli nuovi,allo scopo di dare il suo storico contributo alla società nella quale si trova ad operare,spesso subendo persecuzioni e censure per affermare,primo tra tutti il diritto di associazione È infatti molto indicativo in proposito, leggere l’inizio del “De Collegiis et Corporibus” ove è detto: «In qualunque ben regolato governo non vi è male, che più contraddica e distrugga i principi dell’intrinseca sua costituzione, quanto la perniciosa libertà, che si arrogassero i cittadini di portare a loro capriccio di formare unioni, e stringersi in società». Un sicuro insediamento della massoneria a Napoli, a parte un precedente del 1728 (relativo ad una loggia denominata Perfetta Unione di cui tratteremo poi), può esser fatto risalire al 1745, allorquando un commerciante francese Louis Larnage fondò una nuova Loggia che divenne “giusta” nel 1749, quando vi vennero iniziati cinque ufficiali borbonici e successivamente altri dieci fratelli tra cui Francesco Zelaja ed il sacerdote Filippo Nazani Paltoni. Secondo quanto scrive Francovich, la Loggia svolgeva i lavori nel rispetto dei Rituali inglesi con i tre gradi della M. Azzurra (apprendista, compagno e maestro) Nell’anno 1750 venne eletto Maestro Venerabile lo Zelaja, il quale desideroso di rilanciare l’Ordine Massonico, avvertiva la necessità di immettere nella Famiglia uomini di alto lignaggio che avessero potuto offrire all’Ordine protezione e facilitarne l’azione di proselitismo come Gennaro Carafa,Domenico Venier,il principe di Calvarusso.In questo periodo vengono inseriti ad opera del R+C Charles Radcliff altri gradi detti Superiori o Scozzesi Nel contempo la Loggia si trasferisce al Palazzo del Marchese Rimise. In questa nuova sede vennero ricevuti diversi ufficiali e nobili di alto rango, fra i quali Gennaro Carafa Principe della Roccella. Nel luglio del 1750 viene iniziato Libero Muratore Raimondo di Sangro Principe di Sansevero, il quale l’anno successivo assume il titolo di gran maestro. In questo periodo v’erano due distinte correnti massoniche nel regno di Napoli: una formata dai ranghi più elevati della gerarchia militare insieme ai nobili legati alla corte, e che operava con gli alti Gradi,ed una seconda che accoglieva gran parte dei commercianti,inglesi e francesi, ed anche ufficiali di basso rango. La maggioranza di coloro che componevano questa seconda «ala» borghese delle logge partenopee era di religione calvinista, ed era questa ala che era guidata dallo Zelaja. A partire dal momento del riconoscimento di Raimondo come Gran Maestro di tutte le logge napoletane, il Principe si tuffa nella politica del regno, avvicinandosi al Re di cui gode la stima e collaborando alla ristrutturazione dell’esercito, anche attraverso l’invenzione di macchine da guerra, del tutto nuove per l’epoca. Convinto seguace di Bayle, Shaftesbury, Collins e Toland, da cui aveva mutuato i principi di tolleranza religiosa e di libertà di pensiero, il Principe non può fare a meno di coinvolgere nel proprio progetto i magistrati con i quali i nobili rivaleggiavano «negli affari del Regno» procurando grave disagio alla corona, al regno intero, ed offrendo all’estero motivo di discredito per il Regno di Napoli. Questo aprirsi di Raimondo alla borghesia, questo considerare «nobili» coloro i quali mostrano ingegno, virtù, ed onestà, e’ di certo dovuto all’evolversi del suo pensiero massonico. Tale attività la mantenne fino al 1751 anno in cui,Carlo III di Borbone dovette con un editto cancellare le logge napoletane e bandire la massoneria dal regno. Comunque la Napoli di quegli anni è da considerarsi un vero crogiuolo di attività esoteriche, di sodalizi iniziatici di diversa matrice,che, amalgamatisi gradatamente fra loro, originarono un complesso regime esoterico di natura sincretica, dalla prevalente e spiccata matrice italico-egizia-caldaica. E' proprio a Napoli che nacque e prosperò quel centro tradizionale che, secondo Brunelli, “di volta in volta diede manifestazioni di sé attraverso l'ispirazione di fratellanze esoteriche di particolare importanza” a noi noti come "Rito di Misraim, Alta Massoneria, Ordine della Stella Fiammeggiante”; strutture iniziatiche che, come osserva il Kremmerz, “originatesi dalle scuole magiche osiridee, propriamente di origini italiche, e passate insospettate fino alla seconda metà del secolo XVIII, (sono) ritornate poi nell'ombra della storia, tanto che ora non si sa dove stiano e se ancora esistano”. Ad ogni modo, ancora oscuri e scarsamente documentati appaiono i primi indizi dell'ermetismo di ispirazione egizia nel pensiero del secolo dei "lumi" che, nella Massoneria, troveranno i "segni" più incisivi della loro riscoperta. La fondazione di una loggia con connotazioni egizie, anche se non sicuramente documentata sembra risalire al tempo del viceregno austriaco in Napoli, ma dati più certi si hanno per la metà del XVIII secolo. La notizia è in buona parte confermata da un ms. compilato appena dopo il 1750 da un anonimo Curioso dilettante di novità. La particolarità dell'officina napoletana della Perfetta Unione che, come vedremo, assumerà la denominazione di "Primaria Loggia",era quella di far uso di un sigillo caratterizzata da una piramide sormontata dal sole raggiante, davanti alla quale vi era la sfinge, e la rappresentazione della luna crescente sul dorso. Le zampe anteriori poggiano su un ramo di acacia e su di una pietra cubica grezza. Il sigillo in argento, avorio. ed oro reca le seguenti leggende: SIG: NEAPOLIT: LATOMOR: FRATERN: PERFETTA-UNIONE...ed all'interno, nel campo superiore la frase :QUI QUASI CURSORES VITAE LAMPADA TRADUNT A.L. 1728 che si traduce in SIGILLO DELLA FRATELLANZA DEI MURATORI NAPOLETANI DELLA PERFETTA UNIONE;COLORO CHE COME CORRIDORI TRASMETTONO LA LAMPADA DELLA VITA. ANNO DELLA LUCE 1728. Il sigillo,che quindi sposterebbe al 1728 l'anno di fondazione della Perfetta Unione,presenta notevoli analogie con una medaglia commemorativa realizzata dai massoni romani nel 1742 durante la permanenza del celebre massone inglese Martin Folkes nella capitale. Infatti, praticamente simili sono i motivi della piramide (per alcuni sarebbe quella romana di Caio Cestio), del sole radiante, della sfinge della luna,del ramo di acacia, della pietra cubica. Tale medaglia era stata realizzata ispirandosi al sigillo della Perfetta Unione napoletana? Oltre ai riferimenti del Francovich, un'altra fonte confermerebbe l'esistenza di una loggia operativa detta della Perfetta Unione in Napoli nel 1728. La notizia è tratta dalle Tavole Barbaia, documento che, nel 1885, attestava la ricostruzione della Perfetta Unione all'Obbedienza del Supremo Consiglio del 33° Grado per la Giurisdizione Italiana sedente a Torino. Nella breve cronistoria che contiene, la Tavola rimanda al 1728 l'origine della Perfetta Unione napoletana.
Per concludere i riferimenti alle origini dell'officina partenopea, bisogna far menzione di una patente di legalità che, nel maggio 1728,veniva concessa dalla Loggia Madre di Londra a firma di Lord H.H. Coleraine per una non meglio specificata loggia napoletana. In ogni caso la simbologia del sigillo della Perfetta Unione non pone dubbi sul tipo di "tegolatura" usata nella più antica delle officine partenopee, poi diventata verosimilmente "Primaria Loggia" all' epoca del mandato di Raimondo di Sangro. Non conosciamo da documenti l'impronta data dal principe alla sua loggia che, in breve, per il rilevante numero dei muratori dette origine a gemmazione di altre officine. Nonostante l'esiguità del tempo di venerabile in carica,il Sansevero si adoperò per lo più ad organizzare una struttura di più ampio respiro rispetto al passato, e ad appianare i dissensi interni tra gli orientamenti conservatori di Larnage ed innovatori dello Zelaja.Il Sansevero divise i massoni napoletani in tre Logge: la Di Sangro,la Carafa e la Moncada (dai nomi dei rispettivi venerabili). La Di Sangro,forte di trecento fratelli aveva nel suo interno un nucleo di ispirazione Hiramitica,Rosicruciano,alchimistico e templare,come si evidenzia da alcuni documenti scritti dallo stesso Di Sangro al barone Tschudy. Interessante notare che questa “superloggia” operava col titolo di Rosa d’ordine Magno, forse con rituali egizi o ebraico-egizi. Dalla "Lettera Apologetica" si rileva la profonda erudizione del di Sangro relativamente agli Egizi e alle loro conoscenze delle costellazioni, del ritrovamento del Corpus di conoscenze metafisiche di Adamo e delle opere di Ermete Trismegisto. Inoltre,da profondo conoscitore della lingua ebraica,il Sansevero era in grado di consultare gli antichi testi cabalistici nella loro stesura originale,anche se per evitare gli strali della censura ecclesiastica,fu costretto ad attribuire l'origine del geroglifico, e quindi la nascita dell'intelligenza dell'umanità, ad Adamo e alla "ebraica nazione". In questo modo,usando un linguaggio ironico, sembrava accettare la generale impostazione della chiesa che la conoscenza divina passi dalla sapienza ebraica a quella dell'Egitto e che questa sia stata trasmessa da Misraim, nipote di Cham. Questa affermazione apparentemente non eretica viene ribadita dal termine Memphis-Misraim con il quale più che far precedere una tradizione all'altra si tende a far comprendere che esse si trovano entrambe ad oriente del nostro mondo. La pubblicazione, avvenuta il 28 maggio 1751,della Bolla Providas Romanorum Pontificum emanata da Papa Benedetto XIV,al secolo Prospero Lambertini, bolognese(egli stesso massone,cavaliere kadosh),per ribadire la condanna pontificia del 1738 di Papa Clemente XII,del 28 aprile 1738 In Eminenti Apostolatus Specula, indusse Carlo VII di Borbone (poi Carlo III, come re di Spagna) alla promulgazione di un editto (10 luglio1751) che proibiva la Libera Muratoria nel regno di Napoli. Avendo avuto sentore della tempesta che stava per abbattersi sulla massoneria napoletana, fin dal 26 dicembre 1750 il principe di San Severo aveva informato il re sulla esatta realtà dell’organizzazione da lui presieduta e, con altrettanta tempestività, il 1° agosto 1751 inviò al Papa un’abilissima lettera di ritrattazione. Le proteste di lealismo politico-religioso del San Severo valsero a limitare le sanzioni contro i liberi muratori napoletani, che si ridussero per la stragrande maggioranza di essi a una solenne ammonizione giudiziaria grazie anche alla commissione inquirente nominata da re Carlo, composta dal Duca di Mirando,il duca di Castropignano,dal Principe di Centola,e da padre Benedetto Latilla. Unici condannati,il Larnage,il frate francescano Bonaventura di Bisognano ed il barone Tschudy. Dopo il “tradimento” del principe e la fuga del barone Tschudy, la Primaria Loggia o della Perfetta Unione,presumibilmente, venne"assonnata". Tale gesto da alcuni fu interpretato come atto di vigliaccheria, da altri come unico atto possibile per salvare i fratelli, disciogliendo l’ordine. Il progetto del di Sangro era di far risorgere la nobiltà napoletana, spesso accusata di essere dedita solo alla vita di corte, alla caccia, e di essere legata solo ai propri privilegi feudali. Riscattarla quindi dal letargo per aprirla ai fermenti innovatori che in Europa si facevano sentire. Dopo i fatti del 1751,la repressione,la scomunica ed il tentativo a vuoto dell’Inquisizione di tradurlo a Castel Sant’Angelo, Raimondo si vede costretto a chiudere la tipografia in cui stampava i manoscritti da lui stesso tradotti, a volte sotto pseudonimo. Due gesuiti, in particolare, tallonavano da presso il Principe: Innocenzo Molinari e Francesco Pepe che riferivano ai responsabili superiori dei «servizi» vaticani circa le opere e le iniziative del Principe. Soprattutto si scagliavano, nei loro rapporti, contro le opere «pericolosamente scientifiche» che Raimondo stampava e divulgava. Costretto al silenzio, Raimondo di Sangro non trovò altra maniera di dialogare con il mondo intelligente che quello di scrivere il proprio testamento spirituale nella Cappella, da lasciare a quella parte di mondo che, animata dalla sete della conoscenza, avrebbe profuso sforzi ed energia per interpretarlo. Mancano notizie certe fino al 1768, data di una petizione da parte di Jean Rodolphe Passavant alla Grand Lodge of England per essere autorizzato a ricostituire in Napoli la loggia regolare La Perfetta Unione, portandola, successivamente, alla dignità di Gran Loggia Provinciale. Nel 1763, divenuto re di Spagna dal 1759 Carlo VII, e regnante sotto la tutela del toscano ministro Bernardo Tanucci l’ancora minore suo figliolo Ferdinando IV, il gran maestro aggiunto della G.L. Nazionale d’Olanda, Franc Van der Goes, concesse una patente provvisoria di fondazione per una loggia sotto la denominazione di Les Zelés. La patente definitiva venne rilasciata il 10 agosto 1763 e ad essa il 10 marzo 1764 fece seguito un’altra patente, che promuoveva la loggia Les Zelés al rango di Gran Loggia Provinciale per il regno di Napoli. In questo momento, nella massoneria napoletana operano personaggi importanti come Luigi D'Aquino (1739-1783), fratello del principe Francesco, legato al noto Giuseppe Balsamo. Benché occultata, la Napoli massonica era rappresentata da piccoli gruppi tenuti uniti dal fratello Francesco, per lo più interessati a vendicarsi delle delazioni e tradimenti subiti con la famosa "sorpresa di Capodimonte" del capo della polizia, Pallante per ordine del ministro Tanucci. Nel 1767 viene denunciato a corte da un massone "pentito" e da un prete, il duca di Torremaggiore, Vincenzo Di Sangro (1743-1790), figlio di don Raimondo e futuro principe che alla morte del padre erediterà il titolo principesco, il palazzo e le proprietà e, soprattutto, i numerosi debiti che un matrimonio di interesse riuscì appena ad arginare. Comunque Vincenzo,subito dopo la morte del padre, ricostituì la Perfetta Unione che non essendo riconosciuta dalla Gran Loggia d'Inghilterra, fu considerata irregolare,ma,fu quasi certamente il cavalier D'Aquino, cugino del Di Sangro, ad introdurre nel Corpus dottrinario della loggia un'operatività segreta a cui lo stesso era stato iniziato a Malta e che si riteneva fosse derivata dall'antica sapienza sacerdotale egizia e caldea. Oltre al Balsamo-Cagliostro (1743-1795) che grazie all'amicizia del D'Aquino, ebbe contatti con la loggia, impossessandosi, forse, della liturgia di un rito che gli fu utile per il suo rituale egizio, vanno ricordati, in quanto appartenenti alla Perfetta Unione, Nicola Palomba sacerdote di Avigliano (1746-1799), Carlo Castone Della Torre Di Rezzonico, Francesco Caracciolo (1752-1799). Non si possono del resto ignorare massoni intellettuali e patrioti come Gaetano Filangieri principe di Arianello (1752-1788), Mario Pagano, Domenico Cirillo e tanti altri. Ma,ritorniamo al Sansevero .Nel 1744, dopo essersi distinto nella battaglia di Velletri, è ricevuto dal Pontefice Benedetto XIV ottenendo la "licenza di poter leggere ogni genere di libri proibiti", ed inizia un periodo di intensa attività intellettuale "con occuparsi nel giorno del continuo a studi meccanici, e nella notte, ove si gode una maggior quiete, e sono più lontani i rumori, alle scienze, ed arriviamo al periodo cruciale della vita di Raimondo di Sangro, che in pochi anni viene iniziato nella Libera Muratoria (se dobbiamo ritenere rispondente a verità la sua dichiarazione di essere stato iniziato il 22 Luglio 1750) e poco dopo ne diventa il Gran Maestro, elabora con il Corradini, anch'egli Libero Muratore, il programma iconografico della Cappella e dà inizio alla sua decorazione. Abbiamo visto che la prima Loggia Massonica costituita dal Larnage, subì una scissione ad opera degli aristocratici i quali si riunivano in Palazzo Alvise e riconobbero quale loro Maestro Venerabile il Di Sangro, mentre il Larnage costituì una nuova Loggia alla quale dettero la loro adesione quei fratelli rimasti fedeli alla Ritualità inglese. Prima fatica del Maestro Venerabile Di Sangro fu quindi quella di avere intensi contatti con il Larnage ed i suoi seguaci, allo scopo di eliminare ogni malinteso fra le due Logge e far rientrare la scissione, e la sua tenace azione ebbe positivi risultati. Infatti il 24 ottobre 1750, a Posillipo, nella villa del Principe Gennaro Carafa, si pervenne all’agognata unificazione dei due rami della Massoneria Napoletana, tanto che,nella predetta riunione il Larnage riconobbe il Principe Raimondo di Sangro, nella dignità di Gran Maestro della Massoneria Napoletana. Il Sansevero, vinte scissioni e malintesi, si dedicò con impegno alla riorganizzazione della Massoneria Napoletana, determinando una sua notevole crescita numerica e dividendo quindi i fratelli napoletani in tre Logge: la “Di Sangro” con un piedilista di oltre 280 fratelli, la “Moncada” e la “Carafa”. Superata la fase di unificazione e riorganizzazione, il Sansevero si dedicò all’approfondimento dottrinario e ritualistico, sostenendo che il cammino iniziatico, iniziato nei primi tre gradi dell’Ordine, dovesse trovare il suo perfezionamento nei gradi “scozzesi”, o Alti Gradi, nei quali si trattava della leggenda di Hiram e del Tempio, di Salomone Fu merito quindi del Principe di Sansevero, la costituzione nella Massoneria napoletana della prima Loggia Scozzese, presso la “Di Sangro”, che maggiormente si prestava alle esigenze rituali dello Scozzesismo, sia per il più alto numero di componenti che per la loro formazione esoterica. La loggia del di Sangro,usava certamente una tegolatura ebraica-egizia,ed un rituale segreto,dedicato ad una selezionata cerchia di appartenenti che verrà in futuro codificata negli ultimi gradi del Rito di Misraim,noti come la Scala di Napoli o Arcana Arcanorum,cui corrisponde la conoscenza di una pratica utile a conseguire il magistero alchemico-trasmutativo.Questo livello conduceva attraverso i misteri di Iside ed Osiride alla realizzazione di un “Corpo di Gloria”,ovvero al raggiungimento della immortalità,che fu sempre l’idea dominante di tutta l’opera del Di Sangro. Più in generale,la “Perfetta Unione” recuperò e custodì un corpus dottrinario tradizionale di ispirazione ebraico-egizio con forti influenze caldee e pitagoriche, perfettamente in linea con quella tradizione Italica,che nel Meridione d’Italia ebbe la sua maggior diffusione. Ma l’azione riformatrice del Principe di Sansevero, non poteva fermarsi a questi obiettivi. Infatti,venne diffuso nel Napoletano, fra l’altro, la traduzione del “Conte di Gabalis” del Montfaucon de Villars, contenente nozioni cabalistiche e della concezione Rosacrociana, in quell’epoca molto diffusa in Germania, nonché del “Riccio Rapito”, poema esoterico di Alessandro Pope in cui si fa riferimento a Paracelso ed agli spiriti elementari dell'Adeisidaemon del Toland. Ma il rapido diffondersi della Massoneria nel Regno di Napoli, creò notevole allarme negli ambienti ecclesiastici, tanto che già nell’autunno del 1750, iniziò con violenza una feroce campagna antimassonica a Napoli, con le prediche nelle chiese e piazze del gesuita Padre Pepe e del popolare “Padre Rocco” del quale si occupa Benedetto Croce nella sua “Vita religiosa a Napoli del settecento”. Questa situazione destò i primi allarmi anche nella Curia romana che intervenne presso il Re Carlo V°, invitandolo ad intervenire. Questo stato di allarmismo, indusse nei primi mesi del 1751 il di Sangro ad avere un colloquio con Carlo V° per rassicurarlo che nel corso del lavori Massonici “non si trama né contro la monarchia, né contro la religione.” Intanto, in conseguenza delle pressioni del clero napoletano, la situazione precipitava con la emanazione da parte del Pontefice Benedetto XII°, il 28 maggio 1751, della Bolla «Provvidae Romanorum Pontificum», con la quale confermava la scomunica emanata tredici anni prima dal suo predecessore, colpendo in maniera particolare “il segreto massonico” ed il suggello che esso riceve, sotto il vincolo del giuramento. Conseguentemente alla presa di posizione del Pontefice, il clero locale accentuò le sue pressioni su Re Carlo, perché si decidesse a deliberare misure restrittive nei confronti della Massoneria. Messo alle strette, il sovrano napoletano, il 10 luglio 1751, per la prima volta nella storia del suo Regno, emanò un editto che condannava e proibiva la Massoneria nel Regno. Nel frattempo il Principe di Sansevero aveva pubblicato nella sua tipografia, un opuscolo dal titolo «Lettera apologetica del Quipu», sotto lo pseudonimo di Esercitato , nella quale, scrivendo di sé e delle sue invenzioni, consente al lettore di farsi una ben precisa idea sui suoi orientamenti culturali e su diversi aspetti della sua personalità. In esso, mentre voleva colpire con la satira la società del suo tempo, riprendeva di fatto le nozioni di scrittura – tecnico-mnemonica – predisposta con fili di vari colori annodati in modo diverso dal “Quipu”. Sostanzialmente però, la Lettera Apologetica, affronta temi cabalistici. Questo lavoro del Principe, fu l’occasione perché gli ambienti clericali napoletani potessero scagliare con maggiore veemenza, una nuova campagna antimassonica, additandolo ai napoletani quale “rinnegatore della Sacra Scrittura e del miracolo di San Gennaro”. Colpito dai rinnovati attacchi, allo scopo di evitare all’Ordine massonico conseguenze più gravi, il Gran Maestro si fece ricevere dal Sovrano napoletano allo scopo di rinunciare pubblicamente alla dignità di Gran Maestro e chiedere di essere ricevuto, attraverso il Nunzio Apostolico, dal Pontefice, per chiarire i motivi della sua adesione alla Massoneria ed il vero significato della sua opera sul “Quipu”. Appare evidente che, con questo gesto, il Principe intendeva placare la bufera che si era scatenata nell’opinione pubblica partenopea contro la Massoneria,e d’altro canto, il chiarimento al Papa, non doveva essere considerato la ritrattazione delle sue convinzioni esoteriche,ma una ben congegnata mossa politica. Nel frattempo furono messe in circolazione, nella città di Napoli, le prime copie dell’opera “Il Conte di Gabalis” ,e purtroppo questa operazione aggravò maggiormente la campagna antimassonica scatenata nel Regno di Carlo di Borbone, annullando l’azione che il Principe di Sansevero, con la sua rinuncia alla Gran Maestranza, aveva tentato di determinare. Di fronte alla campagna antimassonica che si andava scatenando, Raimondo di Sangro, il 3 agosto 1751, dopo essersi confessato presso il sacerdote G.B. Alasia, inviò al Pontefice Benedetto XIV° una lettera con la quale, nel precisare tempi e luoghi della sua Iniziazione Massonica, precisava nel contempo che le Logge Massoniche non svolgevano alcuna azione eversiva contro la Chiesa e contro l’ordine costituito. "Compie in questo corrente mese di Luglio appunto un anno, Santissimo Padre, da che un ragguardevolissimo Cavaliere della Corte del mio Re Carlo Borbone ( col quale avea gran dimestichezza, secretamente parlandomi m'invitò ad entrare nel ruolo di coloro, chè volgarmente Liberi Muratori son detti". Il Principe racconta quindi che, dopo essere stato interrogato dal "Presidente o sia dal Maestro, siccome essi dicono, dell'Ordine", venne ammesso all'iniziazione: "e avendoci il Presidente e tutti gli altri Confratelli acconsentito, son tra loro ricevuto a' 22. di Luglio del prossimo passato anno", ovvero del 1750. Il Principe riferisce di essersi trovato "in mezzo ad onestissima Gente" e che, avendo partecipato a numerose riunioni, non si era imbattuto "in alcuna cosa viziosa, se non in molte piuttosto ridicole ed insulse, cioè in certi enigmi, sotto i quali ciascuna bagattella alla società appartenente si nasconde": e continua quindi affermando che per tale motivo si era piuttosto disgustato; tuttavia, aveva deciso di "perseverarci per qualche tempo" soprattutto perchè gli sembrava "laudabile" che uomini di diverso ceto. "posta da banda la nobiltà della nascita e la gravità degl'impieghi, doveano fra loro familiarmente conversare, e promettersi uno scambievole soccorso in caso di caderne in bisogno" e pensando inoltre che "si potesse apportare un grandissimo benefizio alla Patria coll'unire insieme gli animi de'più Potenti Cittadini e quelli de'Giureconsulti"."Trenta giorni appena dopo la mia ricezione - continua il Principe - per comune consentimento di tutti fui eletto Presidente, o per meglio dire Gran Maestro dell'Ordine nel Regno Napoletano". Per quanto riguarda la vicenda massonica del Principe, ritengo che essa si sia svolta diversamente da quanto risulta dalle dichiarazioni che egli stesso fu costretto a fare. Non è credibile che il Principe fu iniziato appena pochi mesi prima di essere eletto Gran Maestro, ma che la sua appartenenza alla Libera Muratoria debba risalire a circa un decennio prima. Secondo quanto afferma il Curioso Dilettante. La Massoneria fu introdotta nel Regno di Napoli nel 1731 dai militari austriaci, ma già nel 1728 la Gran Loggia d'Inghilterra aveva rilasciato un mandato per fondare una Loggia a Napoli. Da un manoscritto del 1804 redatto da Emanuele Palermo, apprendiamo che dopo il 1734 la Massoneria continuò ad essere presente a Napoli solo con Logge composte da forestieri, finchè, intorno al 1745, un "Piemontese ed un Francese (il Larnage), ambi di domicilio in Napoli, il primo di mestiere acquavitaro, e'l secondo negoziante di drappi e seta" non "pensarono di erigere una Loggia separata e farsene essi i Capi e Direttori, non tanto per aver l'onore di esserne chiamati i Fondatori della Loggia di Napoli, ma quanto per averne il profitto". Va però detto che verso il 1740 circolava in città una traduzione manoscritta del discorso del 21 marzo 1737 di Michel-André de Ramsay, discorso che viene considerato il punto di partenza per l'istituzione della Massoneria Scozzese, e ci sono diverse ragioni per pensare che intorno al 1740 già esistesse a Napoli una Loggia "aristocratica" orientata verso la filosofia degli Alti Gradi. di cui avrebbero fatto parte diversi esponenti dell'aristocrazia, e, forse, lo stesso Principe di Sansevero: a questa Loggia si sarebbe aggiunta, dopo il 1745, la Loggia di ispirazione "inglese" e "borghese" del Lamage. In questa fase della storia della Libera Muratoria napoletana, si inserisce la vicenda del Principe di Sansevero, il quale fornisce la versione ufficiale sulla sua esperienza massonica nella lettera scritta a Benedetto XIV e datata il I agosto 1751, Il Principe di Sansevero. infatti, su proposta dallo Zelaja, venne "di comune consenso acclamato e riconosciuto per Gran Maestro dell'Ordine", riconoscimento che gli fu confermato il 24 ottobre 1750 anche dalla Loggia del Larnage: pertanto. sotto il Gran Maestrato del Principe di Sansevero, le Logge napoletane andarono a costituire una Gran Loggia Nazionale. Sorge, a questo punto, una legittima perplessità: come è possibile che il Principe di Sansevero, per quanto prestigiosa fosse la sua figura, potesse essere eletto Gran Maestro dell'Ordine appena un mese dopo la sua ricezione? Una così rapida carriera massonica appare molto improbabile, mentre sembra ben più verosimile l'ipotesi che il Principe di Sansevero fosse stato iniziato già diverso tempo prima, e che nel 1750 abbia invece voluto imprimere una svolta decisiva alla Massoneria napoletana, riorganizzando le Logge, rafforzandola e rendendola autonoma con la costituzione della Gran Loggia Nazionale. L'idea che il Principe di Sansevero facesse parte della Libera Muratoria da prima del 1750, è stata già avanzata da più parti, e secondo Gamberini il Principe sarebbe stato iniziato nella Loggia del duca di Villeroy fra il 1736 e il 173725. Henri Theodor Tschudy riporta il testo di un'Orazione che il Principe avrebbe pronunciata nel 1745, in occasione dell'ingresso di alcuni Apprendisti nella sua Loggia. Il tono dell'orazione è tale che a tenerla non può essere stato che il Maestro Venerabile,o l’oratore della Loggia: pertanto, il Principe di Sansevero nel 1745 non solo sarebbe già stato inserito nell'Ordine, ma vi avrebbe occupato un posto di primo piano. Inoltre, in un documento massonico dell'epoca, un volumetto recante il titolo Le Costituzioni della Società dei Liberi Muratori, viene riportata la "Canzonetta Recitata in Napoli nel dì 21. Gennaio 1750. assistendo il F.. Tolvach Inglese al travaglio della Loggia della Concordia, una delle Logge del F.. Raimondo di Sangro, Principe di S.Severo, Primo Gran Maestro in Italia": apprendiamo in tal modo il titolo distintivo di una delle Logge del Principe di Sansevero, ma soprattutto troviamo la conferma che il Principe era già a capo della Massoneria napoletana il 21 gennaio 1750, cioè sei mesi prima della data del 22 luglio 1750, in cui egli stesso afferma di essere stato iniziato. In mancanza di documenti più precisi ed attendibili, la vera data dell'iniziazione massonica del Principe di Sansevero resta ancora avvolta nel mistero. Ritengo tuttavia che un'indicazione in merito sia stata fornita, in forma velata, dallo stesso Principe nella Lettera Apologetica, quando parla del suo Progetto d'una Multiplice Difesa Interna, affermando che "questo ammirabile trattato è la cosa, che con più gelosa cura custodisce l'Autore: sembra infatti di poter scorgere, nella Molteplice Difesa Interna, non solo un modello di fortificazione militare, ma anche un'allusione allo schema della Triplice Cinta simbolo dell'insegnamento iniziatico coi suoi tre gradi visti come barriere da superare per penetrare nel punto centrale, cuore del mistero e fonte dell'insegnamento. Non sembra eccessivamente azzardato ipotizzare che la data del 1741, attribuita a tale Progetto, possa essere la vera data dell'iniziazione massonica del Principe, il che sembrerebbe trovare conferma in un altro passo che precede il brano in questione, ed in cui il Principe cita un'altra sua opera sulla “vera cagione produttrice della luce". Vedere o ricevere la Luce è ciò che il neofita chiede all'atto della sua iniziazione, e non possiamo non ricordare, in proposito, la frase con cui lo stesso Principe aveva salutato alcuni Apprendisti in occasione del loro ingresso nella sua Loggia: "è giusto, infine, che vi renda partecipi della Luce che avete cercato con tanta cura." Dopo la sua rinuncia all’appartenenza all’Ordine Massonico,deluso ed amareggiato,il Principe si concentra sui lavori della sua Cappella e sulle sue amate ricerche: "abbandonando ogni altro intrapreso suo studio nello stesso anno 1751, pensò di darsi del tuffo allo studio della Fisica sperimentale come la più profittevole per l'umana società, con animo di tentar nuove sperienze, e illustrar con nuove scoverte una si famosa, e necessaria Scienza". Intraprende quindi delle nuove sperienze fisiche e fa costruire in un sotterraneo del suo palazzo una fornace, sul tipo di quelle adoperate dai vetrai "ma di una particolare costruttura", aggiungendovi diversi altri forni "a fuoco di riverbero"; poi, in un altro locale, fece installare un "Laboratorio Chimico con ogni sorta di fornelli, di Vasellami, o di ordigni per qualunque operazione". Realizza dei cristalli e delle pietre dure artificiali e riprende a fare degli esperimenti,già precedentemente tentati, sulla rigenerazione della vita dei granchi e sulla formazione del sangue dal cibo, facendo "altre belle scoperte... alcune delle quali sembrano fuori dell'ordine della Natura". Fra queste va ricordato soprattutto il cosiddetto Lume Eterno, ampiamente descritto nelle Lettere indirizzate al Cavaliere fiorentino Giovanni Giraldi ed all'Abate Nollet dell'Accademia Reale delle Scienze di Parigi. Il tema della Luce che si sprigiona dai corpi viene ulteriormente trattato nella”Dissertazione sopra una lucerna ritrovata ultimamente in Monaco”, e creduta una delle perpetue degli antichi. Se questi comportamenti del Principe di Sansevero riuscirono a placare, sia pure momentaneamente, la bufera che si era addensata sul suo capo e sulla massoneria napoletana, da parte del clero, iniziava nel contempo quelli dei Liberi Muratori, i quali videro nelle prese di posizione del loro ex Gran Maestro un tradimento all’Ordine ed al Segreto Massonico. Ritengo che, esaminando attentamente il comportamento del di Sangro alla luce delle persecuzioni che in quel periodo si condussero contro la Massoneria, non si può non apprezzare il suo saggio e prudente comportamento che evitò ai Massoni partenopei ( o perlomeno ad una ristretta cerchia di essi ),ulteriori danni e fastidi. Lo stesso comportamento di Re Carlo di Borbone fu prudente e non certamente severo. Peraltro, ripercorrendo gli eventi che si verificarono in così breve tempo, contro l’Ordine Massonico ed il suo Gran Maestro, non può non riconoscersi l’inevitabilità che il di Sangro, il quale si era trovato al centro della bufera, lasciasse la carica di Gran Maestro. Le dichiarazioni rese e le lettere inviate al Sovrano ed al Pontefice, non furono certo una rinuncia alle idee che aveva fatte sue, con piena convinzione, da uomo di cultura. Esse vennero rilasciate, per motivi contingenti, e certamente non senza rammarico. Raimondo di Sangro, in un momento particolare, della Massoneria e del regno di Napoli, convinto di aver evitato il peggio ai Liberi Muratori napoletani, con il suo comportamento, preferì ritirarsi silenziosamente, senza rinunciare alle sue idee, per dedicarsi agli studi preferiti ed alle sue ricerche . Ma dopo esserci soffermati ad esaminare il periodo storico nel quale visse ed operò, quella che fu la sua azione quale Libero Muratore e Gran Maestro della Massoneria napoletana, prima ancora di portare la nostra meditazione sulla simbologia del Tempio che egli lasciò alla posterità, soffermiamoci sia pur brevemente a considerare l’uomo e la sua azione scientifico-culturale sotto l’aspetto esoterico, nonché dei particolari studi da lui condotti e degli Ordini esoterici dei quali certamente fece parte. Alla luce di questo particolare aspetto del Raimondo di Sangro “Iniziato”, potremo di sicuro meglio comprendere i suoi comportamenti, la sua azione scientifica e culturale e la simbologia che ci ha lasciato, quale ultimo insegnamento, nel suo Tempio. Raimondo di Sangro, fu uno spirito eletto, di quelli che appaiono periodicamente, nella storia dell’umanità. Alla vita mondana, piena di piaceri e dissolutezza che il suo rango e la sua situazione economica gli offrivano, preferì la solitudine dello studio, della meditazione e della ricerca tuffandosi, con amore immenso, al servizio dell’umanità, nel cuore infinito della Sapienza, alla ricerca della Verità. Trascorre le sue giornate assorto nello studio, preso dalla meditazione, ricercando, sperimentando, fra storte e lambicchi. Fu particolarmente versato nello studio della scienza in genere, della chimica e dell’alchimia. Fra le sue tante scoperte, molte delle quali di particolare interesse esoterico, vi è la «lampada perpetua» riportata in molte opere Rosacrociane, questa dopo essere rimasta ininterrottamente accesa per un periodo di tre mesi, per un fatto puramente accidentale, si spense ed il Di Sangro volle distruggerne ogni traccia. Si salvarono solo le descrizioni che ne fece nelle lettere da lui scritte ad alcuni membri dell’Accademia delle Scienze di Parigi. Così come abbiamo prima ricordato, che Raimondo di Sangro fu il primo a costituire nella Massoneria napoletana Logge di Rito Scozzese, non può sottacersi che egli rinverdì il Rito di Misraim, riallacciandosi al centro occulto legato all’Egitto che è sempre esistito nel napoletano. Infatti, scrive Francesco Brunelli nella sua opera sul Rito di Memphis e Misraim: «Secondo Usekaf a Napoli è esistita per secoli una catena iniziatica risalente all’antico Egitto ed i gruppi esoterici che nell’andar del tempo si sono succeduti all’Eggregoro superindividuale di una corporazione di Egizi esistente a Napoli, sin dall’età imperiale e forse molto prima, nella zona attualmente denominata Via Nilo e Piazzetta Nilo. Essendosi gli Egizi assimilati nei secoli agli altri napoletani, sarebbe rimasto l’eggregore del culto egizio, adattato a Fratellanza Magico-Ermetica». È comunque evidente che le concezioni esoteriche mediterranee, che ebbero a manifestarsi attraverso la linea ermetico-egizia e quella pitagorico-cabalistica trovarono nei movimenti Rosacrociani e Massonici napoletani le loro migliori manifestazioni ed il Di Sangro secondo il Francovich “era probabilmente collegato con un gruppo di Rosa+Croce che pur dovevano esistere in Napoli”. Non si può peraltro ignorare che la tipografia del nostro Principe, secondo il Soriga, pubblicò alcuni opuscoli massonici, dei quali uno molto importante, in quanto riportava la prima elaborazione del Rito di Misraim. È proprio con il Principe di Sansevero che dobbiamo rilevare: 1° - il distaccarsi della Massoneria dall’Ortodossia Cattolica ed il suo aprirsi a ricerche esoteriche; 2° - la costituzione, fra gli uomini che gravitavano intorno al Di Sangro, di un nuovo Rito, identificato dal Soriga in quello di Misraim; 3° - l’azione educatrice evidenziatasi mediante la formazione di discepoli, fra i quali il barone Tschudy, creatore della stella fiammeggiante e di un sistema massonico impostato sullo studio dell’ermetismo e dell’alchimia, meglio noto, come Ordine dei Filosofi Incogniti. Da quanto abbiamo fin qui ricordato appare evidente, sia dalla sua azione che dagli scritti suoi o ritenuti suoi, nonché dalle opere pubblicate dalla sua tipografia, la sua grande cultura ermetico-cabalistica nonché la sua formazione Rosacrociana. Peraltro, anche nella Cappella gentilizia della sua famiglia poi divenuta «Cappella di Sansevero», esistono espliciti riferimenti cabalistici, nella disposizione delle statue simboliche, nonché precisi riferimenti ai Rosa+Croce, in varie statue, anche se con maggiore evidenza in quella della “Pudicizia” e nell’altare maggiore della Cappella, attraverso le due teste, una maschile e l’altra femminile, disposte al di sopra del bassorilievo della “Deposizione”. È fuori di ogni dubbio che Raimondo di Sangro, da vero Rosa+Croce, con la sua mente aperta ad ogni tipo di studio, cercò di leggere il Grande Libro della Natura per comprenderne il profondo significato. Le sue scoperte scientifiche e militari vollero essere un modo per avere il dominio dell’Universo. Egli da perfetto adepto dell’Ordine dei Rosa+Croce, volle penetrare i livelli profondi dell’esperienza religiosa, sollevando i sette veli del Sancta-Sanctorum della Divina Sapienza, afferrandone il segreto significato. E da quell’Iniziato che fu, seppe conservare il Segreto, pur riuscendo in attuazione alla concezione Rosacrociana a trasformare questa sua presa di coscienza della Verità, in servizio a favore dell’umanità, nell’immensa profonda simbologia che lasciò ai posteri, nella sua Cappella. Raimondo di Sangro che aveva cominciato il suo percorso iniziatico sollevando il velo nel misterioso Rito egizio di Misraim, era un alchimista che attraverso lo studio della cabala e dell’ermetismo, si era avvicinato all’Ordine Rosacrociano, divenendone un adepto, come dimostrano i suoi studi, le sue scoperte, la stessa simbologia che volle dare ai gruppi simbolici della Cappella di Sansevero. Fu uno di quelle guide dell’umanità che solo periodicamente compaiono su questa terra, per essere di esempio, con l’azione e con il servizio che all’umanità stessa rendono. Raimondo di Sangro, che pur essendo vissuto nell’Era dei Pesci, era nato sotto il segno astrologico dell’Acquario, seppe essere, con l’azione di tutta la sua vita operosa, uno spirito puro proiettato nell’Era Nuova, ad indicare ai suoi simili, come facendo fiorire la rosa sulla sua Croce, dovrà essere l’Uomo dalla mente concreta dell’Era dell’Acquario. Il Principe voleva a tutti i costi essere padrone di quella sottile linea di confine che passa tra la vita e la morte,ossia la soluzione della immortalità terrena. Si racconta, che uccise sette cardinali e che con le loro ossa realizzò sette seggiole, ricoprendone il fondo con la loro pelle. Si narra che,quando sentì avvicinarsi la morte, provvide ad organizzare la sua resurrezione. L’ambizioso progetto era quello di creare un luogo magico,dove chi avesse la conoscenza dell'Arte Regia (l'Alchimia) e delle regole della Massoneria, avrebbe poi decifrato il messaggio nascosto dal Principe nelle sue opere. Un messaggio tra il sacro e profano, tra mitologia e teologia, tra il naturale ed il sovrannaturale, il tutto coronato dalla sua ossessione verso il simbolismo e verso quella sapienza che deriva dagli antichi Egizi. Non più scrivendolo nei libri ma criptandolo nelle opere raccolte nella sua,la cappella costruita su un luogo dove anticamente vi era un tempio dedicato alla dea Iside. Un messaggio non ancora svelato ma, come le sue opere, semplicemente "velato" da un simbolismo allegorico. Quel "velo" sotto il quale s'intravede la vera realtà dell'esistenza umana. Solo l'occhio attento di colui che ha intrapreso il cammino dell'iniziato riuscirà a carpirne il vero significato. Un significato che non ha più nulla di arcano se la conoscenza ha donato le chiavi. In tal modo si spiega anche l'uccisione dei sette cardinali e sette è il numero dell'Illuminazione e corrisponde alle sette chiese dell'Apocalisse o ai "Sette Saggi" dei libri della fondazione egizia, iscritti sulle pareti del tempio di Horus a Edfu. Si tratta, della forza del serpente che si snoda lungo la colonna vertebrale dell'uomo e che, attivando tutti i sette centri energetici, dona illuminazione e vita eterna. Un simbolismo che si ritrova nel caduceo del dio Mercurio, presente all'interno della cappella nelle mani della statua della "Sincerità".Il simbolismo che impiegò il de Sangro, probabilmente volontariamente "mitizzato" dai suoi "discepoli", è riscontrabile proprio sull’altare della cappella, dove è visibile un volto dorato di chiara ispirazione sindonica. Gli alchimisti, eredi di una tradizione antica, consideravano la Sindone quale"veste del corpo di gloria" del risorto, cioè il raggiungimento della Pietra Filosofale. Questo spiega anche perché il Principe volle nella sua cappella la statua di un Cristo "velato" dalla Sindone in quanto essa era simbolo di quell’immortalità dalla quale era tanto ossessionato. Il principe se ne andava in un giorno di primavera. Il 22 marzo 1771, Sessantun anni appena compiuti. Un uomo relativamente ancora giovane. Che da tempo, però, avvertiva dolori, soffriva. Aspettava, da un giorno all'altro, che la sua compagna di sempre, la morte, lo chiamasse a sé per l'ultima e definitiva volta, E serenamente era spirato, in pace con se stesso e con la Chiesa come attesta l'atto di morte: "A' 22 Marzo 1771. L'eccellentissimo Signor don Raimondo de' Sangro, marito della eccellentissima signora donna Carlotta Caietani d'Aragona, Principe di Sansevero, abitante nel proprio palazzo, ricevuti i Santissimi Sacramenti, morì in Comunione di Santa Chiesa, a di detto, e fu seppellito nella propria Cappella pubblica; era dell’età 62 anni circa" . Destino curioso. Morto lui, si perde ogni traccia delle sue mirabolanti invenzioni. Ne resta una descrizione non sempre chiara, negli scritti di suo pugno o da lui ispirati, nulla più. Volatili, pura intenzione, restano una serie di opere spesso annunciate mai tradotte nero su bianco; I funerali furono solenni, fastosi, come si addiceva a un nobile del suo rango. Tra velluti, ori, argenti, la pompa, e anche questo era da mettere in conto, prese il sopravvento sulla tristezza, che solo si poteva leggere nei tratti tirati di Carlotta Gaetani e nello sguardo compunto di qualche amico. La primavera aveva fatto il suo ingresso proprio il giorno precedente. Le cronache raccontano che, quel 22 marzo, il sole splendeva alto sul golfo di Napoli.
E.S. 2006

14 novembre 2010

- Paracelso


Basta pronunziare questo nome per evocare un'atmosfera particolarmente suggestiva, carica di reminiscenze arcane, misteriose e, forse, vagamente inquietanti. Paracelso (1493-1541) fu medico, astrologo, teologo, mistico e mago: la sua figura originale e gigantesca domina il nostro immaginario a cinque secoli di distanza, con una forza non minore di quella con cui dominò su quello dei suoi contemporanei. Ma perché questa forza, perché questa capacità di suggestione?
La risposta è che egli incarna un momento cruciale nella storia del pensiero occidentale e, in particolare, del pensiero medico-scientifico. Paracelso, uomo del Rinascimento nel miglior senso dell'espressione, è l'ultimo insigne rappresentante di quella concezione magico-alchemico-astrologica che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che percorre, come un filo rosso, tutta la storia del pensiero scientifico occidentale pre-moderno. La sua opera venne ammirata, ma non ripresa dagli uomini del XVI secolo; e, qualche decennio dopo, con Francesco Bacone, Galilei e Cartesio, la scienza moderna imboccherà una strada completamente diversa. La chimica, intesa come scienza puramente materialistica, si separerà dall'alchimia (che propugnava la trasmutazione dello spirito insieme a quella dei corpi); l'astronomia, ridotta a geometria meccanicistica, si staccherà dall'astrologia (che studiava i movimenti degli astri per meglio comprendere i loro influssi sul mondo sub-lunare). La medicina diverrà una tecnica di guarigione strettamente riduzionistica, tale da ridurre il corpo di vita dell'essere umano a un corpo inerte e alienato, pura sommatoria di organi: un corpo che (come afferma il filosofo Umberto Galimberti, per altro senza lagnarsene e anzi plaudendo al supposto "progresso") deve essere esaminato dal medico con lo stesso impassibile criterio di oggettività con cui un biochimico potrebbe studiare al microscopio un pezzo di legno. La teologia è stata relegata tra i dubbi saperi di un passato pre-scientifico; il misticismo viene guardato con sospetto e una punta di compatimento, oppure "spiegato" - e, possibilmente, - "curato", dai moderni stregoni della mente, psicologi e psichiatri. Infine la magia è stata demonizzata e scacciata nel regno tenebroso delle arti maledette o, nel migliore dei casi, nel museo archeologico ove lo scientismo e il positivismo trionfanti hanno relegato, in apposite vetrine di cristallo con tanto di cartellino esplicativo, i saperi in disarmo di un'epoca trascorsa per sempre, quando gli uomini erano vittime d'incredibili superstizioni né sapevano sbarazzarsi del mito, quest'ingombrante retaggio di un altro modo di attingere la conoscenza della natura, di un altro orizzonte gnoseologico.
Abbiamo detto che la concezione scientifica di Paracelso è stata una vera e propria summa del paradigma rinascimentale. In essa spicca l'orgogliosa fiducia dell'uomo-microcosmo che osa alzare gli occhi al cielo e prendere in mano il proprio destino di creatura immortale, riassunta nel celebre aforisma: "Non sia d'altri chi può essere suo". Eppure, tale fiducia nella libera, gioiosa avventura dell'uomo nel mondo è sempre accompagnata, in Paracelso, in una profonda consapevolezza dei limiti della natura mortale e dalla certezza - che è frutto ad un tempo dello studio dei classici e dell'intuizione mistica - che "esiste qualche cosa al di là della logica, come hanno dimostrato gli antichi, e che mediante lo splendore delle stelle irradia sull'uomo il riflesso della Luce divina, senza la quale noi non siamo altro che ciechi viandanti di un mondo destrutturato e svuotato di significato e di speranza.
L'uomo, dunque, è un micro-cosmo: punto di congiunzione fra l'umano e il divino, fra materia peritura e spirito eterno, fra realtà naturale e soprannaturale. Certo, gli astri influenzano il suo destino; ma la luce degli astri è peritura, mentre la Luce divina è imperitura; e l'essere umano è illuminato da entrambe le fonti, come lo è ogni altra cosa dell'Universo: creatura anfibia, egli trova la sua dignità nella compresenza e nell'armonia fra le sue due nature, le sue due vocazioni: quella verso l'aldiqua e quella verso l'aldilà. Troppo spesso, tuttavia, egli dimentica il suo destino e si allontana dal divino progetto di cui è espressione, trascurando tanto lo studio delle cose divine che di quelle naturali, tanto la fede quanto il sapere: e si fa bruto tra i bruti, creatura pesante della Terra che striscia nell'ombra, lungi dalla Verità.
Non si deve chiedere a Dio, d'altra parte, di intervenire continuamente nel mondo delle Sue creature: egli ha creato la Natura perfetta, e l'uomo può trovare in essa la propria perfezione, adeguandosi a quella di lei. La Natura non commette errori, la machina mundi è perfetta in quanto realizzata all'interno di un Progetto divino il cui scopo è il Bene, e di cui l'uomo è parte essenziale. Il senso del destino umano, pertanto, sta nel riconoscere tale progetto e nell'accordarvisi, collaborando con esso secondo gli insegnamenti della Natura: in ciò risiedono la sua grandezza e la sua dignità. Non una creatura corporea senza residui, il cui pensiero e i cui sentimenti non sarebbero altro che secrezioni del corpo (non diversamente da come lo sono il sudore e i rifiuti organici, concezione cara alla scienza e alla filosofia materialista, da Democrito al già citato Galimberti); ma una creatura che aspira all'eterno, fatta a immagine e somiglianza del suo Creatore.
Se Dio è autore del mondo naturale, Egli è anche il primo medico della Natura e, più precisamente, è l'autore della salute. La salute è necessaria al corpo perché il corpo è la casa dell'anima, e Dio non vuole che le malattie del corpo possano offuscare lo splendore e l'ardore di conoscenza che è proprio dell'anima. La medicina seconda, pertanto (quella propria agli umani) è investita pertanto di un duplice compito: curare il corpo insieme all'anima, poiché il primo non potrà mai godere della salute se non mettendosi in armonia con lo spirito immortale che lo abita e del quale è il tempio, ossia l'anima. La medicina, pertanto, deve rivolgersi contemporaneamente ad entrambi i princìpi vitali, quello mortale (il corpo) e quello immortale (l'anima); più esattamente, deve rimetterli in armonia là dove un momentaneo squilibrio ne ha incrinato la giusta relazione reciproca. Religione, si ricordi, deriva da religare, cioè legare, riunire di nuovo assieme: riunire ciò che originariamente era un tutt'uno, ritrovare l'unitarietà del proprio essere.
Da tutto ciò consegue, necessariamente, che la malattia si verifica sia quando il corpo si allontana dall'anima (ignorandone o misconoscendone il destino immortale), sia quando l'anima si allontana dal corpo, immergendosi nel flusso delle cose effimere e trascurando lo studio del suo ultimo destino. Non conoscere la destinazione ultima dell'essere umano, ecco la sorgente di molte malattie: e ciò non senza ragione. Se la salute consiste nel ristabilire l'equilibrio e l'armonia fra anima e corpo, ammalarsi vuol dire disprezzare la vera conoscenza di sé stessi e il giusto rapporto fra le parti dell'essere umano: dove il principio materiale è posto al servizio di quello spirituale e non viceversa; ma dove il principio spirituale deve esplicare e realizzare la propria vocazione alla conoscenza e non appagarsi di una illusoria autosufficienza, di una hybris o dismisura che lo allontanerebbe dal Creatore, cioè dalla sua giusta collocazione nel mondo.
Ecco perché il medico deve essere anche astrologo, teologo, mistico, mago e alchimista; deve conoscere le proprietà naturali e quelle soprannaturali; deve saper vedere nel corpo del malato non una somma di organi puramente materiali, ma una scintilla di quel principio divino che si realizza in una felice sintesi di materia e spirito, di tempo ed eternità. A differenza della moderna scienza medica, meccanicistica e riduzionistica, la concezione di Paracelso è organicistica ed olistica: essa si confronta con un corpo di vita e non con un corpo artificiale ed alienato; con un corpo che è abitacolo dell'anima e, quindi, sensibile ai suoi bisogni e alle sue aspirazioni, che non sono di questo mondo.
Esattamente come la tanto disprezzata (dai moderni scienziati) medicina sciamanica, la medicina di Paracelso non limita il suo compito alla cura degli organi ammalati, ma al ristabilimento dell'equilibrio perduto fra anima e corpo: equilibrio, si direbbe, che la società moderna ha perduto a causa di uno stravolgimento della sua concezione dell'uomo e del mondo. Infatti, in un mondo desacralizzato e privato di senso, il corpo alienato dal suo principio superiore non può che vivere in uno stato di cronica malattia. Se le stelle che brillano in cielo non sono altro che fornaci nucleari in lento collasso; se minerali, piante e animali non sono che vile res extensa, materia bruta cui solo si attinge per sfruttarne il potenziale economico, accumulando senza posa prodotti di scarto; se nessuno spirito, benevolo o malefico, popola più il nostro mondo, essendo fuggito da luoghi e sostanze che altro per noi non sono se non risorse da saccheggiare e rifiuti da espellere a ritmo sempre più vorticoso: allora non ci resta che strisciare come vermi su una Terra desolata, divorandoci l'un l'altro come lupi feroci e attendendo che il nulla eterno ci liberi dal peso torturante delle nostre catene.
Paracelso è l'erede di un robusto realismo del pensiero medioevale, per cui le idee non sono astrazioni, ma entità, e la dimensione di ciò che è possibile tende a coincidere con ciò che effettivamente esiste. Fauni e nereidi, ad esempio, esistono realmente: non sono invenzioni della fantasia popolare, sono piuttosto creature che popolano piani di realtà contigui al nostro e, tuttavia, da esso distinti. Egli ha intuito che, se l'umanità ha creduto per migliaia d'anni in determinati enti, essi finiscono per acquistare vita propria, perché il pensiero non è semplicemente analitico e calcolante, ma è anche un'attività creatrice, che evoca forze potenti a noi pressoché sconosciute. Allo stesso modo è convinto che sia possibile fabbricare un essere umano artificiale, l'homunculus, in cui la tradizione cabbalistica del golem e la costruzione dell'uomo meccanico di Alberto Magno sembrano coincidere nel prototipo di una creatura che il mago può dirigere alla realizzazione dei suoi fini, così come ai suoi fini è in odi evocare spiriti dell'aldilà e di imporre loro la sua volontà e la sua lucida intelligenza.
All'interno di questo orizzonte di senso, all'interno di questo cosmo vivo in cui traluce tanto la dimensione soprannaturale del Progetto divino, quanto la libera attività modellatrice del soggetto umano, novello Adamo posto dinnanzi a un mondo perfetto, incantato e aurorale, si colloca il rapporto di Paracelso con la gemmoterapia, il ramo della fitoterapia che impiega gemmoderivati, e - più in generale - con l'erboristeria, che studia le essenze vegetali sotto il profilo officinale. Poiché fu forse il primo medico a utilizzare i minerali a scopo terapeutico (per esempio, il mercurio contro la sifilide), si è voluto vedere in lui il padre della medicina chimica; ma è un grossolano errore di prospettiva. Infatti, come abbiamo visto, per lui le cure fisiche rivolte al corpo mediante sostanze naturali non erano che una metà della scienza medica: checché se ne dica, egli non liberò la chimica dalle superfetazioni dell'alchimia bensì, al contrario, propugnò una scienza medica che fosse contemporaneamente chimica ed alchemica. No, signori scienziati moderni: Paracelso non è stato il vostro precursore; egli avrebbe avuto orrore della vostra concezione dell'uomo e della medicina, e avrebbe deriso il vostro sapere arrogante e riduzionistico.
Ma che cosa sono i gemmoderivati? Si tratta di preparati in glicerina (alcool ottenuto dalla saponificazione dei grassi, usato come emolliente e diluente) di gemme o di altri tessuti vegetali in via di sviluppo. Il concetto della gemmoterapia è abbastanza intuitivo: così come la gemma è l'abbozzo di un germoglio da cui si svilupperà il fusto della pianta, così la gemma preparata mediante la glicerina agisce sull'organismo umano malato quale principio attivo e dinamico, immettendovi quella spinta alla crescita e al perfezionamento che, in natura, produce incessantemente il rinnovamento del manto vegetale. La medicina, dunque, deve imitare i processi della natura, facendo propria quell'energia vitale che ovunque circola e si rinnova, perpetuando il miracolo quotidiano della vita in tutte le sue forme, dalle più umili alle più elevate. Tutto il contrario della moderna medicina chimica, di sintesi, che immette nell'organismo sostanze morte e cadaveriche (tipico esempio, il cortisone: un ormone della corteccia surrenale), che l'organismo stesso non è in grado di assorbire o di smaltire e che lo intossicano, depositandovisi come un corpo estraneo. Ecco dunque spiegata anche la predilezione di Paracelso, tra le sostanze officinali non vegetali, per il mercurio: l'unico metallo liquido a temperatura ambiente, i cui vapori sono velenosissimi ma che può sciogliere l'oro e l'argento e che, sotto forma di sali, può essere utilizzato in medicina per la sua azione diuretica, purgativa, antisettica e antiemetica. In quanto metallo liquido, il mercurio (un po' come l'acqua) possiede qualche cosa di vivo, di mobile, di organico e, somministrato in determinate congiunzioni astrali - come, del resto, ogni altro farmaco - rivitalizza l'organismo con la sua azione purificatrice e rigenerante.
Il bello è che la medicina di Paracelso funzionava, come è documentato dalle numerose guarigioni da lui operate e che gli attirarono (più che i suoi stessi princìpi "eretici" e più del suo stesso carattere collerico e intransigente, sprezzante verso la libresca medicina di una malcompresa tradizione) le gelosie e gli odii implacabili dei suoi meno fortunati colleghi. Da tali persecuzioni ebbe origine, in buona misura, il suo irrequieto girovagare di città in città, di regione in regione (astrazion fatta per gli improbabili viaggi di studio in Africa e in Asia che gli attribuì la fantasia dei contemporanei), attraverso un' Europa che, dilaniata dalle guerre di religione e proiettata vertiginosamente alla scoperta di nuovi mondi, andava cercando a tentoni una nuova identità. È oggi un luogo comune del paradigma neo-positivista sostenere che la scienza moderna (cioè cartesiana e galileiana) si è affermata, rispetto ad altri saperi tradizionali, in virtù della sua efficacia; e si portano ad esempio, come tipica dimostrazione di tale affermazione, i "progressi" e i "successi" della medicina di sintesi, della chirurgia, della biogenetica. Ebbene la medicina di Paracelso, che da tutt'altri presupposti concettuali muoveva, funzionava più di quella dei suoi invidiosi colleghi, ossia gli arroganti precursori della moderna scienza medica. L'ottimismo evolutivo, ovvero la concezione secondo la quale la modernità è un bene in sé stessa (e le forme culturali pre-moderne, un male in sé stesse), e il sapere procede per successiva accumulazione: ecco il grande peccato di orgoglio della cultura moderna. Esso riproduce, semplificandolo rozzamente, lo schema soteriologico delle religioni rivelate: prima c'era il Male, ossia la non-conoscenza; poi, con la rivoluzione scientifica, è arrivata la Rivelazione, aprendo la strada alla salvezza; infine è sorta una chiesa (la comunità tecno-scientifica) preposta a tale salvezza, con pieni poteri di salvare o di dannare, di santificare o di scomunicare.
Come ricorda anche Jeremy Rifkin nel suo libro Entropia, le grandi malattie epidemiche non sono state debellate dalla moderna scienza medica, bensì dalle migliorate condizioni igienico-sanitarie; al contrario, nell'ultimo secolo vi è stata una crescita esponenziale delle malattie iatrogene, ossia quelle provocate dalla medicina stessa (e non è escluso che l'influenza "spagnola" del primo dopoguerra, che mieté 20 milioni di vite umane, e la stessa A.I.D.S., siano appunto il prodotto di colture batteriologiche sviluppate a fini militari). Forse è davvero tempo che ritorniamo sui nostri passi e che ci riportiamo al grande bivio fra XVI e XVII secolo, quando la medicina occidentale ha abbandonato la strada della medicina olistica di Paracelso, per seguire gli effimeri successi di quella riduzionistica moderna. Forse è il caso che riconosciamo, con umile franchezza, che non sempre andare avanti nel tempo e nel regno della quantità corrisponde ad un avanzamento del sapere reale; perché, come ammoniva Pasolini, è possibile abbandonarsi a uno sviluppo senza progresso, le cui conseguenze devastanti sono oggi sotto gli occhi di chiunque abbia conservato la facoltà di vedere e non solo di guardare. Ma, per tornare sulla strada giusta - quella di Paracelso - dobbiamo modificare radicalmente la nostra mappa concettuale dell'uomo e del suo posto nel mondo. Non più un corpo senz'anima che striscia su una Terra indifferente, in un Universo privo di senso; ma una creatura spirituale, animata dalla coscienza del suo profondo, ineliminabile legame con tutti gli altri enti - quelli visibili e quelli invisibili - e dalla fierezza di poter collaborare a un destino di libertà e di amore cosmico.
Francesco Lamendola

6 novembre 2010

- Esoterismo


L'educazione iniziatica non è l'unica ad infondere più attenzione ai meno esperti, piuttosto che ai più anziani, che magari sono rimasti fermi al palo delle consuetudini mondane. Vuoi perché è difficile ch'essi accettino di buon grado di correggere le idee preconcette di cui si sono "nutriti", scaturite da una cultura di riporto, cioè, priva di esperienza diretta. Vuoi perché ogni situazione pregiudizievole si crea per scelta e non per caso.
Certo che spiegare cos'è l'esoterismo è una prova stuzzicante, comincerei col dire che l'esoterismo è un metodo d'indagine e non una filosofia.
Un metodo prezioso se utilizzato da ricercatori capaci, per "spogliare" l'oggetto di studio dai rivestimenti esteriori, fino a raggiungere il suo significato profondo.
Sto parlando dell'anima del significato e non del significato apparente della parola, del concetto, del simbolo, o di una qualsivoglia identità s'intenda scoprire.
L'indagine esoterica parte dai "rivestimenti" esteriori, che penetra, fino a raggiungere il nucleo centrale dell'idea, ch'è la sua anima. Il metodo di ricerca è simile allo sbucciare una cipolla che, velo dopo velo, si "spoglia" dei suoi rivestimenti esterni, fino a rendere visibile la parte essenziale del nucleo interiore e, per analogia, il centro del sistema.
Un esempio di come si "spoglia" un simbolo fino a "toccarne" l'anima, ovvero, il significato radicale che ne è causa e fondamento, è il lavoro: "I Misteri dei Costruttori" dove, capitolo dopo capitolo, vengono riportati alla luce i significati invisibili delle Cattedrali (l'Albero Sephirotico e l'Uomo cosmico crocifisso nei 4 elementi della materia). Scoprendo, poi, che i "segni" tracciati sulle Cattedrali sono gli stessi che danno forma agli spazi interni dei Templi massonici. Prima di parlare di esoterismo, però, bisognerebbe capire come si attua la ricerca esoterica, che rimuovendo velo dopo velo, "svela" il senso nascosto di ciò che si vuole conoscere. Il nocciolo della questione sta nelle parole approfondire e collegare, che sono i pilastri dell'esoterismo, e spiegano un metodo che approfondisce i fatti e le circostanze attraverso l'analogia e le corrispondenze. La parola esoterismo deriva dal termine greco esoterikòs che significa interiore e, quindi, guardare dentro. Anche la lingua latina ha un termine corrispondente: intelligere (conoscere il principio delle cose ), da cui intelligentia (facoltà nobilissima dell'anima), che non è affatto l'imparare a memoria (nozionismo), ma la capacità di capire il senso interiore (occulto) di quanto viene percepito, visto, toccato e udito. L'indagine esoterica non si rivolge solo a concetti astratti o simboli, ma si applica anche al soggetto più raffinato della ricerca: a quello straordinario simbolo vivente ch'è l'essere umano. Iniziare una ricerca profonda su un simbolo vivente (L'Uomo archetipo), significa trovare una risposta che dovrà risultare corretta anche sotto il profilo scientifico, quantomeno, finché non si sarà oltrepassato il confine del metafisico. Questo perché l'esoterismo non è frutto di antiche favole e nemmeno di fumose stramberie medievali, ma uno strumento d'indagine radicato nella scienza iniziatica.
V.I.T.R.I.O.L. - Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem. Visita l'Interno della (tua) Terra e Rettificando (correggendoti) Troverai la Pietra Occulta (l'anima)
Conoscere la parte più segreta (intima) di una persona significa giungere nell'aura (Luce) della sua anima. La rappresentazione esoterica di questo viaggio interiore è un Labirinto.
Il Labirinto che con i suoi molti aspetti rappresenta il destino ed i sentieri sono le vite dell'impegno individuale o viaggio. Tutti i sentieri o vie convergono al centro ma, come nella vita, molti sentieri (esperienze decise) sono senza sbocco e non portano a nulla. Altri, invece, s'intersecano con altri sentieri o vie e permettono al "viaggiatore" d'avanzare.
I sentieri o vie rappresentano le possibilità di scelta. E nello scegliere, ognuno potrà riversare le proprie esperienze, il proprio buon senso, oppure, al contrario, tutta la propria dissennatezza: libero di tentare, di avanzare, di fermarsi o di fallire. Guardando ad Oriente, direi che quella del Labirinto è una rappresentazione mirabile del principio del Karma. Il simbolo che meglio illustra la differenza tra "libera scelta", empirica e casuale, ed il Libero Arbitrio. Il Libero Arbitrio, detto con parole semplici, è frutto dell'illuminazione interiore (Iniziazione) che si produce al contatto tra l'anima e la personalità. Perciò, sulla parte piana del pavimento (la vita fisica) non esiste possibilità di Libero Arbitrio, ch'è generato da uno stato di coscienza (consapevolezza) d'ordine superiore, raggiunto (espansione di coscienza) dopo essersi sollevati sulla via verticale, che rappresenta l'ascesa al piano della coscienza spirituale, sede dell'anima. Il principio di luce-ombra (il bianco e il nero) divide, ma nello stesso tempo congiunge, il piano materiale a quello spirituale; è dato dal "raffronto" tra il nucleo spirituale (l'anima), che nei piani esterni e più densi è visibile come Luce, e la personalità fisica, la mente concreta, che ne è l'ombra. Di qui, l'adagio che suggerisce alla mente fisica, l'ombra, di favorire la modestia intellettuale, perché ogni suo pensiero è ancora privo della luce dell'anima (illuminazione). Anche questa, come ogni altra simbologia, vela l'approccio ad un metodo di crescita interiore che non esito a definire razionale e scientifico. Molti sono gli ingressi orizzontali del Labirinto, ma l'uscita è una sola ed è in senso verticale. Dunque, se ne può uscire solo "volando", cioè, sollevandosi dal pavimento della vita materiale. E questo può avvenire solo sublimando se stessi, i pensieri dell'io personale, la personalità. La metafora del librarsi in alto, dell'ascesa in cielo, delle ali e del volo, ricordata anche nel Caduceo Ermetico, nasconde il diagramma per completare il viaggio iniziatico, giungere alla "liberazione" dai vincoli terreni (come le passioni, ad es.) e compiere l'iniziazione reale. Riassumendo: il Labirinto simboleggia la parte piana del dilemma iniziatico (la coscienza concreta), che sottoforma di spirale, si evolve verso l'alto (il cielo interiore). Ed anche l'ascesa (la spirale) è raffigurata in un simbolo, quello di una Montagna interiore che va ascesa. E si può decidere di farlo in diversi modi. Uno è la via larga, più confortevole, sicura ma lenta. L'altro è la via stretta, impervia, rischiosa ma rapida. Questa metafora si riferisce al viaggio interiore, che ogni postulante fa alla ricerca dell'iniziazione. Ma resta ancora da definire cos'è l'iniziazione e qual è il suo scopo. Che non è quello di gonfiare d'orgoglio l'io personale (la mente concreta), come avviene nelle strutture exoteriche, che rappresentano l'iniziazione sottoforma simbolica e, dunque, solo apparente. Qui corre l'obbligo di un distinguo. Perché l'Iniziazione reale non è un semplice riconoscimento tra pari, ma il risultato della trasmutazione (metamorfosi) nella coscienza fisica e della mente concreta dell'iniziato, nella comunione o ri-unione con la propria controparte, per così dire, sottile.
La parte che la scienza moderna chiama superconscio. Il viaggio attraverso il Labirinto (l'esistenza fisica) e la ri-salita verso i piani alti (interiori e sottili) della Montagna interiore (il destino), è la metafora del percorso che la coscienza fisica (l'io personale) fa, per raggiungere la controparte di se stessa ad una voluta superiore (l'Ego sup.). La percezione di se stessi "entra" nel corpo fisico attraverso i sensi, e deve giungere a dominare coerentemente la parte impulsiva, fisica ed emotiva. Il suo viaggio continua attraverso lo sviluppo dei diversi piani della mente fisica, costruendo così, quel ponte coscienziale che l'unisce a quella parte di coscienza superiore (sottile) chiamata anima.
Viene insegnato che il viaggio interiore è guidato da un Fr. maggiore. Un Fr. esperto, che conosce il percorso per averlo percorso con successo più volte. La guida è l'istruttore che conduce l'allievo nel suo viaggio iniziatico. Lo "prende per mano" sulla soglia del piano fisico, e lo conduce a ritroso, in se stesso. Salendo di piano in piano (impulsi, emozioni, sentimenti, fino alla formulazione di idee astratte) alla presenza dell'Ego, a cui lo affida, perché il suo compito finisce lì. A quel punto, però, il viaggio può continuare, ma non più come istruttore ed allievo, ma assieme, come Compagni di Viaggio, perché la meta da raggiungere è la stessa.
Riccardo Chissotti

30 ottobre 2010

- Opus Minimum - Volume 2010 -


I titoli e gli autori

Equinozio di Primavera
Raimondo de Sangro Principe di San Severo
Primo Gran Maestro della Massoneria Italiana, 1
Sigfrido E. M. Hobel R\L\ Arcadia 1161, Napoli

La Cappella San Severo.
Letture, pensieri, riflessioni. 39
Elviro Langella Redattore di Opus minimum

L’adolescenza del Principe nel Collegium romanum.
Per immaginarne e, forse, capirne le esperienze e la formazione. 77
Elviro Langella Redattore di Opus minimum

Solstizio d’Estate
L’ETERNO FEMMININO 119
Bent Parodi di Belsito R\L\ Giustizia e Libertà 895 Palermo

IL PRINCIPE DI SANSEVERO
E IL MOVIMENTO ROSACROCIANO 135
Sigfrido E.F. Höbel R\ L\ Arcadia 1161 Napoli

I sognI 145
Anna Manfredi Associazione GREN Napoli

Per una cartografia
dell’ immaginario 151
Antonio D’Alonzo R\L\ Stella del Mattino 1031 Firenze

L’uguaglianza, Una necessità 169
Aniello Scala R. L. Ferruccio 186 Pistoia

Circa Renè Guénon 175
Luigi Sessa R\ L\ Giustizia e Libertà 767 Roma

Equinozio d’Autunno
L'AMORE
LE RADICI OCCULTE DELLA VITA 179
Bent Parodi di Belsito R\L\ Giustizia e Libertà 895 Palermo

Cronaca dall’orrore 185
Pier Luigi Boggetto

La cena delle Ceneri
di giordano bruno 195
Piero Battaglini R\L\Losanna 205 Napoli

discorso sull’ anima 211
Francesco Federico Bianchi R\L\ I Figli di Garibaldi 203 Napoli

Caracciolo
Cronaca di una INFAMIA 215
Anna Manfredi Gruppo GREN Napoli

Francesco Mario Pagano
Progetto di una costituzione 223
Ciro Manzi Associazione Liceo Garibaldi, Napoli

Solstizio d’Inverno
L'AMICIZIA E' AMORE 237
Bent Parodi di Belsito R\L\ Giustizia e Libertà 895, Palermo

Raimondo de sangro
ED HENRY TSCHOUDY 247
Paolo Galiano

L’eterno femminino, Pandora 255
Studio semestrale della R\L\“Quatuor Coronati-Emulation” 931, Firenze

A napoli, sconfitto l’illuminismo 263
Mario Colella Associazione Liceo Garibaldi, Napoli

Il PENSIERO DIVERGENTE 269
Antony De Gioia

LETTERA AD UN INIZIATO 275
Claudio Spinelli R\L\ Guerrazzi 665, Follonica

LA MAGIA DELL’INCERTEZZA 281
Giovanni Lazzaro R\ L\ Nazario Sauro 527, Trieste

FENG SHUI 287
Matteo Sergio Bracco R\L\ Costantino Nigra 868, Ivrea
-------------------------------------------------------------------------------------------
Chi è interessato a ricevere la rivista Opus Minimum può contattare:

- Opus Minimum - Dicembre -



L'AMICIZIA E' AMORE 1
Bent Parodi di Belsito R\L\ Giustizia e Libertà 895, Palermo

Raimondo de sangro
ED HENRY TSCHOUDY 11
Paolo Galiano

L’eterno femminino, Pandora 18
Studio semestrale R\L\“Quatuor Coronati-Emulation” 931, Firenze

A napoli, sconfitto l’illuminismo 25
Mario Colella Associazione Liceo Garibaldi, Napoli

Il PENSIERO DIVERGENTE 31
Antony De Gioia

LETTERA AD UN INIZIATO 37
Claudio Spinelli R\L\ Guerrazzi 665, Follonica

LA MAGIA DELL’INCERTEZZA 43
Giovanni Lazzaro R\ L\ Nazario Sauro 527, Trieste

FENG SHUI 49
Matteo Sergio Bracco R\L\ Costantino Nigra 868, Ivrea
---------------------------------------------------------------------------------
Chi è interessato a ricevere la rivista Opus Minimum può contattare:

26 ottobre 2010

- Un filosofo femmina


Scrisse ben 13 volumi di commento all’aritmetica di Diofanto, 8 volumi sulle Coniche di Apollonio con relativa spiegazione delle orbite dei pianeti, un trattato su Euclide e su Tolomeo, un Corpus Astronomico che raccoglieva tavole sui corpi celesti, alcuni testi di meccanica e tecnologia, realizzò importanti strumenti scientifici come l’astrolabio piatto, il planisfero, uno strumento per misurare il livello dell’acqua detto idroscopio, un apparato per distillarla e un idrometro di ottone per determinare la densità di un liquido... ma di tutta la sua immensa opera scientifica non rimane nulla. Parliamo di Ipazia di Alessandria, matematica, astronoma e filosofa vissuta tra il IV e V secolo (circa 370-415) in un Egitto ancora imbevuto di cultura ellenistica. Figlia di Teone, scienziato e filosofo che aveva deciso di fare di lei “un perfetto essere umano”, studiò a Roma e ad Atene dove fecero impressione al tempo stesso la sua cultura e la sua bellezza. Probabilmente successe al padre come direttore della scuola di filosofia, ruolo che ad Alessandria era di massimo rilievo anche pubblico. Ebbe seguaci, ammiratori, allievi; ma insegnava anche per strada, gratuitamente, a chiunque si mostrasse interessato, illustrando a chi glielo chiedeva le idee del pensatore prescelto. Sua caratteristica fu dunque la liberalità con cui tramandava in pubblico il suo sapere, in quanto, pur praticando anche un insegnamento esoterico, non teneva la conoscenza per sé, ma generosamente la dispensava anche agli altri. La sua popolarità fu perciò grandissima ad Alessandria, una delle città culturalmente più forti di un impero romano ormai agli sgoccioli, nell’alveo dell’ultimo paganesimo. Dal punto di vista filosofico Ipazia, seguendo suo padre Teone che teorizzava l’utilizzo delle scienze matematiche a fini metafisici, aveva abbracciato il neoplatonismo e tendeva a una conciliazione delle dottrine platoniche e aristoteliche. Socrate Scolastico parla di lei come la terza caposcuola del platonismo dopo Platone e Plotino. Di lei dice un epigrammista contemporaneo: “Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole, vedendo la casa astrale della Vergine. Infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto, Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura”. Verso il cielo è rivolto ogni tuo atto, afferma il poeta, sottolineando al tempo stesso l’ampiezza della conoscenza astronomica e la tensione spirituale della filosofia neoplatonica che faceva delle scienze matematiche e celesti una base per l’elevazione spirituale. Ma Ipazia era apprezzata anche in ambiente cristiano, o meglio da quei cristiani che riconoscevano - e rispettavano - l’aspirazione metafisica degli avversari. Il suo allievo Sinesio, poi convertitosi al cristianesimo e diventato vescovo di Cirene così le scrisse, in preda alla malattia: “Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’altri mai onorato. E se c’è qualcuno, venuto dopo (di me come tuo allievo) che ti sia caro, io debbo essergli grato poiché ti è caro, e ti prego di salutare anche lui da parte mia come amico carissimo. Se tu provi qualche interesse per le mie cose, bene; in caso contrario, non importano neanche a me”. Eppure questa donna bellissima e intelligente, generosa e mistica, vera ‘vergine pagana’ che si proclamava ‘sposa della verità’, fu vittima di uno dei più infami e celebri linciaggi pubblici, vero e bestiale sacrificio umano compiuto da un branco di straccioni. A raccontarlo sono ancora le fonti storiche di poco posteriori. Alcuni cristiani fanatici attesero Ipazia al suo ritorno a casa, la aggredirono, la trascinarono in una chiesa dove, dopo averla denudata, la uccisero trafiggendola con dei cocci affilati, dopodiché bruciarono i brandelli del suo cadavere in un letamaio. L’intolleranza religiosa verso una pagana d’élite si spinse a un atto estremo che non fu legalmente perseguito. Sia Socrate Scolastico che Damascio, narratori dei fatti pochi decenni dopo, accusano pesantemente dell’episodio il patriarca Cirillo. Damascio anzi afferma: “Una volta accadde che Cirillo passando davanti alla casa di Ipazia, vedesse che vi era una gran ressa di fronte alle porte, confusione di
uomini e di cavalli, gente che si avvicinava, che si allontanava, che ancora si accalcava. Avendo chiesto cosa fosse quella moltitudine e di chi la casa presso la quale c’era quella confusione, si sentì rispondere da quelli del suo seguito che in quel momento veniva salutata la filosofa Ipazia e che era la sua casa. Saputo ciò, egli si rose a tal punto nell’anima che tramò la sua uccisione in modo che avvenisse al più presto, uccisione tra tutte la più empia”. La causa dell’orrendo episodio sarebbe stata dunque, secondo il narratore, l’invidia (phthonos) da parte di un capo spirituale nei confronti di un avversario dotato di maggiore autorità essendo al tempo stesso amato dal popolo e rispettato dai governanti. Al di là delle spiegazioni semplicistiche bisogna tuttavia osservare che l’ambiente alessandrino era in quegli anni estremamente teso. La città dei 144.000 martiri (secondo fonti cristiane) aveva applicato alla lettera il decreto teodosiano del 392 che vietava i culti pagani. L’anno prima il patriarca Teofilo aveva aizzato i cristiani affinché distruggessero il Serapeo, episodio che portò all’incendio della vicina biblioteca, monumento di secoli di cultura. Tra i cristiani divampava inoltre un’acerrima lotta tra ortodossi e monofisiti i quali ammettevano in Cristo la sola natura divina. Lo stesso Cirillo aveva abbracciato e teorizzato il monofisismo che pochi anni dopo la sua morte verrà condannato nel 451 dal concilio di Calcedonia. I disordini erano quindi all’ordine del giorno e l’intolleranza aggressiva l’atteggiamento più diffuso. Torme di monaci vagabondi, laceri e ignoranti, provenienti dal deserto si erano inoltre riversati in città compiendo atti di vandalismo soprattutto ai danni della classe colta e ricca. In questo clima politico, tra le rovine della biblioteca e dei templi, Ipazia continuava imperterrita a elargire il suo pubblico insegnamento per strada, attirandosi al tempo stesso stima e odio, rispetto e disprezzo. Tra le fonti, ecco la versione di un denigratore, Giovanni Nikiou, che afferma: “In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici”. Ma perché morì Ipazia e, soprattutto, perché in quel modo atroce? Al di là delle interpretazioni vagamente nietschiane (l’invidia) e di quelle neopagane (i cristiani intolleranti) o post-femministe (persecuzione di maschi oscurantisti e bigotti), persiste oltre il tempo il fascino dell’adamantina coerenza di Ipazia, fedele alla sua raffinata cultura, alla sua religione metafisica, alla scienza non fine a se stessa ma base per la vera conoscenza, all’eredità del padre-maestro; insomma, in una parola, alla tradizione. In un clima di intolleranza belluina, Ipazia - aggravando il tutto con l’essere anche donna, bella, casta, sapiente e pagana - rappresentò soprattutto quello che era comunque il nemico supremo di quei tempi (solo di quelli?): la ragione. Il cervello, la memoria, la luna... non potevano essere perdonati.
La memoria del mondo
Nel III sec. a.C. Tolomeo I Sotèr realizzò la Biblioteca di Alessandria, istituzione culturale la cui fama fu seconda solo all’Accademia di Platone o al Liceo di Aristotele. Furono costruite imponenti strutture - la Biblioteca, il Museo, un osservatorio astronomico, uno zoo, un orto botanico - per ospitare i più illustri pensatori del Mediterraneo, mettendo a loro disposizione oltre mille scribi viaggiatori che giravano il mondo allora conosciuto allo scopo di raccogliere le opere e trascriverle su rotoli di papiro. A questo scopo Tolomeo concepì una lettera ‘a tutti i sovrani e governanti della terra nella quale chiedeva che ‘non esitassero a inviargli le opere di poeti e prosatori, retori e sofisti, medici e indovini, storici, e tutti gli altri ancora’. ‘Da ciascun popolo informa un trattatista bizantino furono reclutati dotti, i quali, oltre che padroneggiare la propria lingua, conoscessero a meraviglia il greco: a ciascun gruppo furono affidati i relativi testi, e così di tutto fu allestita una traduzione in greco”. La traduzione dei testi iranici attribuiti a Zoroastro - oltre a due milioni di versi – fu ricordata ancora secoli dopo come un'impresa memorabile. Il disegno perseguito dai Tolomei e messo in pratica dai loro bibliotecari non era dunque soltanto la raccolta dei libri di tutto il mondo ma anche la traduzione in greco. La Biblioteca poteva così vantare oltre settecentomila volumi, tutti catalogati. Tra le opere più famose quelle di Aristotele, Platone, Sofocle, Eschilo, Teocrito, Ipazia, Clemente e Origene. La fine della Biblioteca è tuttora avvolta nel mistero. Un primo incendio avvenne all’epoca di Cesare nel 47 a.C, nel corso di tumulti popolari. Ma la prestigiosa istituzione si riprese. Danni ulteriori furono inferti da Zenobia di Palmyra nel corso delle sue campagne militari (270) e da Diocleziano nel 295. La seconda, e ben più devastante, distruzione si svolse nel 391 su ordine del patriarca cristiano Teofilo che capeggiò una folla di fanatici contro quello che era ritenuto il fulcro del sapere pagano. Ridotta ai minimi termini la Biblioteca sopravvisse stentatamente, fino alla completa e totale distruzione nel 646 da parte del generale omayyade Amr Ibn el-as. Nell’apprendere dell’avvenuto scempio pare che il califfo Omar I, principe dei credenti, abbia commentato: ‘Se i libri non riportano quanto scritto nel Corano allora vanno distrutti poiché non dicono il vero. Se i libri riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti ugualmente perché sono inutili’.

Michela Torcellan

20 ottobre 2010

- Relazione tra Giordano Bruno e la Massoneria.


Non deve sembrare arbitrario ed azzardato l’accostamento di Giordano Bruno alla Massoneria o, più correttamente, della Massoneria a Giordano Bruno, dal momento che la Massoneria è sicuramente debitrice a Bruno per quanto concerne alcuni contenuti iniziatici e la metodologia della ricerca interiore.
I Giordanisti
Bruno, senza dubbio, è l’espressione più alta di quel Rinascimento caldo – come scrive Matteo D’Amico nel Giordano Bruno - che dopo di lui si smarrisce e lentamente si dilegua, scomparendo nelle tenebre della storia, perciò in Bruno per l’ultima volta con tanta forza e coerenza si leva una visione qualitativa della vita, della natura, del Cosmo stesso, che proprio per questo diventano i luoghi ove è possibile un dionisiaco abbandono al Tutto in cui ogni cosa aspira a risolversi.
D’altro canto, la sua attività a sfondo iniziatico e politico lo porta alla fondazione di una setta d’iniziati, chiamati Giordanisti, che si radica in Germania e poi anche in Inghilterra, e che forse è una delle radici del movimento seicentesco dei Rosacroce. Del resto, non si può escludere che la Massoneria derivi proprio da questi circoli di Giordanisti, almeno per quanto riguarda, come abbiamo già detto, i contenuti.
Contro ogni autoritarismo
Occorre, inoltre, rammentare – come osserva la profonda studiosa inglese Frances A. Yates in Giordano Bruno e la tradizione ermetica – che Bruno venne alla ribalta verso la fine del XVI secolo, di quel secolo che vide terribili manifestazioni d’intolleranza religiosa e nel quale si cercò nell’ermetismo religioso un rifugio di tolleranza, una via – come continua la studiosa inglese – che portasse all’unione delle varie sette in lotta tra di loro. Nel sottofondo spirituale dell’epoca si muoveva, quindi, una contestazione contro tutte le imposizioni, le schiavitù della ragione, gli osanna delle fedi, per alimentare una rivolta, incruenta, contro ogni autorità che, degenerando in autoritarismo, tendeva a soggiogare la dignità e la libertà. Tale contestazione ideologica ebbe riflessi nell’evoluzione della Massoneria che dalla fase originaria detta operativa s’intrecciò con quella accettata, preludio a quella speculativa del 1717.
Il fenomeno dell’accettazione
L’accettazione di membri estranei all’arte della costruzione, espressione di ceti socialmente elevati e culturalmente e politicamente impegnati, determinò la rottura di quell’isolamento dal contesto sociale che era stato caratteristico delle Corporazioni, sin dal Medioevo. Si ridusse, in pratica, lo scarto tra corporazioni e società, in modo che la Massoneria non fu più tanto chiusa da non risentire i contraccolpi delle situazioni politiche, sociali, intellettuali e religiose e, d’altronde, le ideologie portate all’interno dai membri accettati non potevano rimanere a sé stanti, inerti, ma dovevano, bensì, fruttificare all’esterno, scontrandosi anche con alcune correnti di pensiero e con alcune leve di potere. L’accettazione, tuttavia, permise, da un lato, l’arricchimento del contenuto ideologico della Massoneria e, dall’altro, la verifica della propria validità iniziatica e contribuì a ricomporre le scomposte manifestazioni d’intolleranza religiosa e politica attraverso l’auspicato ripristino di un ordine sociale e morale meno corrotto e malvagio.
Il ruolo di Bruno
Ebbene, Giordano Bruno giunge in Inghilterra quando maggiori sono le inquietudini delle anime ed il marasma politico – siamo nel 1583 – e prende, subito, incondizionatamente, come base l’ermetismo magico egiziano, profetizza un ritorno alla tradizione egiziana grazie al quale le difficoltà religiose si comporranno in una soluzione nuova, propugna, infine, anche una riforma morale, accentuando l’importanza di buone opere sociali, di un’etica rispondente a criteri d’utilità sociale (Yates, op. cit.). A questo punto domandiamoci con la Yates: Dove mai si ritrova una simile sintesi religiosa, di solidarietà psicologica con il passato, di esaltazione delle buone opere, di adesione entusiastica alla religione ed al simbolismo degli egiziani? La risposta più immediata, la più ovvia, per la studiosa inglese non può essere che questa : Nella Massoneria, con il suo mitico collegamento coi muratori medievali, con la sua tolleranza, la sua filantropia ed il suo simbolismo egizio.
Siamo agli inizi del XVII secolo
La Massoneria, come istituzione ben caratterizzata, non appare, in realtà, che agli inizi del XVII secolo, ma certamente essa ebbe precedenti e tradizioni che risalgono molto indietro nel tempo. D’altro canto, il simbolismo e la tradizione egiziana si riferiscono in particolare ad Ermete Trismegisto e alla tradizione ermetico-alchemica, che sono alla base del contenuto iniziatico della Massoneria. Si può, quindi, ritenere che la dottrina e l’influenza di Bruno preparano ed elaborano i contenuti della Massoneria, avendo suscitato, con la sua opera svolta in Inghilterra (1583-1586 e 1586-1591) e in Germania (1586-1588), quegli impulsi attraverso i quali l’ermetismo rinascimentale, collegatosi ai “prisci theologi”, e tra questi soprattutto ad Ermete Trismegisto, confluì nei canali sotterranei delle società esoteriche.
Il pensiero del Nolano e la Massoneria
Giordano Bruno diviene, in tal modo, il fulcro della Massoneria cosiddetta moderna che poggia il suo messaggio su questi tre insegnamenti, che, conseguentemente, la riallaccia alla Philosophia perennis:
1) La rivalutazione ed il miglioramento dell’uomo.
2) La ricerca della Verità che risiede all’interno dell’uomo.
3) La glorificazione, attraverso un incessante travaglio interiore, del Grande Architetto dell’Universo, che i massoni chiamano G.A.D.U., ma non è altro che Dio.
Queste tre componenti dobbiamo ritrovare nell’opera di Bruno, se vogliamo che tale accostamento non sia una semplice ed opinabile interpretazione. Non è così, perché proprio dagli scritti di Bruno emerge, in modo chiaro e netto l’importanza, ad esempio, della ricerca interiore, che Bruno chiama potere interiore e che pone l’uomo al centro della conoscenza e dell’esperienza. Infatti, nel De imaginum composition” scrive il Nolano: Perché, dico io, così pochi comprendono ed apprendono il potere interiore?.. Colui che vede in sé stesso tutte le cose è, al tempo stesso, tutte le cose. Queste espressioni necessitano di una spiegazione, e per meglio comprenderle, anche per impadronirsi già del pensiero di Bruno, è utile riportare altri due passi: uno, tratto da Lo spaccio de la bestia trionfante : Iddio tutto è in tutte le cose. E l’altro da De la causa, principio e uno : Il sommo bene, il sommo appetibile, la somma perfezione, la somma beatitudine consiste nell’unità che complica il tutto... voglio che notiate essere una e medesima scala per la quale la natura descende alla produzione delle cose, e l’intelletto ascende alla cognizione di quelle; e che l’una e l’altra da l’unità procede all’unità passando per la moltitudine di mezzi. Se fermiamo l’attenzione su questi tre passi, possiamo comprendere in cosa consista per Bruno il potere interiore, che è correlato all’unità di tutte le cose, anticipando quasi la visione ecologica che è oggi al centro della conoscenza e della scienza.
Correlazione tra Dio, Uomo e Natura
Il rapporto tra Dio e Uomo e Natura non è di dipendenza né di subordinazione in senso stretto ma appunto di correlazione, sino a giungere, in particolari condizioni di risveglio interiore, alla’identificazione, alla somiglianza, collegandosi, questa volta, alla spiritualità orientale, upanishadica e all’omòiosis tò theò del Corpus Hermeticum.
La rivalutazione dell’uomo, pertanto, non può essere sganciata dalla relazione con il divino e proprio questo rapporto ne amplia la dimensione. Sebbene molti studiosi ritengano che nel Rinascimento vi sia stata un’emarginazione della divinità, o addirittura la negazione della trascendenza divina, non si può, tuttavia, disconoscere che la dignità ed il valore dell’uomo possono avere un senso se riferiti e proiettati verso un Ente Supremo, inteso quest’ultimo non tanto come un Dio personale ma come Principio, conformemente a quanto sostiene Pico della Mirandola, quando dichiara: Reditus uniuscuisque rei ad suum principum.
Divinità, come traguardo finale della Conoscenza,
Tale concetto rimane sempre valido, si vuole solo riportare il divino da un piano trascendente ad uno immanente, divinizzando uomo e natura, così com’è scritto nel Corpus Hermeticum ed affermato nella tradizione alchemica. Questo rapporto Dio-Uomo-Natura può prefigurare, a prima vista, una forma di panteismo (questa fu l’accusa lanciata contro Bruno ed anche contro Cusano); si tratta piuttosto – come abbiamo già detto – di un tipo di immanentismo in cui il principio eterno è riportato non ad un’entità esterna e al di fuori del mondo ma immerso, celato all’interno dell’uomo e delle cose, come sostiene appunto Bruno nella Cena delle ceneri : Già avendola contratta in sé non era necessario cercar fuori di sé la divinità.
Krause
Questa posizione di Bruno, approfondendola, sembra anticipare di alcuni secoli la concezione formulata da Krause nel 1800 e che va sotto il nome di Panenteismo, la cui definizione è questa:
Dottrina che, senza confondere il mondo con Dio come fa il panteismo, non lo vuole tuttavia separato dalla sostanza divina. Dio non si esaurisce nel mondo, che n' è l’estrinsecazione empirica, ma è in tutto, immanente e trascendente nello stesso tempo. La concezione panenteistica, tipica, tra l’altro, di tutta la spiritualità orientale, ed upanishadica in particolare, riconduce la speculazione filosofica rinascimentale nell’alveo della Tradizione che sempre ha privilegiato l'aspetto interioristico, per cui il Dio/Verità è dentro l’uomo e solo là va ricercato. E’ questo primato dell’interiorità che giustifica la ricerca interiore, permettendo di comprendere ed assimilare l’Unità del Tutto.
Il Deus Naturaque di Bruno
Nell’Uno/Tutto, che Bruno chiama Deus Naturaque, non vi è dualità e - quindi – distinzione sostanziale tra soggetto ed oggetto, in quanto Tutto è sì l’oggetto dell’Uno, ma non è Altro rispetto all’Uno; è un po’ il concetto del G.A.D.U., del Grande Architetto dell’Universo, della Massoneria, in cui il Grande Architetto è Uno e l’Universo è il Tutto e tra l’uno e l’altro, grazie alla magia geometrica dell’architettura, vi è una splendida reciprocità. Il Deus Naturaque diviene, così, la raffigurazione simbolica del G.A.D.U., il simbolo iniziatico della Realizzazione, in quanto riafferma, come punto d’arrivo della Conoscenza, la risoluzione degli opposti, l’androginia della Verità. Nel Tutto vi è, pertanto, il riflesso dell’Uno, in quanto – scrive Bruno ne Gli eroici furori - tutto è pieno di divinità, verità, entità, bontà, e continua ancora [...] dalla monade che è la divinitate procede questa monade, che è la natura, l’universo, il mondo. Tra l’infinito divino e l’infinito della natura non vi è, dunque, opposizione, ma un’armonica unità, in modo che tutta la realtà può essere compresa, appunto, nel Deus Naturaque, nella cui intima struttura si ha la già proclamata risoluzione di ogni contrario, perché in esso: [...] si contempla l’armonia e la consonanza de tutte le sfere, intelligenze, muse e instrumenti, dove il cielo, il moto de’ mondi, l’opre della natura, il discorso de gli intelletti, la contemplazione de la mente, il decreto della divina provvidenza, tutti d’accordo celebrano l’alta e magnifica vicissitudine, che agguaglia l’acqui inferiori a le superiori, cangia la notte con il giorno e il giorno con la notte, a fin che la divinità sia in tutto nel mondo con cui tutto è capace di tutto, e l’infinita bontà infinitamente si communiche secondo tutta la capacità de le cose.
Il pensiero ermetico
Il Deus Naturaque di Bruno, orbene, con la diversità risolta nell’unità e con l’analogia tra macro e microcosmo richiama, anche, la Tavola di smeraldo di Ermete Trismegisto: Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per il miracolo della Cosa Una. Se, quindi, la concezione unitaria di Bruno si sovrappone a quella ermetica, che in realtà è stata il punto di partenza, non diverso deve essere il punto d’arrivo che, nella concezione ermetica, si rende concreto nella trasfigurazione dell’Anima e, pertanto, in una via iniziatica di trasformazione interiore.
Conosci te stesso
L’uomo, in altri termini, deve cercare di trovare in se stesso gli intimi legami con l’Uno-Tutto attraverso una profonda conoscenza di se stesso: ecco il potere interiore di cui parla Bruno, che trova riscontro nella impietosa indagine coscienziale che ogni massone deve compiere per ritrovare, nei meandri più riposti del proprio essere, l’occultum lapidem. V.I.T.R.I.O.L., visita interiora terrae rectificandoque invenies occultum lapidem, questo è il travaglio del massone, che sembra davvero il retaggio del viaggio di Bruno, che non è né semplice né facile, ma deve in ogni caso avere la consapevolezza della sua divinità, della divinità – dice Bruno – che risiede in noi per forza del riformato intelletto e voluntate.
L’uomo, cioè, deve unificarsi, reintegrarsi nel Principio, che è proprio dentro di lui stesso, liberandosi della zavorra della sua componente fisico-psichica.
Ernesto Laudicina

18 ottobre 2010

- Cagliostro


Gli studiosi di questo personaggio possono tranquillamente dividersi in sostenitori e detrattori, comunque tanto gli uni ch egli altri concordano nel riconoscere che chiunque fosse l‘uomo passato alla storia come il Conte Alessandro Cagliostro di S. Germano, egli aveva possibilità eccezionali che gli consentivano di muoversi in un orizzonte proibito a gran parte degli esseri umani. Di queste doti Cagliostro darà dimostrazioni sbalorditive. Come non abbiamo voluto rifare il processo a Cagliostro, così non intendiamo riscrivere la sua vita; ci accontentiamo delle citazioni del Dizionario Treccani innanzi riportate, sottolineando semplicemente che esse danno per certa l‘identità di Balsamo e di Cagliostro che nessuno ha mai dimostrato e limitandoci a suggerire agli Autori delle voci del Dizionario di aggiungere qualche notizia in più su un avvenimento decisivo della sua vita: la sua iniziazione massonica. Infatti, il 12 aprile 1777 venne ammesso alla ― Loggia della Speranza ‖ numero 289, appartenente all‘Obbedienza dell‘―Alta Osservanza‖. La cerimonia ebbe luogo alla Taverna Reale, a Gerard Street nel quartiere di Sohoa Londra. In virtù di questa dignità, Cagliostro — come è storicamente provato — è entrato a far parte di sodalizi che già vantavano secoli di storia e che esercitavano una certa influenza sulla vita dell‘epoca. È stato Cavaliere di Malta, Rosa-Croce, Gran Maestro della Stretta Osservanza Templare, membro di club aristocratici, corrispondente di accademie scientifiche. Con questi biglietti da visita è passato di corte in corte, di palazzo in palazzo, ricevuto con tutti gli onori. È stato ospite del re Federico di Prussia, del re Stanislao di Polonia, di Caterina di Russia, del principe di Brunswick, del conte di Saint - Germain, dei circoli esoterici più famosi di Europa: gli Eletti Cohen, gli Invisibili della Chiesa Sconosciuta, i discepoli di Swedenborg e di Robert Fludd. A Lipsia, durante un banchetto offerto in suo onore dall‘alta nobiltà tedesca, incontra padre Pernety, il famoso benedettino francese che ha dovuto abbandonare il suo forno di alchimista nella Rue Saint - Benoit di Parigi, sotto accusa di stregoneria. Padre Pernety ha istituito un nuovo rito massonico ispirandosi alla tradizione cabalistica, a Tritemius, a Swedenborg, ad Adam Weishaupt (fondatore degli Illuminati e alle cui idee attingerà un po‘tutta la Massoneria a sfondo magico - spiritualista). Padre Pernety consacra i suoi adepti dicendo di iniziarli alla Scienza che è la prima e più antica di tutte le scienze, che emana dalla Natura o meglio che è la stessa Natura, professata nell’arte e fondata sull’esperienza. Cagliostro subisce profondamente il fascino di queste teorie che gli consentono di riunire in una sola filosofia le sue inquietudini teologiche e la sua prepotente vocazione per il mistero: nasce così il suo famoso Rito massonico Egiziano, sul quale mi corre l‘obbligo di qualche modesta in formazione.
2 – Il sistema della Massoneria Egiziana
… fra i numerosi documenti, sequestrati a Cagliostro all‘epoca del suo arresto ad opera dell‘Inquisizione, vi era anche un ― Rituale‖ (forse originale e in francese) che, insieme al resto fu bruciato in Piazza della Minerva, a Roma. Il S. Uffizio ebbe però cura di farne fare la traduzione italiana — come si rileva dal Ms.245—e che forse esiste ancora sigillata negli archivi vaticani, insieme alla documentazione originale del processo. Il Ms.245 ne contiene numerosi passi e un accurato sommario. Il rito Egiziano — nelle due versioni maschile e femminile —si inserisce in quella visione della iniziazione — peraltro, anche massonica —la cui idea motrice è la realizzazione dei ― piccoli misteri , attraverso i quali, l‘uomo,― caduto,― degenerato, ritorna al suo stato ― umano, alla sua natura di Uomo degno di questo nome. La ― realizzazione ‖, secondo Cagliostro, avveniva in tre tappe (apprendista, compagno e maestro), nelle quali sostanzialmente si perveniva alla conoscenza disé, alla cognizione della materia di cui si compone l‘universo, nonché alla completa padronanza del proprio spirito e del proprio corpo, con la capacità di dominare le reazioni, le passioni e di controllare i piaceri e i dolori conquistando così la tranquillità interiore e la immobilità esteriore. Tutti gli adepti erano tenuti all‘osservanza di sei comandamenti (amore di Dio, rispetto del sovrano, della religione e della legge, l‘amore del prossimo, la fedeltà e la devozione all‘Ordine e la totale sottomissione alle regole del rito) nonché all‘obbedienza di tre imperativi ( latolleranza, rispettosa dell’universalità di tutte le religioni, della dignità umana e del desiderio del bene sotto tutti i cieli; il segreto, forza della meditazione in silenzio, chiave di ogni azione iniziatica, legge degli antichi misteri; il rispetto della natura, immensa verità degli alchimisti, i quali sanno che in essa è celato il segreto della creazione di Dio ……

11 ottobre 2010

- La Società Teosofica


Che cos'è che affascina di Helena Petrovna Blavatsky? Probabilmente la sua vita avventurosa e le sue ricerche sull'occulto, nonché la sua "Dottrina Segreta" e l'"Iside Svelata", sue opere più conosciute. Ricordo che in numerose opere letterarie mi imbattei nel suo nome, così come su quello di Annie Besant, di Krishnamurti, di Leadbeather.: i fondatori della Società Teosofica insomma. Quell'organizzazione esoterica a carattere spirituale fondata a New York il 17 novembre del 1875 ed alla quale aderii 126 anni dopo, ovvero il 17 novembre 2001 dopo aver letto la Dichiarazione di principi nella quale mi riconobbi totalmente e che così recita: La Società Teosofica è composta da studiosi appartenenti a qualsiasi religione del mondo o a nessuna, uniti nell'approvare gli scopi della Società, con il desiderio di rimuovere gli antagonismi religiosi e di dialogare con gli uomini di buona volontà, qualunque siano le loro opinioni religiose; ciò che anima questi studiosi è il desiderio di studiare le verità religiose, scientifiche e filosofiche, nonché di condividere con gli altri i risultati dei loro studi; il loro vincolo di unione non è professione di una credenza comune, bensì una comune ricerca ed aspirazione alla Verità; sostengono che la Verità deve essere cercata con lo studio, con la riflessione, con la purezza della vita, con la devozione agli elevati ideali e considerano la Verità come una ricompensa alla quale si mira, non come un dogma che si deve imporre con autorità; ritengono che ciò in cui si crede deve essere il risultato dello studio individuale o dell'intuizione e non la sua premessa e che deve basarsi sulla conoscenza, non sulle affermazioni; estendono la tolleranza a tutti, anche agli intolleranti, non come un privilegio da concedere, bensì come un dovere da adempiere e cercano di rimuovere l'ignoranza, non di punirla; considerano ogni religione come un'espressione della Divina Saggezza e preferiscono studiarla anziché condannarla. Praticarla anziché farne proselitismo. Pace è la loro parola d'ordine e Verità la loro mèta; la Teosofia è il corpo della verità che forma la base di tutte le religioni e che non può essere ritenuta come possesso esclusivo di nessuno; presenta una filosofia che rende la vita comprensibile e che dimostra che la giustizia e l'amore guidano la sua evoluzione; pone la morte nel suo giusto posto come un incidente ricorrente in una vita senza fine, che apre le porte ad una esistenza più piena e più radiosa; restituisce al mondo la Scienza dello Spirito, insegnando all'uomo a riconoscere se stesso nello Spirito e a riconoscere la mente ed il corpo come suoi strumenti; illumina le Scritture e le dottrine delle religioni rilevandone i reconditi significati e in questo modo le giustifica di fronte al tribunale dell'intelletto, come sono sempre state giustificate agli occhi dell'intuizione. I membri della Società Teosofica studiano queste Verità ed i teosofi cercano di viverle.
La Società Teosofica è un'organizzazione antidogmatica che raccoglie studiosi e ricercatori delle Verità dell'Esistenza per mezzo dello studio e dell'esperienza personale. Tre sono gli scopi principali: Fratellanza Universale dell'Umanità senza alcuna distinzione; studio comparato delle fedi, delle filosofie e delle scienze; ricerca dei poteri latenti dell'individuo. La Teosofia si diffuse nel mondo soprattutto nella seconda metà dell'800 ed in Italia anche grazie ad una certa comunanza d'ideali con le correnti democratiche mazziniane e garibaldine. Ricordiamo che Helena Petrovna Blavatsky partecipò attivamente alla battaglia di Mentana a fianco del Generale Garibaldi nel 1867 ove fu gravemente ferita e si dice che fu iniziata alla Massoneria proprio dallo stesso Generale, Gran Maestro dell'Umanità. Conobbe inoltre Giuseppe Mazzini che incontrò a Londra collaborando alle sue iniziative e contribuendo a far erigere un monumento in suo ricordo al Central Park a New York. Fra i Teosofi famosi ricordiamo l'inventore Thomas A. Edison e l'insegnante italiana Maria Montessori. La sede internazionale della S.T. è in India, ad Adyar ed in Italia la sede nazionale è sita a Vicenza in Via Quintino Sella 32.

Luca Bagatin