8 giugno 2012

- IPAZIA -Un sacrificio umano nella quaresima del 415.



Bellezza, sapienza e forza morale.
Concentrate in un unico essere. L’una virtù conferma e accentua l’altra, esaltandone forma e sostanza nei contorni armoniosi di Ipazia. Scienziata, filosofa, astronoma, matematica, musicologa, medico, vissuta intorno al quarto secolo in Alessandria d’Egitto.
Straordinario coagulo di virtù civili e morali, unite ad una mente votata alla ricerca ed alla conoscenza, di uno spirito mai pago di sapere, sembra non avere rivali nemmeno tra i più eclettici uomini di pensiero che abbiano segnato il tempo. Tuttavia pare avvolta dalle nebbie di un passato, che fanno appena trapelare un simbolo di puro amore per la verità, la scienza e la ragione.
Le sue conoscenze, i suoi studi, le sue invenzioni.
Ipazia, IV secolo d.C., figlia e discepola del grande Teofanae (Teothecno) astronomo, matematico e rettore dell'università di Alessandria. Superò di gran lunga il padre, insoddisfatta di quelle verità statiche che, per dirla col libro sapienziale, per lei non erano altro che fiumi che non ingrossano il mare e dal quale tornano a fluire in altri percorsi di conoscenza. Filostorgio, storico della Chiesa contemporaneo di Ipazia, cosi scrive: “apprese dal padre le scienze matematiche, ma divenne molto migliore del maestro soprattutto nell’arte dell’osservazione degli astri” “introdusse molti alle scienze matematiche” “ divenne molto migliore del maestro soprattutto nell’arte dell’osservazione degli astri” Altre fonti la descrivono di “natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le scienze matematiche a cui era stata indotta da lui, ma, non senza altezza d’animo, si dedicò anche alle altre scienze filosofiche”.
Coltissima, si dedicò alle opere di Diofanto, Apollonio di Perge, Claudio Tolomeo, Platone, Plotino, Euclide: Di queste menti illustri Ipazia si nutrì.
Scrisse tredici volumi di commento su “L’aritmetica” di Diofanto (matematico delle equazioni a coefficienti interi). Un trattato di otto libri sulle "Coniche" di Apollonio (L’evolvente conica e speculare origina, secondo la sezione, figure diverse). Ipazia espresse un acume ed un’intelligenza fuori dal comune, non solo nel commentare, ma anche nello sviluppare intuizioni di completamento ed altre di originale natura interessandosi anche di meccanica e di ciò che oggi chiamiamo tecnologia. Disegnò strumenti scientifici, tra cui un astrolabio piatto, un apparato distillatore e un idroscopio. Tutto ciò che era esplorabile era oggetto di ricerca, studio e approfondimento.
Sull’astronomia si dedicò alla stesura del "Corpus Astronomicum", e la sua profonda conoscenza delle scienze esatte (aritmetica – matematica - geometria) fu prezioso strumento applicativo anche nelle scienze filosofiche.
Scienza e filosofia erano in lei come vasi comunicanti in cui coniugava il ragionamento matematico al concetto neoplatonico dell'Uno, come autore del molteplice.
Dicono di Lei:“ Ipazia aveva scoperto qualche cosa di nuovo a proposito del moto degli astri ed ella rese questo suo nuovo sapere acquisizione accessibile agli uomini ed alle donne della sua epoca esponendo le sue nuove osservazioni in un’opera originale che intitolò Canone astronomico”. (Flogisto)
Scrive Rita Levi Montalcini nel suo libro “Le tue antenate.”: “È stata l'unica matematica donna per più di un millennio. Bisognerà aspettare il Settecento per avere due scienziate di rango paragonabile: Maria Gaetana Agnesi e Sophie Germani”.
Vorremmo chiederci quanto il mondo sarebbe stato diverso se tanti spiriti liberi non fossero stati obliterati e ridotti al silenzio e la storia di essi occultata.
Forse la storia dei liberi pensatori avrebbe avuto diversa evoluzione se lo straordinario percorso del libero pensiero non avesse subito l’arresto nelle fucina di Alessandria.
Forse avremmo datato nel IV secolo anziché nel 1717 la nascita di una Muratoria “speculativa” che avrebbe preceduto quella “operativa” sovvertendone l’attuale cronologia.
Forse la storia sarebbe stata diversa e ci saremmo risparmiati secoli bui di profonda regressione spirituale. Forse!
Ma in ogni caso, certamente, i valori e i principi Universali sarebbero rimasti i medesimi, solo maggiormente efficienti in una società eticamente più evoluta.)
I contemporanei indicarono in lei la grande caposcuola del Platonismo, dopo Platone e Plotino. Insegnò ad Alessandria per più di vent'anni, fino al 415 (giorno della sua tragica morte).
Nel De dono, l'allievo di Ipazia, Sinesio, aveva scritto che «l'astronomia è di per se stessa una scienza di alta dignità, ma può forse servire da ascesa a qualcosa di più alto, da tramite opportuno verso l'ineffabile teologia, giacché il beato corpo del cielo ha sotto di sé la materia e il suo moto sembra essere ai sommi filosofi un'imitazione dell'intelletto. Essa procede alle sue dimostrazioni in maniera indiscutibile e si serve della geometria e dell'aritmetica, che non sarebbe disdicevole chiamare retto canone di verità».
Il contesto storico.
Osserviamo ora qual’era il contesto storico/politico/religioso in cui si muoveva Ipazia.
Costantino (Flavius Valerius Constantinus) imperatore romano dal 306 al 337. Con lui inizia una nuova era in cui il cristianesimo si impone per essere accettato con decreto imperiale. Viene sancita l'alleanza con la Chiesa cristiana e, con essa, la fine delle persecuzioni e con gli onori riservati ad una religione di stato.
Giuliano (Flavius Claudius Iulianus) letterato e imperatore romano fino al 363, da cristiano convertito al paganesimo, tentò senza riuscirvi di restaurare la religione dei padri col nome di “ellenismo”. Prese dai cristiani l’appellativo di Apostata e presentato, da essi, come un persecutore. In realtà Giuliano fu tutt’altro che un persecutore, poiché durante il suo regno illuminato vi fu grande tolleranza nei confronti di tutte le religioni, comprese le diverse dottrine cristiane. Intese sostenere anche altre religioni, come l'Ebraismo, anch'esse (seppure in misura più limitata) discriminate dalla protervia cristiana. Tentò di restituire giustizia volendo ricostruire il Tempio di Gerusalemme, ma con poco successo.
Tutti i tentativi di Giuliano di ricostituire una società aperta e tollerante non ebbero risultati apprezzabili, forse anche a causa della brevità del suo regno, finito il quale, il Mondo Pagano subì un’accelerazione nel suo ormai segnato decadimento.
Teodosio, imperatore fino al 395, acuì la persecuzione contro tutte le religioni che non fossero la cristiana, con particolare accanimento al paganesimo, giudicato ufficialmente illegale in tutto l’impero. Fece chiudere definitivamente i pochi Templi rimasti operativi.
La pena di morte divenne la condanna pendente sul capo di coloro che rifiutavano la conversione al Cristianesimo.
Emise ben 4 decreti nel merito:
Il decreto del febbraio 391: vietato entrare nei templi. Il 24 febbraio 391 l'imperatore Teodosio, detto dai cristiani "Il Grande", battezzato nel 380, emise il provvedimento legislativo "Nemo se hostiis polluat".
Il decreto del 16 giugno 391: estensione delle proibizioni
Il decreto di Aquileia,16 giugno 391, estende le disposizioni precedenti anche all'Egitto, dove Alessandria godeva di speciali privilegi relativi ai culti locali.
Il terzo editto del 391: distruggete i templi.
Il quarto editto del 392: pena di morte. Con questo editto si raggiunge un tasso di intransigenza così assoluta nei confronti delle tradizioni locali,da sancirne di fatto la loro fine con tutti i mezzi sanzionatori possibili,compresa la pena di morte.
L’editto prevedeva: la pena di morte per chi effettuava sacrifici e pratiche divinatorie
la confisca delle abitazioni dove,con i Templi ormai distrutti, si svolgevano i riti.
pesanti sanzioni per i decurioni quando non applicavano puntualmente la legge.
La proibizione di altari, torce, agapi, offerte votive, divinità domestiche del focolare, corone, ghirlande e ornamenti floreali,e quant’altro che rappresentasse solo un’intenzione di onorare divinità o simboli diversi da quelli cristiani. Un simbolo distrutto è una memoria azzerata. Teofilo, vescovo, ebbe parte decisiva, così come la ebbe Cirillo, Vescovo di Alessandria, nell’ultima violenta e cruenta azione nel cancellare il Neoplatonismo e il libero pensiero di cui Ipazia fu l’ultima strenua portatrice. Unico uomo di potere ad alzare le difese contro il potere dei nuovi gerarchi ecclesiastici, Oreste, Prefetto di Alessandria e sostenitore di Ipazia..Ma era destinato a perdere nell’impari lotta.
LA SAPIENZA DI IPAZIA
In questo quadro grandemente persecutorio Ipazia di estrazione pagana, non scevra di quella religiosità teologica, filosofica e cosmogonica tipica del “pagus”, rappresentava un mondo aperto al trascendente e simboleggiato da miti dal profondo significato esoterico che sarebbe stato abbattuto dall’ormai vincente cristianesimo (o,meglio,da coloro che ne avrebbero rappresentato l’anima intollerante fino all’abbattimento fisico e alla distruzione di luoghi sacri e accademie filosofiche che fecero di Alessandria un vero faro di sapienza). Dopo Maria l’Ebrea (la prima scienziata/alchimista dell’antichità di cui si abbia notizia), Ipazia fu la prima donna a rappresentare un pensiero, un metodo, una concezione universale del cosmos di straordinaria modernità.
Pallada (detto Meteoro), poeta e letterato“greco antico”, dedica ad Ipazia un commovente epigramma:
“Quando ti vedo mi prostro, a te e alle tue parole,
vedendo la casa della Vergine tra le stelle,
infatti il cielo è rivolto ad ogni tua azione Ipazia santa,
bellezza di parola, pura stella della sapiente cultura.”
Maestra di saggezza, fu in Alessandria riferimento di spiriti liberi, eruditi e popolani, con tutti parlando, a tutti rispondendo e con tutti scambiando conoscenza, insegnava imparando in un anelito insopprimibile ad una verità sempre più evoluta permeato di rigore scientifico e di una spiritualità che con esso, mirabilmente, intrecciava connessioni e attinenze di sottile fattura fino a disegnare la cornice di un quadro in cui armonizzare i colori di una sapienza complessiva dal carattere universale. Razionalità e spiritualità convivevano in essa così come cultura pagana e cultura cristiana, pur tra loro in competizione, potevano trovare punti di contatto purchè esenti e non contaminati da assiomi di verità assolute e inamovibili.
Attribuire ad Ipazia la maestria delle sette arti liberali, principi di Fratellanza e valori universali di Tolleranza, Libertà e Uguaglianza, è come riconoscerle una sua naturale prerogativa, tanto connaturati erano in lei le massime virtù tra le quali (come le colonne Dorica – Ionica - Corinzia) Sapienza, Forza e Bellezza si esprimevano in solare evidenza.
Ma tali virtù e tanto anelito alla conoscenza non potevano passare indenni in un’epoca in cui nella fiorente Alessandria già levitavano fermenti e contrapposizioni religiose tra Ebrei, Cristiani e neoplatonici. Il pensiero libero ed in continua progressione di Ipazia destabilizzava le nascenti gerarchie religiose bisognose di affermazione e consolidamento in una chiusura assolutista in cui il dogma già era garanzia di immutabilità, privilegio di casta e controllo delle coscienze. I venditori di verità rivelate rischiavano di vedere svilito il proprio prodotto concesso a buon mercato nel baratto con le coscienze. Le verità assolute davano già confortanti certezze sollevando gli animi da ogni necessità di ricerca risolvendo ogni “perché” e scansando il tormento del dubbio che già assurgeva al rango propedeutico di eresia.
L’epilogo
Già il cirenaico Sinesio paventava la deriva fondamentalista e totalizzante della nuova religione e ne temeva il forte assetto dogmatico. Forse è per ciò che assurse alla carica vescovile senza nemmeno essere battezzato? Forse lui stesso si adoperò affinché Ipazia abbracciasse la religione cristiana e, con essa, cristianizzare il paganesimo (o paganizzare il cristianesimo?) fondendolo in una emulsione che li contaminasse entrambi, lasciando immutata quella cultura ellenistica in cui si era formato. Sognava, forse, il grande compromesso che, in ultima analisi, consentisse una pacifica convivenza tra diverse culture? Di fatto ciò non avvenne non perché le due culture non avessero punti in comune ma perché nella strutturazione stessa delle gerarchie ecclesiastiche cristiane, il germe dell’intolleranza era già prepotentemente cresciuto e andava, evidentemente, consolidato nei nuovi assetti di potere. E i nuovi assetti di potere, come in tutti i regimi totalitari, tendevano ad una forma di pensiero unico ove una teocrazia impermeabile ad ogni penetrazione di cui scienza, coscienza e conoscenza ne erano indispensabile veicolo,incalzava incombente. Evidenti segnali di violento fanatismo si erano manifestati sotto la reggenza ecclesiastica del vescovo Teofilo (pare abbia ispirato, ammesso che ce ne fosse stato bisogno, l’Imperatore Teodosio nell’emanazione degli editti persecutori) che aveva fatto distruggere gli emblemi monumentali della civiltà greco orientale assieme al “Serapeum” (tempio di Serapide) e la biblioteca che ad esso era annessa.
Intollerabile appariva alla comunità cristiana più fondamentalista che la sapienza e la cultura fossero così grande patrimonio del mondo pagano. Altrettanto intollerabili apparivano i miti pagani nel loro profondo significato esoterico. E ancora più intollerabile appariva la molteplicità delle tradizioni pagane con i loro diversi modi di vedere un comune significato. Inaccettabile questa area di libero pensiero, strettamente legata alla cultura popolare che in diverso modo (dialettico) le aveva concepite, difficile da ingabbiare senza imporre un pensiero unico che potesse scardinare un pensiero unificante.
Ma chi era mai questa Ipazia, pagana, cosi estranea ai valori di un clero chiuso ai fondamentali diritti della ragione? Come osava, l’infedele pagana, indurre pensieri non strettamente connessi alle dogmaticità tanto funzionali al potere clericale?
In una società ormai completamente cristianizzata, il Vescovo Cirillo (poi assurto a santità), nel 412 divenne Patriarca di Alessandria. Le discriminazioni contro Ebrei e neoplatonici presero ancora una volta forma di persecuzione e il conflitto tra Stato (rappresentato da Oreste, prefetto della città ed amico/discepolo di Ipazia) e la Chiesa (rappresentata dal Patriarca Cirillo) assunse forme di scontro aperto.
Ipazia fu invitata, presumibilmente nella Quaresima, a convertirsi al cristianesimo, ma, ovviamente, rifiutò. Questo rifiuto, nel rituale romano, veniva considerato un crimine da punire con la morte. Ormai considerata come sovversiva e dotata di arti oscure, cominciò a incamminarsi verso una fine tragicamente atroce. Negli anni che vanno dal 412 al 415 l’intolleranza clericale andò crescendo assumendo sempre più forme minacciose e virulente, innescata e alimentata dalla predicazione di Cirillo, che raggiunse il suo violento culmine nel 415. Impensabile che Ipazia non avvertisse la morsa di intolleranza che si stringeva sempre più. Troppo intelligente era per non quanto l’avversione si fosse tramutata in odio, troppo sensibile era per non percepire quanto gli sguardi belluini di fanatici potessero tramutarsi in atti mortali. Ma la forza del libero pensiero e la comunione con gli spiriti liberi erano almeno pari al coraggio di vivere ed agire oltre ogni paventata minaccia.
Il massacro durante la quaresima.
Era l’8 marzo dell’anno 415. Quaresima di battesimo? Quaresima cristologica? Quaresima penitenziale?
Ipazia ,indossato il suo mantello,scendeva per le strade per il consueto dialogare con la gente. In molti chiedevano, a tutti rispondeva, con tutti parlava. Fossero cristiani, ebrei o pagani,tutti avevano qualcosa da dire o una domanda da porre . Chiunque apprezzava o contestava affermando un’idea e ricevendone pacata risposta. Il senso dell’”Agora” come luogo di libero scambio di idee trovava naturale compimento nella polis e di essa era l’espressione intellettuale più libera. Sentimenti, idee, concettualità si intrecciavano camminando su una linea di frattale che toccava e alimentava le menti e i cuori come linfa nutriente e benefica. Il bene della conoscenza circolava e se solo un residuo di essa avesse raggiunto la coscienza di un uomo, sarebbe stato un altro passo sul percorso evolutivo. Valeva la pena tutto ciò! Ma valeva anche la pena di morire per ciò? Certamente premoniva nell’odio serpeggiante di schiere di fanatici cristiani quanto questi, vittime del mostro dell’ignoranza, potessero diventare a loro volta persecutori e carnefici. Spesso il peggiore degli aguzzini è solo un servo intento a compiacere un padrone.
Ipazia doveva tacere, Ipazia era lo specchio della loro cattiva coscienza o, peggio, della sua totale assenza. Cosi un gruppo di indiavolati da un cristianesimo deviato e distorto, avvicinò la donna. Una mazza ferrata la colpì alla testa, schegge affilate spuntarono a lacerarne le carni. Le furono cavati gli occhi e, nell’estremo accanimento, smembrata e fatta letteralmente a pezzi. Gli arti strappati dal tronco e il tronco squartato. Inceneriti i resti.
Cos’altro dire?
Cos’altro se non sentirsi precipitare nel buio profondo vedendo spegnersi quella che per molti secoli a venire sarebbe stata l’ultima luce? Cos’altro rimaneva a quegli spiriti liberi che da essa traevano lumi di conoscenza se non abbandonare quel luogo ormai divenuto per loro funesto? Il faro si era spento,le ombre nere ormai dominavano.
Per Margherita Hack, il massacro di Ipazia segna l’inizio dell’oscurantismo. Dice: «Sarebbe bastato lasciar vivi e liberi di studiare Ipazia e i suoi allievi per acquisire 1200 anni in più di progresso ». Non stentiamo a crederlo. Stentiamo invece a credere come,nel nostro tempo così libero e colmo di declamate benevolenti intenzioni, questa fulgida figura sia stata ignorata, come il silenzio l’abbia avvolta quasi una coscienza collettiva intenta alla sottile pratica dell’autocensura abbia inteso rimuoverla. Abbiamo forse voluto rompere lo specchio solo perché rimanda, sgradita, la nostra immagine? Forse che le nostre virtù sono così impalpabili di fronte al peso dei vizi? O forse perché preferiamo vedere i vizi altrui che, nella consuetudine,giustifichino i nostri? O forse perché ormai abbiamo dimenticato di essere parte attiva di quella politica, religione, costume le cui storture che vediamo esterne al nostro essere, avversiamo con semplici manifestazioni di principio?
Scendere nelle profondità del nostro io è la grande lezione di Ipazia.
Porgere le mani inermi per donare è il grande atto di amore dimenticato.
Recuperare secoli di oscurità ancora fortemente presenti è un atto di giustizia verso noi e gli altri.

Da Opus Minimum
Rosario Consoli
R:.L:.Quatuor Coronati 931 Goi, Firenze



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