- Della Bellezza
Cos'è la Bellezza? Senza andare ad immergersi nella infinita discussione che per millenni ha avuto come oggetto la bellezza da parte di filosofi, artisti, pensatori, esteti, poeti, scrittori, partiamo dalle basi.
Io, per non saper nè leggere nè scrivere, ho voluto consultare il vocabolario Zingarelli: "Qualità di chi o di ciò che è bello" e il bello "ciò che, per aspetto esteriore o per qualità intrinseche, provoca impressioni gradevoli." E vi era anche una radice etimologica interessante che cito testualmente: (latino BELLU(M) dim. di BONUS "buono").
Questo vuol dire che, almeno per i popoli che parlavano latino, "bello" e "buono" erano praticamente sinonimi. E anche le " qualità intrinseche", citate separate dall' " aspetto esteriore" riportano sempre al concetto di "buono". Questo collegamento fa sicuramente riflettere.
"Il traguardo ultimo del mondo è la bellezza", sottolineerà David Maria Turoldo, ma sarà Dostoevskij ad ammonirci:
“La bellezza è il campo di battaglia in cui Dio e Satana si giocano il cuore dell'uomo".
L'imponente e tragica figura del principe Myskin ci ricorda, sì, che "la bellezza salverà il mondo", ma ne svela anche il profilo bifronte.
Del resto l' aveva già intuito il mondo classico quando all'armonia apollinea della bellezza ne aveva appaiato il volto dionisiaco orgiastico e fin stravolto.
Il bello può essere illusione, miraggio e persino inganno, come spesso accade nella fatuità dei corpi levigati e senza anima. Ma è anche la via "pulchritudinis ad Deum", come insegnava la grande spiritualità, certa che là si svelassero le epifanie divine. Per capire veramente l' idea di bellezza per gli antichi dobbiamo prescindere dalla associazione automatica che a volte facciamo, quando pensiamo al mondo greco, tra filosofia platonica e statutaria classica. La bellezza fisica di cui parla il platonismo, quando la identifica con la bontà, è quella che oggi manca di più al mondo: la bellezza interiore che si presenta nell'immagine esteriore (in greco eikonè) di un volto o di un corpo umano agli occhi che la sanno cogliere. Non quindi la bellezza patinata, ridotta alla propria superficie e dunque alla superficialità, ma la bellezza come espressione di un ordine insieme interiore e superiore. Ed è per questo che alla dea della bellezza, Afrodite, gli antichi associavano anche quella particolare forma di giustizia, analizzata da James Hillman nel suo saggio "La giustizia di Afrodite".
La bellezza come giustizia, intesa cioè come adeguatezza, giusta collocazione, ordine; e la giustizia come suprema bellezza. Non è un caso che anche lei sia compresa nella triade essenziale: non solo la bontà, ma anche la giustizia compongono il paradigma della vera bellezza, completando quell'identificazione tra sfera estetica e sfera etica, che tutto il pensiero antico, anche quello cristianizzato, non farà che riaffermare.
Come scrive Agostino:
"Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu eri dentro e io ero fuori e là ti cercavo".
"...L' uomo moderno", dirà Nietzsche nelle sue Considerazioni inattuali, II,4, "si porta in giro un' enorme quantità di indigeribili pietre del sapere, che poi all' occorrenza rumoreggiano dentro di noi...Con questo rumoreggiare si rivela la qualità piu' propria di questo uomo moderno: lo stesso contrasto di un interno a cui non corrisponde alcun esterno, e di un esterno a cui non corrisponde nessun interno, un contrasto che i popoli antichi non conoscono..."
Nel suo saggio Ipotesi sulla bellezza Susan Sontag però dichiara, in termini per certi versi definitivi:
"...Si ritiene di solito che la bellezza sia, quasi tautologicamente, una categoria estetica e che perciò si ponga, a detta di molti, in rotta di collisione con l'etica. Ma la bellezza, anche quella che non ha nulla a che fare con i giudizi morali, non è mai pura e semplice. E l' attribuzione della bellezza non è mai scevra da valori morali. Etica ed estetica non sono affatto agli antipodi, come insistevano Kierkegaard e Tolstoj: il progetto estetico è quasi di per sè un progetto morale.
E oserei dire che il tipo di saggezza che scaturisce da una vita dedicata a un profondo impegno in questioni estetiche non può essere equiparata a nessun altro genere di serietà..."
Non è dissezionando i petali che si coglie la bellezza della rosa.
Questo è un detto - come altri spesso legati alla natura - degli Indiani d' America. La lezione è senz'altro suggestiva: potrebbe infastidire gli strutturalisti che si inebriano nel dissezionare i testi nelle loro cellule letterarie o semantiche, oppure i filologi che sottopongono a microscopiche analisi ogni parola o sintagma di un verso, e il loro piacere sta tutto li'. Sono sicuramente utili o necessarie anche queste analisi , ma è il fiorire della poesia o dell' arte nel suo insieme a generare bellezza e meraviglia. Ma, forse, ha ragione il poeta giapponese BASHO (1644 - 1694 ) quando, con tutta la delicatezza propria agli orientali, ci insegna :
Non vi è nulla di ciò che si contempla che non sia (bello come un ) fiore, nulla di ciò che si pensa che non sia (attraente come la ) luna. Chi non intuisce (la bellezza di ) un fiore in ogni forma è un barbaro. Chi non ha un animo (delicato ) come un fiore è una belva.
E' stato detto:
"Fuggi la barbarie, abbandona l'animalità, ubbidisci alla natura e ad essa torna".
Aleksander Rojc
R.L. Nazario Sauro 527 Goi, Trieste
Articolo pubblicato su OPUS MINIMUM del Solstizio d’Inverno 2012
Per Info lab.ermetico.filosofico@gmail.com
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