- L’Accademia segreta del Ruscelli a Napoli
Il poligrafo cinquecentesco Girolamo Ruscelli fornisce una serie di parametri riconoscibili in buona parte delle iniziative accademiche, non solo partenopee, dandoci un'idea calzante delle motivazioni e delle organizzazioni interne a quei fenomeni associativi. Tali elementi, in seguito, sarebbero stati mutuati dai sodalizi massonici che nella Napoli del settecento ebbero tanta parte.
L'Opera è la Secreti nuovi (*), ultimata nel 1566 e pubblicata in unica edizione a Venezia l'anno successivo, nel 1567. L'avventura partenopea del Ruscelli inizia verso il 1542 quando, reduce da un soggiorno romano, si trasferisce a Napoli al servizio di Alfonso d'Avalos, Marchese del Vasto, con varie funzioni, tra le quali quelle di ambasciatore e poeta di corte. Alla morte del d'Avalos il Nostro, rimasto senza mecenate, parte per Venezia dove inizia a collaborare con l'editore Valgrisi come scrittore e correttore di bozze. Proprio a Venezia, abbiamo visto, pubblica i Secreti Nuovi, riversandovi in parte alcune esperienze maturate nella città partenopea.
La Accademia Segreta appartiene proprio a quest'ambito napoletano. Comprendere l'oggetto misterioso di cui ci parla il Ruscelli è particolarmente importante, in quanto si tratta dell'unica descrizione coeva di quelle strutture che sia giunta fino a noi, ed in particolare di quelle napoletane tra il XVI ed il XVII secolo. Quello di cui parliamo, appare un progetto chiuso, con una sua vita ed un obbiettivo ben preciso da perseguire. La qualità di segretezza, ricordata dal Ruscelli, aveva nella mente degli organizzatori una funzione ben precisa: consentire agli sperimentatori una tranquillità operativa in itinere e difenderli da assalti esterni di curiosi e detrattori. Un'eccezione al principio di segretezza era stabilito a favore dei 'dottori' della città, i quali - se debitamente invitati dai sodali - con la loro esperienza avrebbero potuto contribuire in modo fattivo alle attività accademiche. Una volta giunti al termine della ricerca, l'uscita dall'anonimato e lo scioglimento del segreto sui lavori svolti avrebbe consentito di mettere i frutti ormai maturati della ricerca al servizio dell'intera umanità senza distinzione di razza, sesso, censo, religione, età, possibilità economiche ed istruzione.
La ricerca e la sperimentazione Strumenti per la conoscenza di sé
Il modo in cui la pratica operativa dell'Accademia avrebbe potuto agire a beneficio dell'umanità ci è tramandato dallo stesso Ruscelli, che ne evidenzia la duplice valenza, verso l'esterno e verso gli sperimentatori. Quanto al primo aspetto, fulcro dell'attività accademica appare la sperimentazione empirica delle formule che riguardavano la composizione di medicamenti, così come riportate negli antichi trattati. Sarebbe poi stata cura dell'Accademia - dopo aver 'purgato' l'argomento da fallaci 'ricette' - mettere quelle realmente efficaci a disposizione dell'umanità. Dopo procedimenti di selezione articolati in un triplice ordine di prove (troveremo ancora questo numero tre, la cui valenza mistico filosofica permeò il concetto stesso dell'Accademia Segreta), i preparati così selezionati venivano destinati a lenire e curare malattie infettive, lebbra, infiammazioni oculari, epilessia, ustioni, ascessi ed una serie di altre jatture sanitarie che affliggevano l'umanità del tempo. Il secondo aspetto dichiarato, quello rivolto ad uno strumentale beneficio degli Accademici, perseguiva la conoscenza di se stessi. Particolare attenzione merita questo aspetto, poiché, se il primo appare solo eventuale in un'analisi trasversale del fenomeno accademico napoletano, quest'altro aspetto, della Conoscenza di sé, costituisce invece un elemento tipico ed inalienabile, almeno fino ad un certo punto (inizi XVIII sec.), della quasi totalità dei fenomeni accademici operanti nella realtà partenopea.
Nel testo di William Eamon (La Scienza e i Segreti della Natura – Ecig 1999) si attribuisce grande rilevanza, in tal senso, all'impatto avuto dalla Accademia Cosentina, ed in particolare dalla concezione telesiana della natura, su tutta la costruzione teorico-sapienziale del fenomeno accademico napoletano. L'aspetto della conoscenza di sé, come abbiamo detto, aveva un significato strumentale. Questa 'presa di coscienza' dell'accademico ricercatore, era infatti preordinata ad un effetto ulteriore, se vogliamo molto più spinto e socialmente pericoloso per l'accademico stesso, che pescava generosamente dalla costruzione filosofica telesiana del De rerum Natura Iuxta Propria Principia.
L’Opus Alchemicum per svelare i Segreti
Con la sperimentazione si perseguiva la conoscenza approfondita della natura, e dei procedimenti utilizzati dalla natura stessa nelle fasi creative ed evolutive. Quale modo migliore per realizzare ciò, se non riprodurre in laboratorio quei procedimenti? Il lettore si sarà reso conto che siamo scivolati apertamente sul piano dell'alchimia operativa, e potrà, quindi, anche immaginare il genere di procedimenti messi in atto per il raggiungimento dello scopo. Orbene, riprodurre in vitro, o in laboratorio, quegli stessi procedimenti applicati dalla natura nel laboratorio dell'intero Creato, è un chiaro voler riproporre il rapporto ermetico-alchemico tra Macrocosmo e microcosmo. E' noto a tutti che il fine ultimo, la nascita dell'uomo nuovo, culminava nella riproduzione in vitro dell'homunculus alchemico, dell'uomo rigenerato e ricreato dall'Arte, indenne da difetti e da sofferenze di sorta. È il rebis, l'androgine partecipe di tutto quanto esistente in natura ed oltre, soprattutto rappresentante il compendio e la coesistenza di tutte le opposte forze che - nell'uomo non purificato - agiscono invece come forze disgregatrici. Ora noi sappiamo, dalla concezione ermetica, che un uomo siffatto è posto per sua natura al di fuori e al di sopra delle passioni, delle imperfezioni corporee, del bene e del male, della concezione e dello scorrere del tempo, rispetto al quale passato presente e futuro non hanno motivo di distinzione. E' quindi eterno, rappresentando inoltre tutto quanto esiste ed il suo perfetto opposto. È, insomma, egli stesso la Natura.
Il Panpsichismo di Bernardino Telesio giunge proprio a queste conclusioni. Come ci ricorda proprio l'Eamon, "il soggetto e l'oggetto, conoscitore e conosciuto, possiedono la stessa natura, quindi conoscere una cosa significa diventare una parte di essa".
Rebis
Ma né la sperimentazione alchemica, né tantomeno la dottrina telesiana si fermano qui. Il Rebis, contenendo tutto, è la materia primordiale 'purgata', quindi da utilizzare come punto di partenza per il perseguimento di ulteriori obbiettivi (L'Oro alchemico, in tutte le sue accezioni simboliche e non). Ci dice infatti ancora l'Eamon: "Se, come sosteneva Telesio, la natura fosse unitaria e capace di assumere molte forme, se la consapevolezza di sé e la conoscenza della natura fossero una cosa sola, ne conseguirebbe che il conoscente, comprendendo la natura, agirebbe su di essa alterandola".
E poi: "Le operazioni della natura, consistono in forze attive che agiscono sulla materia passiva, ma sensibile".
Le Accademie e la nobiltà napoletana
L'analisi dell'Eamon non si ferma qui, puntando il dito su un altro aspetto fondamentale dell'intero fenomeno accademico, che in qualche modo ne decretò la rovina.
I consessi accademici, come risulta dalla descrizione del Ruscelli, comparivano sull'onda di una spontanea esigenza associativa, ma, per mantenersi in vita, necessitavano dell'appoggio carismatico e finanziario di un personaggio dotato per sua natura di autorevolezza e mezzi. Il fenomeno era dunque in buona misura affidato al mecenatismo e, d'altra parte, la più alta carica dell’Accademia era quella di 'Principe'.
Le accademie attecchirono grazie alla volontà ed all'interessamento di una parte della nobiltà napoletana. Ora, il rapporto tra questa nobiltà ed il viceregno era andata con il tempo deteriorandosi, a causa della originaria avversione manifestata proprio dai viceré spagnoli nei confronti della nobiltà e dei poteri da essa acquisiti nel tempo.
Inoltre, l'idea del riscatto umano dalla brutalità della sua natura doveva necessariamente passare per un processo di metamorfosi più complesso, che finiva per abbracciare sia l'aspetto politico che quello mistico della vita umana. Si pensi alla produzione Campanelliana, che preconizzava la caduta del regime vicereale, ed agli stretti collegamenti esistenti tra gli intellettuali dell'epoca ed una serie di movimenti neoereticali, collegati ad un'evoluzione anche spirituale di un'umanità riscattata. I fantasmi cui dette corpo l'introduzione della dottrina del mistico Juan de Valdés a Napoli ed il largo seguito da essa conseguito negli ambienti intellettuali napoletani dell'epoca, finirono per rappresentare una motivata preoccupazione per il potere costituito, circa la valenza eversiva del fenomeno.
L’editto del Viceré, la chiusura delle Accademie napoletane e la fuga del Ruscelli a Venezia
L'epilogo maturò quando don Pedro de Toledo, per verificare la fondatezza dei suoi sospetti, chiese in proposito il parere di un illustre ospite alla corte napoletana di quel tempo: l'aristotelico fiorentino Benedetto Varchi. Il parere chiesto dal Toledo al Varchi, siamo nel 1544, concerneva l'argomento se “secondo i principi di Aristotele, l'alchimia potesse essere messa alla prova per confermare sperimentalmente la sua possibilità o impossibilità". Varchi rispose (Questiones sull'Alchimia) distinguendo tra l'alchimia utilizzata dagli artigiani, sostanzialmente ritenuta valida, e quella 'sofistica' tesa alla fabbricazione dell'Oro alchemico, di rimedi portentosi, di panacee o dell'Elisir di Lunga Vita. Tale pratica, secondo l'illustre interpellato, "promuove ogni sorta di malvagità". Scrive ancora il Varchi che tutte le forme di questo particolare genere di alchimia dovrebbero essere "più che meritatamente bandite da tutti i prìncipi buoni e da tutte le repubbliche ben organizzate, e perseguitate con il fuoco". Era stata centrata in pieno l'attività dell'Accademia Segreta del Ruscelli. Conseguenza fu la triste e nota risoluzione vicereale di dichiarare sciolti in massa tutti i consessi accademici operanti a quel tempo a Napoli, che travolse almeno altre sei illustri analoghe iniziative.
Vi è però dell'altro.
Nella descrizione che il Ruscelli fa del mecenate, si è voluto da più parti riconoscere quel Ferrante Sanseverino, Principe di Salerno e personalità tra le più influenti del tempo.
Bisogna sapere che tra costui (tra i Sanseverino in genere) ed il viceregno c'era guerra dichiarata, combattuta anche sul fronte diplomatico: il Sanseverino lavorò a lungo per mettere in cattiva luce il Viceré Pedro Alvarez de Toledo nei confronti dell'Imperatore Carlo V. La cosa non gli riuscì, portando a fallimento anche quella che pare fosse la sua mira principale: divenire a sua volta Re di Napoli. La sua caduta in disgrazia travolgerà anche eminenti rappresentanti della cultura partenopea: la destituzione di Scipione Capece dalla carica di direttore dell'Università e lo scioglimento dell'Accademia Pontaniana della quale a quel tempo egli era a capo, ne sono manifestazioni evidenti. Anche l'Accademia segreta del Ruscelli, caduto il Mecenate Sanseverino, dovette soccombere. Il Ruscelli fu costretto ad abbandonare precipitosamente il regno di Napoli nel timore di ritorsioni spagnole e si rifugiò a Venezia, dove dette alla luce il suo "Secreti nuovi". Il timore che suoi ulteriori scritti danneggiassero i vecchi compagni d'Accademia rimasti a Napoli, lo spinse a celarsi sotto lo pseudonimo di Alessio Piemontese. 'Alessio' Girolamo Ruscelli continuò dunque in modo anonimo l'attività di ricercatore spagirico esercitando la propria militanza nelle piazze, dove spesso si offrì di curare pazienti occasionali da gotta ed altri problemi, al fine di dare prova tangibile della bontà dei suoi composti. La sua figura non avrebbe avuto più la rilevanza che gli aveva donato quella sua creatura napoletana, l'Accademia Segreta.
L'Opera è la Secreti nuovi (*), ultimata nel 1566 e pubblicata in unica edizione a Venezia l'anno successivo, nel 1567. L'avventura partenopea del Ruscelli inizia verso il 1542 quando, reduce da un soggiorno romano, si trasferisce a Napoli al servizio di Alfonso d'Avalos, Marchese del Vasto, con varie funzioni, tra le quali quelle di ambasciatore e poeta di corte. Alla morte del d'Avalos il Nostro, rimasto senza mecenate, parte per Venezia dove inizia a collaborare con l'editore Valgrisi come scrittore e correttore di bozze. Proprio a Venezia, abbiamo visto, pubblica i Secreti Nuovi, riversandovi in parte alcune esperienze maturate nella città partenopea.
La Accademia Segreta appartiene proprio a quest'ambito napoletano. Comprendere l'oggetto misterioso di cui ci parla il Ruscelli è particolarmente importante, in quanto si tratta dell'unica descrizione coeva di quelle strutture che sia giunta fino a noi, ed in particolare di quelle napoletane tra il XVI ed il XVII secolo. Quello di cui parliamo, appare un progetto chiuso, con una sua vita ed un obbiettivo ben preciso da perseguire. La qualità di segretezza, ricordata dal Ruscelli, aveva nella mente degli organizzatori una funzione ben precisa: consentire agli sperimentatori una tranquillità operativa in itinere e difenderli da assalti esterni di curiosi e detrattori. Un'eccezione al principio di segretezza era stabilito a favore dei 'dottori' della città, i quali - se debitamente invitati dai sodali - con la loro esperienza avrebbero potuto contribuire in modo fattivo alle attività accademiche. Una volta giunti al termine della ricerca, l'uscita dall'anonimato e lo scioglimento del segreto sui lavori svolti avrebbe consentito di mettere i frutti ormai maturati della ricerca al servizio dell'intera umanità senza distinzione di razza, sesso, censo, religione, età, possibilità economiche ed istruzione.
La ricerca e la sperimentazione Strumenti per la conoscenza di sé
Il modo in cui la pratica operativa dell'Accademia avrebbe potuto agire a beneficio dell'umanità ci è tramandato dallo stesso Ruscelli, che ne evidenzia la duplice valenza, verso l'esterno e verso gli sperimentatori. Quanto al primo aspetto, fulcro dell'attività accademica appare la sperimentazione empirica delle formule che riguardavano la composizione di medicamenti, così come riportate negli antichi trattati. Sarebbe poi stata cura dell'Accademia - dopo aver 'purgato' l'argomento da fallaci 'ricette' - mettere quelle realmente efficaci a disposizione dell'umanità. Dopo procedimenti di selezione articolati in un triplice ordine di prove (troveremo ancora questo numero tre, la cui valenza mistico filosofica permeò il concetto stesso dell'Accademia Segreta), i preparati così selezionati venivano destinati a lenire e curare malattie infettive, lebbra, infiammazioni oculari, epilessia, ustioni, ascessi ed una serie di altre jatture sanitarie che affliggevano l'umanità del tempo. Il secondo aspetto dichiarato, quello rivolto ad uno strumentale beneficio degli Accademici, perseguiva la conoscenza di se stessi. Particolare attenzione merita questo aspetto, poiché, se il primo appare solo eventuale in un'analisi trasversale del fenomeno accademico napoletano, quest'altro aspetto, della Conoscenza di sé, costituisce invece un elemento tipico ed inalienabile, almeno fino ad un certo punto (inizi XVIII sec.), della quasi totalità dei fenomeni accademici operanti nella realtà partenopea.
Nel testo di William Eamon (La Scienza e i Segreti della Natura – Ecig 1999) si attribuisce grande rilevanza, in tal senso, all'impatto avuto dalla Accademia Cosentina, ed in particolare dalla concezione telesiana della natura, su tutta la costruzione teorico-sapienziale del fenomeno accademico napoletano. L'aspetto della conoscenza di sé, come abbiamo detto, aveva un significato strumentale. Questa 'presa di coscienza' dell'accademico ricercatore, era infatti preordinata ad un effetto ulteriore, se vogliamo molto più spinto e socialmente pericoloso per l'accademico stesso, che pescava generosamente dalla costruzione filosofica telesiana del De rerum Natura Iuxta Propria Principia.
L’Opus Alchemicum per svelare i Segreti
Con la sperimentazione si perseguiva la conoscenza approfondita della natura, e dei procedimenti utilizzati dalla natura stessa nelle fasi creative ed evolutive. Quale modo migliore per realizzare ciò, se non riprodurre in laboratorio quei procedimenti? Il lettore si sarà reso conto che siamo scivolati apertamente sul piano dell'alchimia operativa, e potrà, quindi, anche immaginare il genere di procedimenti messi in atto per il raggiungimento dello scopo. Orbene, riprodurre in vitro, o in laboratorio, quegli stessi procedimenti applicati dalla natura nel laboratorio dell'intero Creato, è un chiaro voler riproporre il rapporto ermetico-alchemico tra Macrocosmo e microcosmo. E' noto a tutti che il fine ultimo, la nascita dell'uomo nuovo, culminava nella riproduzione in vitro dell'homunculus alchemico, dell'uomo rigenerato e ricreato dall'Arte, indenne da difetti e da sofferenze di sorta. È il rebis, l'androgine partecipe di tutto quanto esistente in natura ed oltre, soprattutto rappresentante il compendio e la coesistenza di tutte le opposte forze che - nell'uomo non purificato - agiscono invece come forze disgregatrici. Ora noi sappiamo, dalla concezione ermetica, che un uomo siffatto è posto per sua natura al di fuori e al di sopra delle passioni, delle imperfezioni corporee, del bene e del male, della concezione e dello scorrere del tempo, rispetto al quale passato presente e futuro non hanno motivo di distinzione. E' quindi eterno, rappresentando inoltre tutto quanto esiste ed il suo perfetto opposto. È, insomma, egli stesso la Natura.
Il Panpsichismo di Bernardino Telesio giunge proprio a queste conclusioni. Come ci ricorda proprio l'Eamon, "il soggetto e l'oggetto, conoscitore e conosciuto, possiedono la stessa natura, quindi conoscere una cosa significa diventare una parte di essa".
Rebis
Ma né la sperimentazione alchemica, né tantomeno la dottrina telesiana si fermano qui. Il Rebis, contenendo tutto, è la materia primordiale 'purgata', quindi da utilizzare come punto di partenza per il perseguimento di ulteriori obbiettivi (L'Oro alchemico, in tutte le sue accezioni simboliche e non). Ci dice infatti ancora l'Eamon: "Se, come sosteneva Telesio, la natura fosse unitaria e capace di assumere molte forme, se la consapevolezza di sé e la conoscenza della natura fossero una cosa sola, ne conseguirebbe che il conoscente, comprendendo la natura, agirebbe su di essa alterandola".
E poi: "Le operazioni della natura, consistono in forze attive che agiscono sulla materia passiva, ma sensibile".
Le Accademie e la nobiltà napoletana
L'analisi dell'Eamon non si ferma qui, puntando il dito su un altro aspetto fondamentale dell'intero fenomeno accademico, che in qualche modo ne decretò la rovina.
I consessi accademici, come risulta dalla descrizione del Ruscelli, comparivano sull'onda di una spontanea esigenza associativa, ma, per mantenersi in vita, necessitavano dell'appoggio carismatico e finanziario di un personaggio dotato per sua natura di autorevolezza e mezzi. Il fenomeno era dunque in buona misura affidato al mecenatismo e, d'altra parte, la più alta carica dell’Accademia era quella di 'Principe'.
Le accademie attecchirono grazie alla volontà ed all'interessamento di una parte della nobiltà napoletana. Ora, il rapporto tra questa nobiltà ed il viceregno era andata con il tempo deteriorandosi, a causa della originaria avversione manifestata proprio dai viceré spagnoli nei confronti della nobiltà e dei poteri da essa acquisiti nel tempo.
Inoltre, l'idea del riscatto umano dalla brutalità della sua natura doveva necessariamente passare per un processo di metamorfosi più complesso, che finiva per abbracciare sia l'aspetto politico che quello mistico della vita umana. Si pensi alla produzione Campanelliana, che preconizzava la caduta del regime vicereale, ed agli stretti collegamenti esistenti tra gli intellettuali dell'epoca ed una serie di movimenti neoereticali, collegati ad un'evoluzione anche spirituale di un'umanità riscattata. I fantasmi cui dette corpo l'introduzione della dottrina del mistico Juan de Valdés a Napoli ed il largo seguito da essa conseguito negli ambienti intellettuali napoletani dell'epoca, finirono per rappresentare una motivata preoccupazione per il potere costituito, circa la valenza eversiva del fenomeno.
L’editto del Viceré, la chiusura delle Accademie napoletane e la fuga del Ruscelli a Venezia
L'epilogo maturò quando don Pedro de Toledo, per verificare la fondatezza dei suoi sospetti, chiese in proposito il parere di un illustre ospite alla corte napoletana di quel tempo: l'aristotelico fiorentino Benedetto Varchi. Il parere chiesto dal Toledo al Varchi, siamo nel 1544, concerneva l'argomento se “secondo i principi di Aristotele, l'alchimia potesse essere messa alla prova per confermare sperimentalmente la sua possibilità o impossibilità". Varchi rispose (Questiones sull'Alchimia) distinguendo tra l'alchimia utilizzata dagli artigiani, sostanzialmente ritenuta valida, e quella 'sofistica' tesa alla fabbricazione dell'Oro alchemico, di rimedi portentosi, di panacee o dell'Elisir di Lunga Vita. Tale pratica, secondo l'illustre interpellato, "promuove ogni sorta di malvagità". Scrive ancora il Varchi che tutte le forme di questo particolare genere di alchimia dovrebbero essere "più che meritatamente bandite da tutti i prìncipi buoni e da tutte le repubbliche ben organizzate, e perseguitate con il fuoco". Era stata centrata in pieno l'attività dell'Accademia Segreta del Ruscelli. Conseguenza fu la triste e nota risoluzione vicereale di dichiarare sciolti in massa tutti i consessi accademici operanti a quel tempo a Napoli, che travolse almeno altre sei illustri analoghe iniziative.
Vi è però dell'altro.
Nella descrizione che il Ruscelli fa del mecenate, si è voluto da più parti riconoscere quel Ferrante Sanseverino, Principe di Salerno e personalità tra le più influenti del tempo.
Bisogna sapere che tra costui (tra i Sanseverino in genere) ed il viceregno c'era guerra dichiarata, combattuta anche sul fronte diplomatico: il Sanseverino lavorò a lungo per mettere in cattiva luce il Viceré Pedro Alvarez de Toledo nei confronti dell'Imperatore Carlo V. La cosa non gli riuscì, portando a fallimento anche quella che pare fosse la sua mira principale: divenire a sua volta Re di Napoli. La sua caduta in disgrazia travolgerà anche eminenti rappresentanti della cultura partenopea: la destituzione di Scipione Capece dalla carica di direttore dell'Università e lo scioglimento dell'Accademia Pontaniana della quale a quel tempo egli era a capo, ne sono manifestazioni evidenti. Anche l'Accademia segreta del Ruscelli, caduto il Mecenate Sanseverino, dovette soccombere. Il Ruscelli fu costretto ad abbandonare precipitosamente il regno di Napoli nel timore di ritorsioni spagnole e si rifugiò a Venezia, dove dette alla luce il suo "Secreti nuovi". Il timore che suoi ulteriori scritti danneggiassero i vecchi compagni d'Accademia rimasti a Napoli, lo spinse a celarsi sotto lo pseudonimo di Alessio Piemontese. 'Alessio' Girolamo Ruscelli continuò dunque in modo anonimo l'attività di ricercatore spagirico esercitando la propria militanza nelle piazze, dove spesso si offrì di curare pazienti occasionali da gotta ed altri problemi, al fine di dare prova tangibile della bontà dei suoi composti. La sua figura non avrebbe avuto più la rilevanza che gli aveva donato quella sua creatura napoletana, l'Accademia Segreta.
1 commento:
Articolo veramente interessante esprime dettagliatamente l'argomento.
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