- L’archetipo dello Spirito – Anima
L’archetipo junghiano dello Spirito è un bisogno energetico della psiche che si attiva quando si presenta una situazione in cui la conoscenza personale, la razionalità o la semplice volontà non si rivelano sufficienti a risolvere l’esperienza che si prospetta, che potrà essere superata solo grazie ad un ampliamento di coscienza.
Di solito, si tratta di situazioni limite, spesso giudicate impossibili da risolvere perché prospettano la perdita obbligata di un qualcosa che è sentito come irrinunciabile da chi sta vivendo l’esperienza e che si trova come di fronte ad un bivio, ad un momento di dubbio o di paura, in cui appare difficile fare una scelta senza entrare in una dinamica psicologica paradossale. Ricordiamo infatti che gli Archetipi, così come li ha definiti Jung, contenendo in sé i contrari, sono polivalenti e paradossali perché prospettano “una pienezza di tali riferimenti che rende impossibile ogni univoca formulazione” e proprio perché la psiche va automaticamente verso la completezza, diventa anche necessario il lavoro d’integrazione per trovare quel punto di mezzo che consenta di dare comunque significato e profondo valore all’esperienza difficile che si sta vivendo. Lo Spirito infatti viene attinto direttamente dall’inconscio che, proprio perché atemporale ed aspaziale, è l’unico a poter fornire la risposta arcaica, istintiva ed immediata di come potrà essere risolta una situazione o uno stato d’animo che appaiono incomprensibili, ma soprattutto non gestibili facendo ricorso soltanto a parametri razionali.
Differenze tra Spirito e Anima. Interazione.
Potrebbe essere interessante riflettere sulla notevole differenza che esiste tra l’archetipo dello Spirito e l’altro grande archetipo junghiano dell’ Anima, l’immagine della donna nell’uomo, così come l’Animus è l’immagine dell’uomo nella donna; precisa Jung: “L’Anima è la figura che compensa l’energia maschile. L’Animus quella che compensa l’energia femminile”.
Spirito ed Anima sono entrambi collegati all’emisfero destro del cervello, quello preposto ad elaborare i contenuti collegati alla percezione delle emozioni e di ciò a cui rimandano i sensi. Infatti, se l’emisfero sinistro elabora le connessioni logiche e verbali, attraverso la ragione e la linearità della mente conscia, quello destro è inconscio, analogico e simbolico; è collegato alla fantasia, al mito, alla poesia, alle attitudini artistiche e musicali, all’intuizione. L’Anima è quindi la parte ricettiva della psiche che ha connotazioni prettamente femminili: è attenta al flusso emotivo, alle atmosfere, i ricordi, i sogni e l’immaginazione, ma anche in stretto contatto col mondo notturno e quanto esso rimanda, non esclusa l’irrazionalità. Scrive Jung: "Tutto quello che l’Anima tocca diventa numinoso, cioè assoluto, pericoloso, soggetto a tabù, magico; in quanto vuole la vita, l’Anima è conservatrice e si attiene in modo esasperante all’umanità antica”.
A differenza dell’ Anima, invece, lo Spirito è un archetipo dinamico con connotazioni essenzialmente maschili che aspira all’Unità. E’ un principio attivo che scuote e vivifica la mente, facendola entrare in contatto col potenziale intuitivo che scavalca non solo le statiche suggestioni dell’Anima, ma anche le strategie razionali che l’Io pone a difesa di se stesso, ed offre la risposta più appropriata all’esperienza inedita che si sta vivendo. Infatti, di solito ciò che attiva lo Spirito è il rivelarsi di situazioni improvvise ed estreme che portano la mente “fuori dal seminato”; portano l’individuo in un territorio inesplorato di emozioni e sensazioni sconosciute che non possono essere affrontate né con le soluzioni della mente conscia, né col quelle proposte dall’Anima, senza il rischio di trascinare l’individuo in una fase di stallo da cui non riuscirà ad uscire. Ricordo infatti che gli Archetipi dell’inconscio collettivo hanno in sé tutto il bene e tutto il male possibile dell’esperienza umana nei secoli e solo l’incontro della coscienza con l’inconscio personale può dare all’individuo la possibilità di disciplinare le irruzioni spontanee dell’inconscio collettivo, riconoscere quando servirsi della parte luce archetipica e quando visualizzare la parte ombra, perché possa essere illuminata e, solo dopo questo atto d’accettazione ed integrazione, trascesa. E, nella sua parte luce, l’Anima è davvero l’unica via per metterci in contatto con la nostra ispirazione creativa, le nostre profondità emotive, le passioni intense, per farci partecipare del flusso delle emozioni e delle percezioni, aprendo la porta ad un mondo immaginativo più sensibile ma proprio per questo più aderente alla totalità della realtà. L’archetipo, infatti, se pur strettamente femminile, non è un dato acquisito per la donna, così come scrive James Hillman, psicologo junghiano, nel suo “Anima”: “Ma la psiche, il senso dell’anima, non è data alla donna solo perché è nata femmina. Essa non ha un’anima già congenitamente salva e non è quindi privilegiata in questo rispetto all’uomo, che sul destino dell’anima deve arrovellarsi per tutta la vita. Come l’uomo, non è esonerata dal compito di coltivare l’anima; trascurare l’anima per lo spirito è per la donna non meno biasimevole dal punto di vista psicologico di quanto lo sia per l’uomo, al quale la psicologia analitica non si stanca di predicare il sacrificio dell’intelletto, della Persona e dell’estroversione a favore dell’Anima”. Possiamo comunque dire che la donna è più incline a restare in contatto con la sua Anima, perché se, come teorizza Jung, l’Animus è collegato al principio di Logos, messo in relazione alla capacità che c’è nell’uomo di risolvere ogni situazione della vita attraverso l’azione ragionata ed il pensiero, l’Anima è collegata al principio femminile di Eros e quindi alla capacità di entrare in empatia, di riconoscere il valore dei sentimenti e l’importanza di scambiare amore, ma anche di saper cogliere il senso profondo della vita. E nel suo “Fuochi Blu”, parlando dell’incontro tra Spirito ed Anima, così scrive Hillman : “È possibile avere esperienza dell’interazione tra l’anima e lo spirito. Nei momenti di concentrazione intellettuale o di meditazione trascendentale, è l’anima che invade con impulsi naturali, ricordi, fantasie e paure. In momenti di nuove intuizioni o esperienze psicologiche, lo spirito vorrebbe immediatamente estrarre da esse un significato, metterle all’opera, concettualizzarle in regole. L’anima resta aderente al regno dell’esperienza e alle riflessioni entro l’esperienza. Si muove indirettamente, con ragionamenti circolari, dove le ritirate sono altrettanto importanti delle avanzate; preferisce i labirinti e gli angoli, dà alla vita un senso metaforico servendosi di parole come chiuso, vicino, lento e profondo. L’anima ci coinvolge nella massa confusa dei fenomeni e nel flusso delle impressioni; è la parte «paziente» di noi. L’anima è vulnerabile e soffre; è passiva e ricorda. Essa è acqua per il fuoco dello spirito”. Ma se nel suo lato luce l’Anima fa accedere a sfumature più sottili e sensibili dell’esperienza, se riesce ad arricchire la coscienza di quella “competenza dei sentimenti” che non può trovarsi in una mente solo razionale, nel suo lato ombra può essere un principio destabilizzante che irrompe nella coscienza sommergendola come un’onda gigantesca e facendole perdere in un attimo l’aderenza alla realtà e quindi impedendole quella lucidità di pensiero e presenza a se stessi che la stessa condizione terrena esige. Leggiamo invece quanto scrive Hillman sullo Spirito: ”Lo Spirito è pieno di immagini sfolgoranti, di fuoco e di vento. Lo Spirito è rapido e rende vivo quello che tocca. La sua direzione è verticale ed ascendente; è diretto come una freccia, affilato come un coltello, arido come la polvere. E’ maschile, è il principio attivo che produce forme, ordine e distinzioni chiare. Sebbene vi siano molti Spiriti e molti tipi di Spirito, la nozione “spirito” è venuta concentrandosi nell’archetipo apollineo, nella sublimazione delle discipline superiori e astratte, nella mente intellettuale, negli stati di raggiunta perfezione e purificazione”. E’ per questo che, tanto quanto un’Anima ancora prigioniera dell’Ego può far indulgere la mente in fantasie e ricordi quasi ripiegandosi su se stessa per paura dell’ignoto; tanto quanto preferirebbe ritirarsi nei suoi territori antichi, che sembrano rassicurare e proteggere la mente dall’imprevisto e dall’imponderabile, altrettanto lo Spirito irrompe come un fulmine a ciel sereno che squarcia la coscienza e trascina la mente in un mondo tanto sconosciuto quanto affascinante; la chiama imperiosamente e le impedisce di sostare, la spinge a squarciare il velo protettivo dei ricordi e la proietta verso l’inesplorato, impedendole di elaborare l’esperienza sempre con le stesse modalità che non fornirebbero quella risposta lucida, logica ed immediata, che resta anche la migliore per risolvere l’esperienza stessa. Scrive ancora Hillman: “Se l’anima è un “cavernoso deposito di tesori”, per usare un’immagine di sant’Agostino, è confusione e ricchezza insieme, lo Spirito, al contrario, sceglie la parte migliore e si sforza di ricondurre tutto all’Uno. Guarda in alto – dice lo Spirito – distanziati; c’è qualcosa al di là e al di sopra e quello che sta sopra è da sempre e per sempre, ed è sempre superiore”. E’ per questo che lo Spirito è anche la parte immortale dell’essere umano: tanto quanto l’Anima ha il terrore della mortalità, altrettanto lo Spirito è l’unica via che può spalancare per lui la visione sull’Eterno, sulla sua spiritualità.
L’archetipo, con la sua linearità e verticalità, si innalza sopra i labirinti circolari dell’Anima e guida la mente nel futuro; dopo che l’Anima ha strutturato le sue basi emotive e i suoi attaccamenti, li ha riconosciuti, apprezzati ed amati come si ama la culla, lo Spirito prospetta un mondo nuovo, un balzo in avanti, un ampliamento in consapevolezza e verità. In più, tanto quanto le soluzioni soggettive dell’Anima potrebbero rivelarsi irrazionali, arbitrarie ed incoerenti, altrettanto quelle intuitive dello Spirito si presentano logiche e lineari nella loro semplicità; l’energia che si contatta è fortissima, la prospettiva da confusa si fa chiara. E’ quindi anche un archetipo che spinge a rintracciare e conoscere il senso superiore della vita e d’unione col Creato, perché libera l’individuo dai pregiudizi e convinzioni soggettive, lo libera dalle paure personali e quelle che derivano dai condizionamenti del collettivo, facendolo aprire ad una visione globale e più allargata dell’esistenza; gradualmente lo introduce a riflettere sull’arbitrarietà delle proprie conclusioni mentali e sulla necessità di lasciare andare le rigidità di pensiero che inevitabilmente chiudono al nuovo, quando è solo nel nuovo che si può trovare la risposta inedita e risolutiva all’inatteso che si prospetta, al mistero della vita. Lo Spirito chiama l’uomo “dal futuro”, anticipando per lui quella risposta ricca di senso che non potrà essere trovata né negli intellettualismi della mente razionale, né nel ripiegamento su se stessi, su un nostalgico e sterile passato. Solo dall’integrazione tra Spirito ed Anima, può nascere una nuova prospettiva di vita, quella che assicura all’individuo, sia uomo che donna, di mantenere il contatto con le sue radici emotive, ma contemporaneamente gli permette di dispiegare le sue ali verso la Verità.
Lo Spirito personificato.
Una personificazione esatta di questo bellissimo archetipo junghiano è certamente il “Vecchio Saggio”, o “Il Mago”, che ritroviamo nei miti, nelle leggende e nelle fiabe di tutti i tempi come figura di sostegno, che compare quasi sempre all’improvviso e si materializza dal nulla per fornire all’eroe, schiacciato da una condizione drammatica e spaventosa, la soluzione che gli permetterà di superare ciò che lo sta mettendo alla prova e che ferma in qualche modo il suo viaggio.
Lo Spirito è il dio Mercurio che si materializza ad Ulisse per esempio, quando gli dona “l’erba moli” perché si difenda dagli incantesimi dell’Anima Circe; lo Spirito è anche lo sconosciuto che incontrerà il protagonista della bellissima fiaba di H. C. Andersen “Il compagno di viaggio” e che lo aiuterà ad indovinare gli enigmi della spietata principessa e infine lo Spirito è il vecchio Matara che accompagna Karain nel racconto “Karain, un ricordo” di Joseph Conrad e che gli darà un amuleto, simbolo del bisogno di Karain stesso a ritrovare la fede. La figura del “Vecchio Saggio” è quindi una costante delle fiabe, che contengono riferimenti puntuali agli archetipi, così come leggiamo in Jung: “Le fiabe sono l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio collettivo e rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa”. Il Vecchio Saggio è di solito un personaggio maschile che compare all’eroe per dargli dei suggerimenti: gli indica per esempio un’altra via da seguire (non passare di là) o gli dona un qualcosa (una noce, un amuleto, una monetina) che gli permetterà il superamento della prova stessa, rimettendo l’eroe in contatto con la sua forza originaria e con la certezza di potercela fare. Solo seguendo questo personaggio e quanto gli suggerirà, o gli donerà, o farà balenare in lui grazie a una qualsiasi forma d’aiuto, l’eroe sarà costretto a riconoscere che, nonostante la sua forza e il suo coraggio, nonostante lui goda di conoscenza, sapienza e scaltrezza, nonostante lui sia munito di tutte le armi possibili per potersi difendere e nonostante le strategie razionali che escogiterà la sua mente, non potrà contare solo sulle sue forze, non potrà risolvere da solo la prova. E’ proprio l’attimo di sgomento ed il riconoscimento consapevole della propria fragilità che smuoverà ed attiverà quasi immediatamente nella mente la visualizzazione di quest’archetipo, che traghetterà l’eroe oltre il momento critico che sta vivendo. Secondo Jung, l’eroe può definirsi tale non solo se le sue azioni andranno oltre il tornaconto personale, ma soprattutto se passerà attraverso quest’atto di riconoscimento, attraverso l’accettazione della sua fallibilità e della necessità di ricercare un aiuto all’esterno, di un qualcosa che sia posto “fuori” di lui e cioè fuori dalla sua sfera di controllo. E’ chiaro che l’aiuto “esterno” non è altri che lo specchio dell’accettazione interna della sua capacità di resa; non è altri che il riconoscimento che sia possibile un fallimento, una rimessa in discussione delle proprie certezze, che l’hanno sostenuto, forse per una vita intera e che è tempo di rivedere. E’ l’individuo/eroe stesso che, raccogliendo tutte le sue forze e pescando dal “pozzo fondo” del suo inconscio personale, in stretto contatto col grande mare dell’inconscio collettivo, ma anche riconoscendo i limiti del suo essere uomo, potrà agganciare attraverso lo Spirito liberato una nuova energia che si rende disponibile perché non più bloccata dall’ostinazione, dall’orgoglio e dalla presunzione di poter risolvere solo con la volontà, col sapere e col potere personale ciò che sta vivendo. Ma neanche bloccato dalle ombre della sua Anima, dove sedimentano le sue più antiche paure. Questa figura magica può anche animare il mondo dei sogni, che è il tesoro più bello del mondo dell’Anima. La buona volontà e disposizione ad accedere a queste dimensioni più sottili della percezione, quella che gli orientali chiamano “la seconda attenzione” per distinguerla dalla “prima attenzione” legata solo ai sensi e a risposte prettamente mentali, può permettere all’individuo di entrare in contatto con un ricco mondo onirico ed immaginativo in grado di traghettarlo in un viaggio di conoscenza, dove incontrare personaggi e figure simboliche, che possano fornirgli la motivazione di ciò che lo affligge nella vita ordinaria, permettendogli di contattare lo straordinario che c’è dentro di lui, il soprannaturale, il trascendentale, la sua spiritualità. Un vero e proprio “balzo di fede”, dove il termine “fede” non è certo collegato a questa o quella confessione religiosa, non è solo un credo dogmatico in cui riconoscersi e potersi identificare, ma piuttosto una filosofia di vita che permetta all’individuo di rintracciare in se stesso il senso superiore della sua esistenza, quello spirituale, in sinergia perfetta non solo col proprio destino, ma con quello dell’intero Creato; è un invito ad avere fiducia e a “guardare lontano”, mantenendo però il contatto col proprio “vicino”, col proprio centro interiore, il Sé junghiano, che è anche la totalità; solo così l’uomo scoprirà la sua religiosità, dal latino “religere” e cioè “riunire” gli opposti interni, i dualismi, i paradossi e le ambivalenze che coabitano nella sua natura, riuscendo a trovare quel punto d’incontro che gli permetterà di elaborare i contenuti rimossi ed appianare le sue tensioni, ma soprattutto di conoscere chi è, cosa vuole davvero il suo cuore e come fare per raggiungerlo. “Vocatus atque non vocatus deus aderit, cercato o no il dio verrà”, farà scrivere Jung sul frontone della sua casa. Una volta interrogato sul significato di questa citazione, Jung spiegherà in un’intervista: “Non è una dichiarazione di fede cristiana. Risale all’oracolo di Delfi e la parola dio va intesa come “domanda ultima”. Misi quell’iscrizione per ricordare ai miei pazienti e a me stesso che il timore di Dio è l’inizio della sapienza; tutti i fenomeni religiosi, che non siano meri rituali della Chiesa, sono strettamente intrecciati con le emozioni”. Lo Spirito è quindi il bisogno imprescindibile di ogni creatura di “voler credere” in se stessa e nella vita, prima che in qualcosa posto fuori di lei; è il riconoscimento non passivo ma collaborativo col fluire stesso della vita, che diventa così l’unica depositaria della Verità superiore. Leggiamo ancora Jung: “Il vecchio Saggio appare nei sogni come medico, mago, sacerdote, maestro, professore o persona comunque autorevole. L’archetipo dello Spirito in forma di uomo anziano o gnomo o animale si presenta sempre in una situazione in cui perspicacia, intelligenza, senno, decisione, pianificazione ecc. sarebbero necessari, ma non possono provenire dai propri mezzi. L’archetipo compensa questo stato di carenza con contenuti capaci di colmare la lacuna”. E’ per questo che l’attivazione dello Spirito va spesso di pari passo con il manifestarsi di tappe evolutive obbligate e momenti molto particolari dell’esistenza, spesso accompagnati da stati di confusione o di perdita di certezze o in quelle fasi di passaggio in cui “non si è più quello che si era, ma non si è ancora diventati quello che si sarà”: dall’infanzia all’adolescenza innanzitutto, dalla giovinezza alla maturità, nei momenti in cui si diventa madre o padre, nei momenti in cui c’è una scelta importante da fare, una malattia o una perdita da affrontare, fino allo stadio conclusivo della vecchiaia e del declino. Ma come tutti gli archetipi, anche quello dello Spirito ha un’ombra che può farsi altamente pericolosa e fuorviante; è quando l’archetipo si distorce e spinge l’individuo verso idee fisse, ostinazioni mentali, idealizzazioni ed illusorie visioni che indulgono in fantasie utopiche e senza senso; è quando lo fa smarrire nel deserto dell’intellettualismo, dell’Animus più negativo, dove vagherà in cerca di luce; lo Spirito diventa “Il Briccone” o “Il Mago folle” che lo inganna e lo induce a pensare che può contare sulla sua scaltrezza e potere della mente per perseguire scelte individualistiche e solo personali, oppure che lo illude a negare la realtà immanente per potersi rifugiare in un mondo irreale ed artefatto, il mondo delle ombre dell’Anima… dove non sarà costretto ad affrontare il complesso delle proprie paure, ma dove anche non avverrà nemmeno l’incontro con se stesso e con la propria essenza più vera. Solo la luce dello Spirito può spingere all’incontro con se stessi, può farci dubitare che possiamo essere molto diversi da quello che pensiamo, da come ci vediamo o vogliamo ci vedano gli altri, ma può anche farci comprendere che possiamo essere molto di più. Ma se è troppo forte la paura della verità su se stessi, se è troppo forte la sensazione di non essere all’altezza di questa “chiamata”, sarà la parte negativa dell’Anima e le sue seduzioni antiche a vincere sullo Spirito; e l’acqua spegnerà il fuoco e il fuoco farà terra bruciata; “la porta sulla vita” rimarrà chiusa e sarà come impantanarsi per antiche vie, un tornare indietro perché andare avanti presupporrebbe anche un atto di coraggio che non si è ancora tanto forti da poter fare.
La Grande Madre – La Sophia
Lo Spirito, che è presente indifferentemente nell’uomo e nella donna, non è solo rintracciabile nell’archetipo del “Vecchio Saggio”, del “Mago” o di altri personaggi spiccatamente maschili, lo si può infatti facilmente individuare anche nella sua forma femminile, presente tanto nell’uomo quanto nella donna: è l’archetipo della “Magna Mater”, la “Grande Madre”, la “Madre Terra”.
Anche quest’archetipo, così come quello dello Spirito ha due facce da illuminare; infatti, se nella sua forma luce, è riassuntivo della totalità del femminile e della sua capacità di esprimere una completa integrità; se è l’espressione più bella del senso materno e della capacità di nutrire, proteggere ed amare le proprie creature attraverso la compassione e l’accettazione incondizionata del loro essere; “amarle per come sono”, senza pretendere che diventino “altro”, il suo lato ombra è oscuro e terrificante, è quello che genera maggiore angoscia ed inquietudine, quello che sottrae tranquillità, anziché aggiungere sostegno e comprensione. E’ il “drago divorante” simbolo di un contenuto femminile avido e bramoso di trovare identità attraverso le conferme che arrivano dall’esterno, spesso da un ruolo, che viene usato per colmare non solo le proprie inadeguatezze, ma anche la mancanza di coraggio di offrirsi ad un’esperienza di vita partecipata e soprattutto personale. Infatti, tanto quanto lo Spirito può diventare visionario e velleitario nell’attimo in cui l’individuo si fa prendere da conclusioni arbitrarie e soggettive, altrettanto la “Grande Madre” si fa divorante e castrante di una individualità a cui viene impedito di esprimersi in autonomia, di scegliere cosa fare della propria via, quando solo lo scegliere in prima persona può insegnare a prendersi la responsabilità, nel bene e nel male, delle scelte fatte. Una volta invece che l’archetipo sia stato illuminato nelle sue parti ombra, una volta che si sia stato trasformato e “reso sacro” dal rispetto per l’altrui individualità; una volta che abbia incontrato l’altro e lo abbia rispettato come creatura di Dio; una volta che non venga più proiettato all’esterno, soprattutto da parte dell’uomo, delegando alle figure femminili un ruolo che le mortifica nella loro interezza, può mettere in luce l’aspetto più evoluto del femminile, quello della Madre dispensatrice di vita che, dopo aver generato a livello fisico, garantisce una nascita anche a livello psicologico alla sua creatura; è lei che permette allo Spirito di potersi manifestare, perché è lei stessa Spirito che fa elevare da una condizione solo materiale ad uno stadio mistico e trascendentale, è lei che può fornire all’individuo la risposta intuitiva e contemporaneamente saggia per scoprire la sua spiritualità.
E’ così che la donna e l’uomo, onorando da dentro la radice femminile che vibra in entrambi e quindi restando in contatto con la propria Anima, possono diventare “madri di se stessi”, senza aspettare o pretendere che arrivi qualcun altro da fuori, uomo o donna che sia, a farlo al posto loro. Una volta che si abbia la buona volontà e la disposizione coraggiosa dell’animo a quest’analisi, che si sia disposti ad accettarsi, perdonarsi e rassicurarsi in prima persona, ma anche migliorarsi in ciò che va cambiato perché non più in linea con la naturale tensione al Divino, la Grande Madre può trasformarsi in Sophia, l’archetipo della Saggezza e dello Spirito femminile, l’emblema dell’autotrasformazione, uno dei simboli più potenti che s’incontri nell’Arte alchemica. Erich Neumann in Die grosse Mutter (La Grande Madre) parla così di Sophia: "Nella parte femminile dell’inconscio che genera, nutre, protegge e trasforma, agisce una saggezza infinitamente superiore alla saggezza della coscienza diurna, che interviene nella vita degli uomini come origine di visione e simbolo, rito e legge, poesia e contemplazione della verità, liberatoria e orientativa, spontanea. Questa saggezza femminile-materna è una saggezza di amorevole simpatia, non una scienza astratta e incapace di interesse. Così come l’inconscio reagisce e risponde, così Sophia è viva, presente e vicina, una dea che ama ed è sempre accanto a noi, cui ci si può sempre rivolgere e che è pronta ad intervenire, non una dea che si mostra irraggiungibile, nella sua lontananza luminosa e solitaria. Perciò Sophia, come forza spirituale, è piena d’amore e salvifica, il suo cuore generoso porta contemporaneamente sapienza e nutrimento." La Sophia, prendendo vita dalla “Grande Madre”, proprio perché ingloba dentro di sé il materno, non rischia mai di diventare pura astrazione o farci perdere nei meandri di un sapere freddo ed interessato, né ci costringe dentro i confini di un Logos che si fa sterile e lontano, ma è presente e vicina, andando oltre il materno, è fonte di vera vita, è colei che conduce verso la liberazione e la piena espressione del Sé interiore.
E’ quindi un archetipo specifico dell’Anima cognitiva dell’uomo e della donna; una custode delle verità nascoste e dei principi universali, collegati ai valori etici e alla ricerca spirituale a cui aspira ogni creatura e che possono emergere ed essere affinati soltanto intraprendendo un viaggio, quello di ricerca verso il proprio Sé.
L’Immaginazione attiva
Jeffrey Raff, che è stato alunno di Jung a Zurigo, nel suo “Jung e l’immaginario alchemico”, attraverso l’elencazione dei vari emblemi alchemici, insiste sulla necessità di approfondire l’importanza del simbolo come strumento di riconnessione tra il razionale e l’irrazionale, tra il conscio e l’inconscio, tra Animus ed Anima, servendosi di quella che Jung chiamava “Immaginazione attiva”, una tecnica molto diversa da quella delle “libere associazioni” creata da Freud. Il metodo dell’Immaginazione attiva infatti, applicato al mondo onirico per esempio, punta su un dialogo immaginale tra l’Io ed i contenuti dell’inconscio, non rifiutando ciò che emerge come irrazionale, ma accogliendolo ed interagendo con lui. Assumendo una posizione attiva che permetterà di raggiungere un piano intermedio di confronto immaginale, non del tutto conscio né solo inconscio, si potranno anche visualizzare e dipanare i contenuti opposti che provocano tensione. Attraverso l’immaginazione attiva, alla quale si può accedere anche attraverso la meditazione e l’incontro con la propria interiorità, ci si può sintonizzare sull’ascolto di alcune parti inconsce che stentano ad entrare in contatto con la coscienza; si possono approfondire lati della propria natura collegati ai vari archetipi e la capacità di riconoscere quale attivare in quel momento dell’esperienza e quale mettere a tacere. Attraverso il confronto etico tra l’Io e l’inconscio, si può trascendere la tensione che si genera tra gli opposti (Funzione Trascendente) e permettere un ampliamento di coscienza che ricomponga i contrari in una sintesi completamente nuova. Solo attraverso la Funzione Trascendente, si può giungere ad una visione “alta” che permetta anche di operare una scelta che non sia collegata solo a valutazioni razionali o a schemi collettivi, che imprigionano la tensione innata verso l’individuazione. E’ molto bella a questo proposito la distinzione che Raff fa tra fantasia ed immaginazione attiva, così come leggiamo dal libro: “L’immaginazione, trascendendo l’Ego, è il mezzo col quale l’anima fa esperienza di Dio e partecipa dell’espressione creativa del Divino. La fantasia invece non trascende mai l’Ego; in quello che si fantastica (il raggiungimento di ricchezze o il successo nel lavoro, ecc.) non si contatta lo Spirito interiore, c’è solo la messa in scena di desideri dell’Ego, di un’immagine dopo l’altra per trastullarsi, divertirsi o anche spaventarsi: l’Ego è sempre la star dello spettacolo. Nell’esperienza immaginativa, invece, l’Ego incontra “l’Altro”, deve trascendere le proprie idee ed avventurarsi nell’ignoto. E’ per questo che, se la fantasia dà spesso luogo a delusione, inflazione e stagnazione, l’immaginazione dà vita ad intuizioni, a trasformazioni vere e proprie. Senza l’aiuto delle forze immaginative, non c’è alcun modo per arrivare al Sé”. Questo era anche il pensiero di Jacob Bohme, mistico del XVI secolo che, se pur non dedito all’alchimia, utilizzò la terminologia ed i simboli alchemici per chiarire meglio il suo pensiero. L’ “Immaginazione Divina”, così come lui definiva la Sophia, aveva un ruolo fondamentale nel suo pensiero, come simbolo guida per condurre alla redenzione e alla partecipazione col Divino. In questo emblema alchemico, l’Atalanta Fugiens di Michael Maier (1618), la Saggezza guida l’alchimista attraverso le orme sulla sabbia che lascia al suo passare; è un femminile ricco d’abbondanza e creatività, simboleggiato dai fiori e dai frutti che regge in mano, mentre l’alchimista la segue, sorreggendosi sul suo bastone, alla luce della sua lanterna. Si tratta quindi di una forza transpersonale, compassionevole e creativa, ma anche “principio ordinatore”, in astrologia si direbbe “di Terra”, perché strettamente collegato al riconoscimento dell’importanza da dare ai cicli della vita, il rispetto da dare alla natura, perché solo così per l’uomo ci può essere salvezza. E se nel mondo occidentale e nel mito giudaico cristiano il valore/archetipo di un femminile-Spirito si è perso perché si è voluto riconoscere nella Madonna solo un potenziale essenzialmente materno, di soccorso e rifugio nelle prove, nel mondo orientale la Sophia è viva e ben rappresentata dalla Tara Verde del buddismo tibetano (dal sanscrito: “colei che conduce sull’altra sponda”), che si impone come forze energetica primordiale della totalità del femminile, perchè simboleggia la forma più evoluta della tensione della trasformazione energetica verso l’unità, risolvendo il dualismo degli opposti, a tal punto che, come Prajnaparamita – Saggezza intuitiva e conoscenza perfetta – è ritenuta avere priorità persino sul Buddha stesso. “Benchè per sua natura Tara sia pacifica ed il suo viso, attraente come un loto sbocciato, esprima dolcezza e serenità, al fine di sottomettere e sconfiggere le forze del male assume un’espressione fiera, corrucciata ed accigliata per l’ira e lo sdegno contro le negatività. In realtà, le apparizioni pacifiche e furiose di una medesima divinità non sono che due aspetti di una sola ed identica realtà : pace e furore non si escludono a vicenda, ma sono debitori l’un dell’altro, perché se ci si aggrappasse solo alla bellezza e si escludesse il terrore dalla propria mente non si potrebbe pervenire alla non-dualità”. Secondo la filosofia orientale quindi, la dea è vista come artefice dell’illuminazione stessa, quando si diviene intuitivamente consci della Shunyata, la vacuità che ingloba e trascende i contrari, al punto che Tara si identifica col Nirvana stesso e la possibilità di estinguere la Samsara, il doloroso ciclo di nascite e rinascite cui, secondo gli orientali, è legato il destino terreno.
La Sophia nel cinema
Solo per fare un esempio, la personificazione di Sophia nel cinema si potrebbe trovare nel bellissimo film del 2003 “Ritorno a Cold Mountain”, di Antony Minghella, nella figura della vecchia eremita che il soldato Inman incontra nel suo viaggio di ritorno verso Cold Mountain, dove l’aspetta l’amata Ada, simbolo della sua Anima da ricontattare. E’ una vecchia saggia, che vive solitaria all’interno di un bosco, in un mondo selvaggio ma ospitale, e che accoglie senza timori Inman e lo soccorre, curandolo e conservandolo in vita con le sue erbe medicamentose, mentre riversa su di lui un grande senso materno che non la fa interrogare se sia un amico da aiutare o un potenziale nemico da cui difendersi; la vecchia saggia esprime contemporaneamente la compassione della Grande Madre per ogni creatura e la saggezza della Sophia, di colei che, come donna, “sa” della vita; infatti, dopo averlo curato e nutrito, lo mette in guardia sui possibili pericoli che potrebbe incontrare nel viaggio verso casa e gli infonde un coraggio nuovo, perché lo fa rientrare in contatto col suo coraggio, con la sua saggezza, col suo potere intuitivo, col suo credere in se stesso e quindi gli fornisce la soluzione giusta che lui non avrebbe potuto trovare in se stesso per superare quel momento di paura. Per concludere, penso che in questa frase dell’analista junghiano Aldo Carotenuto (1933-2005): “Incoerenza ed ambivalenza rappresentano la regola e non l’eccezione”, possa essere importante riflettere sulla naturalezza del manifestarsi nella psiche di sentimenti e bisogni contrastanti, da non rifiutare ma accogliere come strettamente collegati alla natura umana, alla dialettica tra spirito e materia, tra ragione e sentimento. Solo il riconoscimento di questa ambivalenza come molla evolutiva della propria crescita spirituale ed il successivo impegno al miglioramento di ciò che deve essere modificato, può essere giudicato “progresso” e cioè la possibilità di andare avanti sulla strada evolutiva ed accogliere il viaggio terreno come una Grazia di Dio che può rendere sacro il cammino di ogni creatura.
Francesca Piombo
Di solito, si tratta di situazioni limite, spesso giudicate impossibili da risolvere perché prospettano la perdita obbligata di un qualcosa che è sentito come irrinunciabile da chi sta vivendo l’esperienza e che si trova come di fronte ad un bivio, ad un momento di dubbio o di paura, in cui appare difficile fare una scelta senza entrare in una dinamica psicologica paradossale. Ricordiamo infatti che gli Archetipi, così come li ha definiti Jung, contenendo in sé i contrari, sono polivalenti e paradossali perché prospettano “una pienezza di tali riferimenti che rende impossibile ogni univoca formulazione” e proprio perché la psiche va automaticamente verso la completezza, diventa anche necessario il lavoro d’integrazione per trovare quel punto di mezzo che consenta di dare comunque significato e profondo valore all’esperienza difficile che si sta vivendo. Lo Spirito infatti viene attinto direttamente dall’inconscio che, proprio perché atemporale ed aspaziale, è l’unico a poter fornire la risposta arcaica, istintiva ed immediata di come potrà essere risolta una situazione o uno stato d’animo che appaiono incomprensibili, ma soprattutto non gestibili facendo ricorso soltanto a parametri razionali.
Differenze tra Spirito e Anima. Interazione.
Potrebbe essere interessante riflettere sulla notevole differenza che esiste tra l’archetipo dello Spirito e l’altro grande archetipo junghiano dell’ Anima, l’immagine della donna nell’uomo, così come l’Animus è l’immagine dell’uomo nella donna; precisa Jung: “L’Anima è la figura che compensa l’energia maschile. L’Animus quella che compensa l’energia femminile”.
Spirito ed Anima sono entrambi collegati all’emisfero destro del cervello, quello preposto ad elaborare i contenuti collegati alla percezione delle emozioni e di ciò a cui rimandano i sensi. Infatti, se l’emisfero sinistro elabora le connessioni logiche e verbali, attraverso la ragione e la linearità della mente conscia, quello destro è inconscio, analogico e simbolico; è collegato alla fantasia, al mito, alla poesia, alle attitudini artistiche e musicali, all’intuizione. L’Anima è quindi la parte ricettiva della psiche che ha connotazioni prettamente femminili: è attenta al flusso emotivo, alle atmosfere, i ricordi, i sogni e l’immaginazione, ma anche in stretto contatto col mondo notturno e quanto esso rimanda, non esclusa l’irrazionalità. Scrive Jung: "Tutto quello che l’Anima tocca diventa numinoso, cioè assoluto, pericoloso, soggetto a tabù, magico; in quanto vuole la vita, l’Anima è conservatrice e si attiene in modo esasperante all’umanità antica”.
A differenza dell’ Anima, invece, lo Spirito è un archetipo dinamico con connotazioni essenzialmente maschili che aspira all’Unità. E’ un principio attivo che scuote e vivifica la mente, facendola entrare in contatto col potenziale intuitivo che scavalca non solo le statiche suggestioni dell’Anima, ma anche le strategie razionali che l’Io pone a difesa di se stesso, ed offre la risposta più appropriata all’esperienza inedita che si sta vivendo. Infatti, di solito ciò che attiva lo Spirito è il rivelarsi di situazioni improvvise ed estreme che portano la mente “fuori dal seminato”; portano l’individuo in un territorio inesplorato di emozioni e sensazioni sconosciute che non possono essere affrontate né con le soluzioni della mente conscia, né col quelle proposte dall’Anima, senza il rischio di trascinare l’individuo in una fase di stallo da cui non riuscirà ad uscire. Ricordo infatti che gli Archetipi dell’inconscio collettivo hanno in sé tutto il bene e tutto il male possibile dell’esperienza umana nei secoli e solo l’incontro della coscienza con l’inconscio personale può dare all’individuo la possibilità di disciplinare le irruzioni spontanee dell’inconscio collettivo, riconoscere quando servirsi della parte luce archetipica e quando visualizzare la parte ombra, perché possa essere illuminata e, solo dopo questo atto d’accettazione ed integrazione, trascesa. E, nella sua parte luce, l’Anima è davvero l’unica via per metterci in contatto con la nostra ispirazione creativa, le nostre profondità emotive, le passioni intense, per farci partecipare del flusso delle emozioni e delle percezioni, aprendo la porta ad un mondo immaginativo più sensibile ma proprio per questo più aderente alla totalità della realtà. L’archetipo, infatti, se pur strettamente femminile, non è un dato acquisito per la donna, così come scrive James Hillman, psicologo junghiano, nel suo “Anima”: “Ma la psiche, il senso dell’anima, non è data alla donna solo perché è nata femmina. Essa non ha un’anima già congenitamente salva e non è quindi privilegiata in questo rispetto all’uomo, che sul destino dell’anima deve arrovellarsi per tutta la vita. Come l’uomo, non è esonerata dal compito di coltivare l’anima; trascurare l’anima per lo spirito è per la donna non meno biasimevole dal punto di vista psicologico di quanto lo sia per l’uomo, al quale la psicologia analitica non si stanca di predicare il sacrificio dell’intelletto, della Persona e dell’estroversione a favore dell’Anima”. Possiamo comunque dire che la donna è più incline a restare in contatto con la sua Anima, perché se, come teorizza Jung, l’Animus è collegato al principio di Logos, messo in relazione alla capacità che c’è nell’uomo di risolvere ogni situazione della vita attraverso l’azione ragionata ed il pensiero, l’Anima è collegata al principio femminile di Eros e quindi alla capacità di entrare in empatia, di riconoscere il valore dei sentimenti e l’importanza di scambiare amore, ma anche di saper cogliere il senso profondo della vita. E nel suo “Fuochi Blu”, parlando dell’incontro tra Spirito ed Anima, così scrive Hillman : “È possibile avere esperienza dell’interazione tra l’anima e lo spirito. Nei momenti di concentrazione intellettuale o di meditazione trascendentale, è l’anima che invade con impulsi naturali, ricordi, fantasie e paure. In momenti di nuove intuizioni o esperienze psicologiche, lo spirito vorrebbe immediatamente estrarre da esse un significato, metterle all’opera, concettualizzarle in regole. L’anima resta aderente al regno dell’esperienza e alle riflessioni entro l’esperienza. Si muove indirettamente, con ragionamenti circolari, dove le ritirate sono altrettanto importanti delle avanzate; preferisce i labirinti e gli angoli, dà alla vita un senso metaforico servendosi di parole come chiuso, vicino, lento e profondo. L’anima ci coinvolge nella massa confusa dei fenomeni e nel flusso delle impressioni; è la parte «paziente» di noi. L’anima è vulnerabile e soffre; è passiva e ricorda. Essa è acqua per il fuoco dello spirito”. Ma se nel suo lato luce l’Anima fa accedere a sfumature più sottili e sensibili dell’esperienza, se riesce ad arricchire la coscienza di quella “competenza dei sentimenti” che non può trovarsi in una mente solo razionale, nel suo lato ombra può essere un principio destabilizzante che irrompe nella coscienza sommergendola come un’onda gigantesca e facendole perdere in un attimo l’aderenza alla realtà e quindi impedendole quella lucidità di pensiero e presenza a se stessi che la stessa condizione terrena esige. Leggiamo invece quanto scrive Hillman sullo Spirito: ”Lo Spirito è pieno di immagini sfolgoranti, di fuoco e di vento. Lo Spirito è rapido e rende vivo quello che tocca. La sua direzione è verticale ed ascendente; è diretto come una freccia, affilato come un coltello, arido come la polvere. E’ maschile, è il principio attivo che produce forme, ordine e distinzioni chiare. Sebbene vi siano molti Spiriti e molti tipi di Spirito, la nozione “spirito” è venuta concentrandosi nell’archetipo apollineo, nella sublimazione delle discipline superiori e astratte, nella mente intellettuale, negli stati di raggiunta perfezione e purificazione”. E’ per questo che, tanto quanto un’Anima ancora prigioniera dell’Ego può far indulgere la mente in fantasie e ricordi quasi ripiegandosi su se stessa per paura dell’ignoto; tanto quanto preferirebbe ritirarsi nei suoi territori antichi, che sembrano rassicurare e proteggere la mente dall’imprevisto e dall’imponderabile, altrettanto lo Spirito irrompe come un fulmine a ciel sereno che squarcia la coscienza e trascina la mente in un mondo tanto sconosciuto quanto affascinante; la chiama imperiosamente e le impedisce di sostare, la spinge a squarciare il velo protettivo dei ricordi e la proietta verso l’inesplorato, impedendole di elaborare l’esperienza sempre con le stesse modalità che non fornirebbero quella risposta lucida, logica ed immediata, che resta anche la migliore per risolvere l’esperienza stessa. Scrive ancora Hillman: “Se l’anima è un “cavernoso deposito di tesori”, per usare un’immagine di sant’Agostino, è confusione e ricchezza insieme, lo Spirito, al contrario, sceglie la parte migliore e si sforza di ricondurre tutto all’Uno. Guarda in alto – dice lo Spirito – distanziati; c’è qualcosa al di là e al di sopra e quello che sta sopra è da sempre e per sempre, ed è sempre superiore”. E’ per questo che lo Spirito è anche la parte immortale dell’essere umano: tanto quanto l’Anima ha il terrore della mortalità, altrettanto lo Spirito è l’unica via che può spalancare per lui la visione sull’Eterno, sulla sua spiritualità.
L’archetipo, con la sua linearità e verticalità, si innalza sopra i labirinti circolari dell’Anima e guida la mente nel futuro; dopo che l’Anima ha strutturato le sue basi emotive e i suoi attaccamenti, li ha riconosciuti, apprezzati ed amati come si ama la culla, lo Spirito prospetta un mondo nuovo, un balzo in avanti, un ampliamento in consapevolezza e verità. In più, tanto quanto le soluzioni soggettive dell’Anima potrebbero rivelarsi irrazionali, arbitrarie ed incoerenti, altrettanto quelle intuitive dello Spirito si presentano logiche e lineari nella loro semplicità; l’energia che si contatta è fortissima, la prospettiva da confusa si fa chiara. E’ quindi anche un archetipo che spinge a rintracciare e conoscere il senso superiore della vita e d’unione col Creato, perché libera l’individuo dai pregiudizi e convinzioni soggettive, lo libera dalle paure personali e quelle che derivano dai condizionamenti del collettivo, facendolo aprire ad una visione globale e più allargata dell’esistenza; gradualmente lo introduce a riflettere sull’arbitrarietà delle proprie conclusioni mentali e sulla necessità di lasciare andare le rigidità di pensiero che inevitabilmente chiudono al nuovo, quando è solo nel nuovo che si può trovare la risposta inedita e risolutiva all’inatteso che si prospetta, al mistero della vita. Lo Spirito chiama l’uomo “dal futuro”, anticipando per lui quella risposta ricca di senso che non potrà essere trovata né negli intellettualismi della mente razionale, né nel ripiegamento su se stessi, su un nostalgico e sterile passato. Solo dall’integrazione tra Spirito ed Anima, può nascere una nuova prospettiva di vita, quella che assicura all’individuo, sia uomo che donna, di mantenere il contatto con le sue radici emotive, ma contemporaneamente gli permette di dispiegare le sue ali verso la Verità.
Lo Spirito personificato.
Una personificazione esatta di questo bellissimo archetipo junghiano è certamente il “Vecchio Saggio”, o “Il Mago”, che ritroviamo nei miti, nelle leggende e nelle fiabe di tutti i tempi come figura di sostegno, che compare quasi sempre all’improvviso e si materializza dal nulla per fornire all’eroe, schiacciato da una condizione drammatica e spaventosa, la soluzione che gli permetterà di superare ciò che lo sta mettendo alla prova e che ferma in qualche modo il suo viaggio.
Lo Spirito è il dio Mercurio che si materializza ad Ulisse per esempio, quando gli dona “l’erba moli” perché si difenda dagli incantesimi dell’Anima Circe; lo Spirito è anche lo sconosciuto che incontrerà il protagonista della bellissima fiaba di H. C. Andersen “Il compagno di viaggio” e che lo aiuterà ad indovinare gli enigmi della spietata principessa e infine lo Spirito è il vecchio Matara che accompagna Karain nel racconto “Karain, un ricordo” di Joseph Conrad e che gli darà un amuleto, simbolo del bisogno di Karain stesso a ritrovare la fede. La figura del “Vecchio Saggio” è quindi una costante delle fiabe, che contengono riferimenti puntuali agli archetipi, così come leggiamo in Jung: “Le fiabe sono l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio collettivo e rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa”. Il Vecchio Saggio è di solito un personaggio maschile che compare all’eroe per dargli dei suggerimenti: gli indica per esempio un’altra via da seguire (non passare di là) o gli dona un qualcosa (una noce, un amuleto, una monetina) che gli permetterà il superamento della prova stessa, rimettendo l’eroe in contatto con la sua forza originaria e con la certezza di potercela fare. Solo seguendo questo personaggio e quanto gli suggerirà, o gli donerà, o farà balenare in lui grazie a una qualsiasi forma d’aiuto, l’eroe sarà costretto a riconoscere che, nonostante la sua forza e il suo coraggio, nonostante lui goda di conoscenza, sapienza e scaltrezza, nonostante lui sia munito di tutte le armi possibili per potersi difendere e nonostante le strategie razionali che escogiterà la sua mente, non potrà contare solo sulle sue forze, non potrà risolvere da solo la prova. E’ proprio l’attimo di sgomento ed il riconoscimento consapevole della propria fragilità che smuoverà ed attiverà quasi immediatamente nella mente la visualizzazione di quest’archetipo, che traghetterà l’eroe oltre il momento critico che sta vivendo. Secondo Jung, l’eroe può definirsi tale non solo se le sue azioni andranno oltre il tornaconto personale, ma soprattutto se passerà attraverso quest’atto di riconoscimento, attraverso l’accettazione della sua fallibilità e della necessità di ricercare un aiuto all’esterno, di un qualcosa che sia posto “fuori” di lui e cioè fuori dalla sua sfera di controllo. E’ chiaro che l’aiuto “esterno” non è altri che lo specchio dell’accettazione interna della sua capacità di resa; non è altri che il riconoscimento che sia possibile un fallimento, una rimessa in discussione delle proprie certezze, che l’hanno sostenuto, forse per una vita intera e che è tempo di rivedere. E’ l’individuo/eroe stesso che, raccogliendo tutte le sue forze e pescando dal “pozzo fondo” del suo inconscio personale, in stretto contatto col grande mare dell’inconscio collettivo, ma anche riconoscendo i limiti del suo essere uomo, potrà agganciare attraverso lo Spirito liberato una nuova energia che si rende disponibile perché non più bloccata dall’ostinazione, dall’orgoglio e dalla presunzione di poter risolvere solo con la volontà, col sapere e col potere personale ciò che sta vivendo. Ma neanche bloccato dalle ombre della sua Anima, dove sedimentano le sue più antiche paure. Questa figura magica può anche animare il mondo dei sogni, che è il tesoro più bello del mondo dell’Anima. La buona volontà e disposizione ad accedere a queste dimensioni più sottili della percezione, quella che gli orientali chiamano “la seconda attenzione” per distinguerla dalla “prima attenzione” legata solo ai sensi e a risposte prettamente mentali, può permettere all’individuo di entrare in contatto con un ricco mondo onirico ed immaginativo in grado di traghettarlo in un viaggio di conoscenza, dove incontrare personaggi e figure simboliche, che possano fornirgli la motivazione di ciò che lo affligge nella vita ordinaria, permettendogli di contattare lo straordinario che c’è dentro di lui, il soprannaturale, il trascendentale, la sua spiritualità. Un vero e proprio “balzo di fede”, dove il termine “fede” non è certo collegato a questa o quella confessione religiosa, non è solo un credo dogmatico in cui riconoscersi e potersi identificare, ma piuttosto una filosofia di vita che permetta all’individuo di rintracciare in se stesso il senso superiore della sua esistenza, quello spirituale, in sinergia perfetta non solo col proprio destino, ma con quello dell’intero Creato; è un invito ad avere fiducia e a “guardare lontano”, mantenendo però il contatto col proprio “vicino”, col proprio centro interiore, il Sé junghiano, che è anche la totalità; solo così l’uomo scoprirà la sua religiosità, dal latino “religere” e cioè “riunire” gli opposti interni, i dualismi, i paradossi e le ambivalenze che coabitano nella sua natura, riuscendo a trovare quel punto d’incontro che gli permetterà di elaborare i contenuti rimossi ed appianare le sue tensioni, ma soprattutto di conoscere chi è, cosa vuole davvero il suo cuore e come fare per raggiungerlo. “Vocatus atque non vocatus deus aderit, cercato o no il dio verrà”, farà scrivere Jung sul frontone della sua casa. Una volta interrogato sul significato di questa citazione, Jung spiegherà in un’intervista: “Non è una dichiarazione di fede cristiana. Risale all’oracolo di Delfi e la parola dio va intesa come “domanda ultima”. Misi quell’iscrizione per ricordare ai miei pazienti e a me stesso che il timore di Dio è l’inizio della sapienza; tutti i fenomeni religiosi, che non siano meri rituali della Chiesa, sono strettamente intrecciati con le emozioni”. Lo Spirito è quindi il bisogno imprescindibile di ogni creatura di “voler credere” in se stessa e nella vita, prima che in qualcosa posto fuori di lei; è il riconoscimento non passivo ma collaborativo col fluire stesso della vita, che diventa così l’unica depositaria della Verità superiore. Leggiamo ancora Jung: “Il vecchio Saggio appare nei sogni come medico, mago, sacerdote, maestro, professore o persona comunque autorevole. L’archetipo dello Spirito in forma di uomo anziano o gnomo o animale si presenta sempre in una situazione in cui perspicacia, intelligenza, senno, decisione, pianificazione ecc. sarebbero necessari, ma non possono provenire dai propri mezzi. L’archetipo compensa questo stato di carenza con contenuti capaci di colmare la lacuna”. E’ per questo che l’attivazione dello Spirito va spesso di pari passo con il manifestarsi di tappe evolutive obbligate e momenti molto particolari dell’esistenza, spesso accompagnati da stati di confusione o di perdita di certezze o in quelle fasi di passaggio in cui “non si è più quello che si era, ma non si è ancora diventati quello che si sarà”: dall’infanzia all’adolescenza innanzitutto, dalla giovinezza alla maturità, nei momenti in cui si diventa madre o padre, nei momenti in cui c’è una scelta importante da fare, una malattia o una perdita da affrontare, fino allo stadio conclusivo della vecchiaia e del declino. Ma come tutti gli archetipi, anche quello dello Spirito ha un’ombra che può farsi altamente pericolosa e fuorviante; è quando l’archetipo si distorce e spinge l’individuo verso idee fisse, ostinazioni mentali, idealizzazioni ed illusorie visioni che indulgono in fantasie utopiche e senza senso; è quando lo fa smarrire nel deserto dell’intellettualismo, dell’Animus più negativo, dove vagherà in cerca di luce; lo Spirito diventa “Il Briccone” o “Il Mago folle” che lo inganna e lo induce a pensare che può contare sulla sua scaltrezza e potere della mente per perseguire scelte individualistiche e solo personali, oppure che lo illude a negare la realtà immanente per potersi rifugiare in un mondo irreale ed artefatto, il mondo delle ombre dell’Anima… dove non sarà costretto ad affrontare il complesso delle proprie paure, ma dove anche non avverrà nemmeno l’incontro con se stesso e con la propria essenza più vera. Solo la luce dello Spirito può spingere all’incontro con se stessi, può farci dubitare che possiamo essere molto diversi da quello che pensiamo, da come ci vediamo o vogliamo ci vedano gli altri, ma può anche farci comprendere che possiamo essere molto di più. Ma se è troppo forte la paura della verità su se stessi, se è troppo forte la sensazione di non essere all’altezza di questa “chiamata”, sarà la parte negativa dell’Anima e le sue seduzioni antiche a vincere sullo Spirito; e l’acqua spegnerà il fuoco e il fuoco farà terra bruciata; “la porta sulla vita” rimarrà chiusa e sarà come impantanarsi per antiche vie, un tornare indietro perché andare avanti presupporrebbe anche un atto di coraggio che non si è ancora tanto forti da poter fare.
La Grande Madre – La Sophia
Lo Spirito, che è presente indifferentemente nell’uomo e nella donna, non è solo rintracciabile nell’archetipo del “Vecchio Saggio”, del “Mago” o di altri personaggi spiccatamente maschili, lo si può infatti facilmente individuare anche nella sua forma femminile, presente tanto nell’uomo quanto nella donna: è l’archetipo della “Magna Mater”, la “Grande Madre”, la “Madre Terra”.
Anche quest’archetipo, così come quello dello Spirito ha due facce da illuminare; infatti, se nella sua forma luce, è riassuntivo della totalità del femminile e della sua capacità di esprimere una completa integrità; se è l’espressione più bella del senso materno e della capacità di nutrire, proteggere ed amare le proprie creature attraverso la compassione e l’accettazione incondizionata del loro essere; “amarle per come sono”, senza pretendere che diventino “altro”, il suo lato ombra è oscuro e terrificante, è quello che genera maggiore angoscia ed inquietudine, quello che sottrae tranquillità, anziché aggiungere sostegno e comprensione. E’ il “drago divorante” simbolo di un contenuto femminile avido e bramoso di trovare identità attraverso le conferme che arrivano dall’esterno, spesso da un ruolo, che viene usato per colmare non solo le proprie inadeguatezze, ma anche la mancanza di coraggio di offrirsi ad un’esperienza di vita partecipata e soprattutto personale. Infatti, tanto quanto lo Spirito può diventare visionario e velleitario nell’attimo in cui l’individuo si fa prendere da conclusioni arbitrarie e soggettive, altrettanto la “Grande Madre” si fa divorante e castrante di una individualità a cui viene impedito di esprimersi in autonomia, di scegliere cosa fare della propria via, quando solo lo scegliere in prima persona può insegnare a prendersi la responsabilità, nel bene e nel male, delle scelte fatte. Una volta invece che l’archetipo sia stato illuminato nelle sue parti ombra, una volta che si sia stato trasformato e “reso sacro” dal rispetto per l’altrui individualità; una volta che abbia incontrato l’altro e lo abbia rispettato come creatura di Dio; una volta che non venga più proiettato all’esterno, soprattutto da parte dell’uomo, delegando alle figure femminili un ruolo che le mortifica nella loro interezza, può mettere in luce l’aspetto più evoluto del femminile, quello della Madre dispensatrice di vita che, dopo aver generato a livello fisico, garantisce una nascita anche a livello psicologico alla sua creatura; è lei che permette allo Spirito di potersi manifestare, perché è lei stessa Spirito che fa elevare da una condizione solo materiale ad uno stadio mistico e trascendentale, è lei che può fornire all’individuo la risposta intuitiva e contemporaneamente saggia per scoprire la sua spiritualità.
E’ così che la donna e l’uomo, onorando da dentro la radice femminile che vibra in entrambi e quindi restando in contatto con la propria Anima, possono diventare “madri di se stessi”, senza aspettare o pretendere che arrivi qualcun altro da fuori, uomo o donna che sia, a farlo al posto loro. Una volta che si abbia la buona volontà e la disposizione coraggiosa dell’animo a quest’analisi, che si sia disposti ad accettarsi, perdonarsi e rassicurarsi in prima persona, ma anche migliorarsi in ciò che va cambiato perché non più in linea con la naturale tensione al Divino, la Grande Madre può trasformarsi in Sophia, l’archetipo della Saggezza e dello Spirito femminile, l’emblema dell’autotrasformazione, uno dei simboli più potenti che s’incontri nell’Arte alchemica. Erich Neumann in Die grosse Mutter (La Grande Madre) parla così di Sophia: "Nella parte femminile dell’inconscio che genera, nutre, protegge e trasforma, agisce una saggezza infinitamente superiore alla saggezza della coscienza diurna, che interviene nella vita degli uomini come origine di visione e simbolo, rito e legge, poesia e contemplazione della verità, liberatoria e orientativa, spontanea. Questa saggezza femminile-materna è una saggezza di amorevole simpatia, non una scienza astratta e incapace di interesse. Così come l’inconscio reagisce e risponde, così Sophia è viva, presente e vicina, una dea che ama ed è sempre accanto a noi, cui ci si può sempre rivolgere e che è pronta ad intervenire, non una dea che si mostra irraggiungibile, nella sua lontananza luminosa e solitaria. Perciò Sophia, come forza spirituale, è piena d’amore e salvifica, il suo cuore generoso porta contemporaneamente sapienza e nutrimento." La Sophia, prendendo vita dalla “Grande Madre”, proprio perché ingloba dentro di sé il materno, non rischia mai di diventare pura astrazione o farci perdere nei meandri di un sapere freddo ed interessato, né ci costringe dentro i confini di un Logos che si fa sterile e lontano, ma è presente e vicina, andando oltre il materno, è fonte di vera vita, è colei che conduce verso la liberazione e la piena espressione del Sé interiore.
E’ quindi un archetipo specifico dell’Anima cognitiva dell’uomo e della donna; una custode delle verità nascoste e dei principi universali, collegati ai valori etici e alla ricerca spirituale a cui aspira ogni creatura e che possono emergere ed essere affinati soltanto intraprendendo un viaggio, quello di ricerca verso il proprio Sé.
L’Immaginazione attiva
Jeffrey Raff, che è stato alunno di Jung a Zurigo, nel suo “Jung e l’immaginario alchemico”, attraverso l’elencazione dei vari emblemi alchemici, insiste sulla necessità di approfondire l’importanza del simbolo come strumento di riconnessione tra il razionale e l’irrazionale, tra il conscio e l’inconscio, tra Animus ed Anima, servendosi di quella che Jung chiamava “Immaginazione attiva”, una tecnica molto diversa da quella delle “libere associazioni” creata da Freud. Il metodo dell’Immaginazione attiva infatti, applicato al mondo onirico per esempio, punta su un dialogo immaginale tra l’Io ed i contenuti dell’inconscio, non rifiutando ciò che emerge come irrazionale, ma accogliendolo ed interagendo con lui. Assumendo una posizione attiva che permetterà di raggiungere un piano intermedio di confronto immaginale, non del tutto conscio né solo inconscio, si potranno anche visualizzare e dipanare i contenuti opposti che provocano tensione. Attraverso l’immaginazione attiva, alla quale si può accedere anche attraverso la meditazione e l’incontro con la propria interiorità, ci si può sintonizzare sull’ascolto di alcune parti inconsce che stentano ad entrare in contatto con la coscienza; si possono approfondire lati della propria natura collegati ai vari archetipi e la capacità di riconoscere quale attivare in quel momento dell’esperienza e quale mettere a tacere. Attraverso il confronto etico tra l’Io e l’inconscio, si può trascendere la tensione che si genera tra gli opposti (Funzione Trascendente) e permettere un ampliamento di coscienza che ricomponga i contrari in una sintesi completamente nuova. Solo attraverso la Funzione Trascendente, si può giungere ad una visione “alta” che permetta anche di operare una scelta che non sia collegata solo a valutazioni razionali o a schemi collettivi, che imprigionano la tensione innata verso l’individuazione. E’ molto bella a questo proposito la distinzione che Raff fa tra fantasia ed immaginazione attiva, così come leggiamo dal libro: “L’immaginazione, trascendendo l’Ego, è il mezzo col quale l’anima fa esperienza di Dio e partecipa dell’espressione creativa del Divino. La fantasia invece non trascende mai l’Ego; in quello che si fantastica (il raggiungimento di ricchezze o il successo nel lavoro, ecc.) non si contatta lo Spirito interiore, c’è solo la messa in scena di desideri dell’Ego, di un’immagine dopo l’altra per trastullarsi, divertirsi o anche spaventarsi: l’Ego è sempre la star dello spettacolo. Nell’esperienza immaginativa, invece, l’Ego incontra “l’Altro”, deve trascendere le proprie idee ed avventurarsi nell’ignoto. E’ per questo che, se la fantasia dà spesso luogo a delusione, inflazione e stagnazione, l’immaginazione dà vita ad intuizioni, a trasformazioni vere e proprie. Senza l’aiuto delle forze immaginative, non c’è alcun modo per arrivare al Sé”. Questo era anche il pensiero di Jacob Bohme, mistico del XVI secolo che, se pur non dedito all’alchimia, utilizzò la terminologia ed i simboli alchemici per chiarire meglio il suo pensiero. L’ “Immaginazione Divina”, così come lui definiva la Sophia, aveva un ruolo fondamentale nel suo pensiero, come simbolo guida per condurre alla redenzione e alla partecipazione col Divino. In questo emblema alchemico, l’Atalanta Fugiens di Michael Maier (1618), la Saggezza guida l’alchimista attraverso le orme sulla sabbia che lascia al suo passare; è un femminile ricco d’abbondanza e creatività, simboleggiato dai fiori e dai frutti che regge in mano, mentre l’alchimista la segue, sorreggendosi sul suo bastone, alla luce della sua lanterna. Si tratta quindi di una forza transpersonale, compassionevole e creativa, ma anche “principio ordinatore”, in astrologia si direbbe “di Terra”, perché strettamente collegato al riconoscimento dell’importanza da dare ai cicli della vita, il rispetto da dare alla natura, perché solo così per l’uomo ci può essere salvezza. E se nel mondo occidentale e nel mito giudaico cristiano il valore/archetipo di un femminile-Spirito si è perso perché si è voluto riconoscere nella Madonna solo un potenziale essenzialmente materno, di soccorso e rifugio nelle prove, nel mondo orientale la Sophia è viva e ben rappresentata dalla Tara Verde del buddismo tibetano (dal sanscrito: “colei che conduce sull’altra sponda”), che si impone come forze energetica primordiale della totalità del femminile, perchè simboleggia la forma più evoluta della tensione della trasformazione energetica verso l’unità, risolvendo il dualismo degli opposti, a tal punto che, come Prajnaparamita – Saggezza intuitiva e conoscenza perfetta – è ritenuta avere priorità persino sul Buddha stesso. “Benchè per sua natura Tara sia pacifica ed il suo viso, attraente come un loto sbocciato, esprima dolcezza e serenità, al fine di sottomettere e sconfiggere le forze del male assume un’espressione fiera, corrucciata ed accigliata per l’ira e lo sdegno contro le negatività. In realtà, le apparizioni pacifiche e furiose di una medesima divinità non sono che due aspetti di una sola ed identica realtà : pace e furore non si escludono a vicenda, ma sono debitori l’un dell’altro, perché se ci si aggrappasse solo alla bellezza e si escludesse il terrore dalla propria mente non si potrebbe pervenire alla non-dualità”. Secondo la filosofia orientale quindi, la dea è vista come artefice dell’illuminazione stessa, quando si diviene intuitivamente consci della Shunyata, la vacuità che ingloba e trascende i contrari, al punto che Tara si identifica col Nirvana stesso e la possibilità di estinguere la Samsara, il doloroso ciclo di nascite e rinascite cui, secondo gli orientali, è legato il destino terreno.
La Sophia nel cinema
Solo per fare un esempio, la personificazione di Sophia nel cinema si potrebbe trovare nel bellissimo film del 2003 “Ritorno a Cold Mountain”, di Antony Minghella, nella figura della vecchia eremita che il soldato Inman incontra nel suo viaggio di ritorno verso Cold Mountain, dove l’aspetta l’amata Ada, simbolo della sua Anima da ricontattare. E’ una vecchia saggia, che vive solitaria all’interno di un bosco, in un mondo selvaggio ma ospitale, e che accoglie senza timori Inman e lo soccorre, curandolo e conservandolo in vita con le sue erbe medicamentose, mentre riversa su di lui un grande senso materno che non la fa interrogare se sia un amico da aiutare o un potenziale nemico da cui difendersi; la vecchia saggia esprime contemporaneamente la compassione della Grande Madre per ogni creatura e la saggezza della Sophia, di colei che, come donna, “sa” della vita; infatti, dopo averlo curato e nutrito, lo mette in guardia sui possibili pericoli che potrebbe incontrare nel viaggio verso casa e gli infonde un coraggio nuovo, perché lo fa rientrare in contatto col suo coraggio, con la sua saggezza, col suo potere intuitivo, col suo credere in se stesso e quindi gli fornisce la soluzione giusta che lui non avrebbe potuto trovare in se stesso per superare quel momento di paura. Per concludere, penso che in questa frase dell’analista junghiano Aldo Carotenuto (1933-2005): “Incoerenza ed ambivalenza rappresentano la regola e non l’eccezione”, possa essere importante riflettere sulla naturalezza del manifestarsi nella psiche di sentimenti e bisogni contrastanti, da non rifiutare ma accogliere come strettamente collegati alla natura umana, alla dialettica tra spirito e materia, tra ragione e sentimento. Solo il riconoscimento di questa ambivalenza come molla evolutiva della propria crescita spirituale ed il successivo impegno al miglioramento di ciò che deve essere modificato, può essere giudicato “progresso” e cioè la possibilità di andare avanti sulla strada evolutiva ed accogliere il viaggio terreno come una Grazia di Dio che può rendere sacro il cammino di ogni creatura.
Francesca Piombo
1 commento:
vi ringrazio del modo in cui avete trattato l'argomento
che trovo di grande e profondo interesse
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