27 novembre 2011

- La Loggia come Agorà

Può sembrare risibile, nell’epoca attuale, che qualcuno definì “eticamente neutra”, richiamare l’immagine dell’Agorà ateniese; se non addirittura provocatorio e offensivo, per un’Europa che vive la sua crisi senza sbocco, che è crisi di Valori e quindi di identità. Valori filtrati da troppi nazionalismi, tali che sfugge l’idea di “Patria Europea”, fra le mine vaganti degli “ismi”, diaframmi spessi che ne impediscono l’approdo presso i popoli. Valori adottati, ma non “adattati”, quindi non riconosciuti, non accolti, non socializzati, non condivisi, non partecipati, in breve non storicizzati; memorie di un ieri lontano e diverso, che nulla dicono all’uomo d’oggi, salvo che prestarsi all’uso strumentale della retorica. E siccome ogni epoca forma ed è formata dai suoi contemporanei, la diaspora etica dell’Occidente non può non ripercuotersi, pesantemente, anche in quella che è la punta avanzata dei suoi fondamenti, morali ed esoterici, la Massoneria del postmoderno, appunto. Che senso ha allora riesumare la polvere dell’Agorà e accostarla al luogo dove i F.lli s’incontrano, se non chiaramente provocatorio?
Nessun senso, se non abbiamo l’agilità che ci consenta di “uscire” dal contingente, secondo la metodica pesantezza di una consuetudine adattativa ereditata per pigrizia, che ci porta a credere che “si sta bene così”. Un senso ampio e profondo, se serbiamo un barlume di memoria di chi fummo e conseguentemente di chi siamo chiamati ad essere, nell’ambito di una continuità metafisica che non conosce il logorio del tempo, né i limiti dello spazio. Nel caso che scegliamo di compiere il salto, l’invito è a percorrere un breve tratto, che potrebbe dirsi contemporaneamente archeologico, etico, artistico, filosofico e – perché no? – religioso.
Non i fantasmi, ma le evidenze di una trasmissione antica rimasta inalterata nell’ambito dell’Ordine Massonico appariranno senza sforzo, al massimo, retrodatando la nostra età anagrafica. Si discuterà, si scriverà sempre, sulle origini presunte della Libera Muratoria, sulla sua filiazione, vera o presunta dai Templari, o dagli Egizi e oltre, secondo le teorie del grande Lessing. Un Valore non nasce con la sua presa in considerazione, né nel suo momento applicativo: la sua natura è preveniente e latente nei Sentimenti condivisi anche di epoca arcaica. Tale è la natura dell’Archetipo.
Così, ad esempio, in epoca Carolingia, per l’affermazione di una “chevalerie”, che implicava i valori morali di pietà, di lealtà, di giustizia, su una preesistente “cavalerie”, arte della guerra equestre, comprensiva di razzia, saccheggio e tortura. Quei valori c’erano già, come le leggi astronomiche dell’Universo, che precedono la loro scoperta da parte dei fisici. Per certo, nel corredo simbolico ai suoi Rituali, ove nulla è lasciato al caso e persino le sfumature hanno spessore e sottendono ulteriori significati, la Libera Muratorìa ha inserito riferimenti espliciti all’Ethos della Grecia di Pericle, intorno al V secolo a.C.
La Grecia classica
La Grecia antica è una melagrana composita, articolata, un sistema intricato di libertà e schiavitù, pace e guerra, filosofia e metafisica, arte e matematica, espresse ai massimi livelli, tale che anche il passo pesante delle legioni romane ne fu irretito. Ma l’Epoca classica fu soprattutto Atene che, grazie a Pericle, conobbe un tempo mai più ripetuto, in cui La Bellezza, la Forza e la Sapienza, furono insieme la sostanza e la manifestazione non di una oligarchia o di qualche privilegiata aristocrazia, ma del “demos”, dèmos, di tutto il popolo, che partecipò attivamente e si riconobbe nella sua cultura, della quale, tutt’ora, l’Occidente è pervaso.
Tutti i cittadini della città-stato avevano gli stessi diritti e doveri.
Liberamente e pubblicamente eleggevano i propri magistrati, ai migliori dei quali si ergevano sculture, ma solo da morti, ad evitare il culto della persona e il rischio della tirannide. Ancora oggi, la collina dell’Acropoli, pur senza la fantasmagoria di colori che l’abbellivano ai tempi di Pericle, è l’iperbole della ricerca della Perfezione, da cui nacque il concetto di “Classico”. I riferimenti estetici sono appena accennati, perché quel che importa, al fine dell’analogia, è la “sostanza”, la “palpitazione” del Simbolo di una civiltà che non ebbe confronti, a cui è appena accostabile la Firenze del Rinascimento.
Pochi i dettagli, ma significativi, riferiti alla magnificenza del Partenone, tempio dedicato ad Atena Parthenos (cioè vergine). Si racconta di una statua della dea alta 12 metri, ad opera del grande Fidia, in oro e avorio, poi scomparsa e ricordata da una modesta copia in scala ridotta, oggi, al Museo Nazionale. Questo richiamo solo per evidenziare la geniale intuizione di Pericle nell’aver concepito e realizzato in Atene il punto d’incontro fra l’umano e il divino.
La Grandezza, la Bellezza, la Forza, che a noi ancora perviene, non fu quella delle statue e dei monumenti, bensì quella dei VALORI , religiosi, civili, comportamentali. L’humus radicato e attecchito della prima grande idea di Democrazia, in cui umani e divini condividevano l’impronta della Vita. Non durerà a lungo, perché, scomparso Pericle, il suo successore, Alcibiade, introduce pesantemente il culto della personalità, e tutto cambia.
Ma nel V secolo era nato uno spazio, nella parte bassa di Atene, dove il popolo fu davvero sovrano: l’Agorà. L’Agorà era il luogo in cui si esercitava la democrazia, non la perfezione. Era l’ambito in cui il rapporto duale fra il “bianco” ed il “nero” tentava una sintesi. Era la grande piazza in cui Socrate insegnava e in cui fu condannato a morte. È utile ricordare che Socrate è morto per la Legge, non per la Giustizia. Per la Giustizia Socrate non sarebbe morto, anche se proprio l’applicazione della legge ne ha sancito l’immortalità. Personaggio controverso e scomodo, come tutti gli uomini veramente liberi (la “Vespa”), fu anche ottimo combattente. Si racconta che riuscisse a dormire in piedi, negli intervalli della battaglia, appoggiato alla sua lancia e i nemici, che lo riconoscevano, ne rispettassero la grandezza. “è Socrate”, si bisbigliava e nessuno osava ferirlo. Ma in quel luogo si tentava il salto verso l’Etica.
Il popolo, di buon grado, si riconosceva nell’
Isonomìa”, uguaglianza di fronte alle leggi,
Isegorìa”, uguaglianza nel diritto alla parola,
Isokratèia”, uguaglianza nell’esercizio del potere.
Gli eroi che vegliavano sulla Polis erano accostati agli dei e con essi figuravano sul Partenone. Insieme costituivano la forza della Legge, espressione della collettività, che quasi superava la devozione al divino. Alla morte di Pericle, la guerra del Peloponneso stende una caligine progressiva sulla massima espressione dell’Arte elevata a Regola Democratica nella vita pubblica e privata di Atene. Niente sarà mai più come prima, ma ciò che è stato non può cancellarsi, perché oltre il tempo, fu costruito sulla percezione e la spinta della Trascendenza.
Oggi come ieri
Non c’è altro periodo, nella storia dell’umanità, che possa rapportarsi, per quanto riguarda l’Occidente, in linea così diretta con la filosofia antropologica della Massoneria, che la Grecia di Pericle, in quel lontano V secolo a. C. Definita anche l’arte delle arti o Arte Reale, la Libera Muratoria fu invisa, sin dalle origini, a tutti i potentati, religiosi e civili, perché, proclamando la libertà individuale come base del confronto democratico, invertiva la rotta univoca di ogni potere costituito. A ben guardare, l’ammettere e l’applicare tale libertà crea una breccia attraverso cui passano carovane di possibilità, molte delle quali presentano l’asperità degli imprevisti. Data la regola, infatti, difficile è codificarne e limitarne l’interpretazione, circoscritto ciascuno all’ambito ristretto del proprio punto di vista. In certa misura è inevitabile l’intervento “automatico” del principio di “tolleranza”, in quanto una ipotetica libertà va necessariamente applicata verso se stessi: libertà dal proprio Ego e quindi condizione di disponibilità al Dubbio e ad accettare come possibile un altro punto di vista. Da fattori così apparentemente minimi, si sviluppa una sorta di “progressione esponenziale”, per cui
una Loggia non è più definibile come la somma dei suoi singoli membri, ma è molto più: è un Organismo a se stante, che ha un suo battito e una cadenza cardiaci.
È un luogo dello Spirito dove la diversità è un’acqua benefica per la sete di conoscenza di ciascuno.
Un luogo dove si impara l’uso della Parola come semplice veicolo del proprio pensiero, mezzo per comunicare e non per convincere di alcunché.
Un luogo in cui si aprono e si chiudono i nostri Lavori, alla presenza di Simboli che meriterebbero, forse una maggiore considerazione e approfondimento, secondo l’auspicio delle tre Luci: “l’illuminazione della sapienza” (Pallade Atena), la presenza della “Bellezza” (Afrodite) e della “Forza” (Eracle).
E qui comincian le dolenti note…
Nel senso che si è necessariamente costretti a prendere atto di quanto si navighi in superficie intorno ai Rituali a partire dal 1° Grado della Camera di Apprendista. A fronte della mole di testi che analizzano, spiegano, scavano, intorno alla filiazione Giudaica della Libera Muratoria, quasi nulla emerge (con poche autorevoli eccezioni: Pike, Reghini, Porciatti e più recentemente Alberto Cesare Ambesi) nella divulgazione contemporanea, circa la Tradizione Greco-Romana, di cui la Massoneria latina è portatrice da sempre.
Maggiormente grave, in una fase storica di regressione per l’Occidente.
Visti da vicino, i simboli di Minerva-Atena, Venere-Afrodite, Ercole-Eracle, sono tutt’altro che semplicemente allegorici.
Per la Massoneria delle origini, la Saggezza, la Bellezza e la Forza, loro attribuite, erano i pilastri della Loggia, e non princìpi invocati dalle tre Luci.
Erano i cardini Spirituali ed Etici intorno a cui ruotava il Lavoro degli Iniziati.
Oggi questo è semplicemente scomparso, nella sua sostanza; inciampiamo su tre allegorie, in apertura, catalogabili fra le “romanticherie”. Ciò in conseguenza di un automatismo di trasmissione, nel tempo, dei riti, come fatti puramente cerimoniali, mentre
SI CONTINUA a VAGHEGGIARE di “ AMPI ORIZZONTI ”, in altre CAMERE o altri GRADI.
Sarebbe urgente il recupero, lo studio e l’approfondimento di tutta la simbologia, non limitandosi all’esaltazione della buona convivenza e della tolleranza, con cui, da parte di molti, si ritiene raggiunto lo scopo.
Il Mito ci parla
Intanto, c’è da dire che nel Tempio Massonico è presente l’archetipo del femminile, attraverso le due divinità Minerva e Venere, unitamente a quello maschile di Ercole. A significare che la “perfezione” ricercata nello svolgimento del Lavoro, passa inevitabilmente attraverso l’equilibrio, l’armonia, di tali forze congiunte. Si può discutere sulla capacità evocatrice, ma ciò dipende da quanto siamo coinvolti mentalmente e sentimentalmente, già dal momento in cui il Maestro delle Cerimonie traccia il quadro di Loggia, segni e cifre che evocano entità.
Tale è ogni Rituale: un insieme di invocazioni-evocazioni tendenti a produrre la Vibrazione, che la si percepisca o meno.
Né ci sarebbe da stupirsi di trovare la menorah accanto alla statuaria greco-romana, se si rammentano e si distinguono i tre filoni portanti: l’ebraico-alessandrino, il pitagorico-pagano e il cristiano-cavalleresco.
Alla base della apparente complessità, c’è la semplicità di un percorso costante, che il tempo e le culture hanno reso articolato, ma in questo risiede la nostra “diversità”. Fra i simboli del Tempio, Minerva-Atena è all’Oriente. Nelle Obbedienze latine, rappresenta la Saggezza (sullo scranno del MV è infatti presente una colonnina dorica, definita “colonna della Saggezza”). È un simbolo “pulsante”, senza la cui irradiazione nulla potrebbe svolgersi.
Una “Sapienza armata”. Atena nacque, secondo il mito, con le armi in pugno, dalla testa di Zeus. E’ sì guerriera, ma senza la crudeltà di Marte; ha un suo “stile” che la rende inconfondibile e l’avvicina al “mentale” dell’uomo. Lo dice la radice del suo nome, Minerva, con antichi riferimenti sia alla Luna che alla “mente” (in sanscrito “manas”, in latino “mens”, in inglese “mind”).
Protettrice delle città, operatrice di giustizia, ispiratrice della Filosofia, sostenitrice del lavoro artigiano (la più grande nave dell’antichità, l’Argo, fu costruita sotto la sua direzione, si racconta). In questa veste, attiva e operante, concretizza l’Archetipo fondamentale, in Loggia. E mentalmente, non possiamo che ritrovarla, nella Cattedrale gotica di Notre Dame de Paris, in un bassorilievo dedicato all’Alkimia, esotericamente chiamata “Theos-Sophia”, la sapienza mistica ed esoterica, seduta sul trono dell’Altissimo a rappresentare la Shekinah, o parte immanente e femminile del Dio assoluto e trascendente; la Grande Madre delle culture “primitive”; l’Eterno femminino, la Madre senza nome degli Gnostici; la “Bianca Signora”.
Altro che allegoria!
Né si può sottacere il canone della Bellezza di Venere-Afrodite, così lontano dal nostro stereotipo dell’immagine consumistica. La bellezza afroditica è rapportabile ad uno “stato di grazia interiore”, a una modalità del femminile diversa dalla precedente dea. Rappresenta la seduzione della solarità, la fecondità dell’amore, del riso e della Gioia, elemento tanto invocato in Loggia, quanto chimerico e irraggiungibile, se non si sa spiccare il volo verso un’altra dimensione, che sta, inevitabilmente più in alto.
Ercole, dio della forza e del coraggio, non casualmente appoggiato alla sua clava e parzialmente coperto da una pelle di leone, ancora non a caso, a significare la vittoria del “Sé” sulla componente animale dell’uomo.
Memorabili le sue dodici Fatiche, una delle quali, la X, ce lo rende particolarmente vicino, quasi un Massone ante litteram. Nella X Fatica, dopo un lungo viaggio per mare, giunge a Tartesso, dove erige due Colonne, per limitarne lo stretto e poi prosegue per Gades, sperduta isoletta in mezzo al mare. Queste colonne erette in prossimità della biblica Tarsis, a separare il mondo dei viventi dalle isole occidentali dei morti, sono ricordate anche da Dante come landmarks, limite destinato a perdurare nel tempo, come vero e proprio tabù: “Le colonne d’Ercole”, fino alla scoperta dell’America. Ercole gettò le due colonne, al ritorno dalla Libia, per proteggere il suo mare, il Mediterraneo, da eventuali mostri che potevano arrivare dall’oceano. Quelle due colonne le ritroviamo nel Tempio, a proteggere la sua Sacralità dalla profanità circostante. Non è una forzatura né una “spiritosa invenzione”, se un Massone della levatura del Porciatti le pone direttamente in relazione con quelle “Conosciute nell’antichità come Colonne di Melquart o di Ercole, quale limite oltre il quale muore lo spirito umano”.
Poche righe, per concludere
Confido che questo salto, non lungo, non breve, abbia dato ai F.lli un “taglio diverso” della Triade divina in mezzo a noi, con noi, come progressione che ci spinga ad essere più leggeri e meno vincolati ai nostri pesi, nelle nostre tre componenti: Corpo, Anima, Spirito.
Confido anche che possano venirne spunti per ulteriori ricerche,nella prateria sconfinata della Massoneria Simbolica del V e VI secolo, dove, gli “Operativi” sapevano di greco e di latino e possiamo sentirli a noi più vicini.
Per quanto sia spesso ripetuto, è vero che ogni parola, ogni gesto, nel Rituale, ha precisi e indelebili significati, alcuni palesi, altri più velati. Da ogni Tornata dovremmo andar via almeno impercettibilmente diversi, e migliori. Tale è il senso di un cammino. Ma come e dove si colloca, nel nostro intimo, quell’ultimo: “ Tutto è giusto e perfetto ”?
Lascio ai miei Fratelli questo interrogativo come fatto personale, nel rispetto dell’interpretazione che ciascuno vorrà attribuirgli. Tutto l’argomento è racchiuso, in fondo, in queste poche righe finali. L’idea di una Loggia come Agorà non deve spaventare. Come ovunque, c’è chi cammina e chi preferisce sostare. Nessuno ha titolo per giudicare ciò che è meglio, confidando che chi preferisce la stasi, non impedisca ad altri di proseguire il cammino.
Opus Minimum
Gian Carlo Lucchi
R\L\ "Goffredo Mameli" 1192 GOI, Sassari

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