1 marzo 2011

- Sezione aurea


Con sezione aurea si indica, solitamente in arte e matematica, il rapporto fra due grandezze disuguali, di cui la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la loro somma ((a+b) : a = a : b). Tale rapporto vale approssimativamente 1,618 (0,618).Si tratta ovviamente di un numero irrazionale; esso può essere approssimato, con crescente precisione, dai rapporti fra due termini successivi della successione di Fibonacci, a cui è intrinsecamente legato. Sia le sue proprietà geometriche e matematiche, che la frequente riproposizione in svariati contesti naturali, apparentemente slegati tra loro, hanno impressionato nei secoli la mente dell'uomo, che è arrivato a cogliervi col tempo un ideale di bellezza e armonia, spingendosi a ricercarlo e, in alcuni casi, a ricrearlo nell'ambiente antropico quale canone di bellezza; testimonianza ne è forse la storia del nome che in epoche più recenti ha assunto gli appellativi di "aureo" o "divino", proprio a dimostrazione del fascino esercitato.
« La geometria ha due grandi tesori: uno è il teorema di Pitagora; l'altro è la divisione di un segmento secondo il rapporto medio ed estremo. Possiamo paragonare il primo a una certa quantità d'oro, e definire il secondo una pietra preziosa. » Il pensiero greco, e in special modo quello matematico, è intrinsecamente geometrico; non deve stupire quindi che fra tutte, sola e prima, fu proprio la civiltà ellenica a concepire e definire il rapporto aureo così come lo conosciamo oggi. Possiamo infatti far risalire la scoperta attorno al VI secolo a.C., presso la scuola pitagorica - i discepoli e seguaci di
Pitagora, il noto filosofo cui la storia ascrive l’omonimo teorema -, nell’Italia meridionale, ove, riferisce Giamblico, presumibilmente Ipparso di Metaponto ne scoprì l’esistenza e con essa, forse, l’incommensurabilità. Vi è tuttavia da dire che questa seconda scoperta, comunque risultatagli fatale, viene, secondo la tradizione prevalente, associata allo studio del quadrato e del rapporto fra il lato e la sua diagonale, pari alla radice quadrata di 2, anziché del pentagono - come invece sarebbe se fosse collegata alla sezione aurea -, il poligono a 5 lati il cui numero fu tanto caro ai pitagorici, che in esso scorsero l’unione del principio maschile e femminile (rispettivamente nella somma del 2 col 3), tanto da considerarlo perfino il numero dell’amore o del matrimonio. La sezione aurea risulta, infatti, indissolubilmente connessa con la geometria pentagonale , dove emerge ovunque si propone , la possiamo trovare nel rapporto fra il lato BC e la sua diagonale AB, ma anche fra AB e BD (o AC’) e fra AD e AC’, e a sua volta AD e DC’, e in un’infinità di relazioni simili, se immaginiamo che nel pentagono centrale possiamo iscrivere una nuova stella o pentagramma, la quale produrrà a sua volta un nuovo pentagono centrale in cui ripetere l'iscrizione del pentagramma e così via. Fu Euclide, intorno al 300 a.C., a lasciarne la più antica testimonianza scritta oggi disponibile sull'argomento. Nel XIII libro dei suoi Elementi, a proposito della costruzione del pentagono, egli fornisce infatti la definizione di divisione di un segmento in "media e ultima ragione". Tale divisione è basata sul semplice concetto di medio proporzionale: un segmento AB è infatti diviso in media e ultima ragione dal punto C' se il segmento AC' ha con AB lo stesso rapporto che C'B ha con esso. La divisione di un segmento AB in media e ultima ragione può essere effettuata costruendo un pentagono regolare del quale AB rappresenta una diagonale e disegnandovi all'interno un triangolo aureo, ossia un triangolo isoscele la cui base corrisponde al lato del pentagono e i lati uguali alle diagonali congiungenti quest'ultimo al vertice opposto; (i triangoli adiacenti vengono detti gnomoni aurei).Ora, l’ampiezza dell'angolo interno del pentagono regolare è di 108°, ciò significa che gli angoli alla base degli gnomoni aurei, anch'essi isosceli, misurano 36°, e, per differenza, quelli alla base del triangolo aureo 72°. Se ne ricava che il triangolo aureo ha angoli di ampiezza 36°, 72°, 72°; tracciando adesso la bisettrice di un angolo alla base, si ricava un altro triangolo DCB, con l'angolo in D di 36°, ovvero 72°, come il precedente; il terzo angolo in C sarà a sua volta di 72°. DCB è dunque un altro triangolo aureo. Per il primo criterio di similitudine sui triangoli, ABD e DCB sono triangolo simili; è quindi AB/DB = DB/BC; d'altra parte anche il triangolo ACD è isoscele perché il suo angolo in D è di 36° come l'angolo in A, risulta quindi AC = DC = DB; otteniamo così la relazione voluta AB / AC = AC / CB. L'aura magica che i pitagorici associavano al numero 5, e a tutto ciò che vi fosse legato, può spiegare come fin da allora il rapporto aureo potesse apparire ai loro occhi così particolarmente affascinante, pur ignorandone ancora gran parte delle proprietà matematiche, e giustificare in parte la fortuna e l’alone di mistero che lo ha avvolto sin dalla sua scoperta fino ai nostri giorni.
Dal declino del periodo ellenico passarono circa mille anni prima che la sezione aurea tornasse nuovamente a stuzzicare le menti dei matematici, rilevando grazie al suo alter ego algebrico inedite proprietà, prima inconoscibili per via meramente geometrica.
È il
1202, l'anno in cui Leonardo Fibonacci pubblica il suo Liber abaci, il libro col quale si diffonderanno in Europa le cifre indo-arabe, semplificando le modalità di calcolo nelle operazioni quotidiane. Nel medesimo libro Fibonacci introdusse pure per la prima volta, involontariamente, il concetto di successione ricorsiva, con la successione: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8..., in cui ogni termine è la somma dei due precedenti, la successione di Fibonacci. Ad insaputa dello scopritore, anche la successione che porta il suo nome è indissolubilmente legata alla sezione aurea; il rapporto tra i due argomenti fu tuttavia scoperto solo qualche secolo più tardi da un altro matematico in un periodo di fervente rinascita culturale, che ne rinverdì l'interesse non solo nella matematica ma anche nell'arte, il Rinascimento. Il rinnovato interesse per il numero aureo in epoca rinascimentale può essere ascritto ad un altro libro, il De Divina Proportione di Luca Pacioli, pubblicato a Venezia nel 1509, nel quale, corredato di disegni di solidi platonici di Leonardo Da Vinci, si divulgava a una più vasta platea di intellettuali l'esistenza del numero e delle sue innumerevoli proprietà, fino ad allora appannaggio soltanto di una ben più ristretta cerchia di specialisti. Il medesimo libro scalzava inoltre, dopo secoli di monopolio, anche la definizione euclidea, unica dicitura col quale il numero veniva chiamato, reinventandone una completamente nuova di proporzione divina; dove l'aggettivo «divina» è dovuto ad un ardito accostamento tra la proprietà di irrazionalità del numero, che lo rende compiutamente inesprimibile per mezzo di una ratio o frazione, e l'inconoscibilità del divino per mezzo della ragione umana. La relazione tra il numero aureo e la serie di Fibonacci, rimasta ignota anche a Luca Pacioli, fu scoperta nel 1611 da Keplero, come rilevano i seguenti passi di una sua lettera: « ... questa proporzione [...] che gli odierni [...] chiamano divina [...] è congegnata in modo tale che i due termini minori di una serie nascente presi insieme formino il terzo, e gli ultimi due addizionati, il termine [a loro] successivo, e così via indefinitivamente, dato che la stessa proporzione si conserva inalterata [...] più si va avanti a partire dal numero 1, più l'esempio diventa perfetto. Siano 1 e 1 i termini più piccoli [...] sommandoli, il risultato è 2; aggiungiamo a questo il precedente 1, e otteniamo 3; aggiungiamogli 2, e otteniamo 5; aggiungiamogli 3, e abbiamo 8; 5 e 8 danno 13; 8 e 13 danno 21. Come 5 sta a 8, così, approssimativamente, 8 sta a 13, e come 8 sta a 13 così, approssimativamente, 13 sta a 21. » Keplero aveva praticamente scoperto che il rapporto fra due numeri consecutivi della serie di Fibonacci approssimava via via, sempre più precisamente, il numero aureo. Ma Keplero, quale astronomo, non era forse tanto interessato a dimostrare la fondatezza della sua scoperta, quanto piuttosto a ricercarla nell'architettura dell'universo, che lui invece osserva, nelle sue proprietà "divine"; non a caso concettualizzò un modello eliocentrico in cui le orbite dei pianeti erano inscritte e circoscritte in solidi platonici e di conseguenza legate alla divina proporzione. La dimostrazione fu fornita, invece, un secolo più tardi dal matematico Robert Simson; e se vogliamo ulteriormente sancita dalla scoperta della formula generatrice della serie di Fibonacci ad opera di Jacques Binet - anche se probabilmente già nota a Eulero . Il particolare fascino della formula si può imputare al fatto che un numero irrazionale possa fornire per ogni valore intero di n, altrettanti numeri razionali e interi. Se per molto tempo la sezione aurea venne conosciuta con la definizione euclidea di proporzione media ed estrema, per poi assumere l'aggettivo divina dopo l'uscita dell'opera di Pacioli, non è altrettanto certa l'origine della sua definizione come "aurea".Nonostante la diffusa ed errata opinione che tale denominazione fosse in auge fin dall'antica Grecia, studiosi di storia della matematica la collocano più verosimilmente attorno al XV - XVI sec.. La prima testimonianza scritta rintracciabile sembra, però, risalire solo al 1835 nel libro Die Reine Elementar-Mathematik, in cui il matematico tedesco Martin Ohm scrive «è chiamata "sezione aurea"», specificando così di non esserne l'ideatore ma di usare un'espressione già discretamente diffusa. La nuova denominazione si diffuse largamente nei primi anni del 1800, trovando sempre maggiori riferimenti nelle opere scritte, prima in tedesco e poi in lingua inglese, facilitando così l'internazionalizzazione della formula ed entrando a pieno titolo nell'ambito culturale accademico, anche inizialmente solo come termine legato ancora alla sfera estetica, prima di essere acquisito a pieno titolo nell'ambito matematico ufficiale, come testimonia un articolo di E. Ackermann intitolato The Golden Section (La Sezione Aurea). La sezione aurea si diffonde nell'800 anche nel campo dell'arte, comparendo nelle opere di un imprecisato numero di artisti in cui contrariamente al passato, se ne può affermare la presenza per ammissione dello stesso artista; particolare contributo alla sua diffusione fu dato dalla convinzione che la proporzione aurea, in particolare il rettangolo aureo, costituisse un canone estetico "naturale", per la sua ricorrenza in natura che studi recenti avevano certificato, e che quindi le sue proporzioni conferissero uno straordinario senso di armonia in tutto ciò che la possedeva. Non mancarono in tal senso neppure esperimenti psicologici volti proprio ad avvalorare tale tesi, anche se recentemente riprodotti con esiti marcatamente più ambigui ed incerti. L'ossessione per la sezione aurea produsse anche serie di ricerche di contenuti originali, come quelle volte a rintracciarne connessione nei mercati azionari, con quella che divenne nota come la teoria delle onde di Elliot, o a ritrovare utilizzi pratici surreali come il Modulor. Sul versante prettamente matematico, nel XX secolo l'avvento del computer e il potenziamento delle capacità di calcolo hanno permesso di ottenere stime sempre più precise del numero irrazionale, altrimenti incalcolabile con i soli strumenti della mente umana; il primo tentativo venne effettuato nel 1966 da M.Berg con un IBM 1401 calcolandolo fino alla 4599^ cifra, e successivamente, sempre nello stesso anno, fino alla diecimilionesima. Nel 1974 il matematico Roger Penrose scoprì, utilizzando figure legate a φ, la possibilità di una tassellatura a simmetria quintupla, attraverso l'uso di figure diverse, detta tassellatura di Penrose. Ciò che rende detta tassellatura legata alla sezione aurea, non è solo la particolare simmetria legata al pentagono e altrimenti inarrivabile, ma perfino il fatto che le stesse figure sono unicamente basate sul rapporto aureo, e che su grandi superfici il numero stesso delle figure impiegate come rapporto approssima sempre 1,618; per esempio, prendendo due delle possibili figure di rombi larghi e stretti, il numero di rombi larghi Nl e quello degli stretti Ns deve essere tale da Nl/Ns = φ. Nel 1976 il matematico Robert Hamman, che aveva già lavorato con Penrose per le sue precedenti scoperte, allargò l'indagine sulla tassellatura al campo tridimensionale, scoprendo che era possibile esaurire similmente anche un volume ricorrendo a dei romboedri composti dalle stesse forme utilizzate per ricoprire le superfici. La particolarità di questo tassellamento tridimensionale era sempre quella di avere una simmetria simile a quella dell'icosaedro (l'omologa della quintupla bidimensionale del pentagono) se eseguita seguendo determinate regole di giustapposizione. Tale scoperta, apparentemente solo teorica, non fu poi priva di conseguenze, una sua utilizzazione reale avvenne nel 1984, quando Dany Schectman studiando alcuni cristalli di un composto di alluminio e manganese notò che possedevano una simmetria affine; la particolarità saliente era quella di avere rispetto alle altre formazioni cristalline, completamente amorfe oppure regolari, una quasiperiocità da cui deriva la successiva riclassificazione degli stessi in quasicristalli.
Matematicamente, il numero aureo corrisponde a una delle due possibili soluzioni dell'equazione quadratica x2 + x − 1 = 0. La dualità algebrica del risultato rende in linea di principio impossibile assegnare un valore esatto alla sezione aurea, e né si evincono d'altro canto presso campi extra-matematici segni inequivocabili di preferibilità verso l'uno o l'altro valore, se non fosse che per la sua natura di rapporto l'unico valore in grado di mantenere coerentemente un senso pure a livello geometrico sia soltanto la radice positiva, che viene quindi convenzionalmente considerata quale "vero" valore numerico della sezione aurea pari a 1,618.... In matematica questo valore veniva indicato fino al XX sec. con la lettera greca τ (tau), fu il matematico Mark Barr a introdurre l'uso, oggi consolidato, della φ (phi), dall'iniziale dello scultore greco Fidia (Φειδίας), il quale avrebbe usato il rapporto aureo nelle sue sculture del Partenone. Come già detto l'impossibilità di considerare valido un solo valore, spinge a prendere in considerazione anche la radice negativa dell'equazione, che viene presa però in valore assoluto, cioè privo di segno, uguale a 0.618...; anche questo valore viene contrassegnato con una lettera greca Φ (Phi), in maiuscolo, ed è talvolta detto, anche se non diffusamente, sezione argentea.
La sezione aurea ricorre abbastanza frequentemente in geometria, particolarmente nelle figure a geometria pentagonale. Nel
pentagono regolare e nel pentagramma emerge naturalmente, e per questo, come abbiamo già detto, venne scoperto dai greci, nel rapporto fra la diagonale e il lato o, nel secondo caso, fra il pentagono interno e il lato della punta stellata; ma la si ritrova pure nel decagono come rapporto fra la misura del raggio della circonferenza circoscritta e del lato, o ancora, trasferendoci nella geometria solida, perfino nel dodecaedro, un poligono a dodici pentagoni, e nell'icosaedro, entrambi solidi platonici. Esistono inoltre dei poligoni definibili aurei, poiché presentano in alcune delle loro parti il rapporto aureo; il caso più emblematico è senz'altro il rettangolo aureo, seguito dal triangolo aureo : Nel rettangolo il rapporto è rintracciabile fra il lato corto e quello lungo, mentre nel triangolo fra la base e i lati uguali; inoltre in entrambe le figure si può notare che sono ricavabili una successione di figure simili sempre più piccole con fattore Φ di rimpicciolimento rispetto a quella più esterna; nel rettangolo aureo inoltre è possibile verificare che la sequenza "converge" verso un punto di fuga che non raggiungerà mai, denominato dal matematico Clifford A. Pickover l'occhio di Dio, probabilmente rifacendosi alla definizione di "divina" data alla proporzione da Pacioli. Lavorando sulle successioni inoltre è possibile ricavare una sorta di spirale, spesso confusa con la spirale aurea, anch'essa legata all'omonima sezione, ma di cui questa rappresenta soltanto una buona approssimazione formata da quarti di cerchio; così come avviene nel caso rettangolo, dove in questo caso la spirale approssimante , si avvicina a quella aurea, a volte tangendola e altre sovrapponendosi ed entrambe tendendo verso un polo asintotico coincidente con lo stesso «occhio di Dio». Sempre in ambito geometrico la sezione aurea trova un ruolo importante anche nella composizione di alcuni frattali, ove adottandolo come coefficiente di omotetia sarebbe in grado di assicurare la massima frattalizzazione della figura prima che le sue parti inizino a sovrapporsi. Nel caso dei frattali che riescono a simulare forme naturali, come un albero, per esempio che rappresenta il grado di ottimalità massima per ottenere la maggiore superficie di chioma senza sovrapposizione; a tal proposito prende proprio il nome di albero aureo, una particolare forma di albero di Barnsley con valore pari a Φ. La sezione aurea può essere costruita geometricamente, con riga e compasso, su qualsiasi segmento AB, ed è possibile agire in due modi: dividere il segmento date le proporzioni media ed estrema creare dal medesimo un segmento in proporzione media ed estrema. A livello storico vi sono diverse questioni aperte riguardo quali e se effettivamente siano esistiti prima dei greci, popoli che conoscessero la sezione aurea e che effettivamente la utilizzassero nelle loro opere, i casi più importanti sono quelli legati ai babilonesi e agli egizi. Alcune tavolette, riportanti calcoli computazionali, testimoniano che i Babilonesi avessero conoscenze sia matematiche che geometriche tali da poter ottenere buone approssimazioni dell'area del pentagono e perfino di pi greco, mancano tuttavia prove schiaccianti circa la loro effettiva conoscenza della sezione aurea; ciononostante eminenti studiosi, fra cui Michael Scheneider e Helen Hedian, affermano la sua presenza su steli e bassorilievi: alcuni esempi sarebbero una stele babilonese e una raffigurazione di una divinità alata del IX secolo a.C. (Metropolitan Museoum of Art), la "leonessa morente"di Ninive (600 a.C.). Le affermazioni sulla conoscenza del rapporto aureo in epoca pre-ellenica coinnvolgono anche gli antichi Egizi, sull'ondata di una fervente e misticheggiante letteratura ottocentesca, che fra l'altro asseriva la presenza di conoscenze matematiche ben più avanzate, le cui tracce sarebbero tutt'oggi visibili nei resti di numerosi monumenti. Per quanto riguarda il rapporto aureo, il dibattito verte su casi meno conosciuti come quelli dell'Osireion e la Tomba di Petosiri alla ben più famosa piramide di Cheope. Nel primo caso si tratterebbe del monumento funerario del re Seti I (XIX dinastia), riportato alla luce nel 1901 da Flinders Petrie, a riguardo Robert Lawlor asserisce che l'architettura della stanza più interna sarebbe basata su una mistica geometria pentagonale contenente il rapporto aureo, ravvisabile in una serie di intrecci geometrici che si possono estrapolare. Precisamente all'interno della stanza sarebbe possibile disegnare secondo Lawlor due pentagoni contrapposti fino all'esaurimento della lunghezza, mentre la larghezza conterrebbe le circonferenze ad essi inscivibili; su tale disegno sarebbero poi ricavabili con altri intrecci da cui giustificare la presenza degli altri elementi architettonici. Si tratta comunque di una interpretazione senza seguito in ambito accademico. La tomba di Petosiri, sommo sacerdote di Thot, è stata rinvenuta da Gustave Lefebvre nei primi anni '20, e risale al III secolo a.C., quando era già attestata la conoscenza della sezione aurea da parte dei Greci. In questo caso il rapporto aureo sarebbe riscontrato, sempre dallo stesso Lawlor, in un bassorilievo raffigurante l'imbalsamazione del sacerdote, anche qui in un intricato intreccio di segni geometrici che richiedono un elevato grado di astrazione rispetto la figura, per essere plausibilmente nelle reali intenzione dell'autore. Il caso largamente più dibattuto riguardante l'Egitto è però la presenza della sezione aurea, e non solo, nella Piramide di Cheope nella piana di Giza e unica delle sette meraviglie ad essere giunta fino a noi intatta. Il mito esoterico-numerologico che circonda la Grande piramide nasce probabilmente in seguito all'opera di John Taylor, The great pyramid: why was it built and who built it? (La grande piramide: perché fu costruita e chi la costruì), pubblicata nel 1859, e suffragata a ruota dallo studioso, astronomo e piramidologo, Charles Piazzi Smyth. Il rapporto aureo sussisterebbe in questo caso fra il semilato della piramide e l'altezza della facciata triangolare costruibile sulla stessa, il che porterebbe a un'inclinazione teorica della facciata pari a 51° 49' ca. La piramide reale ha una altezza totale di circa 147m e lati di 230m, con una inclinazione della pareti di 51º 50' 35", estremamente simile all'inclinazione teorica. Si tratta anche questa volta di valore molto vicino a quello teorico; risulta comunque logico chiedersi se ciò può costituire una prova di una reale conoscenza da parte degli egizi della sezione aurea o se tale risultato sia stato un'inconsapevole conseguenza del modo in cui è stata costruita, così come sarebbe presumibile dagli scritti di Erodoto, Storie Libro II . L'astronomo Britannico John Herschel scriveva, citando Erodoto, che la «Piramide [di Cheope è] caratterizzata dalla proprietà di avere ciascuna delle facce uguale al quadrato costruito dell'altezza», ora, stante le svariate perplessità circa la corretta interpretazione del passo incriminato, si tratterebbe di una spiegazione alternativa all'ipotesi che essa sia stata inserita volontariamente e coscienziosamente nella piramide di Cheope. Effettivamente le misure della piramide, 1472 = 21609 e 115 × 186,64 = 21463.6, sono straordinariamente simili, e parrebbero confermare la citazione, se non fosse che da nessuna parte pure questa trova definitiva conferma. Non si ritrova infatti nel passo di Erodoto recita « Per la costruzione della Piramide occorsero vent’anni. Essa è quadrata.. Presenta da tutti i lati una faccia di otto plettri, un’altezza uguale. E’ di pietre levigate e perfettamente connesse, di cui nessuna misura meno di trenta piedi. » Non risulta di fatto alcun riferimento al "quadrato dell'altezza", ma soltanto misurazioni come risultante che da studi condotti da Richard Gillings, Roger Fischler e George Markowsky, ciononostante la sostanziale equivalenza come rilevata nell'erronea interpretazione del passaggio erodoteo esiste nelle dimensioni della piramide, come sopra evidenziato, ma probabilmente pure in questo caso è da ascrivere cause non legate alla volontà del progettista e forse perfino ignare a quest'ultimo. Spiegazioni tecniche sono state trovate legate alle modalità di costruzione: una proposta da Gillings, sulla base dei problemi 56 e 60 contenuti nel famoso Papiro Rhind incentrati sui seked - una unità di misura egiziana dell'inclinazione delle superfici laterali - sostiene che il rapporto aureo deriverebbe dalla necessità tecnica di tenere una certa inclinazione costante della parete durante tutta la costruzione della piramide; l'altra, considerata anche la più attendibile, fornita invece da Kurt Mendelssohn secondo cui gli egizi utilizzavano sue diverse unità di misura: una per grandezze verticali, il cubito, e una per quelle orizzontali, un rullo dal diametro di cubito la cui circonferenza è uguale a Π cubiti, dalla combinazione dei due emergerebbe naturalmente il numero aureo. Sia, quindi, che la presenza della sezione aurea derivi dal tentativo di costruire una piramide con le peculiarità attribuitele da alcuni dagli scritti di Erodoto, sia che derivi da mere contingenze costruttive, appare improbabile che derivi da una precisa e voluta scelta dei progettisti; in sostanza nemmeno la più importante della presunte testimonianze della sua conoscenza da parte degli indizi, trova spiegazioni alternative in grado di spiegarne la sua presenza in via del tutto fortuita e inconscia. Nell'ottocento iniziarono i primi studi psicologici volti ad attestare su base scientifica la pretesa superiorità estetica della sezione aurea, in particolar mondo i test si concentrarono sulla preferenza estetica per il rettangolo aureo, che fra tutti i derivati geometrici della divina proporzione sembra essere quello ad aver ereditato maggiormente il suo alone di "fascino". Tutto sembra aver avuto inizio con i contestati studi di Gustav Fechner, fondatore della psicologia sperimentale. Nel suo Manuale di estetica (Vorschule der Aesthetik), edito nel 1879, Fechner pubblicò i risultati dei suoi esperimenti condotti sia sulle persone, testando le loro preferenze estetiche, che sul campo, misurando migliaia di oggetti d'uso quotidiano per far emergere la testimonianza di una tendenza inconscia verso la proporzione aurea; ma benché soltanto una delle tre modalità di ricerca confermasse la sua tesi, Fechner non esitò dall'asserire che vi era una dimostrata preferenza per il rettangolo aureo, e quindi per la sezione aurea. Subito vennero mosse una serie di critiche alla correttezza e ai metodi usati da Fechner nel condurre i suoi esperimenti, non ultimo quello di aver influenzato egli stesso, in buona o in mala fede, gli stessi soggetti; inoltre non mancarono sospetti, che nel caso fosse confermata la genuinità degli esperimenti, il risultato positivo dell'esperimento non fosse da attribuire ad altre cause, non prese da lui in considerazione, e impossibili da confutare vista la poca chiarezza riguardante le modalità dell'esperimento. Comunque nel corso del XX secolo, l'ipotesi Fechneriana è stata ripetutamente oggetto di verifica, a volte trovando risultati che parzialmente sembravano convalidarla, altre volte confutarla nel tutto; risulta interessante però come avvicinandosi ai nostri tempi la casistica favorevole si sia pian piano diradata, ma mano che venivano analizzare e prese tutte ipotesi e quelle accortezze sperimentali, per filtrare i risultati da contaminazioni di eventuali concause accidentali. Tuttavia esistano anche recenti studi condotti sulla sezione aurea nel 1997 la Empirical studies of the art è uscita con un fascicolo speciale raccogliendo ben 7 studi condotti con metodi differenti di cui nessuno, però, fa emergere una ben che minima preferenza per la sezione aurea, mentre addirittura Holger Höge con il suo lavoro intitolato The golden section hypothesis – ist last funeral sembra voler mettere definitivamente fine a tutte le speculazioni. Molto spesso capita che nelle opere di diversi artisti venga riscontrata la presenza della proporzione aurea, in particolar modo sotto forma di rettangolo aureo, e molto spesso a sproposito; anche diversi siti internet, nonché libri, caldeggiano ferventemente questa ipotesi, a volte azzardata, col rischio di consolidare dell'esistenza di un falso mito: ovvero, la presunta superiorità estetica della sezione aurea. Occorre invece muoversi con cautela, pure in questo ambito perché la presunta presenza della sezione può in molte opere essere frutto di plurimi fattori, che possono trarre in inganno e indurre a facile considerazioni affrettate; tre paiono essere i più importanti: Tralasciando le ovvie possibilità di imprecisioni nelle misurazioni, delle volte viene affermata la presenza del rapporto aureo pur trovandosi di fronte a numeri quali 1.5, 1.6, 1.66 e 1.75 frettolosamente assimilati a sue "buone" approssimazioni. Nonostante l'evidente difficoltà di approssimazione di un numero irrazionale con la dovuta precisione, bisogna almeno considerare l'eventualità che l'artista abbia voluto sì usare misure non arbitrarie, ma, forse, semplicemente rifacendoli a rapporti fra numeri interi; così com'è possibile d'altronde che abbia volutamente usare numeri vicini al rapporto aureo proprio tentare di approssimarlo.
Le misurazioni spesso sono state effettuate prendendo a riferimento punti arbitrari o sulla cui oggettività è tuttora aperto un dibattito; inoltre non vi è da escludere, la non poi tanto remota possibilità, che in un sistema complesso, formato da diversi elementi, rapporti prossimi al valore aureo possano formarsi per fattori ascrivibili al
caso, pure in mancanza di una effettiva volontà dell'artista. Il convincimento della sua superiorità estetica e la riproposizione di modelli familiari, se non canonici, possono aver indotto l'artista a copiare o a ispirarsi da forme e proporzioni di opere di altri artisti dove la sezione aurea era effettivamente o approssimativamente presente, e quindi averla involontariamente riprodotta nella propria opera. A fronte di queste considerazioni, si può capire come sia pienamente lecito affermare la presenza della sezione aurea, in un'opera o nel estetica di un artista, soltanto in presenza di forti indizi che indicano che l'artista ha volutamente e consciamente utilizzato tale sezione nelle sue opere, o per sua ammissione diretta. Ne La geometria segreta dei pittori, Charles Bouleau sostenne la tesi di una diffusissima presenza della sezione aurea nei pittori prerinascimentali, quali Giotto, Duccio e Cimabue, in un' epoca ben precedente la pubblicazione del De divina proporzione, e questo per sostenere, come egli afferma, la tesi del rapporto aureo quale canone estetico riconosciuto a priori, anche se non vi sono evidenze, in tale direzione, da parte di nessuno dei maggiori esperti dei tre pittori. Un altro pittore, che le dicerie vogliono maniacalmente affascinato dalla sezione aurea, sarebbe stato Leonardo da Vinci, e le prove sarebbero all'interno di alcuni dei suoi dipinti più famosi: quali il San Gerolamo, La Vergine delle Rocce, la Testa di vecchio e la celebre Monna Lisa. Sebbene, in questo caso, la presenza della sezione aurea sia più plausibile, se non altro la sua collaborazione con Luca Pacioli nella stesura del De Divina Porportione, alcuni dei dipinti citati risultano di molto precedenti al periodo di collaborazione fra i due umanisti, iniziato nel 1496 a Milano presso Ludovico il Moro; fa eccezione per la Gioconda, sulla quale il dibattito accademico però risulta ancora aperto e abbastanza controverso, inoltre il rapporto aureo sarebbe da rintracciare all'interno di un rettangolo aureo i cui riferimenti non sarebbero ben definiti. Esistono però anche diversi artisti che fecero effettivo uso sezione aurea nelle loro: uno dei primi fu senz'altro Paul Sérusier (1864 - 1927) per sua stessa ammissione. È probabile che Sérusier abbia appreso della sezione aurea da un altro pittore amico suo, l'olandese Jan Werkade, durante una visita avvenuta nel 1896, nella quale lo andò a trovare presso un monastero di Benedettini a Beuron, nella Germania meridionale; nell'occasione un gruppo di monaci stava ricavando una serie di opere a sfondo religioso basandosi su una Padre Didier Lenzdi riguardanti particolari «misure sacre»tra cui vi era ovviamente la sezione aurea. Dopo Sérusier la conoscenza della sezione aurea si diffuse a molti artisti, e non poté mancare di trovare degna posizione anche all'interno del cubismo, come dimostra il nome di un mostra la "Section d'Or", tenuta a Parigi nel 1912 da alcuni dei primi esponenti del movimento pittorico, benché nessuna delle opere presentate al suo interno contenessero alcune legame con φ. Tuttavia non mancarono pittori cubisti che ne fecero realmente uso, come lo spagnolo Juan Gris e lo scultore lituano Jacques Lipchitz; i due fra l'altro lavorarono assieme alla creazione della scultura Arlequin basata su un particolare triangolo aureo ideato da Keplero. Spostandoci in Italia troviamo invece Gino Severini che lo utilizzo nei primi anni '20 e più tardi Mario Merz, il quel però fece in realtà più uso dei numeri di Fibonacci piuttosto che della sezione aurea. Oltre oceano, negli Stati Uniti troviano Jay Hambidge, all'inizio del '900 teorizzò due tipi di arte moderna: una a "simmetria statica", basata su forma geometriche, e una invece "dinamica" basata sulla sezione aurea e la spirale logaritmica. Oltre manica invece abbiamo, sempre agli inizi del secolo, Anthony Hill (1930)che si ispiro al numero aureo in una serie di opere denominate sotto relief construction; un altro artista israeliano Yigal Tumarkin, addirittura inserì in una sua opere direttamente la formula (1 + √5)/2. Nell'architettura del XX secolo, una delle più interessanti applicazioni della sezione aurea fu senz'altro segnata dalla nascita del Modulor, letteralmente "modulo d'oro" derivato dal nome francese. L'ideatore fu l'architetto svizzero Le Corbusier che si prefisse di utilizzare la sezione aurea e la successione di Fibonacci quale sistema su cui basare le proporzioni di tutti gli spazi dedicati alla vita dell'uomo con l'intento di creare uno standard che fosse allo stesso tempo armonico e funzionale alle esigenze del vivere quotidiano; l'idea sottostante era che poiché era possibile riscontrare la sezione aurea nelle proporzioni del corpo umano, nonché in altri svariati esempi naturali, questa potesse essere la base ottimale su cui strutturare tutto l'ambiente circostante, in modo che risultasse armonico e armonizzato ad esso secondo una presupposta regola naturale, identificata appunto nella proporzione aurea. L'idea di armonia implicita cela ancora un volta la concezione di un'estetica superiore legata alla sezione aurea. Lo stesso Le Corbusier utilizzò gli schemi del Modulor in diversi suoi progetti, come nella costruzione di alcune strutture governative nella città di Chandigarh in India. Nel suo complesso, però, il Modulor non trovò grande seguito presso altri architetti, anzi fu molto spesso oggetto di critiche circa l'inconsistenza delle sue basi teoriche, che ne decretarono man mano l'insuccesso. In Italia Giuseppe Terragni l'ha usata nella progettazione di alcuni edifici razionalisti. La musica ha numerosi legami con la matematica, e molti ritengono che centrale in essa sia il ruolo della sezione aurea. A sostegno di tale tesi vengono spesso richiamate alcune particolarità strutturali di determinati strumenti come il violino e il piano. Nel caso dei violini alcuni ritengono che la piacevolezza del suono derivi dalla sapienti capacità dei liutai di costruire la sua cassa armonica secondo particolari geometrie; per esempio l'arco che ne costituisce la base avrebbe, in molti casi, il suo centro di curvatura proprio in posizione aurea rispetto la lunghezza complessiva dello strumento, inoltre anche lo stesso Stradivari si sa per certo che cercasse di posizionare gli occhielli del violino sempre in tale posizione; non vi sono però conferme sul fatto che tali accorgimenti conferiscano effettivamente un suono "migliore" allo strumento, che non possano essere invece attribuiti alla lavorazione dei materiali o alla scelta degli stessi. Nel pianoforte, invece, particolare rilievo viene dato alla struttura della tastiera, in special modo con parallelismi fra i numeri di questa e quelli di Fibonacci. I tredici tasti delle ottave, divisi in distinti in otto bianchi e cinque neri, a loro volta divisi in gruppi da due e tre tasti ciascuno; 2, 3, 5, 8, 13 appartengono infatti tutti alla successione di Fibonacci, ma anche in questo caso, ancor più che nel precedente, si tratta di una mera coincidenza che non può neppure essere attribuita a uno specifica volontà del costruttore, trattandosi di una soluzione motivata unicamente dall'evoluzione strutturale dello strumento. In passato si è fatto notare, che molti degli intervalli musicali naturali sarebbero riducibili a frazioni in termini di numeri di Fibonacci (una sesta maggiore di La e Do 5/3, una sesta minore di Do e Mi 8/5). Già Pitagora aveva osservato che gli accordi musicali ottenuti da corde le cui lunghezze siano in rapporto come numeri interi piccoli risultino particolarmente gradite all'orecchio. Tuttavia, i motivi per cui tali rapporti sono particolarmente consonanti, che sono spiegati (almeno in parte) dall'acustica, non hanno praticamente alcuna connessione con la serie di Fibonacci. Sul piano compositivo la sezione aurea attraverso la serie di Fibonacci può, ovviamente, essere rapportata a qualsiasi unità di misura concernente la musica, cioè durata temporale di un brano, numero di note o di battute, etc non sono comunque rari anche in questo caso facili entusiasmi dovuti a fraintendimenti numerici. Per esempio Paul Larson nel 1978 sostenne di aver riscontrato nelle Kyrie contenute nel Liber Usualis, il rapporto aureo a livello delle battute, ma in mancanza di una documentazione che ne attesta la volontà di inserimento rimane tutto a livello puramente congetturale; medesime illazioni sono sempre state fatte che per le opere di Mozart, anche se recentemente John Putz, matematico all'Alma College, subitamente convinto anche lui tale teoria specialmente per quanto riguarda le sue sonate per pianoforte, dovette ricredersi riscontrando un risultato decente soltanto per la Sonata n. 1 in Do maggiore. Questo è quello che hanno fatto, per esempio, Béla Bartók (1881-1945) in alcune delle sue maggiori composizioni (come la Musica per Archi, Percussioni e Celesta) e Claude Debussy (1862-1918), il quale era particolarmente attratto dalla sezione aurea, citata da lui come le divine nombre nella raccolta Estampes (1903) e usata, tra gli altri, nella composizione dei brani La Mer (1905) e Cathédrale Engloutie. Quest’ultimo, in particolare, è un preludio per pianoforte di 89 battute, di cui le prime 68 hanno un tempo doppio delle restanti 21: in altre parole, alla battuta 68 il brano rallenta il tempo a metà. L'effetto prodotto all'ascolto, quindi, riduce le battute di questa prima sezione a 34, e il brano ha una lunghezza percepita da chi lo ascolta di 55 battute, vale a dire la sezione aurea di 89. Questo è uno dei tanti esempi che si possono citare per descrivere l’applicazione del concetto di sezione aurea all'interno delle composizioni musicali di Debussy. Il pianista Roy Howat ha analizzato altri brani di Debussy come Reflets dans l'eau, L'isle joyeuse (oltre al già citato La mer) riscontrando in ognuno varie applicazioni delle tecniche succitate. Bartòk e Debussy sono solo due tra i compositori che hanno usato in musica il concetto di sezione aurea, ma se ne potrebbero menzionare molti altri, tutti operanti tra la fine del XIX secolo e il XX secolo. In epoche più recenti, musicisti quali Stockhausen, Pierre Barbaud, Iannis Xenakis, facendo evolvere i precedenti utilizzi della matematica in musica, hanno introdotto un utilizzo più strutturato della matematica (soprattutto il calcolo delle probabilità e del computer per la composizione musicale). Xenakis in particolare ha fondato a tale fine, a Parigi nel 1972, un gruppo di ricerca universitario chiamato CEMAMU, che ha appunto come obiettivo l’applicazione delle conoscenze scientifiche moderne e del computer alla composizione musicale e alla creazione di nuovi suoni tramite sintetizzatori. Anche la musica Rock, ed in special modo il così detto rock progressivo, si è confrontata con la relazione esistente fra musica e matematica, soprattutto per ciò che riguarda gli aspetti mistico-esoterici della sezione aurea, e più precisamente dalla serie di Fibonacci. L’esempio più emblematico per quanto riguarda questo genere musicale, è la musica dei Genesis (gruppo progressive rock inglese), i quali hanno usato assiduamente la serie fibonacciana per costruire l’architettura armonico-temporale dei loro brani: uno di essi, più significativo in questo senso, è Firth of Fifth, tutto basato su numeri aurei, nel quale, ad esempio ci sono assolo di 55, 34, 13 battute, di questi alcuni sono formati da 144 note, etc. Oltre ai Genesis, i quali più di qualsiasi altro gruppo si sono ispirati alla sezione aurea, altre band che hanno usato nelle loro composizioni i numeri aurei, anche se più sporadicamente, ad esempio i Deep Purple nel brano Child in Time. Per quanto possa sembrare stravagante c'è chi ha rintracciato il rapporto aureo pure in letteratura, più specificatamente in poesia. Ci sarebbero due modi per poterlo rintracciare: come idea ispiratrice dell'opera, oppure come principio organizzatore della struttura ritmica che dona al componimento le sue decantate doti di armonia. Unica opera, tra l'altro a sfondo umoristico, realmente appartenente al primo caso è una poesia del matematico Paul Bruckman intitolata Media costante, pubblicata nel 1977 sulla rivista matematica The Fibonacci quarterly, dove in versi vengono decantate le principali proprietà algebriche del numero, il cui nome viene tradotto per l'occasione in "media aurea".

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