- INTRODUZIONE ALL’ALCHIMIA
Non è facile spiegare in poche parole cosa sia l’alchimia. Tutti sappiamo che gli alchimisti erano dediti alla pratica trasmutatoria, cioè ambivano a trasformare il metallo vile in oro. Forse molti pensano che tale pratica fosse mossa esclusivamente dalla cupidigia (e in molti casi lo fu davvero), ma le motivazioni filosofiche alla base erano (sono) molto più profonde. Volendo utilizzare uno schema teorico essenziale, diciamo che il punto di partenza dell’alchimia è l’unità della materia. La materia è una, ma può assumere infinite forme e combinarsi in altre ancora, inesauribilmente. Questo concetto è la giustificazione della prassi trasmutatoria: infatti, se la radice originaria di tutte le cose è unica, ne consegue che, in sostanza, tutte le cose sono la medesima cosa: il piombo e l’oro non sono che due forme, all’apparenza del tutto diverse, di una sola essenza. Se si riducesse il piombo e l’oro alla loro prima radice, otterremmo la stessa materia. La trasformazione alchemica non consiste nel cambiare piombo in oro, ma nel ricondurre il piombo alla materia originaria e da questo stadio farlo maturare fino alla realizzazione dell’oro. Da quest’assunto, si deducono due cose: 1) che la teoria alla base degli alchimisti non è molto distante dalla teoria della genesi biblica, dalla filosofia di Platone e dalla tradizione ermetica; 2) ciò che gli alchimisti volevano mettere in pratica era qualcosa che, alle orecchie di molti religioni suonava come una tremenda bestemmia: far ripetere ad un uomo mortale l’atto della creazione divina. In altre parole, l’alchimista aveva la pretesa di ripetere ciò che aveva fatto Dio creando la materia. Diceva Heinrich Khunrath, grande alchimista del ‘500, che “Potest Theosophus quae vult, vult autem quae Deus Ipse”, cioè “Il teosofo, l’achimista, il , può fare tutto ciò che desidera, egli desidera ciò che desidera Dio stesso”. Quindi, il vero alchimista filosofo sarebbe diventato praticamente onnipotente, se fosse riuscito a penetrare i misteri naturali: egli sarebbe diventato una sorta di “piccolo Dio” cui nulla era impossibile. Scrive un nostro Fratello: “l’alchimista, che è artista esemplare, obbedisce alla legge del “solve et coagula”, processo di macerazione, apparente annichilimento cui fa seguito una nuova “solidificazione”, materializzazione del modello intuito. Dalla “nigredo” all’ “albedo”, dal “nero”(il virtuale, preformale assimilabile alle acque abissali, al chaos del mito) al bianco, la manifestazione creativa, nuova alba del processo invernale, l’alchimista fa opera d’arte. L’alchimia, pertanto, richiede un percorso lungo, che passa da varie fasi prima di arrivare al compimento della , così come la pietra del massone, prima grezza, con pazienza deve essere sgrossata e, infine, resa cubica.” Dunque, l’obiettivo vero dell’alchimia è lo stesso delle tradizioni iniziatiche familiari al massone, cioè riportare l’uomo alla sua condizione divina originaria. Ma la stessa alchimia è una tradizione profondamente inziatica. Sempre Khunrath diceva “Ne loquaris de Deo absque lumine”, cioè “non parlare di Dio senza illuminazione”, o ancora, diceva “ A cosa possono servire torce, luci ed occhiali a colui che non può vedere?”. Tutti i testi alchemici sono scritti in modo oscuro per nascondere la verità ai non iniziati. Essi, ancora oggi, rappresentano una sfida avvincente per chi vuole interpretarli. Nonostante si contino più di 1.300 trattati in materia, solo gli iniziati possono agevolmente comprenderli. A riguardo, eloquente è il monito dell’alchimista arabo Artefio: “E invero, non si è a conoscenza che la nostra Arte è un’Arte cabalistica? E voglio significare che essa si rivela oralmente ed è piena di misteri; e saresti tu così ingenuo da credere che noi insegneremmo apertamente e chiaramente a te, povero idiota qual sei, il più importante di tutti i segreti e saresti tu altrettanto ingenuo da prendere le nostre parole alla lettera? T’assicuro in buona fede, dato che non sono assolutamente invidioso come gli altri Filosofi, t’assicuro che chi volesse spiegare quanto gli alchimisti han scritto secondo il senso letterale e comune delle parole si troverà impegnato in un labirinto dal quale non potrà mai liberarsi; la ragione di ciò risiede nel fatto che non possiede il filo d’Arianna che lo guidi verso l’uscita, oltre al fatto che qualsiasi spesa ch’egli affronti per lavorare sarà pertanto denaro perso”. Dunque, solo chi possiede il filo di Arianna (l’iniziato) potrà comprendere i trattati. Ancora, sull’apparente chiarezza dei trattati alchemici ci mette in guardia Reneè Alleau, discepolo di Canseliet e di Fulcanelli:“Per dare un esempio chiaro prendiamo il gioco degli scacchi di cui si conosce la relativa semplicità delle regole e dei pezzi così come l’infinita varietà delle combinazioni. Se si suppone che l’insieme dei trattati acromatici alchemici si presenta a noi come altrettante parti scritte in linguaggio convenzionale, bisogna ammettere per principio e con estrema onestà che ignoriamo completamente e le regole del gioco e l’algoritmo di cifra utilizzato. Altrimenti affermiamo che l’indicazione crittografica è composta da segni direttamente comprensibili da qualsiasi individuo, che è l’illusione immediata che deve provocare un crittogramma ben strutturato. Ma la prudenza ci consiglia di non lasciarci sedurre dalla tentazione di un senso chiaro e di studiare questi testi come se si trattasse di una lingua sconosciuta”. Concluderei questa introduzione con una provocazione. L’alchimia non seduce solo il massone nella sua ricerca verticale, ma seduce terribilmente anche il profano, ma non per la possibilità di avere oro dal piombo, bensì lo seduce come lo spiritista è sedotto dall’incontro con il fantasma, come il cattolico dalle statue grondanti lacrime, come l’ufologo dall’incontro ravvicinato, come San Tommaso è sedotto dal mettere le mani nel costato del Cristo risorto. In altre parole, la domanda che assilla il profano appassionato d’alchimia è: e se la trasmutazione fosse stata realizzata davvero? A tal proposito, è da sottolineare che alcuni resoconti riportano la notizia di trasmutazioni effettivamente avvenute. Nel 1600 Michel Sendivogius, Polacco alla corte dell’imperatore Rodolfo II a Praga, sembra che realizzò una trasmutazione talmente stupefacente che l’imperatore, nella stanza dove successe il fatto, fece incidere una lapide di marmo con l’iscrizione “"Faciat hoc quispiam alius, quod fecit Sendivogius Polonus", cioè “Faccia qualcun altro ciò che fece il Polacco Sendivogius (la trasmutazione)”. In una lettera scritta da Varsavia nel 1651, Desnoyer, segretario della Principessa di Polonia Maria Gonzaga, dice di aver visto di persona questa lapide, che esisteva al tempo in cui scriveva e che era stata vista da numerosi visitatori curiosi. Si narra che James Price, fellow (socio ordinario) della Royal Society (cioè la prestigiosa accademia delle scienze britannica) operò tra il 6 maggio e il 28 maggio del 1782 ben sette trasmutazioni, davanti a testimoni, tra i quali vi erano anche alcuni pari d’Inghilterra. L’episodio è narrato da H.C.Cameron in “The Last of the Alchemists” in Records&Notes of the Royal Society, Vol.9 p.109-14. Record & Notes of Royal Society è tra le principali pubblicazioni ufficiali della prestigiosa accademia. Eugene Canseliet, nella prefazione alla terza edizione de “Il Mistero delle Cattedrali” di Fulcanelli, 1957, riporta una lettera indirizzata dall’autore del libro al suo maestro inziatore, di cui qui ripropongo un brano suggestivo e, al tempo stesso, inquietante: “Questa volta avete davvero ricevuto il "Dono di Dio"; è una grande Grazia, e per la prima volta comprendo quanto sia raro questo favore. In effetti credo che l'arcano, nel suo abisso insondabile di semplicità, sia introvabile con la sola forza della ragione, per quanto possa essere sottile ed esercitata. Finalmente possedete il "Tesoro dei Tesori", ringraziamo la Luce Divina che ve ne ha reso partecipe. Del resto, l'avete giustamente meritato per la vostra fede incrollabile nella Verità, per la costanza nello sforzo, per la perseveranza nel sacrificio, e anche, non dimentichiamolo,per le buone opere. Quando mia moglie mi ha annunciato la buona notizia, sono rimasto stordito per la gioiosa sorpresa e non mi tenevo più per la felicità”. Ma indipendentemente dalla verità di questi resoconti, la domanda che realmente dobbiamo porci, da massoni quali siamo, da “ricercatori della verità”, è se il modello teorico dell’unità della materia è da rifiutare a priori o considerare la possibilità che questo concetto, in qualche modo, riguardi veramente la struttura materiale (e non solo quella spirituale) dell’universo. Affrontando l’argomento con le leggi ferree della chimica moderna, la trasmutazione alchemica è una bestemmia, perché nessun elemento chimico, attraverso una semplice reazione a modeste temperature (quali erano quelle che si sviluppavano nell’ atanòr dell’alchimista), può dare origine ad altri elementi chimici che non erano già contenuti nell’elemento originario (se nell’elemento chimico piombo non è già presente oro, nessuna reazione potrà sviluppare oro). Tuttavia, è bene fare accenno a un fatto che non è cronaca esoterica ma di scienza, ossia la storia della “fusione fredda”. La fusione nucleare fredda, detta comunemente fusione fredda (in inglese "Cold Fusion" (CF), "Low Energy Nuclear Reactions" (LENR) o Chemically Assisted Nuclear Reactions" (CANR) ), è un nome generico attribuito a reazioni di fusione nucleare che avvengono sfruttando catalizzatori chimici a temperatura relativamente bassa, invece che ai milioni di gradi kelvin normalmente necessari. Nella fusione fredda, la materia trasmuta, a temperatura ambiente e a pressione normale, da deuterio a elio, sviluppando un energia superiore fino a 900 volte quella imessa per sviluppare la reazione. Non solo, ma nelle reazioni compaiono altri elementi chimici che prima non erano presenti, e , addirittura, qualcuno segnala anche la presenza di oro. La storia della fusione fredda è oscura, perché, dopo i primi esperimenti, la comunità scientifica invece di incentivare la ricerca la ha scoraggiata, forse per evitare che i finanziamenti destinati alla fisica atomica ortodossa fossero tagliati e dirottati verso lo sviluppo della nuova fonte energetica. Ad ogni modo, la cronaca scientifica citata ci fa pensare che gli alchimisti forse non si erano del tutto sbagliati (in fondo tutta la materia dell’universo è formata dalle medesime particelle atomiche e subatomiche) e che, anche nella scienza, come nella religione, c’è sempre qualcuno che vuole imporre una verità. Però, la storia della fusione fredda appena accennata, suggerisce ancora una volta che la sapienza antica e la tradizione (l’alchimia in questo caso) soccorre il massone nello scardinare con il dubbio le presunte verità “assolute”, anche quando queste verità sono diffuse dalla scienza cosiddetta “ufficiale”.
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