- Jung e l'Alchimia
Qualcuno, pensando a quelle astruse formule presenti nei testi di alchimia, storcerà il naso sentendo parlare di cultura, ma noi speriamo costituisca valida garanzia il fatto che Carl Gustav Jung abbia dedicato più di 1/6 (un sesto) della sua opera proprio allo studio dell'Alchimia. Che fra i tantissimi testi alchemici ve ne siano parecchi pregni di ciarlataneria, è un dato assodato. Ma che si debba fare d'ogni erba un fascio, non ci pare saggio. Il vero alchimista è una persona ricca di spiritualità. Egli è portatore di una fortissima tensione verso il "Divino", ed è talmente impegnato nella conoscenza di se stesso, da dedicare l'intera propria vita alla ricerca del Vero. Perché ha usato quel particolare linguaggio? Per paura dei roghi, ma anche perché alcune esperienze frutto della sua ricerca e del suo "operare", potevano essere rese più facilmente con linguaggio simbolico, piuttosto che con linguaggio concettuale. C'è però un altro curioso motivo che ha spinto tanti ricercatori ad esprimersi in quel modo: creando un atmosfera di ricerca del tesoro, avrebbero, da una parte meglio invogliato le poche persone serie a cui rivolgevano i loro insegnamenti, e dall'altra avrebbero preso in giro i falsi ricercatori, imbottendo le loro pagine di formule "folli". Le persone serie avrebbero cercato le poche perle nascoste fra tanto pattume messo lì deliberatamente, mentre i cosiddetti "soffiatori" si sarebbero persi in mille operazioni chimiche che nulla avevano a che vedere con la ricerca della Verità. In un certo senso potremmo considerare l'alchimia come un'immensa cronaca di esperienze "mistiche" raccontate dai vari autori in centomila linguaggi diversi. Ad un attento lettore di testi alchemici però non potrà sfuggire il fatto che ogni autore parla per esperienza diretta, e che quel che racconta sa di vero. Le migliaia di simboli usati possono produrre un doppio effetto. Su chi non ha mai neanche tentato di esplorare se stesso: confusione - su chi invece ha avuto qualche esperienza mistica (uso il termine in senso molto lato): conferme e suggerimenti. Giunti a questo punto, ci preme sottolineare una cosa importante. A differenza dei mistici delle religioni, l'alchimista non si abbandona mai completamente: egli è sempre vigile, consapevole, attento. Tale sua attenzione costituisce quasi una forza in più da utilizzare per "bussare" affinché gli venga aperto. Adesso, per sottolineare la natura "mistica" dell'alchimista, riporteremo qualche brano scelto fra i tantissimi autori. Il Pernety, nel suo "trattato dell' Opera Ermetica (ed. Phoenix 79, pag. 69) dice: "Adorate solo Dio, amate Lui con tutto il vostro cuore, ed il vostro prossimo come voi stesso. Proponetevi sempre la gloria di Dio quale scopo di tutte le vostre azioni; invocatelo ed Egli vi esaudirà, glorificatelo ed egli vi esalterà" . Basilio Valentino, ne Le dodici chiavi de la Filosofia (ed. Mediterranee, pag. 57) ci dice: " Se il Creatore ha voluto dispensare la vera scienza e la sua non comune conoscenza, è, se non altro, per alcuni che condannano la menzogna, amano la verità, la cercano, designati per l'arte, con un cuore sensibile e che, innanzitutto, amano Dio senza ipocrisia e perciò lo pregano". Infine, Nicolas Flamel conclude il suo Il Libro delle figure geroglifiche (ed. Med. pag. 177) con le seguenti parole: "Tutto questo avviene grazie all'aiuto del Signore, Unico Dispensatore di tutti i tesori e di tutte le grazie; Egli che è Uno e Trino, e che regna nei secoli dei secoli. Così sia". Di brani come questi, nei testi alchemici ve ne sono tantissimi. Molti alchimisti erano monaci, un esempio per tutti Alberto Magno, maestro di San Tommaso d'Aquino. Non dimentichiamo che fino a pochi secoli fa la cultura era esclusivo appannaggio del clero e della nobiltà, e che grazie all'opera di copiatura dei monaci, i manoscritti potevano circolare. Per non parlare del gran numero di opere di altissima Filosofia nate negli stessi conventi ad opera di umili ma geniali monaci. Non sarebbe stato giusto parlare della chiesa solo in termini di roghi. Solo chi ama il linguaggio dei simboli potrà evitare grossi mal di testa. Noi qui possiamo solo sfiorare l'argomento, perché esso è vastissimo. Secondo la stragrande maggioranza degli studiosi l'alchimia consiste in un processo "psico-spirituale", a fronte di una ristretta minoranza che vede in essa un "processo chimico". Quindi, mentre i primi leggono gli scritti alchemici come metafore, i secondi li prendono alla lettera. Secondo noi le due cose non si escludono, ma ci colpisce come i chimici dell'alchimia, in un tempo come il nostro in cui sui libri o su internet è possibile leggere le formule e forse anche i procedimenti per costruire ordigni nucleari, si ostinino a tenere secreti i loro studi e le loro scoperte. Spero proprio che non si tratti della trasmutazione di metalli in oro metallico! Loro dicono che la strasmutazione interiore deve procedere di pari passo con quella esteriore, e che l'una è la prova dell'altra, ma anche in questo caso non si capisce il motivo del segreto. C'è poi chi dice che l'alchimia è esclusivamente un processo chimico. Uno di questi è Francis Israel Regardie, che nel lontano 1936, mentre era impantanato in trattati alchemici, in un primo momento accolse il commento di Jung al Segreto del fiore d'oro come la soluzione dei suoi dubbi e la risoluzione del mistero alchemico (tanto da scrivere un libro in proposito La Pietra Filosofale), ma dopo lo rifiutò perché "A Salt Lake City incontrò un moderno alchimista, Albert Riedel, ed assistette ad esperimenti che non gli lasciarono dubbi sul fatto che l'alchimia consista in processo chimico, non certo psico-spirituale…" (Colin Wilson - Jung - Atanor pag. 108). Secondo l'autore del brano riportato, Jung nei suoi studi alchemici parla molto di sé e delle sue teorie, "ma quanto dicano a noi di alchimia resta ancora da stabilire". Secondo noi hanno ragione sia Regardie che Wilson, e sia Jung. Ma non scordiamoci che a quest'ultimo, membro della comunità scientifica internazionale, stava a cuore soprattutto l'aspetto "scientifico" dell'alchimia, e cioè tutto quello che poteva servire per la conoscenza dell'anima (psiche). Per come la vediamo noi, Jung ha avuto un bel coraggio a parlare di spiriti, di astrologia, di alchimia, di miti, simboli, e persino di ufo. Ma i riferimenti a tante "discutibili" discipline testimoniano solo come il grande psichiatra svizzero abbia davvero indagato a 360°. Egli ha scrutato l'occidente e l'oriente, ha scavato a fondo nelle religioni, ha percorso i sentieri più impensabili dello sconfinato mondo psichico, e tutto questo è accaduto perché doveva ad ogni costo trovare cause o conferme a sue esperienze psichiche. Jung è uno strano composto di sciamanesimo-psicologia-filosofia-poesia-"follia"-romanticismo-misticismo-religione-medicina-arte-"magia". Tutte queste cose insieme lo caratterizzano e fanno di lui un autentico alchimista, perché a parer nostro un vero alchimista è talmente determinato a conoscere se stesso, è talmente infervorato, talmente acceso dal fuoco della ricerca, che non può fare a meno di sondare ogni disciplina che in un modo o in un altro può essere usata per tale conoscenza. Un tale ricercatore, un tale profondo studioso non può e non deve trascurare nulla, ed ecco che rivolgendo l'attenzione alle filosofie e alle religioni passate e rivivendone simboli, miti, metafore, parabole ecc., cerca di espandere la sua coscienza nel tempo; ed entrando attivamente sia in se stesso che in ogni sistema di ricerca, realizza l'espansione coscienziale sia nello spazio interiore che in quello esteriore della psiche. Sa che il compito è arduo, anzi impossibile, ma deve tentare, perché tutto ciò è "imposto" da quanto deve essere conosciuto e coscientizzato. Deve ubbidire all'Inconscio, a questo Potere che sta forse al di là del bene e del male come un Dio Trascendente, e la cui forza è immanente. Se alchimista vuol dire "conoscitore per esperienza" , beh, Jung è un alchimista e tutte le sue teorie (checché ne possa dire Regardie o Wilson o mille altri pensatori) sono testimonianza delle sue verità. Ed ecco perché gli scritti di Jung affascinano nonostante spesso siano confusionari e pieni di stancanti riferimenti: questo "strano filosofo" scriveva "camminando", "parlava mentre assaggiava il vino" I suoi scritti non sono frutto di un cervello ma di un uomo intero. Chi si accosta a Jung con la sola ragione, lo detesterà presto. I suoi scritti non sono "puliti" come quelli di Freud, non possono essere una perfetta tela di ragno cucita secondo la geometria di un dogma (libido sessuale), non sono frutto di una cieca fede in qualcosa che già si conosce. I suoi scritti sono gli itinerari percorsi per tutta la vita, sono un invito al sentiero individuale, sono un sentiero nel bosco tracciato non a colpi di macete (dogma), ma scansando le piante e rilasciandole dopo il passaggio. Sono la sua ricerca, il suo sforzo, la sua vita, e quel sentiero appena accennato e subito ricoperto è un invito all'azione diretta, alla scoperta personale, alla visitazione della propria interiorità. E tutto questo è alchimia di primissima qualità, come quella di tutti i grandi scrittori, i grandi artisti di ogni tempo, i grandi filosofi e pensatori. Ci si deve rendere conto una volta per tutte che le verità umane non possono che essere parziali, perché ognuna di esse si rifà ad esperienze individuali, a percorsi personalissimi, a tempi, spazi e modi unici e irripetibili. A volte qualcuna di esse riesce a cogliere meglio di altre il momento e la situazione psichica del collettivo, ed allora trova seguaci. Ma il pensiero autentico del caposcuola rimarrà sempre un affare dello stesso caposcuola, perché nessuna parola, nessun simbolo, nessuna metafora o esempio potranno mai fotografare l'esatto contenuto di tale pensiero. Nemmeno stando a contatto con la persona se ne potrà svelare il mistero. Nemmeno una persona di scienza come Jung poteva raccontarci questa sua verità, ed è lui stesso ad affermarlo proprio nell'inizio del prologo del "suo" Ricordi, sogni, riflessioni: "La mia vita è la storia di una autorealizzazione dell'inconscio. Non posso usare un linguaggio scientifico per delineare il procedere di questo sviluppo in me stesso, perché non posso sperimentare me stesso come un problema scientifico". Quanto poi alla ambiguità e alla confusione nei suoi scritti, c'è da sottolineare pure la volontà di usare un linguaggio equivoco da parte del nostro grande psichiatra. Nel 1952, in una lettera ad un giovane studioso Jung dice fra l'altro: "La lingua che parlo dev'essere ambigua, ossia a doppio senso, per adeguarsi alla natura psichica col suo duplice aspetto. Nell'esperienza tutto cade in preda all'ambiguità della psiche perciò preferisco il linguaggio equivoco, perché rende giustizia in egual misura alla soggettività delle rappresentazioni archetipiche e all'autonomia dell'archetipo". Questa è una delle tante cose che fa qualificare Jung alchimista: la "follia", quasi quella stessa dei folli di Dio, e diciamo 'quasi' perché lì c'è il totale abbandono al Supremo, mentre in un pensatore come Jung c'è il costante ancoraggio alla terra, alla fisicità, alla coscienza (vedi la sua vita in campagna, il suo contatto con la terra, il suo mischiarsi alla gente di ogni ceto sociale, il suo essere medico, ecc.). Ecco perché decide di parlare di ogni cosa: la psiche collettiva si occupa di I King, di astrologia, di fantasmi, di taoismo, animismo, alchimia, e non solo di cliniche psichiatriche e malati mentali, non solo di religione e filosofia, egli deve quindi scavare anche lì, per com-prendere, capire, ed infine sintetizzare. Per non appesantire troppo questo breve saggio, non parleremo di alchimia in generale, né di metalli, di Solfo Mercurio e Sale, nemmeno dei colori delle varie fasi e delle diverse operazioni. Chi si accosta ad un saggio del genere è certamente a conoscenza di tutte queste cose, chi invece non è addentro alla materia, alla fine di questo scritto troverà un elenco di testi consigliati. Un' altra cosa: Jung era consapevole di avere dato, con i suoi studi alchemici, un forte contributo alla comprensione di parte dei misteri che l'alchimia nasconde gelosamente, ma non si è mai sognato di affermare d'avere svelato tutto: "Non pretendo però che l'interpretazione psicologica di un mistero debba necessariamente costituire 'l'ultima' parola. Se si tratta di un mistero, deve avere anche altri aspetti. Sono dell'opinione che la psicologia potrà pure spogliare l'alchimia dei suoi misteri, senza però riuscire a svelare il mistero dei misteri". (Mysterium Coniuntionis - Boringhieri, pag. 165). Michela Pereira, a pag. 277 del suo Arcana Sapienza, ed. Carocci, dopo avere sottolineato che l'opera di Jung coglie solo un aspetto del problema alchimia, ci dice che "Di ciò si mostra consapevole Jung (non sempre invece i suoi discepoli)", volendoci significare che tanti suoi seguaci danno alle sue interpretazioni psicologiche un valore assoluto. Come dire: sull'alchimia è già stato detto tutto. Diciamo subito che noi la pensiamo come la sig.ra Pereira, docente di storia della Filosofia all'Università di Siena. Detto questo, continuiamo. Secondo Jung, a partire dall'illuminismo e dal razionalismo scientifico, la psiche è stata identificata con la coscienza. L'Io diviene l'unica e sola psiche. Prevale il dentro, mentre il fuori non è più portatore di mistero: furono ritirate tutte le proiezioni, ed i contenuti scaturenti dal ritiro di esse divennero 'Io'. "E così i contenuti che prima venivano proiettati dovevano ormai apparire come proprietà, come fantasmi chimerici di un Io cosciente. Il fuoco si raffreddò e diventò aria, e l'aria divenne il vento di Zarathustra e provocò un'inflazione della coscienza che evidentemente poteva essere arrestata soltanto dalle più temibili catastrofi che possono colpire una civiltà, da quel diluvio che gli dèi scatenarono sull'umanità inospitale. Una coscienza che soffre d'inflazione è ipnotizzata da sé stessa è dunque votata a catastrofi che possono colpirla a morte. Inflazione significa, molto paradossalmente, che la coscienza diventa inconscia" (Psicologia e Alchimia - Boringheri, pag. 458). Questo brano, dal nostro punto di vista, riveste moltissima importanza, perché, come ci spiega Jung poco dopo, se il singolo individuo non si rende conto che esistono contenuti che "non appartengono alla personalità dell'Io, ma vanno attribuiti a un non-Io psichico", le catastrofi sono inevitabili. La catastrofe della seconda guerra mondiale accadde perché l'uomo europeo fu posseduto da "qualcosa che lo privava di ogni decisione basata sul libero arbitrio". E qui Jung sottolinea molto il fatto che prendere atto di tali contenuti spetta al singolo individuo, "perché le masse sono animali ciechi", purtroppo solo in pochi affrontano i rischi di tale ricerca, "Perché è più comodo predicare agli altri la panacea universale, così da non aver più bisogno di applicarla a se stessi: si sa che ogni male sparisce se si è tutti insieme sulla stessa barca. Nel gregge non esistono dubbi, e più grande è la massa, maggiore è la sua verità, ma maggiori sono anche le catastrofi". L'opera alchemica, che altri non è che il Processo di Individuazione, ci permette di prendere coscienza di quanto sta oltre la personalità dell'Io. E qui Jung è davvero un grande alchimista: ponendo sulle spalle della sua teoria (individuazione) il mantello carico di mistero dell'alchimia, riesce a far uscire dai recinti dell'accademismo lo studio della psiche (anima): chiunque può accostarsi alla psiche, con le dovute cautele. A nostro parere, come era stato all'inizio per la diffusione della Psicanalisi, Jung (accogliendo le teorie di Freud nella clinica svizzera in cui operava, e convincendo i colleghi della bontà di esse) era riuscito a far circolare il pensiero di Freud; con i suoi lavori sull'alchimia è riuscito a far divenire "popolare" lo studio della psiche, iniziando intere generazioni di giovani ad una sorta di "sciamanesimo colto", se così possiamo dire. Ma tutto questo non è nato a tavolino spremendo le meningi su una strategia divulgativa. E' accaduto perché Jung ha avuto un confronto con l'inconscio, che poteva condurlo verso la stessa follia che aveva inghiottito Nietzsche. Quindi, il motore delle sue teorie aveva un nome: esperienza diretta. La sua scoperta sul significato dei mandala, per esempio, non è frutto di un'idea campata in aria, di una teoria. Essa è figlia di diecine di mandala disegnati e studiati al fine di cogliere i mutamenti psichici che avvenivano giorno dopo giorno in lui. Ma egli è grande alchimista anche quando suggerisce di vedere nel Sé la figura del Cristo, e di scorgere nell'iter alchemico un parallelo con la Sua vita, morte e Resurrezione (cosa che già avevano proposto altri): la via alchemica è un percorso spirituale che ha come scopo quello di liberare la divinità prigioniera della materia. Con le sue opere sull'alchimia Jung era finalmente riuscito ad arginare la marea di ateismo provocata dal materialismo ad oltranza proclamato da altre scuole. La nostra epoca avrebbe bisogno oggi di un nuovo Jung, perché l'inflazione, che frattanto ha scavalcato i confini dell'Europa, non ha solo connotati economico-monetari… Forse abbiamo più bisogno di individui che di masse. Sigle di tutti i colori, politiche e non, propongono rimedi infallibili contro i mali del mondo, raccolgono masse disposte ad abdicare al libero arbitrio, tolgono il fastidio di pensare e riflettere, e soprattutto compressano la psiche in guscetti che prima o poi raggiungeranno dimensioni atomiche. Ma non è giusto essere pessimisti, perché per fortuna aumenta anche il numero di quei "solitari" disposti ad incontrare le loro parti peggiori. Sono i novelli alchimisti. Certo all'interno del movimento cosiddetto New Age vi sono tanti furbi che mirano solo al portamonete dei creduloni: basta un po' di coreografia, un po' di paroloni, una buona dose di lavaggio di cervello attraverso ripetizioni e fascinazioni, ed il gioco è fatto. Per fortuna c'è pure tanta brava gente. C'è un solo modo per smascherare i fasulli: leggere i classici della filosofia, della psicanalisi, della letteratura, dell'economia, e soprattutto delle religioni. C'è veramente poco che non sia stato detto. Tuttavia è bene anche tenersi aggiornati sul pensiero contemporaneo, perché ovviamente non tutto è stato detto. Ma torniamo al nostro discorso. Secondo Jung "tutto ciò che è ignoto e vacuo viene riempito da proiezioni psicologiche; è come se nell'oscurità si rispecchiasse il retroscena psichico dell'osservatore", quindi l'alchimista proietterebbe l'inconscio sulla materia. Adesso, una curiosità: alle pagine 227 e 240 Jung cita Iulius Evola e riporta in nota un brano della Tradizione Ermetica- Laterza. Ci piace sottolinearlo perché egli fa suo il pensiero di Evola, e perché soprattutto ci conferma che l'aspetto chimico dell'alchimia non era mai stato escluso. Nel brano in questione suggerisce che "L'opera alchimistica non consiste per la maggior parte in meri esperimenti chimici, ma in qualcosa di simile a dei processi psichici in linguaggio pseudochimico. Difatti poco più avanti dice che "durante l'esecuzione dell'esperimento chimico, l'adepto viveva certe esperienze psichiche che gli apparivano come un comportamento particolare del processo chimico. Egli viveva la sua proiezione come una qualità della materia" . Come avrete notato non abbiamo parlato né di termini alchemici, né di procedimenti. Questo perché ogni termine può significare talmente tante cose a seconda del contesto in cui sta, che dire semplicisticamente, per esempio: il mercurio è la prima materia dell'Opera, oppure che esso è il vaso ermetico, o che esso è - potrebbe sviare il lettore che poi decidesse di andare a consultare dei testi alchemici. Né servirebbe elencare tutto ciò che un termine può significare. L'unico modo per comprendere i termini e le fasi dell'opera è leggere i testi classici e poi "operare": non c'è altro mezzo. Ma pure questo non è sufficiente. Se qualcuno ha avuto particolari esperienze psichiche, è attratto da quelle strane figure alchemiche e leggerà i testi senza problemi. Ma se uno si accosta a tali libri per curiosità o per dimostrarne l'assurdità, ne ricaverà solo mal di testa e tanta, tanta acidità con cui condirà poi i suoi giudizi (!) sull'alchimia. Piano piano ci stiamo rendendo conto degli enormi sforzi che Jung ha fatto per rendere "scientifico" quanto fino ad allora era rimasto avvolto dal fumo della magia e del mistero. Tradurre le opere alchemiche in termini di Psicologia Analitica, in particolare nel Processo di Individuazione, ecco quello che ha fatto. E c'è riuscito benissimo. In Studi sull'Alchimia (pag. 58 Boringheri vol. 13° ) ce lo dice chiaramente:"Ho la ferma intenzione di portare alla luce della comprensione psicologica ogni cosa che sappia di metafisica, e farò tutto il possibile per evitare al pubblico di credere all'autorità di parole oscure". In questo stesso volume sono raccolti gli scritti su Paracelso. Jung ha dedicato a tale, per certi versi geniale, medico-alchimista-astrologo, parecchi studi. Egli ne ha sicuramente letto tutte le opere. Perché ha dedicato tanto del suo tempo ad un personaggio tanto discusso e tanto strano, il cui strano linguaggio fa passare la voglia di accostarcisi? Perché Paracelso, in certo qual modo, nei tempi in cui visse ha fatto più o meno quello che Jung ha fatto il secolo scorso: ha cercato di dare una parvenza "scientifica" (la scienza allora era poca cosa) ad un caos indescrivibile, ad un magma alchemico impossibile da decifrare. Per mettere un po' d'ordine s'è creato un linguaggio tutto suo, che da un lato gli ha permesso di eliminare tutti gli altri e di fare una sintesi per se stesso, ma dall'altro ha apparentemente contribuito a creare nuovo caos. Un altro motivo per cui è stato commentato è che Paracelso era un ribelle che andava contro corrente ed attaccava la cultura accademica di allora accusandola di ciarlataneria. Jung non va a fondo nei commenti, ma riportando passi significativi fa capire di dare ad essi importanza. Paracelso è stato un profondo conoscitore della Psiche, dell'alchimia e della medicina. Infine, come Jung, Paracelso era una persona profondamente "religiosa" che seppe conciliare alchimia e religione. Dalle sue opere Jung ha tratto parecchi spunti per la sua traduzione dei processi alchemici in paralleli processi psicologici. Da non sottovalutare poi la "traduzione" che egli fa di parecchi termini incomprensibili. Paracelso ha persino suggerito il modo giusto di accostarsi al paziente. E' notorio come la prassi terapeutica freudiana prevedesse che il medico se ne restasse "nascosto" dietro il divano, oltre che la sua assoluta non partecipazione ed il quasi totale silenzio. Jung fece tutto l'opposto: massima partecipazione, terapeuta di fronte al paziente, empatia. Paracelso nella sua opera De Caducis dice testualmente: " In primo luogo v'è un gran bisogno di parlare della compassione, che nel medico dev'essere innata" "Dove non c'è amore non c'è arte" "Così il medico dev'essere dotato di compassione e amore non minori di quelli che Dio nutre nei confronti dell'uomo" (idem 145,146). La 'compassione' di Paracelso in Jung è divenuta 'empatia'. Paracelso "predicava" che senza fede in Dio non era possibile conseguire nessuna verità, e secondo noi Jung la pensa allo stesso modo. Lo testimonia per esempio l'accostamento del Sé al Cristo, e quello del Mercurio all' Anima del mondo platoniano; oppure il suo porre l'inconscio oltre ogni bene e male, aldilà di tutto come un Dio trascendente; oppure ancora il suo ritenere che l'inconscio bussa continuamente alla porta della coscienza; e poi il suo misticismo di sottofondo. L'opera di Jung è un ponte fra religione e psicologia, è dinamismo psichico, è invito ad "operare", a studiarsi, a fidarsi in primo luogo delle proprie esperienze dopo averle sottoposte a studio attento. Merito di essa è avere tolto ogni dogmatismo alla psicanalisi freudiana. Freud ha scoperto l'inconscio, ma secondo Jung, è finito "per soccombere all'effetto numinoso dell'immagine primordiale da lui stesso scoperta", da cui la sua "rigidità dogmatica"(idem 323).Jung è un alchimista perché cercando la stessa materia prima che gli alchimisti avevano sempre cercato, si è imbattuto nell'inconscio e si è dovuto confrontare con esso per anni. L'inconscio è la materia prima dell'alchimista, e rimarrà una nera "nube di inconoscenza" fino a che la coscienza, affacciandosi dai limiti dei propri confini, osserverà e basta. Confrontarsi con l'inconscio è opera titanica, eroica. Tale confronto "è, da un lato il tentativo di comprendere il mondo archetipico della psiche; e dall'altro la lotta contro il pericolo che per la ragione rappresenta il fascino che scaturisce dalle incommensurabili vette e profondità, dai paradossi della verità psichica immediata". Adesso vedremo di dare conferma a quanto si diceva poco fa a proposito della religiosità di Jung. Riporteremo un brano da cui apparirà chiaro innanzitutto come egli dia all'inconscio valenza di "Dio" Impersonale eterno. Quando scatta il confronto con l'inconscio "La mente umana è posta di fronte alla sua stessa origine, al suo archetipo; la coscienza finita sta di fronte alle sue premesse, e l'Io mortale di fronte al Sé eterno, all'Anthropos, al Purusa, all'Atman quello stato preconscio collettivo , da cui si origina il singolo Io". (idem) Poi Jung giustifica il segreto con cui Paracelso copriva la dottrina dell'Anthropos: per lui Cristo era solo un riflesso dell'Anthropos interiore, e siccome la cosa non presentava nessun aggancio con l'insegnamento della chiesa, era pericolosa… I brani sopra riportati sono però testimonianza anche di altro. Jung fra Buddismo e Induismo preferiva quest'ultimo, ed il paragone del suo Sé (comprensivo di conscio e inconscio) con l'Atman indiano ne è la prova. La sua religiosità ha mostrato la cistifellea, come direbbe un maestro zen. Ma proseguiamo. E' quasi inutile ricordare quanta importanza Jung attribuiva ai sogni, attraverso cui l'inconscio ci manda messaggi rivolti a farci acquisire quanto ancora è fuori della nostra coscienza. Ci invita ad analizzarli, ad entrarci dentro con l'immaginazione attiva, a reagire con essi, a parlare con i personaggi, ad ascoltarli. Ci invita insomma ad agire in prima persona, a farci maestri di noi stessi (almeno fino a un certo punto, oltre il quale, soprattutto per l'immaginazione attiva è meglio essere seguiti da un esperto). Jung dà molto peso all'esperienza diretta, alla nostra verità più che a quella degli altri. E' per questo che decise di non rendere omaggio a Ramana allorché si trovò in India: lui doveva scoprire la sua verità. Purtroppo però constatava come spesso gli adulti siano ad uno stadio inconscio, senza alcun senso critico, e si lascino facilmente convincere da verità preconfezionate. "Se così non fosse, le sette e gli 'ismi' di ogni tipo avrebbero già da tempo cessato di esistere" (Mysterium Coniunctionis, vol 14 pag. 526 - Boringheri). Secondo lui la cosa è dovuta ad infantilismo, insicurezza, inconsapevolezza, mancanza di autonomia, cose che tutte lasciano "prosperare ogni sorta di malerba" (idem). E' talmente convinto di questo, cioè che lo sforzo deve essere personale, da spingersi fino a "terrorizzare" il lettore con frasi tipo: "L'inconscio ha mille strade per mettere fine con sorprendente rapidità a un'esistenza priva di senso"(idem 475). Il nostro breve saggio volge al termine. Esso è voluto essere, oltre che un omaggio ad uno dei più grandi pensatori del secolo scorso, anche un esercizio di sintesi per meglio studiare e conoscere noi stessi.
1 commento:
E'proprio cosi'...chi cerca trova...ed io questa sera ho avuto un dono bellissimo trovando il suo blog e i tanti maestri invisibili da lei citati che sono anche i miei.
avrei piacere se possibile di contattarla via mail per alcune informazioni in merito alla maestosa via della filosofia della natura.
grazie
Maddalena
akaroa75@hotmail.it
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