12 febbraio 2011

- SULL'ORIGINE DEL SIMBOLISMO MURATORIO

Nelle brevi notizie di indole storica sopra le «Costituzioni dell'Anderson» abbiamo veduto come anche prima del 1723 si facesse distinzione nelle corporazioni muratorie tra massoneria operativa e massoneria speculativa. E, se può darsi che il manoscritto del Cooke, che risale al principio del 15°secolo, colla espressione speculativa, intenda significare semplicemente la scienza pratica del muratore, è per altro indubbio che, quando cominciarono ad appartenere alle Logge massoniche numerosi accettati liberi muratori, l'espressione di massoneria speculativa servì a designare l'arte o la scienza della edificazione morale e spirituale, e gli strumenti e le operazioni del lavoro muratorio acquistarono od accentuarono il valore di simbolo degli strumenti e delle operazioni di edificazione interiore. Il manoscritto rinvenuto dal Locke (1696) nella Biblioteca Bodleyana e pubblicato solo nel 1748, e che è attribuito alla mano di Enrico VI di Inghilterra, definisce la Massoneria come «la conoscenza della natura e la comprensione delle forze che sono in essa»; ed enuncia espressamente l'esistenza di un legame tra la Massoneria e la Scuola Italica, perché afferma che Pitagora imparò la Massoneria dall'Egitto e dalla Siria, e da questi paesi i Fenici, gli uomini rossi fiammanti, la portarono in Occidente . I più antichi manoscritti massonici offrono un curioso miscuglio di elementi biblici e di elementi pitagorici. Accanto a Tubalcain, ad Hiram, alla torre di Babele ed al Tempio di Salomone si trova in essi menzione di Pitagora, e di Euclide; il manoscritto Cooke dice che la Massoneria è la parte principale della Geometria e che fu Euclide, un sottilissimo e savio inventore, che regolò questa arte e le dette il nome di Massoneria. Ne segue tra le altre che la lettera G entro la stella fiammeggiante indica la geometria e non God, come sostengono certi scrittori e poiché la stella a cinque punte (il pentalfa pitagorico, il pentagramma cabalistico) rappresenta l'uomo, è dunque per virtù della conoscenza della Geometria (o Massoneria) che l'uomo diviene illuminato; perciò la stella fiammeggiante, come dice un antico rituale, è il simbolo del Massone risplendente di luce in mezzo alle tenebre. Il manoscritto della Bodleyana, concordando coi più antichi manoscritti massonici, stabilisce dunque il legame tra la Massoneria e la Geometria pitagorica, la cui conoscenza era indispensabile per entrare nella Scuola Italica. E sebbene l'autenticità di questo manoscritto non sia sicurissima, pure è molto probabile, ed in ogni caso il documento merita considerazione perché l'Anderson, che non lo conobbe, fa peraltro nel suo «Libro delle Costituzioni» espressa menzione dei rapporti interceduti tra Enrico VI e la Massoneria ; e quindi doveva esservene ricordo anche in qualcheduno degli antichi documenti massonici di cui egli si servì per la compilazione del suo Libro. E delle reminescenze pitagoriche nelle «Old Charges» è traccia anche nel più antico rituale stampato (1724) il quale attribuisce un pregio speciale ai numeri dispari, conforme alla tradizione pitagorica . Il simbolismo massonico, oltre ad elementi pitagorici e biblici, è però ricco di elementi e deriva-zioni varie e complesse, cristiane, cabalistiche, ermetiche, eleusine, alchemiche ecc. Noi vogliamo qui limitarci al simbolismo che adopera gli strumenti, i materiali e gli atti della edificazione materiale come simboli di quella spirituale. Il Laurie scrive : «oggi i Misteri di Pitagora sono chiamati i Misteri della Massoneria, perché molti dei loro simboli sono derivati dall'arte del costruire, e perché si crede che siano stati inventati da una associazione di architetti che erano ansiosi di preservare tra loro la conoscenza che avevano acquistata». Ed a provare che i Pitagorici per somministrare istruzione a coloro che erano iniziati nella loro Fraternità usavano dei simboli tratti dall'arte del costruire il Laurie adduce quanto scrive Proclo nel suo commento ad Euclide. Veramente il passo citato del Laurie non parla affatto di sim-boli di carattere muratorio, e l'unico passo di Proclo che potrebbe autorizzare l'affermazione del Laurie ci sembra il seguente: «Anche Platone insegna molte e mirabili sentenze sugli Dei per mezzo delle forme matematiche, e la filosofia pitagorica usando di questi veli copre la sacra disciplina delle sentenze divine» . Come si vede si tratta di un assai generico riferimento ad un uso di forme geometriche come simboli filosofici. Ed infatti una lontana relazione può stabilirsi tra la pietra cubica massonica ed il cubo e la piramide che per Platone se non per i pitagorici erano rispettivamente il simbolo della terra e del fuoco. I greci davano, come noi, il nome di piramide ad ogni poliedro ottenuto proiettando da un vertice un poligono piano, ma la piramide per eccellenza era quella a base quadrata come le piramidi di Egitto. I geometri greci la chiamavano così, dice Ammiano perché a guisa del fuoco si estenuava nel vertice. Ma il Revillout ha mostrato che la parola greca pyramis , usata per la prima volta da Erodoto, è una lieve corruzione dell'egiziano piremus che designa l'altezza della piramide. I platonici ed i neopitagorici vi riconobbero la figura schematica del fuoco; l'etimologia classica, indubbiamente errata, ve li indusse forse in parte e forse anche una qualche nozione di alcune denominazioni date in Egitto alla piramide di Cheope ed altre. La piramide simboleggiò il fuoco ed il cubo la terra ; e nella pietra cubica massonica abbiamo la riunione dei due simboli in un solo. Il fuoco (lo zolfo alchemico), l'elemento spirituale è riunito all'elemento terrestre purificato, alla terra, alla pietra levigata, alchemicamente al sale. Un altro rapporto tra la Massoneria e gli antichi è offerto dalla esplicita ed insistente menzione che gli antichi documenti massonici fanno delle sette scienze liberali; ossia delle scienze del trivio e del quadrivio. Quelle del trivio (grammatica, retorica, dialettica) studiavano il linguaggio, quelle del quadrivio (l'aritmetica, la geometria, l'astronomia, la musica) studiavano il numero. Come è noto non si poteva entrare nella scuola italica senza avere attitudine o conoscenza della geometria; ed il manoscritto Cooke afferma che la geometria è la prima causa di tutte le scienze, cioè delle altre sei. Sopra i rapporti tra Pitagora e la Massoneria molto si è scritto ed i famosi statuti massonici italiani del 1820 fanno risalire la Massoneria al sodalizio pitagorico. Esiste anche un'opera del tedesco Carlo Oppel che ha per titolo «Pitagora e la Massoneria» ma di essa non abbiamo potuto prendere visione; pure crediamo che anche l'Oppel non abbia riscontrato un raffronto specifico tra il simbolismo muratori o ed un analogo simbolismo pitagoreo. Prima del 1717 vi erano in Massoneria soltanto i due gradi di apprendista e compagno. Questi era il vero massone; simboli del compagno sono il pentalfa pitagorico (stella fiammeggiante), la lettera G iniziale di geometria, la scienza base delle sette scienze di cui i rituali prescrivono lo studio al compagno, come ne aveva il dovere il discepolo della scuola italica. A questo si riducono i rapporti, nell'uso del simbolismo muratorio, tra la Massoneria e la scuola pitagorica. Ma non per la natura del simbolismo, sibbene per quella della conoscenza, l'iniziazione massonica si riattacca a quella della antica scuola italica. Il simbolismo muratorio lo troviamo invece nettamente adoperato nel Vecchio e nel Nuovo Te-stamento. Naturalmente, data la formazione semantica del linguaggio, per cui ogni lingua, indipendentemente dal proposito determinato di individui e di scuole, fa uso della metafora e della stessa metafora, non è il caso di esagerare l'importanza di questo fatto, e di scorgervi per esempio la prova che la Massoneria [nel senso ristretto della parola] esisteva al tempo di Isaia, o che Gesù apparteneva all'Ordine. Espressioni come pietra di fondazione, pietra angolare, le fondamenta, la chiave di volta, le colonne ecc. si prestano così facilmente ad essere usate allegoricamente ad esprimere la edificazione morale e spirituale, che non basta l'uso semplice e sporadico di tali espressioni a provare l'esistenza di un vero e proprio simbolismo muratorio. Così sarebbe eccessivo il pretendere ciò a proposito del filosofo e mago neoplatonico, Massimo di Tiro, il maestro dell'imperatore Giuliano, il quale chiama arte reale e pastorale quella che ha per oggetto la condotta del genere umano; oppure a proposito del Tasso di cui ricordiamo il verso (salvo errore nell'Aminta): «Usi ogni arte regal chi vuole il regno».
E così pure sarebbe eccessivo ritenere che si faccia uso di simbolismo muratori o vero e proprio in quei passi del Vecchio e del Nuovo Testamento dove si parla di edificazione spirituale, e si fa uso delle espressioni: tempio, pietra angolare e consimili. San Paolo nella seconda epistola ai Corinti , paragona i Corinti al tempio (naos, tempio, nave) dell'Iddio vivente. La frase di Matteo che dice: Tu sei Pietro e sopra questa pietra io edificherò la mia chiesa; ed il passo di Matteo 7,24 non hanno in proposito maggiore importanza. Un uso più vicino al simbolismo muratorio si ritrova invece nel passo della prima epistola di San Pietro (2, 8) che dice: «la pietra che gli edificatori hanno riprovata è divenuta il capo dell'angolo, e pietra di incappo e sasso di intoppo»; ed il passo di Isaia (28, 16) sopra la pietra angolare citato da San Pietro (I, 2, 6) e da San Paolo (agli Efesi 2, 19, 22) che fa uso ampio ed esplicito del simbolismo della pietra angolare e del tempio del Signore. La ragione della denominazione pietra angolare riferita a Gesù ce la dice Origene :« Lapis angularis, è chiamato, vel quia duos parietes e diverso, id est, de circumcisione et praeputio venientes in unam fabricam Ecclesiae jungit; vel quod pacem in se angelis et hominibus fecit». Non traduciamo in omaggio alla religione della foglia di fico oggi dominante. Solo quando tale simbolismo si precisa, si accentua ed acquista un carattere sistematico e l'aspetto di gergo professionale, è il caso di parlare di un vero e proprio simbolismo muratorio. E questo è il caso del simbolismo massonico quando usa i termini: pietra grezza, pietra polita, pietra cubica, tagliatura e squadratura della pietra per la edificazione del tempio di Salomone ecc. Così pure quando l'arte muraria non si limita ad edificare in base alle sole considerazioni di stabilità e di estetica, ma per mezzo delle configurazioni e dei rapporti delle varie parti dell'edificio pensa ad esprimere concetti e sentimenti filosofici e religiosi, allora essa si eleva ad arte muratoria, ed assurge alla dignità dell'esoterismo. Simile carattere deve avere avuto od acquistato in tempi abbastanza remoti presso le corporazioni muratorie tutta la leggenda della costruzione del tempio di Salomone di Gerusalemme. Di fatti già nella Bibbia ed in generale nell'ebraismo Salomone è rinomato per la sua straordinaria sapienza; egli fu il re savio per eccellenza e la sua sapienza è detto avere sorpassato anche quella degli Egizii . Essa diviene poi proverbiale nella letteratura cristiana, specialmente in quella apocrifa, e nella letteratura araba, e diventa addirittura leggendaria nel medio evo. Tra gli apocrifi della Bibbia un libro intitolato «La sapienza di Salomone», opera di Filone Ebreo o di qualche alessandrino, identifica questa sapienza con Dio e con il Logos e dice che pervade tutte le cose e non è soggetta ad interruzioni nella costanza della sua influenza; in un passo famoso dice che essa attraversa tutte le cose a cagione della sua purezza, e che in tutti i tempi entrando nelle sante anime le fa amiche di Dio e dei profeti . Ed alla sapienza di Salomone si attribuisce di buon'ora il carattere magico; p.e. secondo una assai interessante leggenda cabalistica Salomone ordinò ad un demonio di portare Hiram, re di Tiro, nei sette compartimenti dell'inferno, e questi al suo ritorno rivelò a Salomone tutto quello che vi aveva veduto. E questo carattere gli è attribuito nelle numerosissime opere arabe che si occupano di Salomone; p. e. nelle «Mille e una notte» egli è ricordato come dominatore dei demoni per mezzo del suo anello magico. Le famose «Clavicole di Salomone» così diffuse nel Medio Evo ed ancor oggi popolari nelle campagne ne fanno il prototipo del mago e del sapiente . Rivestito di questo carattere si ritrova anche nella tradizione muratoria. Il tempio di Salomone è il tempio della saggezza; e non è perciò da stupire se ancor oggi si lavora alla sua edificazione. I più antichi documenti massoni ci si occupano diffusamente della costruzione del tempio di Salomone; e, dato questo suo carattere allegorico, furono bene inspirati quei fratelli che vi si riferirono nel comporre il rituale del terzo grado. Ma per trovare l'allegoria architettonica in senso spirituale, più o meno chiaro ed accentuato, è necessario dai tempi biblici e pitagorici venire a tempi assai più recenti. Il Rossetti, il patriota italiano esule a Londra per motivi politici e religiosi, dedica un intero capitolo del 3° volume della sua opera principale a ricercare l'uso del simbolismo architettonico e muratorio da parte degli scrittori medioevali. Egli ricorda il «De Compendiosa Architectura et Complemento Artis Lullii», e gli scritti di Francesco Colonna, nato poco oltre il principio del quattrocento, il quale annotando il Roman de la Rose lo definisce un trattato di «amore e architettura», dove le due parole vanno intese nel senso convenzionale del linguaggio allegorico. Ed il Rossetti rileva la curiosa identità tra l'espressione dantesca che chiama «cieco carcere» l'inferno e «miro ed angelico tempio» il paradiso, e la frase stereotipa del rituale massonico secondo la quale nelle logge «on bâtit des temples à la vertu, et l'on creuse des cachots pour le vice». Un uso molto più esplicito ed ampio di due elementi essenzialmente muratorii, insieme associati, come simboli della grande opera della palingenesi iniziatica è stato fatto dal Cardinale Niccolò di Cusa. Il Rossetti, che pure è andato a pescare i suoi documenti col lanternino, non ne fa alcuna menzione né ci consta che la cosa sia stata rilevata da altri. Per questa ragione e per l'importanza di questi passi, ne daremo l'esatta traduzione dal testo latino. Il Cusano, tedesco di nascita, nato a Cues presso Treviri nel 1401 e morto nel 1464, fu uomo di immensa erudizione, e fu un ardente seguace della filosofia pitagorica. A lui si inspirò e si conformò in gran parte un altro grande pitagorico, frate Giordano Bruno da Nola. Tra le altre cose pare che il Cusano sia stato il primo tra i moderni a sostenere la teoria eliocentrica, riprendendola appunto da Filolao e dai Pitagorici. I due passi che seguono fanno parte ambedue delle «Excitationum ex Sermonibus» del Cusano ; e vi si fa uso di un simbolismo simultaneamente cabalistico, pitagorico, platonico, cristiano e muratorio. «Poiché il tempio; dice il Cusano, ivi (cioè a Gerusalemme) edificato da Salomone non fu altro, che il luogo per la visione degli dei, il quale il principe dei sacerdoti consultava, dove si tenevano in scritto i responsi dei profeti, dai quali i sacerdoti investigavano le cose occulte». Ed ecco il secondo brano, che segue alla stessa pagina poco dopo: «L'anima zelante, che viene scelta in sposa per il figlio di Dio, il quale abita l'immortalità, ossia la celeste incorruttibilità, affinché sia gloriosa e degna, si conforma in questo mondo alle leggi ed ai costumi dello sposo e si adatta alla trasmigrazione, come vengono levigate le pietre (sicut lapides poliuntur) che devono essere trasportate all'edificio del tempio di Gerusalemme dove è la visione di Dio. Ed affinché tutte le pietre abbiano la debita misura, il maestro discende da Gerusalemme ai rudi monti del deserto, e le forma e poi le taglia per addurle e collocarle nel santo edificio. Così la sapienza di Dio discende dal cielo nella carne, e sceglie la sposa che lavi col suo sangue, affinché sia sposa, e conosca (di essere) grandemente diletta dallo sposo, che si dette in morte per essa. Ma la sposa zelante chiamata alle nozze dell'agnello, vale a dire del suo sposo immacolato, non può celebrare le nozze se non in Galilea, vale a dire in trasmigrazione. È necessario dunque che si dimentichi del padre, e che esca dalla sua terra e dalla sua famiglia paterna e segua il re che concupisce la sua bellezza: come in questo mondo le spose quanto più sono nobili, a tanto più distanti sposi vengono spesso trasferite». La traduzione, se non è bella, è però fedelissima e permette di pesare il valore ed il senso di tutte le espressioni usate in questo esuberante simbolismo. Sono queste le mistiche nozze del re e della regina, del Sole e della Luna, da cui nasce la pietra filosofale o pietra cubica, che fa parte integrante del dificio santo di Gerusalemme. Il maestro scende da Gerusalemme nel deserto (l'aspro diserto, la diserta piaggia dantesca), trae di tra i ruvidi massi (le pietre gregge) la pietra, la leviga, la purifica, le dà la debita conformazione, la rende atta alla trasmigrazione dal deserto al tempio dove si ha la visione di Dio, la stacca dalla sua terra e dal suo luogo natale e la colloca nel santo edificio. Così la sapienza discende dalle regioni celesti nella carne (verbum caro factum est), muore alla pura vita incorporea per immedesimarsi alla vita corporea di quella sposa che ha scelto, e che purifica col sangue che sparge per lei, il sangue dell'agnello immacolato, cioè vissuto sino ad allora nelle pure regioni spirituali. Così il re preso di amore per la bellezza di una anima nobile la trasporta tanto più lungi da terra quanto più essa è di nobile natura. Queste nozze del Cusano sono conformi alla dottrina cabalistica per la quale: «Anima plena su-periori conjungitur» , ed alla concezione dell'amore platonico secondo il quale vi sono quattro specie di furore divino, e la quarta che è di Venere e di Amore, è la meglio; la quale Venere Urania, dice Platone, non è lasciva manco per ombra . È un argomento questo su cui si sono dette e si dicono un sacco di sciocchezze da coloro che, per essere meno affini di gran lunga agli angeli che non ai porci, non sanno levare il naso dal trogolo in cui si godono rimestare il grifo. E perciò non ragioniamone, ma guardiamo e passiamo. L'identificazione dell'uomo e più specialmente della carne colla terra, e quindi colla pietra, è antichissima. L'etimologia stessa della parola homo, humanus da humus, cui corrisponde in ebraico quella di Adam lo prova; ed il Cardinale di Cusa teneva certo presente il racconto biblico della creazione dell'uomo dal fango. Egli era, come appare anche dai passi riportati, assai eclettico nei simboli che adoperava, e inoltre doveva certo parlare non per semplice erudizione. Cardinali così illuminati fanno onore alla Chiesa cui sono appartenuti, ed è giusto riconoscerlo. Non sappiamo però quanti ne annoveri oggi il Sacro Collegio; e, salvo il debito rispetto, ci pare che da un bel po' di tempo, nella vigna del Signore, di queste piante si sia perduto sin anco il seme. In compenso, prospera la mala erba di Santo Ignazio. Questo simbolismo muratorio adoperato dal Cusano, che era arcivescovo di Treviri, proprio nel periodo della grande attività delle corporazioni muratori e nella costruzione delle grandi cattedrali di Colonia, Strasburgo ecc. della regione renana, presenta allo storico della Massoneria più di un lato degno di riflessione. Le corporazioni muratorie erano allora in qualche modo dipendenti da questi alti prelati che le chiamavano al lavoro, e l'associazione dei due concetti di edificazione materiale e spirituale doveva attuarsi naturalmente per la collaborazione degli uni e degli altri. Alcuni simboli, strettamente muratorii, furono pure usati dagli alchimisti. Un manoscritto alchemico della Biblioteca dell'Arsenal contiene questo racconto del viaggio simbolico di un adepto: «Con la protezione dell'Altissimo tetrapentagrammaton, di cui la sovrana bontà mi ha conservato sempre questo prezioso mezzo (milieu) quod tenuere beati, nel mio pellegrinaggio laborioso tra il cielo ed il globo pietroso ho respirato e trovato il mio nutrimento tra i due poli artico ed antartico, nel sommo dei cieli e nella sfera di Saturno, nel cospetto molto benefico di Venere. Grazie alla favorevole introduzione di Mercurio, mi sono visto condotto nel gabinetto del Sole... dove ho riconosciuto che la vera e maestra pietra angolare e cubica è la base ed il vero centro della luce, che esce per se stessa dalle tenebre di questo sasso bianco, di questa unzione che insegna tutte le cose, di questa saggezza celeste che assiste continuamente il trono dell'Altissimo, da cui esce questo olio di gioia, questo balsamo di vita triangolare...». Il Jacob, da cui riportiamo il passo, non indica il tempo cui appartiene il manoscritto, di modo che si potrebbe forse dubitare della sua antichità; ma un po' per lo stile ed un po' per altre ragioni lo si può fare risalire al settecento. Analogia ed identità tra il simbolismo massonico e quello alchemico si riscontrano facilmente nelle opere degli alchimisti. Michele Sendivogio, detto il Cosmopolita, morto ottantenne nel 1646, paragona ad una via reale (via regia) quella seguita dalla santissima arte filosofica o scienza reale. Nel suo «Novum Lumen Chemicum» mette il chicco di grano in relazione colla putrefazione e colla resurrezione ed altrettanto fa l'anonimo Philalete in tutto il XIII capitolo dell'«Introitus apertus ad occlusum Regis Palatium», scritto nel 1645. In queste mirabili opere di antichi iniziati il chicco di grano ha il medesimo valore allegorico che riveste nei misteri egiziani, in quelli eleusini, nella tradizione massonica; e che è racchiuso nel carattere intenzionalmente duplice, ermetico ed eleusino, della parola di passo del secondo grado m∴, conformemente al significato ebraico ed a quello greco della parola, come sulla scorta dell'Hutchinson abbiamo mostrato altrove . Il sangue versato dall'agnello del Cusano è il sangue che viene trasudato dalla pietra cubica. «Beato te, dice il Sendivogio , se tu sai che il sangue dello Zolfo è quella virtù e sincerità intrinseca che converte e congela l'argento vivo (il mercurio) in oro». Perché, è detto poco dopo, «lo zolfo è più maturo degli altri principi, ed il Mercurio non si coagula se non collo zolfo. Quindi tutta la nostra operazione in questa parte non è se non di sapere fare uscire dai metalli lo zolfo col quale il nostro argento vivo si coagula in oro ed argento nelle viscere della terra: il quale zolfo in questa opera viene tenuto al posto del maschio, e quindi più degno, ed il Mercurio al posto della femmina. Dalla composizione e dall'atto di questi due si generano i Mercurii dei filosofi»; e così si penetra nel chiuso palazzo del re del Filalete , del Cusano e del Sendivogio . La squadra ed il compasso erano simboli usati dagli alchimisti sino dai primi del settecento. In un'opera edita a Francoforte nel 1618 (Joannis Danielis Mylii Tractatus III seu Basilica Philosophica) è rappresentato entro l'uovo filosofale l'ermafrodito ermetico o Rebis. Una figura umana bicipite (una testa maschile, l'altra femminile) tiene nella destra un compasso, nella sinistra una squadra, sta dritta sopra un dragone, e questo sta sopra un globo terrestre alato, in cui è inscritto un triangolo ed un quadrato. Questo Rebis dice il Filalete è la materia nella prima opera ed è rem ex re bina confectam juxta poenam: Res rebis est bina conjuncta, sed tamen una. Pochi anni dopo la morte del Sendivogio fu pubblicato a Parigi (1660) uno scritto famoso per i seguaci dell'Arte, le «Dodici chiavi della filosofia», composto probabilmente da Basilio Valentino. Al principio di questo libro, scrive il Silberer , si vede una magnifica incisione in rame, di cui è evidente l'affinità col simbolismo massonico. Come complemento al simbolo del sale, rappresenta-to dalla pietra cubica, e collocato proprio a pie' di pagina, si trova un chiaro accenno alla terra ed alle cose terrestri; la rettificazione del soggetto (l'uomo) trattato nell'arte si effettua difatti attraverso la prova degli elementi terrestri, conformemente ai precetti degli alchimisti, i quali chiamano Vitriol l'inizio dell'opera e danno la forma di una massima alle iniziali di questa parola: «Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem». Poco sotto il centro dell'incisione trovasi il simbolo alchemico del Mercurio con a destra il sole ed a sinistra la luna; e sopra il Mercurio il simbolo dello zolfo, ossia un triangolo equilatero dalla cui base pende una croce. Nell'interno del triangolo una Fenice si solleva dalle fiamme; e sopra il vertice del triangolo sta in piedi Saturno incoronato, colla falce nella destra ed un compasso nella sinistra. Il sale, il mercurio e lo zolfo furono, dopo Paracelso, i tre simboli fondamentali della alchimia. In questa incisione di Basilio Valentino tutto poggia sopra la pietra cubica. Sopra di essa, e sotto l'influsso del sole e della luna si forma il mercurio, che unisce la pietra cubica allo zolfo, entro cui la Fenice risorge dalle fiamme. Sta in sommo Saturno che tiene in mano la falce del tempo ed il compasso dell'eternità. La proprietà del Mercurio (l'argento vivo mobile come il pensiero) di fissarsi e di amalgamarsi coll'oro (il sole) e coll'argento (la luna) ne fa un simbolo alchemico preciso ed efficace, perché come abbiamo cercato di esporre altrove la grande opera si attua mediante l'amalgama, l'assimilazione della coscienza individuale in quella non differenziata. Il Rosacroce Joachim Frigerius nel suo «Summum bonum» (Oppenhemii 1629) parla continuamente del lapis dei filosofi e dice che «la pietra spirituale è Cristo che riempie tutte le cose, e quindi noi siamo le membra della pietra spirituale e conseguentemente siamo delle pietre viventi, tratte da questa pietra universale. Perciò non soltanto a Pietro ma ad ogni uomo cristiano compete il nome di Cephas» . Ed il grande filosofo rosacroce Robert De Fluctibus (Fludd) attribuisce l'invenzione della musica a TubalCain, ben noto in Massoneria, mentre il Borrichius pone la culla dell'alchimia nell'officina di TubalCain . Ricordiamo poi che Elias Ashmole, rosacroce, alchimista, ed autorevole massone, pubblicò il suo Fasciculus Chemicus sotto lo pseudonimo di Jacques Hasolle nel 1650, ed il «Theatrum Chemicum Britannicum» a Londra nel 1652. Egli era stato iniziato in Massoneria nel 1646. Ed infine ricordiamo che un vecchio libro avente per titolo: L'Adepte moderne, ou le vrai secret des FrancsMaçon, Londres 1747, non si occupa affatto di massoni, ma solo della trasmutazione dei metalli. Ma sui rapporti tra alchimia e massoneria avremo occasione di tornare e per il momento rimandiamo il lettore alle opere del Wirth, del Höhler, del Silbèrer, del Katsch e dello Tschoudy . Un tempio che ricorda quello massonico viene sommariamente descritto da Giordano Bruno nel De Monade, Numero et Figura nel capitoletto intitolato Urbs Cabalistica e che principia coi seguenti versi: Descripsit seclum, tetradis sub lege propheta, cui Domus est Quator laterum; Templumque quaternis cornibus adsurgens. Quadruplo ordine adesse columnas ad Quator coeli plagas, ... (Opera latina - Napoli 1884 - Vol. I, Pars II, pag. 385). E così pure sotto molti rispetti ricorda quello massonico e quello di Salomone il tempio della Città del Sole di Tommaso Campanella; ed il grande sacrificio che vi si compie e di cui Campanella fa la descrizione non è altro che la figurazione della suprema iniziazione . Il filosofo italiano scrisse verso il 1602, nel carcere, questo viaggio all'ideale città del sole che egli vagheggiava. Circa venti anni più tardi un grande filosofo inglese, Francesco Bacone, poco prima di morire, scriveva la nuova Atlantide, dove in modo consimile egli immagina di pervenire dopo un grande viaggio nella lontana isola di Ben Salem dove una umanità vive secondo un regime sociale e civile dall'autore esaltato. Come abbiamo accennato nel breve studio sopra le Costituzioni dell'Anderson, comparso in un numero precedente della Rassegna, varii autorevoli scrittori massonici fanno risalire ai rosacroce pel tramite della Nuova Atlantis di Bacone il nuovo spirito universale ed asettario impresso all'Ordine dai riformatori del 1717. Certo il grande rinascimento scientifico e filosofico del settecento, di cui Bacone fu magna pars, doveva esercitare una qualche ripercussione anche nel seno della Massoneria speculativa. Il severo spirito scientifico di Bacone e l'ampia visione umanistica che informa la Nuova Atlantide, la filosofia socratica propugnata nel Pantheisticon e nelle Letters to Serena del Toland, cui facevano capo i più eletti ingegni dell'Inghilterra (1720) e lo spirito libero con cui il Dupuy nel suo «Traitez concernent l'Histoire de France - 1651» trattò della storia e della condanna dei templari, dovevano certo promuovere la idea di una nuova società umanitaria in luogo dell'antica Massoneria cristiana ed anche suggerire l'adozione di simboli tratti dal paganesimo e dall' ebraismo. Ma oltre a questo legame ideale, vi sono altre cose più determinate in comune alla Massoneria ed alla Nuova Atlantide di Bacone. Gli abitanti dell'isola di Bensalem «grazie alla loro solitaria situazione, ed alle leggi del segreto verso i viaggiatori ed alle rare ammissioni di stranieri, conoscono bene la maggior parte del mondo abitabile, e sono essi stessi non conosciuti». Questa era esattamente la situazione dei Rosacroce, e in generale di ogni società segreta seria. Nel regno di Bensalem esiste una Società della casa di Salamon, composta di uomini savi, la quale casa o collegio costituisce l'occhio diritto (the very eye) del reame. Il governatore della casa degli stranieri, fornendo delle spiegazioni agli avventurosi viaggiatori, così si esprime in proposito: «Circa 1900 anni or sono regnò in quest'isola un re, la cui memoria più che tutte le altre onoriamo; non in modo superstizioso ma come un istrumento divino benché uomo mortale. Il suo nome era Solamone, e noi lo stimiamo come il legislatore della nostra nazione... Tra gli atti eccellenti di questo re uno ebbe sopra tutti preminenza. Fu l'erezione e la istituzione di un ordine, o società, che noi chiamiamo Casa di Salomone, la più nobile fondazione, pensiamo, che sia mai stata sopra la terra, e la lanterna di questo regno. Essa è dedicata allo studio delle opere e delle creature di Dio. Alcuni pensano che essa porta il nome del fondatore alquanto corrotto, perché dovrebbe essere la casa di Salomone; ma i documenti lo scrivono come è detto. Ed io penso che sia così denominata dal re degli Ebrei, che è famoso presso di voi e non è straniero per noi, perché abbiamo alcune delle sue opere che voi avete perduto: precisamente la Storia Naturale che egli scrisse di tutte le piante, dal cedro del Libano al muschio che cresce dai muri, e di tutte le cose che hanno vita e moto. Questo mi fa pensare che il nostro re, trovandosi a simbolizzare (ossia a concordare) in molte cose con quel re degli Ebrei (che visse molti anni prima di lui) lo onorò col titolo di quella fondazione. Ed io sono tanto più indotto ad essere di questa opinione perché nelle antiche memorie trovo che questo ordine o società talvolta è chiamato Casa di Salomone e qualche volta il Collegio dei Lavori dei sei giorni, per mezzo di che mi persuado che il nostro eccellente re aveva imparato dagli Ebrei che Iddio aveva creato il mondo e tutto quello che vi è dentro nello spazio di sei giorni; e perciò egli istituì quella casa per scoprire la vera natura delle cose (dimodo che Dio potesse avere la maggior gloria nella loro fabbricazione e gli uomini il maggior frutto nel loro uso), e le diede anche il secondo nome» . Ed infine Bacone fa dire personalmente al «padre della casa di Salomone»: «lo scopo della nostra fondazione è la conoscenza delle cause e dei movimenti segreti delle cose; e l'allargamento dei limiti dell'impero umano, per effettuare tutte le cose possibili». Lo scopo attribuito da Bacone alla sua casa di Salomone è lo stesso, anche nella espressione adoperata, con lo scopo e la definizione della Massoneria data dal manoscritto della Bodleyana. Notevole è pure la asserzione della esistenza di una sapienza arcana di Salomone nota solo ai fratelli del Collegio di Salomone, ed il perseguito allargamento dei limiti della potenza umana per effettuare tutte le cose possibili. Questi sono gli elementi essenziali per misurare quale legame spirituale leghi la Massoneria, attraverso l'opera dei riformatori massonici di due secoli or sono, alle idee di Francesco Bacone ed alla sapienza della misteriosa fratellanza dei rosacroce.
Arturo Reghini



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