7 marzo 2012

- Il mistero dell'Alef - Amir D. Aczel -



Il confine tra matematica e filosofia non è sempre ben netto e definito; a volte le due discipline tendono a fondersi, soprattutto quando gli oggetti di studio sono temi riguardanti l’essenza di ciò che non è tangibile dall’uomo, cose la cui natura non può essere appurata osservando con gli occhi o toccando con mano, ma che possono essere solo percepite, spesso neanche appieno, dalla mente umana. Non è un caso che molti grandi pensatori della storia siano ricordati come pietre miliari ed esempi da seguire sia dai matematici che dai filosofi. Tutto ciò non deve stupire, dato che entrambe le discipline sono naturali evoluzioni del pensiero umano, sono manifestazioni della volontà dell’uomo di capire ciò che accade attorno a sé. Più ci si spinge oltre e più questa comprensione risulta difficile, poiché diminuiscono le capacità umane di verificare l’ortodossia delle proprie idee; addirittura, la possibilità di trovare risposte certe viene meno quando si cerca di comprendere la natura di ciò che non è contabile o misurabile, non ha inizio né fine, insomma è infinito… come i numeri… come Dio!
Ecco perché la ricerca dell’Infinito in tutte le sue forme è stata terreno di battaglie sia per matematici che teologi, dai grandi pensatori greci ai mistici ebraici, dai filosofi del Seicento alla florida generazione matematica ottocentesca. “Il mistero dell’alef” è un’accurata ricostruzione storica di questa ricerca, che ha affascinato, ma al contempo turbato, chiunque si sia avvicinato ad essa; ha fatto intravedere la luce a qualcuno e ha fatto impazzire altri, ma soprattutto ha dimostrato che, nonostante le grandi energie profuse, quando cerca di toccare l’Infinito, l’uomo cade immancabilmente vittima di paradossi e contraddizioni, quasi come se all’essere umano fosse proibito cercare di capire qualcosa che è al di fuori della sua stessa natura finita. Stando a quanto ci racconta il libro, il primo incontro degli uomini con l’Infinito è stata la scoperta da parte dei Pitagorici dei numeri irrazionali, numeri con espansione decimale infinita non periodica; l’avvenimento turbò la comunità e causò perfino la morte di uno dei suoi membri. Anche gli Ebrei si interessarono all’Infinito, a partire dal periodo immediatamente successivo alla Diaspora: essi elaborarono una filosofia basata sulla meditazione e sulla contemplazione di Dio che aveva come fine ultimo la percezione dell’En Sof, ovvero l’Infinità di Dio. Un impulso fortissimo lo diedero Galileo Galilei e Bernhard Bolzano, i quali prepararono la strada all’uomo che meglio di ogni altro simboleggia la ricerca dell’Infinito: Georg Cantor. Gran parte del libro è dedicata alla vita e al lavoro di questo grande matematico, che, avvalendosi dei potenti strumenti della sua nuova creazione, la teoria degli insiemi, ha ipotizzato una struttura armonica e ordinata nel caos e nel mistero che avvolge il concetto di Infinito. Cantor dimostrò, con una tecnica ingegnosa nota come “argomento diagonale”, che l’insieme dei numeri razionali è numerabile, ovvero ha la stessa cardinalità dell’insieme dei numeri naturali: sembra paradossale, anche Cantor stentava a crederci nonostante lo avesse dimostrato, ma i numeri razionali sono esattamente tanti quanti i numeri naturali. Dimostrò inoltre che i numeri reali non sono numerabili, ma sono infinitamente più numerosi dei razionali; ecco come il generico concetto di Infinito veniva esteso a vari livelli. Ma esistono solo questi due tipi di Infinito? Cantor ipotizzò l’esistenza di un numero più grande di ogni altro numero finito e lo indicò con la lettera greca ( omega ). Poi ipotizzò l’esistenza di altri numeri di questo tipo, dunque numeri “infiniti”, a cui diede il nome di numeri transfiniti; teorizzò anche un’aritmetica per effettuare operazioni con questo genere di numeri. Per Cantor i numeri transfiniti sono a loro volta in quantità infinita e in seguito utilizzò la lettera ebraica X (si pronuncia alef) per indicare ogni elemento della loro successione. Ecco dunque il susseguirsi infinito di questi numeri così grandi da superare qualunque quantità finita che la mente umana possa immaginare: X0,X1,X2,X3…. La grandiosità dell’idea di Cantor non risiede, però, solo nell’aver ipotizzato l’esistenza di questi numeri. Cantor andò oltre: riteneva che X0, il più piccolo dei numeri transfiniti, fosse pari alla cardinalità dell’insieme dei numeri naturali (quindi anche a quella dei razionali); sosteneva inoltre che la potenza dell’insieme dei numeri reali fosse X1... in sostanza, per Cantor, i tipi di Infinito con cui aveva a che fare maggiormente l’uomo non erano altro che i due tipi più “piccoli” di Infinito! Come è noto, l’insieme dei reali costituisce un insieme continuo (contrapposto a quello dei razionali che è un insieme discreto). Ciò premesso, Cantor congetturò che il nesso tra i due tipi di Infinito più noti fosse tutt’altro che complesso: 2X0=X1. Questa equazione è tuttora nota come “l’ipotesi del continuo”; colui che la formulò tentò con tutti i propri mezzi di dimostrarla, ma non vi riuscì. In seguito, numerosi matematici, Gödel su tutti, hanno continuato a costruire sulle basi gettate da Cantor. Grazie al lavoro di Gödel e di Cohen fu dimostrato che l’ipotesi del continuo non può essere dimostrata all’interno del nostro sistema matematico, dunque non possiamo sapere se l’idea di Cantor fosse giusta o meno. La malattia mentale che tormentò Cantor, Gödel e altri che come loro si sono addentrati molto in profondità lungo quella via potrebbe essere intesa come un monito divino a non sfidare entità più grandi di noi; di contro, potrebbe essere un effetto dell’estasi di aver visto uno spiraglio di luce proveniente da un mondo le cui porte nessuno ha mai varcato. Probabilmente all’uomo non è dato di conoscere l’Infinito, ma solo a pochi eletti è concesso di percepirlo, di avvertirlo, di intravederlo. Forse, come ha sempre sostenuto lo stesso Cantor, l’Infinito nella sua essenza (egli soleva definirlo l’Assoluto) è Dio stesso, ecco spiegato perché per il genere umano è del tutto impossibile una comprensione dell’Infinito nella sua pienezza. Forse è così, ma anche questo probabilmente non ci è dato poter sapere. Come dicevano gli antichi, dunque, scire nefas? Soltanto Dio lo sa…
Andrea Vitiello




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