7 agosto 2013

- Zero tra filosofia e matematica.



Tutto nasce e finisce pensando a questo numero.
Esce un libro che indaga una delle cifre più signíficative che ha affascinato il mondo della scienza, ma anche quello della speculazione filosofica.
Ci sono molti modi per avvicinarsi al concetto.  Dal non essere metafisico al silenzio religioso, dal buco dell'universo al vuoto esistenziale.
"C'è il nulla da cui si fugge, e c'è il nulla verso cui ci si dirige", diceva Simone Weil, sotto intendendo che dal nulla si fugge con il principio, la nascita, l'arrivo, la presenza, l'impegno, l'azione, la creazione, e verso il nulla ci si dirige con la distruzione, l'inerzia, la rinuncia, l'assenza, la partenza, la morte, la fine.
La sua prima apparizione letteraria il nulla l'ha fatta nel libro IX dell'Odissea quando Ulisse dichiarò a Polifemo di chiamarsi Nessuno.  Da allora è diventato una costante di riferimento della letteratura: dai versi di Leopardi ("a noi presso la culla, immoto siede, e su la tomba, il nulla") agli aforismi di Lewis Carroll ("per vedere nulla ci vuole una vista ottima").  Le metafore del nulla, poi, sono pervasive: l'assenza in Aspettando Godot, l'ombra in Peter Pan, il buco in Tanto rumore per nulla (di cui oggi sfugge il greve doppio senso elisabettiano).
Se assenze, ombre e buchi alludono più o meno indirettamente al nulla, la sua realizzazione letterale è il silenzio, a cui hanno incitato, parlando, i mistici di ogni tempo, da Lao Tze ("chi sa non parla, chi parla non sa") a Wittgenstein ("su ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere").  Prima di spirare nel silenzio assoluto, l'arte spesso agonizza in quello relativo dell'opera inedita, incompiuta o non scritta: Borges e Lem hanno recensito opere inesistenti; Marcel Bénabou ha scritto Perché non ho mai scritto nessuno dei miei libri, Paul Fournel ha prodotto Suburbia, un'opera completa di prefazione, introduzione, note, postazione e indice, ma senza testo; Tristram Shandy di Laurence Sterne contiene fogli bianchi e capitoli mancanti....
In musica il silenzio è fondamentale: ogni spartito contiene delle pause, di cui ci sono otto tipi diversi, e il famoso bussare del destino della Quinta sinfonia di Beethoven incomincia appunto con una accentata, come ogni nota agli inizi di una battuta!  A volte non c'è altro, come nella "composizione "4'33" di John Cage: 273 secondi di silenzio, che richiamano esplicitamente la temperatura dello zero assoluto.  Altre volte c'è poco di più, come nella Sinfonia monotona di Yves Klein, che consiste di un unico lungo suono continuo seguito da un lungo silenzio.
Il ruolo della pausa musicale è preso nella pittura dalle porzioni del colore di fondo del foglio o della tela su cui si dipinge, e analoghi al silenzio sono i quadri non dipinti di Lucio Fontana, che alla mancanza di pittura uniscono anche buchi e tagli che rappresentano il vuoto.  Alle composizione monotone corrispondono invece le tele monocrome dì "artisti" quali Rauschenberg, Reinhardt o il solito Klein.  Naturalmente, qualunque raffigurazione pittorica è un simulacro del nulla: anche se le immagini sulla tela pretendono infatti di rappresentare qualcosa non per questo cessano di essere segni. Il concetto è stato memorabilmente espresso da Magritte in Il tradimento delle immagini, che rappresenta una pipa, con la scritta "questa non è una pipa".
Visto che stiamo diventando filosofici, tanto vale notare che anche la filosofia ha la sua versione del nulla nel "non essere", che generò con Parmenide uno dei primi paradossi della storia: per la sua natura, infatti, il "non essere" non può essere niente, ma allo stesso tempo è qualcosa (appunto il "non essere"). Per la cronaca, il paradosso fu risolto da Platone nel Sofista, anche se molti filosofi mostrano di non essersene accorti: la soluzione è che non ha senso parlare di "essere" o "non essere" assoluti, e lo si può fare soltanto in maniera relativa.  In particolare, non hanno senso le amenità che pur abbondano imperterrite in testi che vanno da L'essere e il tempo di Heidegger a L'essere e il nulla di Sartre.
Naturalmente, quando sì tratta di amenità anche la teologia non scherza: basta ricordare le pensate sul nulla dello gnostico Basilide "il nulla-Dio creò dal nulla il nulla-Mondo"), di Scoto Eriugena ("il nulla da cui Dio crea tutte le cose è Dio stesso") e di Maestro Eckhart ("Dio è nulla di nulla").  Oggi, ormai tramontati questi equilibrismi squilibrati, l'espressione più pregnante della concezione nichilista della divinità si trova forse nella parodia del Padre Nostro di Hemingway: "Nulla nostro, che sei nel nulla, sia santificato il tuo nulla, venga il tuo nulla, sia fatto il tuo nulla, ovunque nel nulla.  Dacci oggi il nostro nulla quotidiano e rimetti a noi i nostri nulla, come noi li rimettiamo agli altri nulla. E non ci indurre nel nulla, ma liberaci dal nulla.  Amen".
A questo punto, può anche sorgere un dubbio: se mai del nulla si possa parlare in maniera sensata.  Il dubbio è dissipato dalla lettura dell'interessante Zero di Charles Seite (Bollati Boringhieri), che indica dove si debbano cercare i discorsi sensati sull'argomento: precisamente, nella scienza e nella matematica, dove la presenza del nulla si è fatta problematica e inquietante, ed esso ha ormai assunto un ruolo altrettanto fondamentale, se non addirittura maggiore, della stessa realtà apparente.
Naturalmente, il nulla fa la sua apparizione più scontata in fisica nel vuoto, introdotto in Oriente dal taoismo, ma a lungo rimosso in Occidente.  La teoria prevalente nell'antichità era infatti quella di Platone e Aristotele, che definivano la posizione di un corpo attraverso le sue relazioni con gli altri corpi.  Fu Newton a rendere popolare l'idea, già anticipata dagli atomisti, di uno spazio vuoto come contenitore degli oggetti.  La relatività generale di Einstein reintrodusse invece la concezione relazionale dello spazio-tempo, la cui struttura è determinata dalla materia.  A sua volta, e paradossalmente, la materia corrisponde ai "buchi" dello spazio-tempo. Non è dunque chiaro quale sia il nulla e quale l'essere, nella teoria della relatività.
La cosa diventa ancora più problematica nella meccanica quantistica, il cui vuoto è in realtà un pieno in cui succede di tutto: continuamente, infatti. vi si formano coppie di particelle e antipartcelle, e anche di "corpi " e "anticorpi", di durata inversamente proporzionale alla loro massa.  A permettere che dal nulla eterno si crei la materia è il famoso principio di indeterminazione di Heisenberg, che permette alla natura di prendere temporaneamente a prestito energia, per periodi tanto più brevi quanto maggiore é il "capitale" prestato.  Lungi dall'essere qualcosa che la natura aborrisce, sembra dunque che per la fisica moderna il vuoto sia divenuto la naturale culla dell'esistenza.
E lo stesso succede per la matematica moderna, che ha anch'essa due versioni del nulla.  La prima, e più ovvia, è lo zero che dà il titolo al libro di Seife: tanto ovvia, che può sorprendere che esso sia stato inventato o scoperto solo abbastanza recentemente, e non in Occidente.  Non l'avevano infatti né i greci né i romani, e lo trovarono gli indiani verso il 500 d.C. e i maya nella seconda metà del primo millennio.  Gli indiani lo indicavano con un puntino chiamato sunya, che significa "vuoto": dalla sua traduzione araba sifr deriva la parola "cifra", e dalla successiva traduzione latina cephirum deriva l'italiano "zevero" (zefiro), che poi divenne "zero".  Il simbolo O ci arriva invece dagli arabi, ed è la stilizzazione di un buco: ancora una volta, tanto rumore per nulla.
L'altra versione matematica del nulla è l'insieme vuoto, che non contiene nessun elemento.  E come l'aritmetica è costruita a partire dallo zero, cosí la teoria degli insiemi, e dunque l'intera matematica moderna che su di essa si basa, è costruita a partire dall'insieme vuoto.  Essa si riduce così a un edificio di pure forme, che si dissolve in ultima analisi nel nulla.
Allo stesso modo, si rimane con niente in mano se si cerca l'essenza di una cipolla pelandola o del carciofo sfogliandolo, come notarono Pirandello in Vestire gli ignudi, Ibsen nel Peer Gynt e Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche.  Con una differenza: che mentre le cipolle della letteratura e i carciofi della filosofia stuzzicano l'appetito, ma non tolgono la fame, sui numeri e sugli insiemi si basano la scienza e la tecnologia, che danno da mangiare agli affamati e da bere agli assetati.  Chi ha orecchie per intendere, intenda.  E chi non ce l'ha, che pianga se stesso.


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