19 ottobre 2011

- Principio antropico ed entropia

Il DNA, l’anima della vita. Ha avuto bisogno di condizioni particolari per dare origine agli organismi complessi (tra cui l’uomo) che conosciamo oggi. Le dimensioni, la forma e la posizione del nostro pianeta nell’universo hanno quindi giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della vita, e nessun particolare sembra essere stato lasciato al caso.Se la Terra fosse stata solo leggermente più vicina al nostro astro, l’intenso calore ne avrebbe fatto evaporare l’atmosfera e tutte le acque superficiali e le radiazioni letali provenienti da esso avrebbero sterilizzato l’intera superficie. Al contrario una maggiore distanza l’avrebbe relegata in una morsa di freddo. Inoltre essa possiede un campo magnetico, ovvero una forza generata al suo interno che, come una calamita, attira e devia il flusso di particelle energetiche provenienti dal Sole, comportandosi come uno scudo. E ancora la sua massa le permette di trattenere una densa atmosfera indispensabile alla vita, e la sua geologia è strutturata in modo tale da essere estremamente dinamica, permettendo un rinnovamento continuo della superficie. Inoltre possiede tutta una serie di movimenti che le permettono di distribuire equamente il calore ricevuto dal Sole. E poi c’è la Luna, il nostro satellite, che non è solo un romantico ornamento del cielo, bensì un elemento che stabilizza l’asse terrestre al punto da garantire un certo clima per periodi lunghi e favorire quindi lo sviluppo della vita.Ma nelle condizioni favorevoli sono incluse anche le caratteristiche della nostra stella. Se fosse stata troppo grande avrebbe inghiottito la Terra o, quantomeno, avrebbe bruciato troppo in fretta per accompagnare le tappe dell’evoluzione biologica. E se fosse stata troppo piccola il suo calore non sarebbe stato sufficiente a scaldarci. Inoltre il Sistema Solare è posizionato in una zona periferica della galassia, abbastanza distante dalla zona centrale da salvaguardarsi dall’energia mortale prodotta dai fenomeni molto violenti che vi avvengono, ma non troppo per fare a meno degli elementi chimici pesanti che utilizza la vita. Sebbene di per sé già eloquenti, queste osservazioni assumono addirittura un ruolo di secondo piano se proiettate nel contesto più generale delle caratteristiche del cosmo, che è strutturato in modo che ogni suo fenomeno avviene coordinato all’unisono con tutto il resto, al punto che il cambiamento minimo di una grandezza fisica ne sconvolgerebbe totalmente le caratteristiche e l’evoluzione. Quindi avrebbero potuto esistere infiniti universi differenti da quello che vediamo oggi, tanti quante le combinazioni nei parametri fisici che conosciamo. Allora perché l’universo è così com’è? E se fosse stato diverso, cosa ne sarebbe stato di noi? La nostra esistenza necessita di condizioni talmente particolari che sembra quasi siano state create apposta in questo modo per permettere la nostra presenza. Ma allora qual è lo scopo della nostra esistenza? E che rapporto c’è tra la nostra creazione e quella di un cosmo che sembra fatto apposta per noi? Il suo creatore (qualsiasi sia la sua natura) aveva forse una scelta o un progetto? Questa considerazioni ci pongono di fronte ad un bivio: o l’universo è stato confezionato appositamente per noi (circostanza nota nel mondo scientifico con il nome di Principio Antropico), oppure siamo sulla strada sbagliata e stiamo prendendo in esame solo i processi correlati alla nostra presenza, allo stesso modo in cui un pesce in uno stagno è interessato solo alla pozza d’acqua che lo circonda. Il Principio Antropico si rispecchia nella visione antropocentrica del cosmo predicata dalla chiesa cattolica qualche secolo fa, dove l’uomo e il suo pianeta erano al centro del Creato e la sua ragione ultima. Secoli di storia e di sofferente ricerca scientifica hanno lentamente scardinato tale dogma; tuttavia l’interpretazione dei nuovi dati sperimentali tende a ridare un ruolo di primo piano all’essere umano. Sì, perché?La materia e l’energia nell’universo sono disposte in modo estremamente ordinato, organizzate ad ogni livello in strutture complesse. Tuttavia ciò è in palese contrasto con la tendenza spontanea dei fenomeni naturali di passare da forme concentrate e organizzate di materia ed energia verso distribuzioni più casuali. Nel linguaggio scientifico questa proprietà della natura viene chiamata Entropia. Ogni volta che viene compiuta un’azione, c’è una trasformazione da uno stato di ordine a quello caotico dal quale non si può ricavare più lavoro utile. I processi legati alla vita sono l’esempio più eclatante di tale regola; assumiamo alimenti strutturati per estrarre la loro energia chimica che consumiamo nei nostri gesti quotidiani, così come le stelle sviluppano calore grazie alla combustione delle loro masse avviandosi verso un’inesorabile morte termica.Ma se i processi fisici tendono al caos, perché questa ordinata complessità della vita perfettamente inserita nell’architettura del cosmo? Siamo immersi in un universo che si evolve sperperando energia, ma secondo una danza sincronizzata all’unisono di ogni suo componente, disposto in vari sistemi con una gerarchia ben precisa: i pianeti attorno alle stelle, che a loro volta si raggruppano in ammassi, quindi in galassie, che si dispongono in gruppi. Come si spiega questo paradosso? E che ruolo gioca la vita in questa sinfonia cosmica? I nostri strumenti di ricerca hanno raccolto una quantità considerevole di informazioni sul cosmo, consentendoci di costruirne un modello accettabile. Ma quando cerchiamo di risalire alle sue origini per comprenderne i meccanismi, esso comincia a eludere le nostre tecniche d’indagine rendendole vane. In sostanza le stesse leggi fisiche che ci permettono di interpretare i fenomeni, si rivelano inadeguate per ipotizzarne la genesi. Come è possibile tutto ciò? Come possono venire meno i fondamenti su cui si basa tutta la nostra cultura scientifica?
Sabrina Mugnos


1 commento:

Anonimo ha detto...

Ottima esposizione
Tante domande
Nessuna risposta
Prova a pensare all'universo, al nostro mondo ed all'uomo come all'opera di Dio
Mica occorre essere beghine o bigotti per crederci
Ci credono tanti scienzati prova anche tu
Sergio