25 settembre 2010

- Il Pensiero Pitagorico.

Pitagora nacque nell'isola di Samo intorno al 571 a.e. In gioventù, stando alla tradizione, viaggiò in tutte le parti del mondo allora conosciuto. Particolare importanza ebbe per lui l'incontro con la civiltà egiziana, che gli permise d'essere iniziato ad alcune religioni esoteriche. Dal contatto con il popolo ebreo, sembra che abbia poi appreso l'arte di interpretare i sogni. Verso i quarant'anni, non potendo più sopportare la tirannia di Policrate, lasciò Samo e si stabilì definitivamente a Crotone. Qui dette vita alla sua famosa scuola. Più che di scuola, si dovrebbe parlare di una comunità a sfondo prevalentemente eticoreligioso, che però si occupava anche di concreti problemi sociali e politici. A lungo andare l'atteggiamento aristocratico dei pitagorici, ed il fatto che nella comunità venivano accolti soprattutto i giovani delle migliori famiglie, diede fastidio al partito democratico. Pitagora fu costretto a lasciare Crotone. Si rifugiò nel Metaponto dove morì verso il 479. La scuola, secondo la tradizione, gli sopravvisse ancora per un secolo, finché non venne eliminata dai democratici che uccisero tutti i suoi adepti. Si salvarono soltanto Liside e Aristippo; il primo si rifugiò a Tebe dando vita a quella che fu poi chiamato il pitagorismo tebano; il secondo fu l'iniziatore del pitagorismo tarantino. Pitagora non lasciò nulla di scritto, e ciò rende piuttosto difficile la differenziazione del suo pensiero da quello dei suoi discepoli. Dato però che nella scuola era fortemente sentito il principio di autorità del maestro, possiamo supporre che non esistano diversità sostanziali fra la dottrina primitiva — segreta — e quella che venne poi divulgata da Filolao in un'opera che ci è pervenuta soltanto in frammenti). Pitagora era profondamente convinto che il processo verso la perfezione non avesse limiti per l'uomo. Riconosceva che la strada era irta di ostacoli, ma sottolineava l'esistenza di alcuni fattori che dipendono solo da noi stessi. Per diventare artefici del proprio destino bisognava rendersi consapevoli di tali fattori, e, nel contempo, neutralizzare quelli nocivi, indipendenti dalla nostra volontà. La caratteristica essenziale del pensiero pitagorico sta nell'indagine sull'uomo e sui mezzi da prescrivergli affinchè la vita abbia uno scopo (8). Il problema che il pitagorismo si pone è questo: « Esiste un particolare regime di vita che, oltre ad offrire un maggior benessere fisico ed intellettuale, possa stimolare alcune facoltà latenti, privilegio di pochi fortunati? ». Ecco la « grande questione » dei pitagorici. Tutti i loro sforzi convergono verso il punto essenziale della rigenerazione umana, la nascita di un nuovo tipo di uomo. Gli storici si sono sempre trovati d'accordo nel ritenere che l'educazione impartita da Pitagora avesse lo scopo di formare uomini superiori. Tutte le riforme politiche proposte dalla scuola, pur aspirando ad un maggior benessere dei cittadini, avevano anche di mira il loro perfezionamento. Ma qual era questo ideale di perfezione? Sappiamo da Aristotele che i pitagorici sostenevano l'esistenza di tre esseri razionali: Dio, l'uomo e l'uomo pitagorico, quest'ultimo intermediario fra Dio e l'uomo. Compito dell'uomo era quello di tendere verso Dio. Si trattava quindi di un vero e proprio « superamento », ottenibile secondo i pitagorici, attraverso un particolare regime di vita, regime che « mirava a potenziare, trasformare, glorificare corpo ed anima; lo uomo pitagorico era tale se anche fisicamente più bello, più vigoroso, più resistente alle fatiche, alle privazioni, alle malattie, più giovanilmente longevo, era tale solo se possedeva maggiori e più varie attitudini che lo rendessero atto a tutti i bisogni della vita; se possedeva un'intelligenza più vasta, un più ampio orizzonte intellettuale, una più profonda capacità di penetrazione nei segreti della misteriosa natura ». L'uomo pitagorico si distingueva dunque per una certa sua capacità taumaturgica, un dinamismo psichico che faceva di lui un centro di irradiazione, che gli consentiva di dominare la natura spiritualmente, non meccanicamente, di penetrarla e comprenderla non dall'esterno, ma dall'interno . Nulla era lasciato al caso in quest'opera di profonda trasformazione. Pitagora aveva capito che ognuno può essere l'artefice del proprio destino, e che per ottenere la realizzazione di sé stessi bisogna innanzitutto farsi consapevoli di quel che dipende soltanto da noi. Egli espresse in versi questo concetto: Conoscerai che gli uomini di propria scelta si procacciano i mali, infelici che, stando loro appresso i beni, non li guardano né intendono...). « Gli uomini si procacciano i mali ». Ma quando il male colpisce ciecamente? Come superare il problema dell'apparentemente arbitraria distribuzione del bene e del male su questa terra? E qui si innesta un altro punto capitale del pensiero pitagorico: la metempsicosi. L'anima, prima di giungere una volta per sempre a Dio, deve sottostare ad un certo numero di prove, ed ogni vita trasmetterà i suoi effetti ad una vita successiva, che sarà migliore o peggiore a seconda di quel che avremo precedentemente meritato. Ecco perché possono riversarsi tante disgrazie su di un uomo che sembra nascere per la prima volta; è l'effetto di precedenti esistenze vissute nella malvagità e nell'errore. L'avvicinarsi dell'anima a Dio, alla sua forma originaria e propria, da cui un tempo parti, è un processo graduale e lento, pieno di ripensamenti, di ritorni e di dolore. Secondo la metempsicosi la vita è un circolo, nel senso che l'anima è naturalmente protesa al ritorno verso il luogo originario, il pitagorico perciò era sempre teso al superamento della sua personale esistenza: ma vedeva forse questo superamento soltanto in funzione di una beatitudine eterna? Il genuino pensiero pitagorico era ben lontano da una simile impostazione. I pitagorici si impegnavano moltissimo per modificare le condizioni ambientali, sociali e politiche, perché sapevano che tali condizioni sono in ogni tempo determinanti per l'armonioso sviluppo dell'individuo. Essi volevano che l'uomo « fosse un potenziato su questa terra e per questa terra in cui il destino lo fa nascere»; ma erano anche certi che il potenziamento in ogni singola vita favorisce, nelle vite successive, quella crescente assimilazione a Dio che dovrà rompere in ultimo il giro dell'esistenza. Si doveva però sempre vigilare, perché la vita umana scorre in continua lotta tra la spinta al superamento e l'attrattiva della banalità. Alla base di questa lotta sta il dinamismo degli opposti, il pari e il dispari, che sono « l'archetipo di tutta quella sequela di opposti, antinomie fisiche e morali, di cui il mondo è costituito » . I pitagorici sentirono in modo prepotente tale aspetto della realtà: l'inevitabile presenza, in ogni « caso » del vivere, di due opposti non contraddittori, ma destinati alla sintesi per mezzo dell'anima. Questa teoria, appunto perché presuppone una sintesi che armonizza gli opposti trascendentali, si riallaccia alla concezione del divenire continuo di tutte le cose. In un frammento pitagorico si narra di come un tizio, per liberarsi dal suo creditore, ricorresse ad alcuni argomenti filosofici: « ...così, vedi, sono anche gli uomini. L'uno cresce, l'altro saie: in mutamento siam tutti, per tutto il tempo. Dunque: quello che muta per natura e mai resta nel medesimo stato, mi sembra che sia già per essere diverso dal mutato. Anche tu ed io siamo altri oggi da quelli di ieri, e altri saremo in futuro né mai i medesimi, secondo identica legge... ». Il primo sistema filosofico che viene in mente è quello di Eraclito. Ma questa derivazione dall'eraclitismo è stata dimostrata del tutto falsa sia con argomenti filosofici che cronologici, tanto che spetta senz'altro alla scuola pitagorica il merito di aver formulato le prime tesi riguardo al continuo mutare dell'universo e alle categorie ordinatrici di questo mutare. Un suggestivo parallelo potrebbe essere individuato nella concezione dell'I King: lo Yin e lo Yang sono i principi (l'uno femminile, l'altro maschile) centrali e cosmogonici della realtà mutevole, e, al di sopra di essi, sta il Tao. Il Tao non rappresenta la loro somma, ma il Superiore principio che li sintetizza: è una forza regolatrice, ritmica, armonizzatrice. E veniamo al concetto di numero, pilastro della filosofia pitagorica. Alcuni studiosi ritengono che la teoria del numero sia balenata a Pitagora durante i suoi esperimenti nel campo dell'acustica. Servendosi di un monocordo, egli era giunto a scoprire il rapporto che passava fra l'altezza del suono e la lunghezza della corda: deducendo da tale fenomeno una certa espressione numerica, si accorse che questa, allo stato delle conoscenze di allora, poteva applicarsi a tutti i fenomeni naturali; da ciò concluse che l'elemento primordiale di tutte le cose fisiche, come pure delle entità ideali, fosse il numero che venne cosi a identificarsi con il « principio » lungamente cercato da tutte le filosofie precedenti. L'uno, o monade, è dunque il primo principio. Dall'uno si genera la diade, poi la triade, portentoso simbolo della divinità. Simbolo geometrico della triade è il triangolo. La tetrade era invece ritenuta l'origine della eterna natura: basti ricordare i quattro elementi, i quattro trimestri dell'anno, i quattro umori, i quattro temperamenti e le quattro facoltà critiche dell’ uomo. L'anima stessa, oltre che come un cerchio e una sfera, era considerata come un quadrato. La tetrade aveva inoltre attinenza con le età dello uomo: sappiamo che i pitagorici distinguevano nella vita quattro età, e che ritenevano difficile l'armonizzarle: « Esse infatti, quando una saggia guida non operi fin dalla nascita, tendono ad essere corrotte l'una dall'altra». E vediamo come, secondo il pitagorismo, la vita d'un uomo può essere suddivisa: fanciullo fino a vent'anni adolescente fino ai quaranta; giovane fino ai sessanta; vecchio oltre i sessanta. Tale suddivisione presuppone sempre il concetto dell'armonia, e quindi la problematica dei contrari: «Tener questo conto delle età, vuoi dire metterle in armonia le une con le altre, regolare ed assecondare i trapassi che da esse conseguono, recuperare nel conflitto delle opposte tendenze l'armonia generale della vita; e questo è alla fine il segreto dell'educatore e la specialità dei Pitagorici ». Ma la scuola pitagorica, in termini di « armonizzazione », si assunse un altro compito veramente rivoluzionario: la rivalutazione della donna. Nel VI secolo il primo compito della donna era quello di generare figli. Subordinata al marito, aveva soltanto doveri da assolvere, mentre la sua formazione culturale non superava l'orizzonte delle cose domestiche. Pitagora si presenta alla ribalta della storia come il paladino del sesso femminile, ne difende i diritti e rivaluta la missione della donna in seno alla società: « Egli insegna agli uomini che opprimere la donna è colpa. La femmina non deve essere soggetta allo sposo, ma deve stargli a lato dotata di un identico diritto ». La donna diventa compagna dell'uomo, e, pur non perdendo le sue virtù tradizionali, viene resa partecipe delle più alte forme di vita spirituale. Pitagora, in uno dei suoi discorsi, sostenne che per i due sessi esistono senz'altro occupazioni diverse e caratterizzanti, ma che le più alte prerogative della vita umana sono ad entrambi accessibili; le donne vedevano così spalancarsi la porta della filosofia, e si trovavano vicine all'uomo nell'apprendimento di verità psicologiche: « Le donne iniziate da Pitagora ricevevano con riti e precetti i principi supremi della loro funzione; egli dava a quelle che ne erano degne la coscienza del loro ufficio. Svelava loro la trasfigurazione dell'amore nel matrimonio perfetto, che è la fusione di due anime, il centro stesso della vita e della verità. L'uomo, nella sua forza, non è il rappresentante del principio e dello spirito creatore? La donna, in tutta la sua potenza, non personifica la natura della sua energia plastica, nelle sue realizzazioni meravigliose, terrestri e divine? Ebbene, che questi due esseri giungano a fondersi interamente, corpo, anima, spirito, e formeranno insieme un compendio dell'universo... C'è una ricerca disperata dell'altro sesso, ricerca che nasce da un divino stimolo inconscio e sarà un punto vitale per la ricostruzione dell'avvenire: perché quando l'uomo e la donna avranno trovato sé stessi e l'uno e l'altro per virtù dell'amore profondo e dell'iniziazione, la loro fusione sarà la forza luminosa e creatrice per eccellenza... ». Il motivo ricorrente della problematica pitagorica è la convinzione che l'uomo possa migliorare indefinitamente. Per questo i pitagorici avevano elaborato «il regime di vita pitagorica»: si alzavano molto presto al mattino e, soli, se ne andavano passeggiando in luoghi tranquilli, rallegrati da boschi e da templi: volevano sentirsi ben disposti d'animo prima di venir in contatto con gli altri; più tardi, mediante la ginnastica, si prendevano cura del loro corpo; poi la colazione con pane, miele e decotto di mele; durante il giorno non bevevano mai vino. Dopo la colazione ognuno si dedicava ai propri uffici. A sera riprendevano le passeggiate, non più soli ma in compagnia, richiamando alla mente gli insegnamenti e i precetti della dottrina. Poi mangiavano la carne di quegli animali che era lecito sacrificare, e bevevano del vino. Al termine del pasto il più giovane leggeva dei libri, mentre il più anziano sovraintendeva alla lettura dicendo che cosa e come dovevano leggere. In ultimo il « maestro » impartiva i suoi insegnamenti e ciascuno se ne tornava a casa. La mattina dopo il pitagorico non si alzava dal letto senza prima aver ricordato le cose avvenute il giorno innanzi: si sforzava di richiamare alla memoria le prime parole dette e ascoltate e i primi ordini dati ai familiari; poi, man mano, tutte le altre cose dette, ascoltate o fatte. Ciò perché la memoria e il suo esercizio erano ritenuti utilissimi per la conoscenza, esperienza e intelligenza. Ora, in chiave psicologica, non è difficile vedere in tale pratica un vero e proprio « esame di coscienza », una volontà di mantenersi vigili ai fatti della vita quotidiana: si trattava non tanto di esercitare la memoria, quanto di acquistare una maggiore consapevolezza. Non ci è dato sapere fino a che punto l'inconscio fosse congetturato dai pitagorici. E' comunque indubbio che la psicologia del profondo ha dei lontani precedenti in alcune religioni misteriche, nelle quali si prestava una certa attenzione alla voce dell'inconscio. Pitagora, stando alla tradizione, era esperto nell'interpretare i sogni, ma non sappiamo in che misura egli adoperasse questa perizia nella sua comunità. Siamo però informati che la fisionomica nasce con Pitagora. Egli osservava per un lungo periodo gli aspiranti discepoli, li guardava nei momenti di maggiore rilassatezza, durante il gioco per esempio, o i pasti, particolare attenzione dedicava al riso, perché aveva intuito che in quei momenti il volto non poteva mentire; Pitagora sapeva dunque che l'espressione emotiva, non soggetta alla forza cosciente, era il mezzo più efficace per la conoscenza dell'uomo.
Aldo Carotenuto

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