6 settembre 2010

- Fisica quantistica per capire come funziona la coscienza.


Per tutti noi la consapevolezza è un dato di fatto: qualsiasi cosa vediamo, sentiamo o facciamo ci fa «un certo effetto», qualcosa di vago eppure sempre ben presente al quale non possiamo sfuggire e sul quale non possiamo sbagliarci. Non a caso all’inizio del Novecento lo psicologo americano William James diceva che la coscienza è quella cosa che comincia quando ci svegliamo e si interrompe quando ci addormentiamo. Se però si tratta di definirla più precisamente cominciano i problemi. «Non c’è accordo su una descrizione – afferma Susan Blackmore, studiosa inglese che in un recente libro ha passato in rassegna tutte le teorie proposte finora – sebbene molti concordino nel dire che la coscienza ha a che fare con le esperienze soggettive: pensieri, sensazioni, percezioni». La sua comprensione resta infatti tra le grandi sfide della scienza contemporanea. Come scrive Michele Di Francesco, uno dei principali esperti italiani, «nulla ci autorizza anche solo a pensare di essere vicini alla spiegazione del come un insieme di processi elettrochimici e/o computazionali a livello del tessuto cerebrale sia in grado di produrre la meravigliosa varietà della nostra vita interiore».
Che cos’è la teoria dei quanti
La teoria quantistica fornisce oggi la descrizione più accreditata dei fenomeni fisici, a livello atomico e subatomico, in cui si possano trascurare gli effetti relativistici. Nata all’inizio del Novecento, grazie al contributo di studiosi come Max Plancke Werner Heisenberg, Albert Einstein e P.A.M. Dirac, Niels Bohr ed Erwin Schrödinger, afferma in primo luogo il superamento della divisione tra materia (concepita come insieme di minuscole entità discrete individuabili nello spazio e nel tempo) e radiazione (intesa come fenomeno continuo e ondulatorio). Il suo nome deriva dal fatto che l’energia della radiazione elettromagnetica può assumere solo valori multipli interi di un valore fondamentale, detto appunto «quanto». Dal principio di indeterminazione, per cui risulta impossibile determinare contemporaneamente posizione e quantità di moto di una particella, segue un’interpretazione probabilistica delle traiettorie delle particelle elementari, eliminando il determinismo causale a livello microscopico e introducendo elementi di incertezza statistica nelle equazioni. Malgrado le molteplici interpretazioni teoriche e filosofiche del formalismo, la teoria ha oggi fondamentali applicazioni tecnologiche e industriali.
Nuove vie per capire
Vista l’apparente intrattabilità del problema per filosofia e neuroscienze, da anni alcuni studiosi stanno tentando di aprire la cassaforte della coscienza ricorrendo a un’arma nuova e potente: la fisica quantistica. Tanto che da poco è nata anche una rivista specialistica, «NeuroQuantology». I pionieristici tentativi si devono al premio Nobel per la medicina John Eccles, autore con il filosofo Karl Popper di un’ampia teoria della relazione tra mente e cervello, che introdusse i campi di probabilità quantistica come interfaccia tra mondo materiale e mondo immateriale. È però del matematico e fisico inglese Roger Penrose, che collabora con l’anestesiologo americano Stuart Hameroff, l’ipotesi più nota e discussa. A suo avviso non c’è nulla di magico nella coscienza. Anzi, «i nostri cervelli sono completamente controllati dalla fisica di un certo tipo». Il punto è che si tratta di una fisica di tipo interamente nuovo, eccezionalmente complessa e controintuitiva, che si può maneggiare soltanto con un apparato matematico molto avanzato. Semplificando, argomenta Penrose, vi sono due livelli di spiegazione in fisica: quello consueto, classico o newtoniano, che viene usato per descrivere gli oggetti della nostra vita quotidiana, e il livello quantistico, usato per le scale subatomiche, governato dall’equazione di Schrödinger. In questa dimensione si trovano casi in cui due possibilità esistono nello stesso momento. Famoso è proprio «il gatto di Schrödinger», un esperimento mentale in cui l’animale, chiuso in una scatola dove è inserita una fiala di veleno collegata a un complicato meccanismo di innesco, può contemporaneamente (e paradossalmente) risultare vivo e morto nel medesimo istante. Ma quando facciamo un’osservazione (ossia ci muoviamo a livello della fisica classica), la sovrapposizione di stati deve terminare in uno dei due, attraverso il processo noto come collasso della funzione d’onda (ovvero, se apriamo la scatola, il gatto è vivo o è morto).
L’osservatore «fa» la realtà
Alcuni fisici – Eugene Wigner è il più autorevole – hanno sostenuto quindi che sia la coscienza umana a causare il collasso della funzione d’onda. Di qui sono nate – rileva Susan Blackmore – varie posizioni ingenue e spiritualistiche che cercano di coniugare la peculiarità della nostra vita mentale con la meccanica quantistica. Ma non è questa la strada imboccata da Penrose, il quale propone una teoria detta «riduzione oggettiva», un processo gravitazionale (che cioè tiene conto dell’attrazione tra i corpi) e non locale (vale a dire che permette effetti a distanza, modificazioni degli oggetti senza che siano in contatto uno con l’altro). «Oggi sappiamo che il miglior correlato neuronale della coscienza è la sincronizzazione dell’attività elettrica cerebrale sulle onde gamma (30-90 cicli al secondo). Quando diventiamo coscienti di qualcosa (per esempio, dello squillo del telefono accanto a noi), tutta la corteccia, ma anche regioni più profonde, come il talamo e parte del tronco encefalico, si sincronizzano in circa 25 millesimi di secondo », afferma Hameroff, docente emerito all’Università dell’Arizona e tra i promotori dei periodici convegni di Tucson sulla coscienza, uno dei due appuntamenti mondiali del settore. «Si tratta di un intervallo di tempo – prosegue – difficile da spiegare con la scarica dei singoli neuroni, che è assai più lenta. A nostro parere, qui entra in gioco l’effetto di coerenza quantistica. Tutto avviene al livello dei microtubuli, strutture composte di proteine filamentose che fanno parte del citoscheletro della cellula. I microtubuli non servono solo da sostegno al neurone, ma elaborano l’informazione, attraverso un calcolo quantistico non algoritmico (cioè che un attuale computer non potrebbe svolgere), favorito dalla loro struttura a spirale». I microtubuli convertono possibilità multiple preconsce o subconsce, che coesistono simultaneamente, in percezioni o pensieri specifici, tramite la forma di riduzione prodotta
dal collasso della funzione d’onda. A quel punto si passa nel regno della fisica newtoniana, quello che noi possiamo osservare e di cui abbiamo consapevolezza. «La non località quantistica – conclude Hameroff – rende conto dell’unità della coscienza, mentre l’indeterminazione quantistica spiega il nostro libero arbitrio».
Modelli controversi
Tutto semplice e lineare? Non esattamente. La teoria è altamente speculativa, e per ora non ha conferma sperimentale. Patricia S. Churchland, eminente filosofa e neuroscienziata, ha mosso una dettagliata critica agli argomenti di Penrose. Innanzitutto –
sostiene – i microtubuli esistono in tutto il corpo, non soltanto nel cervello; sono disponibili sostanze che possono danneggiarli ma non hanno effetti sulla coscienza, e anestetici capaci di «spegnere» la coscienza senza agire sui microtubuli. Per quanto riguarda la fisica implicata, la principale obiezione, sollevata da Max Tegmark, riguarda l’isolamento dall’ambiente che dovrebbero avere le strutture in cui avvengono i processi quantistici perché mantengano lo stato di coerenza: pare che questa condizione (difficilissima da riprodurre persino in laboratorio) non venga rispettata nel cervello caldo e umido. Tuttavia il filone quantistico segue anche altre strade. Il fisico teorico Henry Stapp, già collaboratore di giganti come Wolfgang Pauli e Werner Heisenberg, è assertore del fatto che «la meccanica quantistica ortodossa ha introdotto nella dinamica alcune scelte coscienti che non sono determinate dalle leggi della fisica oggi conosciute, ma che hanno importanti effetti causali nel mondo fisico».Ciò è possibile in base a un’interpretazione della teoria secondo la quale viene eliminato il concetto classico di sostanza materiale.
È l’idea sostenuta da Heisenberg in un articolo del 1958: «La concezione della realtà oggettiva delle particelle elementari è quindi evaporata non in una nuvola di qualche oscuro concetto di una nuova realtà, bensì nella trasparente chiarezza di una matematica che non rappresenta più il comportamento delle particelle ma la nostra conoscenza di questo comportamento».
Un processo continuo
Lo spostamento è significativo, e dalla cosiddetta «interpretazione di Copenhagen», elaborata in particolare da Niels Bohr, discende la divisione della natura in due parti: una è il sistema osservativo (che comprende corpi, cervelli e menti che allestiscono gli esperimenti ed è descritto dal nostro linguaggio ordinario e dalla fisica classica); l’altra è
costituita dai sistemi che vengono osservati e indagati, descritti dal formalismo della meccanica quantistica. Stapp si rifà a John von Neumann, altro colosso della fisica del Novecento, il quale vede un processo continuo fatto di infinite possibilità quantistiche a livello subatomico (gli stati sovrapposti visti in precedenza) e un processo di «investigazione» da parte nostra (detto «processo 1») , che fa specificare in singoli oggetti o eventi macroscopici ciò che la matematica descrive come un continuum. Nel dualismo interazionistico di Stapp, Schwartz e Beauregard, la posizione cartesiana che distingue tra mente immateriale e cervello fisico si traduce nell’affermazione che la coscienza è un fenomeno reale, mentre delle altre entità fisiche si riconosce solo la descrizione secondo leggi espresse in forma matematica. Dato che il «processo 1» è fondamentale per l’apparire del mondo come lo conosciamo, e che questo processo non è specificato dalle leggi della meccanica quantistica, sembra necessario introdurre le libere scelte della nostra mente. Si può affermare che l’intenzione cosciente dell’osservatore ponga una domanda al sistema osservato il quale, secondo leggi statistiche, può rispondere «sì» o «no» grazie al collasso della funzione d’onda quantistica, fornendo conoscenza all’osservatore. La risposta viene data dalla natura, e non è influenzabile dal soggetto. Anzi, per la sua casualità tende ad annullare lo sforzo cosciente. Ma la possibilità di porre in successione le «domande» permette di orientare le risposte grazie al cosiddetto «effetto Zenone quantistico ». La «scelta cosciente» agisce sul cervello, che a sua volta produce il comportamento manifesto nella realtà fisica. All’interno dell’interazionismo quantistico, le leggi della fisica connettono la scelta cosciente stessa con gli effetti fisici. La «mente» è quindi implicitamente considerata un primum ontologico capace di azione, in coerenza con la fisica quantistica ma al di fuori di essa.
La teoria dei campi
Ciò che però non risulta adeguatamente indagato è che tipo di cosa sia lo «sforzo cosciente» che agisce sul cervello, al di là del fatto che grazie a esso l’osservatore riuscirebbe a influire in modo peculiare sul sistema osservato. «Rifacendosi in vario modo alla lettura di Copenhagen della meccanica quantistica – riassume Antonella Vannini in una recente panoramica – tutti questi modelli fanno discendere le proprie assunzioni dal fatto che la coscienza stessa si pone a monte della realtà osservata e la determina. Sfuggono così alla verifica sperimentale». Oltre questa interpretazione, che ritiene insufficiente per dare conto della coscienza, si spinge Giuseppe Vitiello, fisico dell’Università di Salerno, sostenitore di un approccio più raffinato, che si confronta direttamente con il funzionamento del cervello usando la «teoria quantistica dei campi», un’evoluzione della meccanica quantistica. Il punto di partenza è il modello proposto nel 1967 da Luigi Maria Ricciardi e Hiroomi Umezawa, in cui la memoria è associata ai cosiddetti «stati di vuoto », i livelli più bassi di energia, una possibile spiegazione del fatto che la continua «riscrittura » di nuovi ricordi sullo stessa matrice cerebrale non comporta la cancellazione delle precedenti tracce mnestiche. All’origine della ricerca c’è la necessità di spiegare l’oscillazione simultanea di vaste aree dell’encefalo, che rispondono a stimoli esterni a una velocità di cui non riesce a rendere conto alcun meccanismo noto (come rilevava anche Hameroff). Vitiello lavora in laboratorio con il neurobiologo americano Walter Freeman, e suggerisce che l’ordine emergente osservato nelle configurazioni neuronali nasca dal meccanismo microscopico della rottura spontanea della simmetria indotta da uno stimolo esterno. «Il cervello – spiega lo studioso italiano – è un oggetto quantistico macroscopico, dotato di una coerenza speciale, non comprensibile con la fisica classica. Lo stesso accade, per esempio, per i cristalli, i magneti e i superconduttori. Un aspetto importante del modello dunque è che il cervello si comporta come un sistema classico (macroscopico) per la cui comprensione non si può tuttavia prescindere dalla dinamica quantistica dalla quale esso emerge. Nel modello, i neuroni, le cellule gliali e altre unità cellulari non sono quindi oggetti quantistici. Le variabili quantistiche sono quelle relative alle proprietà molecolari dei componenti biologici».
Il modello dissipativo
Questi sistemi possono vivere in molti stati fondamentali, passando da uno all’altro. «È proprio ciò che la meccanica quantistica non può spiegare», puntualizza Vitiello. «Serve la teoria dei campi (alla cui natura ondulatoria è associata una particella messaggero responsabile del propagarsi dell’informazione) in base alla quale possiamo descrivere come si formi l’ordine e soprattutto come il cervello interagisca con l’ambiente». Sarebbe proprio questo «accoppiamento », che comporta uno scambio continuo di energia e informazione – la dissipazione – a costituire la chiave per tentare di spiegare la coscienza. L’ambiente è il «doppio» del cervello, perché vi è un legame inscindibile tra i due, un dialogo continuo, un «traffico», come lo definisce il suo teorico. La qualità soggettiva della nostra esperienza sarebbe il risultato nell’interazione reciproca, che è un fenomeno fisico di altissima complessità. «Non siamo di fronte a una coscienza di tipo cartesiano – conclude Vitiello – con una separazione mente-mondo. A partire da un modello matematico possiamo ipotizzare che anche l’ineffabilità delle sensazioni che sperimentiamo sia un prodotto di questo “disvelamento” del nostro Doppio (perché la descrizione matematica considera cervello e ambiente un sistema chiuso; l’ambiente è l’immagine speculare del cervello nel tempo). La coscienza non è un oggetto, ma un evento, il risultato e la manifestazione di una dinamica, frutto del fatto che il cervello è immerso nel mondo. La coscienza potrebbe essere una fase particolare della materia vivente per come è organizzata quantisticamente. E ciò porta a non escludere che una forma di coscienza sia diffusa in tutto il regno animale».
Andrea Lavazza

1 commento:

Blog di Domenico Saverio Farace ha detto...

Molto interessante!