- Martinismo - Giustiniano Lebano.
Giustiniano nacque il 14 maggio del 1832 da Filippo Lebano e Maria Acampora, era uno dei cinque figli della coppia. All’inizio Giustiniano dovette fare i conti con le ristrettezze di una famiglia perseguitata politicamente. Studiò dal 1838 nella scuola comunale elementare di Pasquale Turiello in via Nilo e poi al Real liceo di “San Carlo alle Mortelle” presso piazza Carlo III conseguendo la maturità classica nel 1847. Continuò gli studi all’università Federico II, allora retta da Mario Giardini frequentando la facoltà di Lettere. Studiò inoltre privatamente giurisprudenza tra cui diritto canonico con Carlo Cucca, filosofia del diritto con Luigi Calmieri, diritto romano con Roberto Savarese, diritto penale con Filippo Carrello, l’ebraico con il canonico Ferrigni e il greco con il canonico Lucignano: tutti grandi nomi dell’insegnamento. Giustiniano dimostrò subito un grande ingegno, al punto che i sui stessi professori si meravigliavano delle sue capacità. Si laureò velocemente in lettere nel 1849 e qualche anno dopo segui la laurea in giurisprudenza nel 1852 sostenuta davanti ad illustri professori del tempo quali il canonico Monsignor D’Apuzzo ed Emilio Capomazza, col quale stabilì una profonda amicizia. Il 23 giugno del 1852 morì il padre Filippo, e Giustiniano decise di ripercorrerne i passi iniziando la pratica legale nello studio dell’avvocato Enrico Castellano, grazie al quale s’iscrisse all’albo dei procuratori legali nel luglio del 1854. Continuò inoltre a sviluppare i sui interessi culturali entrando a fare parte della congregazione di “Santo Spirito” dell’università di Napoli diretta dal canonico Antonio D’Amelio, accedé anche nella congregazione di “San Domenico Soriano” diretta dal canonico Gennaro Alfano, dove conquistò la medaglia di San Tommaso d’Acquino per le sue doti letterarie. Nel contempo arrotondava le sue finanze dando ripetizioni private di diritto. Durante gl’anni di studio Giustiniano approfondì le sue conoscenze con appassionate letture presso la Real Biblioteca di Napoli, dandosi allo studio dell’archeologia che accompagnava con lunghe passeggiate negli scavi archeologici di Pompei, Ercolano e Cuma nonché frequenti visite al museo archeologico in piazza Cavour. Amava la lettura di giornali quali la “Gazzetta dei Tribunali”, “L’Iride”, “l’Omnibus”. Nel 1851 collaborò al giornale “Settimana Cattolica” diretto da Michele Altamura, ma sul periodico il Lebano pubblicava articoli anti Borbonici sotto la parvenza di notizie di cronaca e senza mancare di attaccare i cattolici bigotti, le autorità e i politici del tempo. I censori di Napoli del tempo erano ventuno, di cui diciotto ecclesiastici istruiti, il resto erano membri altrettanto eruditi della polizia, eppure per circa sette anni non compresero nulla di quello che il Lebano scriveva, d'altronde non era iscritto in nessuna loggia massonica o carbonara, non frequentava i circoli del padre, o quelli mazziniani filo repubblicani. Ma i cento occhi di Argo della polizia borbonica erano in allarme contro tutti gli scrittori, editori e giornalisti. In particolare la censura relativa al periodico “Settimana Cattolica” era affidata al canonico Gaetano Barbuti, il quale sospettava del Lebano ed inviò alcuni rapporti al commissario di polizia politica Maddaloni, il quale però non ravvisò alcun dubbio su Giustiniano, quindi trasmise nel 1855 i rapporti del Barbuti al monsignor Salzano presidente della commissione di censura e revisori della stampa del regno delle Due Sicilie, più per dovere che per convinzione. Ma il questore di polizia di Napoli, Pasquale Governa, per il passato del padre Filippo, il 15 Ottobre di quell’anno decise comunque di ordinare al commissario Lubrano, responsabile del quartiere Vicaria, dove alloggia il Lebano, di attuare una discreta sorveglianza tramite pedinamento. I rapporti del Lubrano, verificati dal Governa, venivano poi inviati al direttore generale della polizia cavalier Francesco Pecchenedda. Quello che incastrò il nostro personaggio fu un piccolo articolo che aveva pubblicato nel 1856 il quale recitava:“ Nel 1834 a largo della Sicilia, una piccola isoletta vulcanica sottomarina era emersa nel Tirreno, pur visitata da navi militari francesi e inglesi, la nostra flotta da guerra ne prese possesso in nome di sua maestà Ferdinando II col nome di Ferdinandea, ma dopo pochi giorni l’isola affonda del tutto nel mare.”Questa notizia era vera ma risaliva a ben 22 anni prima e quindi il Barbuti si domandò perché il Lebano l’aveva pubblicata, scorgendo in essa una sorta di augurio da parte del giovane affinché il Re e la monarchia sprofondassero come la detta isola. Inoltre il Lebano aveva preso a frequentare il caffé “De Angelis” dove strinse amicizia con il mazziniano Nociti e con i liberali Cesare e Giuseppe De Martinis, Tommaso Arabia, Giovanni D’Erchia, Antonio De Sanctis, quest’ultimi poi erano in cattivi rapporti con i mazziniani perché fedeli alla linea politica di Cavour. Ma il Nociti divenne un estremista e partecipò all’organizzazione del fallito attentato a Ferdinando II dell’otto Dicembre 1856 al campo di marte a Capodichino. Al grave gesto seguì l’istituzione di un’apposita commissione di polizia capitanata dal commissario De Spagnolis, il quale in breve si mise sulle tracce dei giovani del caffè “De Angelis”, nonché del Lebano il cui vero significato dei suoi articoli era ormai stato svelato dal Barbuti. Il De Martinis cercò di farli imbarcare clandestinamente rivolgendosi a Ferdinando Mascilli, padre dei patrioti cospiratori, ma quest’ultimo fu arrestato. Allora si rivolse alla moglie del Mascilli, Rosaria Cianciulli che, grazie alla sua influenza, fece imbarcare per Malta la sera del 30 Dicembre 1956 il Nociti e altri cospiratori. Giovanni Marini nascose per alcuni giorni il Lebano in villa Capecelatro, vicino Nola, grazie all’amicizia con Michele Capecelatro cospiratore massone capo della loggia “La Vigilanza”, e successore di Domenico Bocchini. Questo appena in tempo dato che il prefetto Governa aveva firmato l’ordine d’arresto per Giustiniano ma grazie al risultato degl’interrogatori si diresse a villa Capecelatro ma la trovò vuota, in quanto il primo gennaio del 1857 l’abate Gradilone, alias abate Marino, accompagnò il giovane a Napoli travestito da monaco francescano nascondendolo nel convento di San Giovanni a Carbonara sotto la sua cura. L’abate Gradilone era un anti borbonico, uno speziale, e uno dei più grandi maestri alchimisti di Napoli, devoto alla scuola ermetica di Della Porta, Giordano Bruno, Tschudy e del conte Raimondo De Sangro. Di lui non si sa molto se non che al monastero di Montevergine aveva scelto il saio francescano, rinunciando alla sua precedente vita di maestro della massoneria. Fino al 1830 viene incaricato dell’insegnamento religioso in Francia presso il monastero di San Sulpice, per poi rientrare a Napoli in S. Giovanni a Carbonara. Sin dal suo rientro fu sospettato dalla polizia borbonica come cospiratore, ma le amicizie di cui godeva gli permisero di non essere mai arrestato, basti pensare che era il confessore della regina Maria Cristina di Savoia. Molti affermano che fu l’iniziatore di Eliphas Levi. L’abate Gradilone introdusse il giovane Lebano nel cerchio delle sue amicizie politiche. In quel periodo il Lebano entrò nella “Giovane Italia” nella sezione “Comitato d’ordine di Napoli” di Giuseppe Mazzini. La polizia borbonica riuscì a scoprire che si era rifugiato nel monastero di San Giovanni e vi si recò con un ordine d’arresto diretto verso di lui e l’abate Marino. Quando i poliziotti bussarono alla porta Lebano li ricevette senza batter ciglio, accompagnandoli dall’abate Marino, il quale durante l’arresto dichiarò che il Lebano era già partito giorni prima per Parigi. Quindi il Lebano il giorno dopo si recò a casa di Rosaria Cianciulli, moglie del Ferdinando Mascilli, anch’egli repubblicano, grazie alla quale riuscì ad imbarcarsi a bordo della “Surprise”, una corvetta inglese che fungeva da servizio postale. Raggiunse Malta, da cui grazie ad amicizie filo Mazziniane s’imbarcò per Cagliari, da cui si spinge a Genova. In quest’ultima città il Lebano strinse amicizia con Carlo Pisacane, mazziniano capo dei repubblicani di Roma al servizio di Giuseppe Garibaldi. In fine Lebano si rifuggiò a Torino da dove seguì l’andamento della seconda guerra d’indipendenza, esultando insieme ai partigiani repubblicani per le vittorie franco piemontesi sugl’austriaci. Sempre a Torino nel 1859 un gruppo di massoni tra cui Filippo del Pino, Carlo Flori, Francesco Corda Losanna, Sisto Anfossi da Dego, Vittorio Mirano, Giuseppe Tolim, Celestino Peroglio, il conte Livio Zambeccari, fondarono la loggia “Ausonia” a cui egli aderì grazie alla presentazione del Zambeccari. Grazie alle influenti amicizie il Lebano fu inviato a Parigi in qualità di diplomatico per conto della “Società Nazionale di Torino” con la missione ufficiale di rappresentare gli interessi repubblicani di Mazzini, ovvero di proporre all’imperatore francese Napoleone III di sostenere un regno autonomo dai Borboni in Toscana. Ma in realtà il suo vero incarico era di contattare a Parigi i filo repubblicani francesi per convincerli a sostenere Mazzini e il sogno di una repubblica italiana. Durante la sua permanenza a Parigi il Lebano ebbe la possibilità di incontrare alcuni dei più noti personaggi del tempo quali: - Nicola Giuseppe Spedalieri. Il giovane Giuseppe Spedalieri sin dai vent’anni intraprese gli studi ermetici. All’età di trent’anni per curare gl’interessi della famiglia fissò una nuova residenza a Marsiglia dove entrò in contatto con la massoneria egiziana del Misraim fondata dai fratelli Bedarride. Giuseppe Spedalieri successivamente passò al sistema Ragoon creato nel 1838 dalla scissione del Misraim, e poi da lui diffuso a Palermo e a Catania nel 1848. Le sue inclinazioni politiche lo portavano a simpatizzare per la Carboneria, e quindi per la rivoluzione repubblicana. Il Lebano lo incontrò durante la sua temporanea permanenza a Parigi negl’ambienti rivoluzionari dove i due scambiarono le loro idee politiche e massoniche.- Alessandro Dumas padre, 1762-1806, fu amico di Martinez il famoso esoterista francese che nel 1756 fondò gli “Eletti di Cohen”: ordine cabalistico, teurgico e rosacruciano e discepolo del suo continuatore il nobile Louise Claude de Saint Martin fondatore del movimento iniziatico “Gli amici di San Martin”. Mentre il figlio Alessandro Dumas 1802-1870 si laureò in giurisprudenza nel 1822, fu aiuto notaio a Parigi, e frequentò il salotto letterario di Charles Nodier fondatore della setta dei carbonari dei “Filadelfi di Francia”, di cui fece parte Filippo Lebano. Nel salotto di Nodier si riunivano personalità del calibro di Victor Hugo, e De Balzac. In tale ambiente Alessandro Dumas fu iniziato dal Nodier alla massoneria quindi entrò nel “Filadelfi” partecipando al fervore rivoluzionario di quei tempi. Nel 1835 sbarcò a Napoli per un viaggio di piacere dove incontrò il romanziere Lytton iniziato al Misraim nella loggia napoletana “Folgore” nelle catacombe di San Gennaro dal Domenico Bocchini. I due fraternizzarono subito, perché Dumas era un cultore della tradizione del De Sangro, e per i comuni interessi politici. Quindi Dumas gli parlò di Eliphas Levi, e di Lytton, introducendolo negl’ambienti culturali di Parigi, e scrisse per lui una lettera di presentazione ad Eliphas Levi, che lo ricevette il ventidue dicembre del 1858.- Eliphas Levi, ovvero Alphonse Costant de Louise 1810-1875 studiò nel seminario di “San Nicolas du Chardonnet”, quindi passò al seminario di “Sulpice” dove diventò allievo dell’abate Marino. Ma abbandonò la carriera ecclesiastica per l’amore di una giovane ragazza, Adele Allenbach, ma le relazione finì presto. Dopo un breve periodo di crisi interiore riprese i suoi studi iniziatici, frequentò lo scrittore Balzac famoso massone ed esoterista, a sua volta allievo del massone e carbonaro francese Charles Nodier di Desacon il quale nel 1828 fondò i “Filadelfi”. Eliphas Levi pubblicò nel 1841 “La Bibbia della libertà” ma per le sue idee fu arrestato, in prigione studiò Sweedemborg e San Martin. Per lui fu decisivo l’incontro nel 1854 a Londra con l’esoterista Edward Lytton , lo scrittore de “Gli ultimi giorni di Pompei”. Da quell’amicizia Eliphas Levi trasse nuove conoscenze da cui seguirono i suoi più importanti scritti come “Il dogma dell’alta magia”, e “La storia della magia”. Dal dicembre del 1858 al 1860 il Lebano lo frequentò assiduamente, traendone grandi insegnamenti cabalistici. La casa di Eliphas Levi era situata al numero 19 di Avenue de Maine in un palazzo elegante fronteggiato da un giardino quadrato. Il Levi abitava al secondo piano, sulla porta di casa era affissa una targa col suo nome in caratteri ebraici e con agl’angoli le quattro lettere dell’acronimo “I.N.R.I.” La stanza dove fu ricevuto il Lebano era piccola ed irregolare, ricolma di mobili, e dietro lo scrittoio, in un angolo, era possibile scorgere un piccolo altare sormontato da un drappo di stoffa gialla, uno scaffale contenente il Talmud, ed un quadro di un’enigmatica donna raffigurante la Cabala. Nella stanza, tra i suppellettili, si potevano scorgere manoscritti, statue raffiguranti le divinità antiche, stampe e testi d’ogni campo dell’esoterismo. Il Lebano fu accolto con stima dal Levi, anche grazie alla comune amicizia con l’abate Marino: parlarono di gnosi, cabala, teurgia, tarocchi e spiritismo e della grande evocazione di “Apollonio di Tiana” che il Levi fece nel 1853 assieme al Lytton. Quindi nell’anno successivo le visite si fecero più frequenti e il Levi guidò il Lebano nello studio di Paracelso, Sweedenborg, dell’alchimia, e dell’Arcana Arcanorum. Ma i suoi studi si fermarono quando con Dumas, e l’amante di questi Emilie Cordier, il Lebano dovette partire in treno da Parigi per Marsiglia dove incontrarono il Barone Spedalieri. Quindi noleggiarono la goletta francese “Emma”, riempiendola di munizioni e armi per i rivoluzionari siciliani, prima approdarono a Genova quindi ripartono per Palermo dove il sei giugno del 1860 consegnarono le loro armi a Garibaldi. In seguito ripartirono per Napoli, poiché Dumas fu incaricato da Garibaldi di portare i suoi ordini al “Comitato d’Azione” per organizzare la rivolta napoletana, il Lebano fungeva da interprete e raggiunsero Napoli il tre agosto del 1860. Il sette settembre 1860 Garibaldi entrò a Napoli, il nove l’avvocato Liborio Romano, primo ministro del governo dittatoriale di Napoli nominò come sindaco della città il cavaliere Andrea Colonna di Stigliano in sostituzione del sindaco D’alessandria. Nel mentre si stanziava a Napoli un avanguardia di 1500 garibaldini capitanati da Stefano Turr. L’undici i seimila militari borbonici stanziati nei forti di Napoli sgombrarono per poi raggiungere Capua in due giorni di marcia forzata, nel contempo la guardia nazionale di Napoli comandata dal generale Mariano D’Alaja prese in consegna i forti napoletani. Quello stesso giorno fu emanato un decreto dittatoriale che recitava:“Sono istituiti in Napoli dodici asili infantili gratuiti, uno per ciascun quartiere”. Nel contempo furono organizzate, come nelle altre città d’Italia che non godevano di tali istituzioni, le pietose contribuzioni per il mantenimento degl’asili. Il Municipio di Napoli fornì i locali, le spese d’impianto, e fu eletta una commissione per vigilare sulle nuove istituzioni infantili, di cui fu eletto presidente Giustiniano Lebano. Il 13 settembre entrò in Napoli una parte dell’esercito garibaldino composto da tremila calabresi e lucani, seguiti dai primi contingenti della divisione garibaldina medici, che sfilarono per via Toledo. Il 27 fu fondata a Napoli l’Associazione Nazionale Unitaria, filo repubblicana e mazziniana diretta da Zappetta, Libertini e Giuseppe Ricciardi di Camaldoli che lavorava per un Italia unita con Roma capitale, e portò tali richieste all’attenzione di Garibaldi il 30 settembre, tra i delegati dell’associazione fu presente anche il Lebano. Garibaldi concesse a Dumas la carica di direttore generale degli scavi archeologici in Campania e di direttore del museo archeologico di Napoli. Il Dumas fondò poi il giornale “Indipendente” con sede nel suo stesso alloggio: il noto palazzo dei principi di Francavilla presso Chiatamone a cui il Lebano partecipava come corrispondente. L’otto ottobre il Lebano fu nominato segretario del comizio elettorale che aveva sede in Napoli al Vico Nilo n.° 34 presso il circolo popolare Nazionale per il Plebiscito: ovvero per la votazione che doveva decidere per l’annessione del sud Italia con il Piemonte. Il ventisei ottobre a Caianello, presso Teano, Garibaldi s’incontrò con Re Vittorio Emanuele II di Savoia per proseguire insieme presso Caserta. Lo stesso giorno il giornale ufficiale di Napoli scrisse: “Poiché s’avvicina l’esercito piemontese il sindaco Colonna si dà da fare per reperire nuovi alloggi con l’aiuto di un’apposita commissione diretta dall’avvocato napoletano Giustiniano Lebano." Il 21 novembre 1860 l’esercito garibaldino fu sciolto con decreto luogotenenziale e chiunque dei soldati poteva entrare col proprio grado e stipendio nell’esercito italiano o nella guardia nazionale, e Vittorio Emanuele II firmò il decreto di annessione del Piemonte all’Italia meridionale. L’otto dicembre fu fondata la società di “Mutuo Soccorso degl’Operai” tra i soci fondatori figurava anche il Lebano. Il tredici dicembre 1860 l’avv. Lebano ricevette dal Luogotenente Farini, su proposta del sindaco Colonna, la croce di Cavaliere dell’Ordine Reale Equestre dei Savoia. Inoltre il venticinque gennaio 1861 il successivo Luogotenente del Re d’Italia, il Principe Eugenio Carignano consegno al Lebano la medaglia d’oro del real ordine Equestre di San Maurizio e Lazzaro, a cui seguirà la croce di Cavaliere della Corona d’Italia concessagli da Re Vittorio Emanuele II il venticinque maggio; lo stesso re che lo nominerà Conte il 12 novembre del 1863 durante la sua visita alla Reggia di Capodimonte: onorificenze dovute alle sue opere pie nell’assistenza degl’orfani, dei feriti militari e per l’accoglienza delle truppe garibaldine. Tra le sue attività pubbliche non bisogna poi dimenticare che il 17 settembre 1861 inaugurò il Convitto e educandato femminile in piazza del Gesù in palazzo San Severino, poi trasformato nel 1868 nella scuola media superiore “E. P. De Fonseca”. Il cinque marzo 1861 egli inaugurò il primo asilo infantile in via delle Grotte della Morra alla Vicaria n.° 22 per i bambini poveri. Il cinque giugno inaugurò il secondo asilo nel quartiere Chiaia alla salita Mirelli. Il generale Cialdini il sedici luglio di quell’anno fu investito della carica di Luogotenente Generale delle province napoletane, e subito esaminò la relazione presentata al parlamento di Torino dal Deputato Liborio Romano e appoggiata dal collega Giuseppe Ricciardi di Camaldoli, denunciante le tristi condizioni di Napoli e provincia dove le strade, l’illuminazione, la nettezza urbana, gli ospedali richiedevano interventi ingenti ed immediati. Così il dieci novembre del 1861 si aprì una pubblica sottoscrizione per il prestito nazionale di un milione di ducati, e nella stessa serata la commissione comunale di Napoli per le scuole e l’assistenza ai poveri diretta dal Lebano raccolse 22.690 obbligazioni pubbliche per un valore di 1.633.680 ducati napoletani che nel lasso di una decina di giorni arrivarono alla cifra di 2.338.592 per poi giungere ad un totale di 3.972.272 ducati, al posto del solo milione previsto, pari a 50.000 lire italiane. In parte la cifra fu raccolta grazie all’intervento di molte autorevoli personalità tra cui spiccò l’abilità diplomatica di Giulia Slis Schawbe, una ricca nobildonna tedesca vedova, amica sia di Mazzini che di Garibaldi che seguì nella città partenopea di cui restò incantata per le meraviglie naturali, così decidendo di fissarvi dimora occupandosi di attività filantropiche. Della somma raccolta 45.000 lire furono destinate a ristrutturare la città mentre 5.000 furono depositate al Banco di Napoli sotto a disposizione delle autorità comunali. Il nove dicembre 1861 fu eletto sindaco di Napoli Giuseppe Colonna di Stigliano, nipote di Andrea Colonna, che confermò tutti gl’incarichi del Lebano. Il sedici dicembre il Luogotenente Farini istituì la commissione per la raccolta dei soccorsi alle classi povere di Napoli, a cui rilasciò 25.000 buoni giornalieri per acquistare il pane. Tra i dirigenti della commissione figurava anche il Lebano, mentre l’amico Giuseppe Ricciardi fu nominato deputato al parlamento di Torino. Giustiniano Lebano l’undici marzo 1862 inaugurò il terzo asilo infantile al Vico Secondo Portiera n.° 10. Il vent’otto aprile 1862 arriva a Napoli per la seconda volta Vittorio Emanuele II di Savoia, e il Lebano per festeggiare fece distribuire ai poveri 4.000 quintali di pane.Giustiniano Lebano conobbe Virginia Bocchini, nipote del Domenico Bocchini, più volte annoverato nella seguente trattazione, nel settembre del 1860. Purtroppo Virginia aveva perso la madre che morì nel darla alla luce, mentre il padre, Silvio Bocchini, morì nell’epidemia di colera del 1836. per qualche anno visse col nonno Domenico che però morì nel 1840 a Caserta dove si erano rifugiati per timore del colera che ancora mieteva vittime a Napoli. Quindi il nonno materno, l’avvocato Enrico Castellano sistemò la nipote nel reale educandato di “Maria Isabella Borbone” in largo San Marcellino a Napoli, dove visse dal 1840 al 1848. Poi il nonno materno la prese in casa con sé perché ormai abbastanza grande per poter provvedere da sola alle sue esigenze ed accudirlo. D'altronde essa condivideva gli stessi principi liberali e repubblicani trasmessi dal nonno Domenico che mai dimenticò. Nel 1850 divenne maestra nella scuola magistrale femminile del reale educandato in piazza del Gesù. Ella conobbe Lebano nelle varie manifestazioni filo garibaldine a cui partecipava col nonno, un incontro che proseguì con un fidanzamento ufficiale nel 1861, per culminare col matrimonio civile tenuto davanti al sindaco di Napoli Giuseppe Colonna nel 1862. Per la casa il Lebano aveva già provveduto, oltre a quella di Virginia lasciatale dal nonno Domenico Bocchini in via Sant’Agostino alla Zecca n° 8, da tempo il Lebano durante le sue visite presso la villa settecentesca “Il Rifugio” di proprietà dell’amico Giuseppe Ricciardi - a sua volta vicina alla villa “della Ginestra” meglio conosciuta come “Villa Leopardi” di proprietà dell’amico Giuseppe Ferrigno dove dal 1835 al 1837 fu ospitato il grande poeta Giacomo Leopardi - poté comprendere la bellezza del luogo e così parlò col suo amico, l’avvocato Luigi Di Gennaro, genero del Ferrigni, e così nel 1862 comprò da quest’ultimo un vasto podere agricolo con vigneti, e frutteti e relativa casa colonica, che fece ristrutturare, situato alla periferia di Torre del Greco in contrada “Lava”, attuale contrada Leopardi, proprio a fianco della strada nazionale e dell’incrocio verso S. Maria la Bruna e la strada per Boscoreale. Furono anni felici grazie al loro amore e alla posizione economica e politica del Lebano. Nel 1863 il Lebano, per far distrarre Virginia, accettò l’invito che l’archeologo di Pompei Giuseppe Fiorelli rivolse a molte personalità del tempo, onde mostrare loro come fosse possibile colare del gesso per ottenere il calco dei Pompeiani morti durante l’eruzione del 79 d.c. Lebano decide allora di trasferirsi alla villa di Torre Annunziata, al tempo frazione di Trecase, acquistata da poco dal possidente terriero sig. Scauda, fornendola di un alto cancello sormontato dallo stemma di famiglia, inferriate alle finestre e cani da guardia. Nel giugno dell’anno successivo inaugura il nuovo studio legale e commerciale Lebano e Cacace. Da decenni il colera devastava ad ondate l’Europa e quindi Napoli facendo strage di uomini, donne ricchi, poveri, giovani e vecchi, accomunati nella tragedia di una malattia terribile, si pensi al poeta Leopardi che fu colpito durante il suo soggiorno a Torre del Greco nel 1837, e ricomparve nel 1855 per poi esplodere nel 1865.L’ultima epidemia proveniva dall’estremo oriente, probabilmente dalla Cina, ed era stata portata dalle navi mercantili tedesche e inglesi, nel popolo si avvertiva un sentimento di diffidenza e terrore per tutto ciò che proveniva dall’estero: a Castellammare di Stabia delle popolane arrivano ad uccidere due poveri turisti stranieri perché ritenuti spargitori di colera. A tal proposito Giustiniano Lebano scrisse la famosa opera: “Del morbo oscuro chiamato da Areteo ociphon-sincope impropriamente creduto dagl’europei choleramorbus” dove afferma che l’origine dell’epidemia era inoltre dovuta a degli squilibri spirituali mondiali generati dalle errate e nefaste pratiche della magia cinese, ma certamente intendeva altro.
Però Lebano si sentiva tranquillo e continuò la sua attività sociale e politica aiutando attivamente i suoi due amici Giuseppe Ricciardi e Giacinto Albini che nel 1865 vengono eletti consiglieri comunali a Napoli. Ma Virginia era terrorizzata dalle notizie dei casi di colera verificatisi nella periferia di Napoli e poi in alcuni quartieri del centro, la sua era una vera ossessione che la portò alla massima cautela, e presto scoprì di avere ragione in quanto il suo primo figlio di tre anni, Filippo Lebano, fu colpito dall’infima malattia, e il piccolo fu subito ricoverato all’ospedale Gesù e Maria. Le opinioni dei medici per curarlo si alternano e scontrano attraverso varie ipotesi e rimedi che non avevano effetto, alla fine Virginia si affidò all’amico medico Francesco del Giudice che però non riuscì a curare il piccolo Filippo, il quale morì dopo poche settimane, il sette dicembre 1865. Lo sconforto di Virginia fu profondo e insanabile, l’accaduto la scosse fortemente mettendo il suo equilibrio psicologico in crisi; ma dovette farsi forza per la nuova vita che portava in grembo così i coniugi Lebano, per scongiurare ogni possibilità di contagio si trasferirono a Villa Lebano in Torre Annunziata. Questa volta l’accuratezza igienica di Virginia fu tale da rasentare la follia: l’acqua sia per bere che per bagnarsi veniva sempre prima bollita, ogni ambiente era tenuto pulito e veniva sterilizzato. Virginia partorì all’ospedale di Torre del Greco il 23 giugno del 1866 la piccola Anna Lebano e presto la fece battezzare nella chiesa di San Michele di Torre del Greco vestendo ancora di nero per il lutto del figlio Filippo. Inoltre divenne estremamente religiosa: pregava continuamente e si circondò di statue di Santi. Ma probabilmente il suo stato fu dovuto anche alla frequentazione col parroco Don Aniello de Paola, noto borbonico! Virgina arrivò a pensare che la morte di Filippo fu un castigo divino per i peccati del marito che era sia antiborbonico che anticlericale, nonché ateo e massone. Logicamente questo turbò la serenità di Giustiniano il quale era ancora in pena per la perdita del primogenito che portava il nome del padre, e in cuor suo sapeva che doveva tutto ciò ai falsi consigli di Don Aniello. Però il destino gli tese la mano, difatti Don Aniello fu arrestato come cospiratore e filo borbonico in quanto sorpreso a predicare a favore del ritorno della monarchia delle due Sicilie. L’accaduto non ripristinò la pace tra i coniugi ma almeno attenuò i dissapori e Virginia poté dedicarsi unicamente alla figlia. Per qualche tempo le cose si calmarono prendendo una parvenza di normalità. Il male del colera era sempre in agguato, difatti il “morbo oscuro” colpì anche la sua ultima figlia uccidendola. A nulla valsero le valenti cure del medico di famiglia e così Virginia cadde nuovamente nello sconforto, chiudendosi in se stessa, ma il fato volle che ella già aspettasse un nuovo bambino nel quale ripose tutte le sue speranze di madre, e facendosi nuovamente forza reagì. Quindi i Lebano tornano nella loro casa di Napoli per prestare le massime cure a Silvio Lebano nato nel luglio del 1867. Virginia si chiuse letteralmente in casa, rifiutandosi di andare in chiesa e di avere contatti con la servitù, era attenta a far lavare i pavimenti ed ogni superficie della casa con gl’ultimi ritrovati antisettici del tempo, si rifiutò di avere rapporti coniugali col marito e si diede alla costante preghiera. Il colera continuò a proliferare anche se in modo silenzioso e strisciante, il nuovo pericolo era rappresentato da una epidemia di tifo petecchiale che durò fino alla fine del 1868 quando Silvio ne fu contagiato. Virginia non si sconfortò ed anzi lottò con tutte le sue forze, facendo ricorso ad ogni genere di cura conosciuta, e accudendo il piccolo personalmente a rischio della propria vita. Il Lebano era un iniziato alla vera sapienza ermetica e stavolta volle farvi ricorso per salvare suo figlio, difatti invitò nella sua casa di Napoli un noto occultista del tempo Pasquale de Servis alias Izar. Il quale era un celebre taumaturgo ed erborista, e fu lui ad iniziare l’occultista Ciro Formisano alias Giuliano Kremmerz. De Servis ricordò al Lebano che certi errori nelle evocazioni dell’Arcana Arcanorum, sebbene umanamente comprensibili, non possono essere facilmente arginati e spesso si riversano sui figli e familiari più prossimi colpendoli con ferocia, al punto che nemmeno lui poteva fare nulla. Difatti il piccolo Silvio morì all’ospedale della pace il 16 settembre del 1868 con cui in meno di quattro anni i coniugi Lebano perdono ben tre figli. Sebbene Giustiniano Lebano aveva un carattere forte come il granito stavolta vacillò soffrendo enormemente, e Virginia fu scossa al punto di non accettare quest’ennesimo lutto. Il suo animo fu sconvolto e si ribellò ad un Dio che aveva implorato senza che fosse ascoltata, così si avvicinò alla moda del tempo costituita dalle sedute medianiche. Spesso Virginia invitava nella sua casa di Torre del Greco alcuni noti spiritisti tra cui lo stesso Izar, Eusapia Palladino e il suo precettore Francesco Damiani, nella speranza di stabilire un contatto con i figli defunti. E ciò creò una frattura insanabile che allontanò Giustiniano dalla moglie, in quanto fortemente contrario a tali pratiche. Giustiniano si dedicò ai suoi studi ed istruì numerosi discepoli nella dottrina e nella pratica del Martinismo, alcuni dei quali pervennero all'arte Trasmutatoria.
Il Lebano morì ai primi del secolo lasciando fama di grande mago.
L’attività massonica di Giustiniano Lebano.
Però Lebano si sentiva tranquillo e continuò la sua attività sociale e politica aiutando attivamente i suoi due amici Giuseppe Ricciardi e Giacinto Albini che nel 1865 vengono eletti consiglieri comunali a Napoli. Ma Virginia era terrorizzata dalle notizie dei casi di colera verificatisi nella periferia di Napoli e poi in alcuni quartieri del centro, la sua era una vera ossessione che la portò alla massima cautela, e presto scoprì di avere ragione in quanto il suo primo figlio di tre anni, Filippo Lebano, fu colpito dall’infima malattia, e il piccolo fu subito ricoverato all’ospedale Gesù e Maria. Le opinioni dei medici per curarlo si alternano e scontrano attraverso varie ipotesi e rimedi che non avevano effetto, alla fine Virginia si affidò all’amico medico Francesco del Giudice che però non riuscì a curare il piccolo Filippo, il quale morì dopo poche settimane, il sette dicembre 1865. Lo sconforto di Virginia fu profondo e insanabile, l’accaduto la scosse fortemente mettendo il suo equilibrio psicologico in crisi; ma dovette farsi forza per la nuova vita che portava in grembo così i coniugi Lebano, per scongiurare ogni possibilità di contagio si trasferirono a Villa Lebano in Torre Annunziata. Questa volta l’accuratezza igienica di Virginia fu tale da rasentare la follia: l’acqua sia per bere che per bagnarsi veniva sempre prima bollita, ogni ambiente era tenuto pulito e veniva sterilizzato. Virginia partorì all’ospedale di Torre del Greco il 23 giugno del 1866 la piccola Anna Lebano e presto la fece battezzare nella chiesa di San Michele di Torre del Greco vestendo ancora di nero per il lutto del figlio Filippo. Inoltre divenne estremamente religiosa: pregava continuamente e si circondò di statue di Santi. Ma probabilmente il suo stato fu dovuto anche alla frequentazione col parroco Don Aniello de Paola, noto borbonico! Virgina arrivò a pensare che la morte di Filippo fu un castigo divino per i peccati del marito che era sia antiborbonico che anticlericale, nonché ateo e massone. Logicamente questo turbò la serenità di Giustiniano il quale era ancora in pena per la perdita del primogenito che portava il nome del padre, e in cuor suo sapeva che doveva tutto ciò ai falsi consigli di Don Aniello. Però il destino gli tese la mano, difatti Don Aniello fu arrestato come cospiratore e filo borbonico in quanto sorpreso a predicare a favore del ritorno della monarchia delle due Sicilie. L’accaduto non ripristinò la pace tra i coniugi ma almeno attenuò i dissapori e Virginia poté dedicarsi unicamente alla figlia. Per qualche tempo le cose si calmarono prendendo una parvenza di normalità. Il male del colera era sempre in agguato, difatti il “morbo oscuro” colpì anche la sua ultima figlia uccidendola. A nulla valsero le valenti cure del medico di famiglia e così Virginia cadde nuovamente nello sconforto, chiudendosi in se stessa, ma il fato volle che ella già aspettasse un nuovo bambino nel quale ripose tutte le sue speranze di madre, e facendosi nuovamente forza reagì. Quindi i Lebano tornano nella loro casa di Napoli per prestare le massime cure a Silvio Lebano nato nel luglio del 1867. Virginia si chiuse letteralmente in casa, rifiutandosi di andare in chiesa e di avere contatti con la servitù, era attenta a far lavare i pavimenti ed ogni superficie della casa con gl’ultimi ritrovati antisettici del tempo, si rifiutò di avere rapporti coniugali col marito e si diede alla costante preghiera. Il colera continuò a proliferare anche se in modo silenzioso e strisciante, il nuovo pericolo era rappresentato da una epidemia di tifo petecchiale che durò fino alla fine del 1868 quando Silvio ne fu contagiato. Virginia non si sconfortò ed anzi lottò con tutte le sue forze, facendo ricorso ad ogni genere di cura conosciuta, e accudendo il piccolo personalmente a rischio della propria vita. Il Lebano era un iniziato alla vera sapienza ermetica e stavolta volle farvi ricorso per salvare suo figlio, difatti invitò nella sua casa di Napoli un noto occultista del tempo Pasquale de Servis alias Izar. Il quale era un celebre taumaturgo ed erborista, e fu lui ad iniziare l’occultista Ciro Formisano alias Giuliano Kremmerz. De Servis ricordò al Lebano che certi errori nelle evocazioni dell’Arcana Arcanorum, sebbene umanamente comprensibili, non possono essere facilmente arginati e spesso si riversano sui figli e familiari più prossimi colpendoli con ferocia, al punto che nemmeno lui poteva fare nulla. Difatti il piccolo Silvio morì all’ospedale della pace il 16 settembre del 1868 con cui in meno di quattro anni i coniugi Lebano perdono ben tre figli. Sebbene Giustiniano Lebano aveva un carattere forte come il granito stavolta vacillò soffrendo enormemente, e Virginia fu scossa al punto di non accettare quest’ennesimo lutto. Il suo animo fu sconvolto e si ribellò ad un Dio che aveva implorato senza che fosse ascoltata, così si avvicinò alla moda del tempo costituita dalle sedute medianiche. Spesso Virginia invitava nella sua casa di Torre del Greco alcuni noti spiritisti tra cui lo stesso Izar, Eusapia Palladino e il suo precettore Francesco Damiani, nella speranza di stabilire un contatto con i figli defunti. E ciò creò una frattura insanabile che allontanò Giustiniano dalla moglie, in quanto fortemente contrario a tali pratiche. Giustiniano si dedicò ai suoi studi ed istruì numerosi discepoli nella dottrina e nella pratica del Martinismo, alcuni dei quali pervennero all'arte Trasmutatoria.
Il Lebano morì ai primi del secolo lasciando fama di grande mago.
L’attività massonica di Giustiniano Lebano.
Come accennato precedentemente, il Lebano fu “Apprendista” e poi “Compagno” Massone nella loggia francese diretta da Dumas a Parigi nel 1858, quindi divenne “Maestro” della massoneria Egiziana del Memphis di Palermo con Giuseppe Garibaldi sotto presentazione del Dumas nel 1860. Aderì poi alla Loggia muratoria di Rito Scozzese “Fede Italica” dell’Oriente d’Italia fondata a Napoli il sedici agosto 1861 e diretta dal “Venerabile” Giovanni Pantaleo, il famoso cappellano dei Mille di Garibaldi, il “Primo Sorvegliante” era Luigi Zappetta, mentre il Dumas rivestiva il “18° Grado” ovvero quello di “Principe di RosaCroce”, Il sei Luglio 1862 il Lebano passa come “Primo Sorvegliante” della loggia napoletana “Osiride” alla Riviera di Chiaia, fondata il diciassette gennaio 1862 e diretta dall’amico Giuseppe Ricciardi conte di Camaldoli, sotto l’obbedienza del Grande Oriente Massonico Scozzese rappresentato dalla loggia “Ausonia” di Torino fondata nel 1859. Il Lebano versò al tesoriere la tassa d’ingresso di tre ducati. Il diciotto gennaio 1863 il Lebano è ricevuto come “8° Grado” ovvero “Maestro Segreto Egizio” nella loggia “Sebezia” su presentazione del Ricciardi, loggia fondata il primo agosto 1861 dal calabrese Domenico Angherà prima fedele al Grand’Oriente Scozzese poi passata all’Ordine Egizio del Misraim “Scala di Napoli”.La “Scala di Napoli” risaliva all’Ordine Egizio di Cagliostro fondato a Napoli nel 1792 con la Loggia “I Figli della Libertà” presso la Riviera di Chiaia, in sonno dal giugno 1799, poi risvegliata nel 1813 da Marc Bedarride col nome “La Figlia della Sapienza” poi diretta nel 1814 dal Gran Cofto Lorenzo De MonteMayor. L’assetto definitivo del Rito Egizio di Misraim fu fondato in Francia dal Bedarride nel 1818, poi regolò la “Tegolatura Suprema Scala di Napoli” meglio conosciuta come “Arcana Arcanorum” nel 1819 a Bruxelles, mentre a Napoli fu il Domenico Bocchini con la loggia Egizia “La Folgore” fondata nel 1828 a via Toledo nel palazzo Berio, poi ospitata nella sede di palazzo Gravina dal 1841 al 1848 in casa del principe Capecelatro, per poi passare nel palazzo Siracusa alla Riviera di Chiaia nel 1850 e diretta da Giuseppe Fiorelli fino al 1860, il quale era il segretario del principe Leopoldo Borbone delle due Sicilie dopo di ché fu messa in sonno il 16 maggio 1860. Successivamente Angherà portò con sé, nel Rito Egizio di Misraim anche Giuseppe Ricciardi di Camaldoli presso la sua loggia “Osiride” fedele al Grande Oriente Scozzese di Torino, nel 1864 fondò in Napoli il Grande Oriente Egizio di Misraim raggruppando la loggia “Sebezia” ed altre venti logge napoletane, con alcune logge pugliesi e calabresi che rifiutarono l’obbedienza massonica Scozzese sia di Torino che di Palermo.Presso la “Sebezia” Angherà fungeva da “Gran Cofto” ovvero da gran maestro nazionale, Giuseppe Ricciardi era il “Primo Sorvegliante”, mentre Giustiniano Lebano era “Gran Oratore”. Nel 1865 Angherà fondò nella “Sebezia” il Gran Capitolo Rosa Croce Egizio dando a Giustiniano Lebano l’appellativo di Sairtis-Us e la carica di “Gran Sorvegliante” del Capitolo nonché il 18° grado massonico o “Principe di Rosa Croce”.Il sistema massonico egizio di Misraim Napoletano era pieno di fervore liberale e repubblicano, era frequentato assiduamente da filo mazziniani e garibaldini, già appartenenti al Comitato d’Azione del Mazzini sorto in Napoli nel 1857 e risorto nel 1860 divenuto poi Associazione Italia nel 1861, erano patrioti che ancora respiravano gli ideali della Carboneria e della Giovane Italia, nonché dei cultori dello spiritismo medianico divenuto al tempo una moda da salotto.
Martinismo Napoletano.
I Martinisti Napoletani sono tutti discepoli di Eliphas Levi, cittadini del Regno delle Due Sicilie, fra i quali principalissimo il Barone Nicola Spedalieri. Oltre allo Spedalieri, notissimo anche per le opere che il Maestro gli ha dedicato, va ricordato l'avvocato Giustiniano Lebano, da Torre Annunziata, Napoli, autore di varie opere occultistiche fra cui "Dell'Inferno, se il Cristo vi discese con il corpo o meno", rifugiato in Francia per motivi politici concernenti le sue attività risorgimentali ed iniziato a Parigi da Eliphas Levi alla Magia Trasmutatoria. Rientrato in Italia dopo l'Unità, si ritirò a Torre Annunziata nella zona vesuviana, dove si dedicò ai suoi studi ed istruì numerosi discepoli nella dottrina e nella pratica del Martinismo, alcuni dei quali pervennero all'arte Trasmutatoria come Vincenzo Gigante che, assai longevo, visse sino ai nostri giorni. Un altro napoletano di Portici, sempre nella zona vesuviana, fu Pasquale de Servis, figlio naturale di Francesco I di Borbone, emigrato a Parigi per motivi di lavoro, venne pur'esso in contatto con la cerchia di Eliphas Levi e fu accolto come discepolo dal Maestro. Suo interesse predominante fu l'astrologia ed alcuni lo identificarono con l' «anonimo napoletano» autore delle «Lunazioni» pubblicate dal Kremmerz il quale ne rifiutò sempre la paternità. Il De Servis che portò lo jeronimo di IZAR, rientrato povero dall'emigrazione, fu ospitato in casa del Kremmerz di cui fu il primo maestro e che successivamente egli indirizzerà al maestro francese Gerard Encausse alias Papus che lo fece accogliere nella cerchia dei martinisti francesi con i quali aveva mantenuto i contatti. Anche il De Servis istruì e guidò discepoli in Italia conservando ottimi rapporti con lo Spedalieri e col Lebano. A Portici sorge ancora una splendida reggia borbonica e molti illegittimi della famiglia furono sistemati nella zona, tra cui il padre stesso della sig.ra Anna, la consorte del Kremmerz, il Comm. Luigi Petriccione (Questo cognome che era quello di un funzionario toscano al servizio della Dinastia, venne imposto a più di un illegittimo di questa per concessione dello stesso funzionario). Oltre al Kremmerz un altro porticese, comunemente ritenuto figlio di Ferdinando II, Gaetano Petriccione che portò lo pseudonimo di Morienus, fu discepolo prima del Lebano e poi dello Spedalieri, che conosceva la sua origine regale e lo stimò degno dell'Arte Regia iniziandovelo. Discepoli di Morienus furono Philaletes Jatricus e molti altri martinisti dell'Italia meridionale e della Sicilia così come il Kremmerz ebbe discepoli in tutta Italia e anche in Francia. Il Martinismo italiano operativo ebbe dunque origine da questi personaggi e da nessun altro, anche se gli storici dimenticateli, sono passati a cercare altre più recenti e meno nobili origini. Lo stesso Kremmerz considerato come il creatore del kremmerzianesimo appare spuntato dal nulla a mò di fungo. Il Kremmerz, prima della creazione della sua Fratellanza Terapeutica, soggiornò in Francia almeno quattro anni tra il 1888 ed il 1893. Di questo soggiorno, delle sue attività, delle persone che frequentò ed incontrò non si hanno notizie certe. Da molte fonti pare confermato che frequentò Papus ed insieme a lui appartenne alla Hermetic Brotherhood of Luxor, così come Hector Durville alla cui scuola pare che abbia appreso la teoria e la pratica del magnetismo animale che espose poi nella sua Opera Omnia e nel Corpus. Ricordo di sfuggita al lettore poco attento che è nel 1888, l'anno in cui Stanislao De Guaita fonda la Rosa Croce Cabalistica che è alla base del risveglio martinista.) in realtà fu e restò un martinista napoletano e la sua Scuola (4 Cn. In realtà il Kremmerz creò semplicemente e solamente una Fratellanza Terapeutica che chiamò ermetica in quanto la pratica sanatrice non era fine a se stessa, ma tendeva allo sviluppo ed alla manifestazione dell'Hermes, cioè del principio ermetico, uno dei componenti del complesso uomo.) può essere considerata una delle varianti dell'Ordine Martinista, basti sfogliare l'indice dei nomi del IV volume della sua Opera per controllare quante volte sono citati Jacques Martinez de Pasqually, Louis-Claude de Saint-Martin, Eliphas Levi, Stanislas de Guaita, Papus e via dicendo, o meglio ancora, leggere nel testo che cosa il Kremmerz ne scrive per avere la prova del suo «martinismo». Egualmente in tal senso è da interpretare la sua costante collaborazione dal 1923 alla rivista martinista «O Tanatos» diretta dal Banti e la sua iscrizione in testa al comitato di redazione. Abbiano detto che il Lebano ebbe tra i suoi discepoli il Gigante, morto nel 1968, tra i discepoli di quest'ultimo vanno ricordati Francesco Proto da Atrani (1889-1957) e don Luigi Ciardiello de Bourbon France «L'Argonauta» ". I maestri collegati all’ordine martinista napoletano.
1) Raimondo Maria de Sangro (1710-1769), Principe di Sansevero, Duca di Torremaggiore, Grande di Spagna, ecc.. 2) Vincenzo de Sangro, primogenito di Raimondo de Sangro, comandante della Guardia Reale di Ferdinando I di Borbone.
1) Raimondo Maria de Sangro (1710-1769), Principe di Sansevero, Duca di Torremaggiore, Grande di Spagna, ecc.. 2) Vincenzo de Sangro, primogenito di Raimondo de Sangro, comandante della Guardia Reale di Ferdinando I di Borbone.
3) Paolo d'Aquino, Principe di Palena.
4) Pietro d'Aquino, nipote di Paolo, Conte di Caramanico.
5) Antonio Marino, abate di S.Giovanni a Carbonara; iniziatore e maestro di Eliphas Levi: il padre dell'occultismo contemporaneo.
10) Gaetano Petriccione alias Morienus, figlio naturale di Ferdinando II di Borbone, discepolo di Izar.
11) Antonio de Santis alias Filaletes Iatricus.
12) Vincenzo Gigante (+1968), discepolo del Lebano.
13) Eduardo Petriccione alias Geber (1891-1966), figlio naturale di Gaetano.
14) Filippo Costa alias Ishabel, discepolo di Filaletes Iatricus.
15) Luigi Ciardiello de Bourbon-France alias l'Argonauta, di cui è stata ritrovata una rara poesia intitolata "Amore Celeste"
16) Luigi Petriccione alias Userkaf/Caliel, dei Duchi Giordano d'Oratino, figlio naturale di Edoardo, discepolo de L'Argonauta; Gran Maestro del Martinsmo Napolitano, della Rosa+Croce d'Oro Italiana, dell'Alleanza Universale Fratellanze Hermetiche A.U.F.H (principale fautore), e Vescovo della Chiesa Gnostica Apostolica con lo pseudonimo di Tau-Chrisogonos.
3 commenti:
Storia interessantissima sull'esoterismo Italiano tra l'800 e il 900. Ma al di là dei fatti storici contano i documenti comprovanti lo stato di conoscenza di questi Iniziati.
Mancano riferimenti sui Fratelli di Heliopolis (Francia).
Ho letto da pochissimo in Rete, alcuni stralci sull'arcana arcanorum, molto ferocemente criticati. Questo documento, riducendolo all'essenzialità, contiene certamente una fonte di conoscenza occulta sul Grande Arcano, allo stesso modo del recentissimo e criticato libro a firma di "Fulcanelli", Finis Gloriae Mundi, che è una miniera di conoscenze.
Spesso le pietre preziose sono nascoste nella ganga, e questo rende cattivi e feroci tutti quelli che leggendo, senza competenze, pretendono di giudicare.
Occorre apprendere l'arte del crivello, ma anche quella del mortaio e del pestello, indispensabile per polverizzare le pietre, ed ancora avere il coraggio di scendere nelle profonde miniere, per raccoglierne l'umidità preziosa che in quei posti abbonda.
Ai tempi nostri l'Alchimia inizia nel momento in cui decidiamo di isolarci, e iniziare il lavoro senza chiedere aiuto a nessuno, se non la Divino assoluto.
Manca dopo Luigi Petriccione Maestro caliel,l'ultimo Gran Maestro dell'Ordine Martinista Napolitano
+haiaiel+
si manca haiaiel l'ultimo maestro dell'ordine martinista napolitano,
ma sicuramente tu hai scritto tutta la storia e hai copiato i discendenti dell'ordine,avrai tralasciato a posto il nome di haiaiel,sarai sicuramente un nemico di haiaiel e anche un siciliano.
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