31 maggio 2012

- Praga e la via della Magia

















In certe giornate un po’ grigie ad avvolgere, e rendere ancora più seducenti, le vie di Praga è una bruma di mistero. Atmosfere magiche, figure fiabesche e altre demoniache, storie bizzarre e a volte da brivido, vicende epiche e antichi aneddoti a popolare la capitale sono leggende di ogni epoca e per ogni gusto. Come fantasmi aleggiano nell’aria, si insinuano nella storia e la coprono di un velo di mistero. Come spettri burloni (ma non troppo!) strizzano l’occhio al viandante per regalargli di Praga una versione eterea, fluttuante e solo apparentemente candida, proprio come il loro “lenzuolo”, nelle cui pieghe ognuno può leggere la storia che più gli piace. C’è però una storia ufficiale, documentata e scritta nei manuali, che elegge Praga a città magica, protagonista insieme a Torino e Lione del celebre triangolo europeo di magia bianca. E’ una storia che affonda le radici nel lontano ‘500, ai tempi di Rodolfo II, eccentrico sovrano con una passione per alchimia e magia. Tra le personalità eccentriche che il re assoldò e richiamò da tutta Europa, gli astronomi/astrologi Tycho Brahe e Giovanni Keplero, il consigliere di Elisabetta I d’Inghilterra John Dee, il sedicente medium Edward Kelly, l’alchimista Michael Sendivogius ma anche il nostro Arcimboldo, celebre per i suoi ritratti realizzati con frutti, ortaggi e fiori. Inquieta, arrabbiata e delusa, l’anima del re folle ancora vaga e si respira tra i vicoli e negli angoli segreti della Praga magica. Per inseguirla bisogna rintracciare le architetture esoteriche della capitale, percorrere il Vicolo dell’Oro – là dove in minuscole casupole, oggi sede di botteghe artigiane, alloggiavano alchimisti, scienziati, esoteristi e ricercatori di corte -, attraversare il Ponte San Carlo, vagare per il quartiere Mala Strana, addentrarsi nel ghetto ebraico ai tempi governato da quel rabbino Loew cui si deve la leggenda del Golem, gigante plasmato dall’argilla rossa a difesa degli ebrei praghesi dalle persecuzioni dell’epoca.
Oltre la storia c’è di più. Passeggiare per Praga magica è un viaggio nel passato fatto di
saliscendi: un continuo salto dai fatti storici a quelli tramandati, dalla cronaca alla tradizione popolare, dalla scienza alla leggenda. Praticamente ogni pietra della città protegge il suo mistero, custodisce la sua leggenda. Raccontarle tutte sarebbe impossibile. Narrano di re, regine e cavalieri, ma anche di monaci, gente comune, spose e monelli. E naturalmente di maghi, strane creature, geni, ninfe e spiritelli. Tramandano storie d’amore, regalano perle di saggezza e lanciano moniti ma per lo più stuzzicano la fantasia e il battito cardiaco con note tra il macabro e il grottesco: il templare senza testa, il monaco che invece la testa la portava sotto braccio, lo scheletro che nel cranio aveva un chiodo, il boia con la spada, mani mozzate, Faust che aveva venduto l’anima al diavolo. Ma niente paura: basta girare l’angolo ed è girata anche la pagina. Ecco tornare toni fiabeschi, con storie dolci o melanconiche ma pur sempre avvincenti di culle d’oro, monete nello straccio, pesci d’argento, tesori nascosti o dimenticati, lampade miracolose, scarpette di mollica, eroi coraggiosi, e pegni d’amore. Cronaca e invenzione, condanna e speranza, tinte cupe e pennellate rosa si mescolano sulle facciate, sul selciato, nei cortili e nei sotterranei dell’intera capitale, quartiere dopo quartiere. Ovunque si rintracciano leggende antiche che non di rado si dipanano però da episodi di storia documentata, anche cruenti. E che quasi sempre spiegano l’origine dei grandi monumenti cittadini, o comunque dei loro nomi. Ecco allora qualche tappa imperdibile per una passeggiata nel tempo, tra sogno e realtà. La leggenda narra che in via Liliova, nella Città Vecchia, ogni mezzanotte appare un templare senza testa, in sella al suo destriero bianco. Con una mano stringe le redini, con l’altra il suo capo tagliatogli in vita per una grave colpa. Si dice che in punto di morte abbandonò la fede cristiana e che ora vaga in cerca di chi lo liberi dalla maledizione. Ci riuscirà solo chi sarà tanto veloce e coraggioso da strappargli la spada e trafiggergli il cuore. Per ora, però, dell’impavido eroe nessuna traccia.
Il celebre Ponte Carlo seppe resistere alle numerose inondazioni della Moldava ma quando il sacerdote Giovanni Nepomuceno fu gettato nel fiume, proprio in quel punto crollò l’intera arcata del ponte. Inutili i ripetuti tentativi di ricostruirlo: l’opera dei muratori la notte crollava di nuovo. Un costruttore però si incaponì e, dopo una serie di fallimenti, scese a patti col diavolo promettendogli la vita di colui che per primo avrebbe attraversato il nuovo ponte. Per risparmiare un’anima innocente, però, pensò di ingannare il demonio liberando, all’alba del giorno dell’inaugurazione, un gallo all’imbocco del ponte. Ma il diavolo fu più furbo: si finse muratore, si precipitò dalla moglie del costruttore e le disse di correre al ponte perché a suo marito era capitato un brutto incidente. Il costruttore non poté fermarla e la notte stessa la poveretta morì con anche il bambino che portava in grembo. Pare che l’anima del piccolo abbia volteggiato a lungo sopra il ponte, emettendo starnuti che i passanti riuscivano a udire. Fino a che un giorno d’istinto qualcuno gli rispose “Salute!” e inconsapevolmente liberò la giovane anima, che poté finalmente volare in cielo. Il Muro della Fame, nella Città Piccola, racchiude nel suo nome una storia interessante. Ai tempi di Carlo IV la siccità portò carestia e, di conseguenza, delinquenza. Le carceri esplodevano e allora l’imperatore propose ai disperati che avevano rubato e saccheggiato per sfamare le famiglie un lavoro onesto in cambio non di denaro ma di cibo. Chi accettò fu condotto sulla collina di Petrin per avviare la costruzione della fortezza cittadina. La grande muraglia, conservatasi fino a oggi, sfamò così intere famiglie. Per questo e a causa anche della sua merlatura che ricordava i denti dei poveri affamati, fu battezzata subito Muro della Fame. Un pomeriggio d’estate, Libuse, Premysl e il loro seguito osservavano il panorama dal castello di Vysehrad. Libuse predisse allora: “Vedo una bella e grande città, la cui fama arriverà fino alle stelle. Nel bosco c’è un uomo che sta scolpendo la soglia (ndr: in ceco prah, da cui Praha ovvero Praga) della sua casa. Lì farete costruire un grande castello e lo chiamerete Praha. Così come davanti alla soglia di una casa chinano il capo il re e tutti i principi, anche i più potenti, un giorno si inchineranno davanti al castello e alla città che crescerà sotto di esso”. Così fu: il castello di Praga fu fatto costruire in quel luogo e divenne sede dei principi e in seguito dei re boemi. Ancora oggi davanti alla bellezza della città che porta il suo nome, si inchinano persone di tutto il mondo. Se Praga è da secoli e indiscutibilmente la città della magia, dove si concentrano storie occulte, architetture esoteriche, leggende più o meno verosimili e affascinanti dicerie, il mistero è pur sempre contagioso. Così anche il resto della Repubblica Ceca può vantare racconti e aneddoti tramandati nel tempo, che contribuiscono al fascino enigmatico di un Paese dalle lunghe tradizioni e dalla cultura antica. Tanti gli antichi racconti popolari, ancora tramandati di bocca in bocca, nel resto della Boemia. Sospesi tra fantasia e realtà, sono conditi di poesia, mistero, speranza e un pizzico di umorismo. Uno in particolare aggiunge toni vivaci alla mera cronaca, narrando di un alchimista fasullo che altri non era che quell’Edward Kelley giunto alla corte di Rodolfo II dall’Inghilterra. La leggenda narra che in patria, dove era noto come Talbot e impiegato come medico e scrivano, il truffatore avesse subito l’amputazione delle orecchie per aver falsificato dei documenti ufficiali. Cacciato dalla sua città, Dorcester, approdò in Boemia dove nessuno conosceva le sue vicende, le cui prove erano peraltro ben nascoste da lunghi capelli.
Diffidente per natura, l’imperatore volle mettere alla prova le sue doti di alchimista e, una volta analizzata la sua attrezzatura per verificare che non vi fosse già nascosto dell’oro, lo osservò mescolare misture e polveri in un pentolone. Lasciato di guardia fuori dalla stanza mentre Kelley si assentava, l’imperatore al rientro dell’alchimista rimase esterrefatto davanti alle pagliuzze d’oro materializzatesi nel frattempo sul fondo della pentola. In realtà Kelley aveva nascosto un complice, che durante l’assenza dei due sostituì la magica pozione con oro. Conquistata la fiducia dell’imperatore, il truffatore godette di lussi e privilegi e riuscì abilmente a rimandare a lungo la trasmutazione di nuove e maggiori quantità di oro, appellandosi al volere degli spiriti e delle stelle. Quando Rodolfo II perse infine la pazienza, Kelley fu imprigionato in una torre da cui riuscì a scappare con astuzia ma poca fortuna: calandosi dalla finestra precipitò e si ruppe una gamba che gli fu quindi amputata. Graziato, girò la Boemia perpetrando nuove truffe e affari loschi, fino a che incappò nuovamente nella giustizia a Most e, nella prigione locale, si tolse la vita.
Se l’oro si faceva desiderare, l’argento in Boemia era invece una realtà. Attorno alle miniere sorsero città – come nel caso di Kutna Hora, che la tradizione vuole costruita là dove un monaco lasciò la sua tonaca (in ceco “kutna” appunto) a indicare il luogo suggeritogli in sogno per trovare il minerale prezioso - ma anche leggende, aneddoti e racconti. Narrano per esempio di folletti minatori, spiriti buoni delle “montagne d’argento” dalle folte barbe bianche che suggerivano ai minatori dove scavare e preannunciavano crolli o allagamenti. E anche la Moravia meridionale vanta il suo bagaglio di antichi racconti. Si narra per esempio che molto tempo fa, quando le ruote dei carri venivano ancora fabbricate a mano, nel villaggio di Lednice vivesse un carraio di nome Birk, abile artigiano ma anche risaputo millantatore. Un giorno, all’osteria, scommise di essere in grado, in un solo giorno, di fabbricare una ruota e farla rotolare per 60 km fino al capoluogo, Brno. Nessuno gli credette e Birk lasciò tutti di stucco vincendo la scommessa. La sua ruota è esposta ancora oggi nella galleria del Municipio Vecchio di Brno.
Sempre a Brno si tramanda ancora la leggenda del drago, un mostro minaccioso che tormentava la città in tempi antichi. A liberarla fu infine il garzone del macellaio che gettò alla belva un’esca imbottita di calce. Non appena il drago bevve un sorso d’acqua cominciò a gonfiarsi e gonfiarsi, fino a scoppiare. Oggi il drago è uno dei simboli del capoluogo moravo. In città, infine, ancora oggi le campane della cattedrale di Petrov annunciano il mezzogiorno rintoccando un’ora prima. Questa bizzarria è in realtà l’omaggio dei cittadini ai loro antenati che durante la Guerra dei Trent’Anni (1618-1648) difesero Brno dalle truppe svedesi. La leggenda narra che il generale svedese Torstenson, dopo diversi mesi d’assedio, un giorno sentenziò: “Dobbiamo prendere la città prima che le campane della cattedrale annuncino il mezzogiorno”. Così il comandante dei difensori, Raduit des Souches, ricorse allo stratagemma: ordinò di far rintoccare il mezzogiorno già alle 11. Gli svedesi, ritenuto scaduto il tempo massimo che si erano imposti, si ritirarono e la città fu libera. Arcani, leggende, enigmi e luoghi segreti di Praga da sempre affascinano gente comune e turisti ma anche letterati, registi e autori. Ha fatto storia per esempio il saggio “Praga Magica” del boemista italiano Angelo Maria Ripellino (Einaudi, 1973). Il libro conduce per mano alla scoperta di luci e ombre della città, catapultando il lettore nella metropoli di Rodolfo II, degli alchimisti, del quartiere ebraico, del Golem, delle taverne, di atmosfere funebri e tenebrose, di nebbie tremolanti al bagliore dei lampioni a gas.
Sempre di pugno italiano il più recente e fruibile “Misteri di Praga. Un itinerario esoterico nei segreti della città” (Hermatena Edizioni, 2003). La guida “magica” di Morena Poltronieri è perfetta per scoprire la capitale nascosta, riviverne le vicende esoteriche ed entrare nell’anima dei luoghi.


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