29 maggio 2012

- L’EROS PLATONICO UNA MILLENARIA SCALA PSICOSINTETICA VERSO LA REALIZZAZIONE



L’educazione raffinata e completa (musica, poesia, pittura e ginnastica), la frequentazione di Socrate, la conoscenza dei misteri egizi, fanno di Platone uno dei latori più emblematici di una saggezza perenne. Questa, come un fiume sotterraneo, si è suddivisa in una miriade di rivoli confluendo in culture e tradizioni diverse, emergendo, a tratti, con forza, o inabissandosi, a volte, sotto le macerie di ideologie od eventi storici terrificanti, ma sempre pronta ad elargire i propri splendidi doni a chi si avvicina ad essa con l’intelligenza del cuore. E poiché la Psicosintesi a pieno titolo può ascriversi tra i più significativi emissari di questo magnifico fiume, sarà interessante scoprire quanto vicini siano i paradigmi psicosintetici con il messaggio lasciatoci da Platone circa 2.400 anni fa.
L’importanza, la profondità e l’originalità della riflessione platonica è testimoniata dalla nascita nel linguaggio comune della formula “ amore platonico “ come definizione di un rapporto profondo, di attrazione e di completamento tra due persone al di là di ogni sensualità e carnalità.
E’ importante notare che negli ambienti culturali greci e, anche in parte nell’immaginario collettivo di quella civiltà, era vera l’equazione di bello e buono, la cosiddetta kalokagathia, per cui la misteriosa emozione provocata dalla bellezza, una sorta di sindrome di Stendhal antelitteram, costituiva già di per sé un allertamento e una vivificazione del senso morale, similmente a quanto afferma la Psicosintesi che raccomanda di alimentarsi psicologicamente di ciò che suscita armonia e bellezza per evocare il meglio di noi e degli altri. Su queste basi la grande originalità concettuale del “ vero “ amore platonico, non risiede nel suo essere la definizione di una forma possibile di rapporto tra due persone, ma della sostanza stessa dell’amore. Nel suo aspetto di “energia”, Eros, il più antico tra gli dei, continuamente ed eternamente operante; il più giovane degli dei perché rinasce ogni volta nel cuore di chi ne fa esperienza.
L’amore è l’unico strumento per tentare di abbattere le barriere del nostro piccolo io storico e, attraverso un’ascesi interiore, proiettarsi verso l’estasi della totalità, verso la consapevolezza di essere un unico corpo, un’unica umanità alla costante ricerca della nostra radice metafisica, placando i tormenti dell’inconscia nostalgia dell’interezza e dell’incondizionato.
Diotima, la grande iniziata.
Di grande insegnamento ancora per tutti noi sono le acutissime e toccanti osservazioni di Diotima, la donna di Mantinea, che Platone fa parlare nel suo Simposio. Socrate, protagonista come sempre del dialogo, ricorda come Diotima abbia destrutturato le sue certezze in merito all’amore, asserendo che l’amore non è bello e non è brutto e non è buono né cattivo, ma è un demonio, un demone, un’energia in possesso degli uomini, mortale ed immortale come loro, secondo l’uso che essi ne fanno e l’oggetto verso cui lo dirigono. E’ una sorta di scala a gradini attraverso la quale gli umani possono assurgere alle dimore degli dei e gli dei parlare agli uomini. Ma molti e di diversa natura sono i demoni che contattano l’ uomo. Come non rilevare un riferimento alle spinte energetiche che arrivano dal centro dell’Io e che, grazie alla volontà, ci mettono in comunicazione diretta con il nostro progetto esistenziale, da una parte, e le richieste e i bisogni, invece, che, dall’altra, derivano dalle nostre subpersonalità periferiche?
Diotima continua, per meglio illustrare la funzione e la natura di questa energia dentro l’uomo, raccontando che Eros fu concepito nello stesso giorno in cui gli dei festeggiavano la nascita di Afrodite, la dea della bellezza.
Diotima narra di Eros
Al banchetto era presente Poros, l’Espediente, figlio di Meti, la Prudenza, e quando alla fine della festa, costui ubriaco di nettare si era addormentato nel giardino degli dei, Penia, la Povertà, giunta lì per chiedere le briciole del sontuoso pasto, gli giacque accanto nella notte, concependo Eros. Dunque quest’ultimo è sempre povero e, ben lungi dall’essere tenero e bello, è ruvido e scalzo, privo di dimora fissa. Dorme sulla nuda terra e senza coperte, sdraiato sotto il cielo aperto, sugli usci delle case o per la strada, perché, condividendo la natura della madre, convive con l’indigenza. In compenso, in conformità con la natura del padre, spia l’occasione favorevole per mettere le mani sulle cose belle e buone, perché è coraggioso, impulsivo, veemente. Abile cacciatore, tende sempre una qualche trappola. Appassionato pensatore, capace di trovare soluzioni brillanti per cavarsela, passa tutto il tempo ad amare la sapienza. E’ esperto nei sortilegi, nella preparazione di filtri magici, e di sottili argomentazioni come un sofista.
E’ il caso di ricordare che Poros non è semplicemente, nell’accezione greca, l’espediente truffaldino, ma ha a che fare anche con il concetto di strategia il che evoca subito la Volontà saggia della Psicosintesi. Essa ha il compito di individuare i tempi giusti e gli strumenti giusti nonché le giuste modalità nel raggiungimento di un obiettivo, dopo aver attentamente esaminato il patrimonio psichico e fisico in nostro possesso, talvolta evitando con fare indulgente e sornione le resistenze dell’io storico.
Ritornando all’Eros platonico, Diotima afferma che, a volte, nello stesso giorno, quando i suoi espedienti hanno avuto buon fine, è in fiore, pieno di vita; altre volte, invece, moribondo; ma ecco che nuovamente torna a vivere grazie alla natura paterna, anche se quello che si è procurato gli scorre immancabilmente via dalle mani. Non è mai povero, né ricco, né sapiente, né ignorante. Ama la sapienza, ma non è sapiente, perché è costretto a tendere ad essa senza possederla. Possiede una duplice natura, quella del padre ricco di risorse, e quella della madre continuamente sprovvista di tutto.
Eros e l’umana necessita’.
E’ la mirabile descrizione della condizione umana, una corda tesa tra il divino e la materia, la pienezza e il desiderio continuo, che ognuno di noi ha sperimentato quando si è innamorato di una persona, di un’idea, di un oggetto, tutti surrogati di un’insondabile nostalgia esistenziale che Assagioli ben conosceva e che citava nei suoi scritti e di cui teneva conto nella metodologia terapeutica. Dunque, continua Diotima, l’amore tende alle cose belle che sono anche buone, e quando ne entra in possesso rende l’uomo felice.
Ma non tutti amano le stesse cose e, allora perché, se il bello e buono è unico? Diotima chiarisce, con evidente riferimento per la conoscenza della psicologia attuale, alla storia personale che genera bisogni e dipendenze, che noi chiamiamo con il nome “amore” ogni tipo di particolare attaccamento o desideri,o scambiando una parte con il tutto, con una reiterata ed errata metonimia di pensiero, esattamente come l’artefice di un manufatto viene chiamato creatore. Lo scopo dell’amore è far rinascere nella bellezza sia il corpo che l’anima. Gli uomini, ad un certo punto della vita, sentono, per dirla in termini psicosintetici, che la loro esistenza fisica deve assumere una determinata valenza e dimensione, ispirata dall’anima che sospinge la generazione di questo progetto. Così la Bellezza che ne nasce è Moira, destino, inteso come vera destinazione, anima, essenza metafisica, seme personale, ed Ilizia, liberazione nel parto, attuazione concreta del progetto.
Per queste ragioni tutte le volte che un “essere gravido” si accosta a qualcosa di bello si sente bene nel corpo e nell’anima e si apre, partorisce, riproduce la vita e libera la creatura spirituale che è in sé, contagiando positivamente chi gli è vicino, ma anche coloro ai quali rivolge amorevolmente il suo pensiero.
Questa creazione è un prodotto eterno ed immortale, perché tassello imprescindibile nell’evoluzione dell’intera umanità, e va di pari passo con il desiderio di bene.
L’Amore, forza cosmica
Diotima fa notare che l’amore è una forza cosmica, che ha vari gradi e attraversa tutti i regni di natura. Ciò ben si può vedere nella smania che assale gli animali quando devono accoppiarsi, o quando anche i più deboli e soccombenti tra loro sfidano i più forti, o sopportano i morsi della fame e del freddo per difendere e far sussistere la prole, in un continuo anelito inconsapevole all’immortalità.
Concezione questa perfettamente sovrapponibile alle antichissime dottrine misteriosofiche, riprese anche dall’idealismo schellinghiano e confermate dalla scienza, che afferma che ogni forma di vita nel microcosmo come nel macrocosmo in questo nostro universo è possibile grazie alla legge di attrazione-repulsione tra polarità differenti.
E proprio la manifestazione dell’ energia d’amore segue tale legge che mette in rapporto un soggetto con qualsivoglia oggetto amato, a volte anche con conseguenze non piacevoli o preventivate, ma che ci fanno crescere come persona.
Le analogie con la biopsicosintesi
A questo punto si può cogliere un’altra analogia con la biopsicosintesi di Assagioli. Secondo questa teoria, né il livello corporeo né alcuno altro livello, anche apparentemente basso, dell’espressione umana, va ignorato o sottovalutato, ma che anzi può divenire un utile campo di lavoro per migliorarci ed elevarci.
La contemplazione del sommo bene
Il culmine della manifestazione dell’amore, però, conclude Diotima, avverrà quando, ben oltre ogni desiderio di bene e di bello per tutti gli uomini, si giungerà alla contemplazione del Sommo Bene in sé per sé, del Divino per il Divino, momento in cui l’uomo si spoglia della carne, dei colori dell’esistenza, di ogni riflesso materiale dell’amore per fondersi con l’Assoluto. E’ in questo momento che conquisterà la sua libertà, diventando per i posteri dispensatore di vera virtù, per dirla con Assagioli, quando la sua Volontà sarà diventata una con la Volontà universale. Forse da un’opera scritta oltre due millenni fa, come un dono degli dei che vogliono incoraggiare e supportare gli uomini nel loro faticoso e lungo viaggio di ritorno alle dimore celesti, può arrivare una risposta illuminante ed incoraggiante all’angoscioso interrogativo ben sintetizzato da Melville in “Dopo il festino di piacere”:
Quale cosmica burla o errore dell’Anarca ha spaccato l’essere umano integro e ne ha lanciato i frammenti attraverso la porta della vita?.
Anna Manfredi
da Opus Minimum



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