29 dicembre 2011

- Eresia Pura

L’eresia dei Catari, o “puri”, fu l’incubo del papato agli albori del secondo millennio. Risoluta a diventare il primo potere del mondo occidentale, la Chiesa Cattolica decise con
fredda determinazione di occultare il Sapere – religioso, filosofico, scientifico – e di sterminare chiunque si opponesse al suo progetto. In questo romanzo storico, sullo sfondo della tragedia dei Catari e del genocidio occitano tra il XII e il XIII secolo, si svolge la lotta di un uomo per la libertà di pensiero. La tragica vicenda di Giordano Nemorario (il predecessore di Leonardo da Vinci), la cui vera identità fu volutamente occultata anche dalla storia ufficiale della Scienza, viene ricostruita percorrendone le tracce e inseguendone il mistero. Il gigantesco rogo che il 16 marzo 1244 arse vivi gli ultimi martiri catari, non riuscì a bruciare tutte le “chiavi del sapere”: e ora finalmente, è possibile ricucire un percorso che conduce alle radici stesse della cultura occidentale.

Adriano Petta
romanzo storico pubblicato da «STAMPA ALTERNATIVA – Nuovi Equilibri»
nel dicembre 2005

È la calda notte del 24 luglio dell’anno 1207. Siamo a Nemi, in una capanna attaccata al castello (residenza estiva dei monaci cistercensi del monastero di Sant’Anastasio alle Tre Fontane in Roma). Spossati dall’afa e dalla fatica, due conversi – addetti alla cura delle terre e del castello durante l’intero anno – si attardano a chiacchierare. Il vecchio Girolamo detesta e maledice preti, monaci, abati, vescovi e papi. Il giovanissimo Giordano, invece, è tutto preso da studi di meccanica e matematica. Entrambi – durante l’inverno – hanno libero accesso alla grande biblioteca del piano terra del castello, ma i libri più rari sono probabilmente nascosti in un grosso armadio tenuto sempre chiuso a chiave e sito al secondo piano della torre saracena. È da un libro di quell’armadio che Girolamo copiò parecchie pagine in greco passandole poi al giovane Giordano che – grazie alla sua naturale predisposizione per i numeri – le aveva elaborate componendo il suo primo libro, Il mio piccolo abaco, nel quale illustrava il sorprendente e sconosciuto uso della nuova numerazione indo-arabica. Il testo era stato poi venduto a un giovane mercante pisano (amico dell’abate di Sant’Anastasio e di Nemi Raniero Capocci), Leonardo figlio di Bonaccio, che a sua volta lo aveva rielaborato dando vita al primo grande trattato sui nuovi numeri indiani, il Liber abaci che avrebbe segnato una svolta nella storia della scienza.
Ma come erano andate a finire le pagine greche in quel libro? E qual era il testo in questione? E perché Giordano già alcune volte si era inspiegabilmente recato nella basilica di S. Pietro in Vincoli a Roma affascinato dal mosaico di S. Sebastiano? E cosa venivano a fare a Nemi il Generale dell’Ordine Cistercense Arnauld-Amaury e papa Innocenzo III il giorno dopo? Durante la notte Giordano rivive in sogno una terrifica storia accaduta il 22 luglio di oltre cinque secoli prima. Il grande astronomo e matematico armeno Anania di Shirak – perseguitato dalla chiesa e dalla legge per le sue idee rivoluzionarie – ha affidato a tre suoi allievi (David, Eznik ed Aser) le chiavi del sapere affinché le portino in Occidente. È l’anno 662: gli Arabi s’impadroniscono di tutto e bruciano ogni libro che trovano sulla loro strada. Le chiavi del sapere sono scoperte scientifiche rivoluzionarie che possono mutare il cammino dell’uomo e della storia, frutto degli Indiani e dei Cinesi: ma ormai l’Oriente non è riuscito ad imprimere una svolta alla storia. Tocca all’Occidente. I tre allievi seguono strade diverse. Aser lascia la sua comunità cristiana dei pauliciani di Kibossa e raggiunge Roma assieme all’imperatore di Bisanzio Costante II: in una borsa di pelle che non abbandona mai, conserva due manoscritti apparentemente senza valore, le epistole di uno sconosciuto scrittore bizantino – Teofilatto Simocatta – e un palinsesto con commedie di Plauto abrase per far posto all’antico Testamento. Inserite nei due manoscritti, molte pagine in greco con le chiavi del sapere. Dopo aver fatto sistemare l’icona musiva di S. Sebastiano nella basilica di S. Pietro in Vincoli, Aser si reca al lago di Nemi assieme a un dotto prelato romano – proprio dove una volta sorgeva il tempio di Diana – per osservare uno strano fenomeno nel terreno. Ma viene stordito, legato e bruciato vivo dal suo accompagnatore, che gli ruba i due manoscritti nascosti nella borsa di pelle chiusa con la fibbietta di bronzo dai disegni dorati. Giordano si sveglia e racconta – in preda all’angoscia – l’incubo appena vissuto. Il vecchio Girolamo dopo un’iniziale incredulità, intuisce che qualcosa di strano sta realmente accadendo. Il libro da cui aveva copiato le pagine in greco con le rivoluzionarie cifre indiane era proprio un testo contenente commedie di Plauto. Il presagio di sventura è certamente legato all’incontro di Nemi tra il papa e il Generale dell’Ordine e legato papale in Provenza Arnauld-Amaury. Giordano si nasconde nella torre saracena, in un incavo del secondo piano, dietro scaffali colmi di libri. È proprio là – dove c’è la piccola e misteriosa biblioteca – che si svolge l’incontro. Parlano della falsa Donazione di Costantino. Poi Innocenzo III sentenzia lo sterminio degli eretici catari e del popolo occitano. Quindi toglie dall’armadio chiuso a chiave tre manoscritti contenenti “il succo della scienza profana e rivoluzionaria, il sapere che potrebbe mettere in pericolo il futuro del regno della Chiesa” e li consegna al legato Arnauld-Amaury affinché li porti con sé in Francia e li faccia custodire da frate Elia. Quegli straordinari codici – le epistole di Teofilatto Simocatta e due libri con commedie di Plauto – non sono più al sicuro nella torre saracena perché già una parte del loro contenuto è stata divulgata. Chiama il suo consigliere-confessore abate Raniero Capocci e gli mostra Il mio piccolo abaco di Jordanus de Nemore… che era stato venduto proprio al suo amico pisano Leonardo sette anni prima da un giovinetto “di corporatura agile, piccolo di statura e con folta capigliatura nera e riccia…” Giordano viene scoperto, ma riesce a fuggire e – attraverso l’emissario che
collega il lago di Nemi alla valle Aricina – raggiunge Ostia, s’imbarca e approda a Marsiglia; s’incammina, quindi, verso la prima città menzionata da Arnauld Amaury: Béziers, il covo del Diavolo, la Sinagoga di Satana. Da questo momento in poi la vita del giovane studioso Giordano Nemorario (che d’ora in avanti si farà chiamare Palis Jordanus), cambia: la sua perenne dedizione allo studio si appanna. Cerca di seguire le tracce dei tre preziosi manoscritti, ma ciò che la Chiesa sta per attuare con l’aiuto interessato di alleati quali i re di Francia – ovvero lo sterminio di un intero popolo libero e ribelle – lo coinvolge sempre più. Viene accolto dalla tollerante gente di Béziers, il cui senso dell’ospitalità, gusto della vita e amore per la giustizia lo convincono a restare, a dividere con essa il proprio destino. Giordano conosce e s’innamora di Jolanda, da lei ricambiato. Lavorano presso Shimon, mercante ebreo padre di Sara e David che si legano affettivamente ai due giovani. Poi si trasferiscono nel quartiere della libertà, quello della Maddalena, nella casa dei catari dove Giordano apre una scuola per insegnare, ai fanciulli della città, lettere e numeri. Il 14 gennaio del 1208 il legato papale Pierre de Castelnau viene assassinato da uno scudiero del conte Raymond VI di Tolosa, padrone delle terre occitane. Il grave fatto di sangue permette al papa di suonare subito le trombe della guerra. Giordano – nel frattempo – a Béziers assiste alla predica di Guilhabert de Castres, il futuro vescovo cataro che tanta importanza avrà nella sua vita. Assieme a Shimon riesce a rintracciare – a Beaucaire – l’uccisore del legato papale: è Jacopo, costretto ad usare il pugnale da un uomo dai capelli rossi, voce cavernosa e cicatrice a forma di croce sul lato sinistro della bocca, Arnauld-Amaury. L’abate bianco aveva infatti rapito e consegnato a Daniel (capo di una banda di briganti-lebbrosi nascosti sopra le montagne) la giovanissima figlia Beatrice e la moglie Elena. Jacopo e Giordano si recano sulle montagne con la speranza di far breccia nell’animo ormai indurito di Daniel per la restituzione di Elena ancora prigioniera, ma tutto risulta vano. Jacopo non accompagnerà Giordano a Roma per raccontare l’accaduto e tentare di scagionare il conte Raymond VI di Tolosa. La guerra non sarà rinviata. Giordano spera almeno di trovare i manoscritti fra quelli affidati a Daniel dal ferove abate bianco, ma anche di questi nessuna traccia. Mentre hanno inizio i preparativi della guerra, Giordano non abbandona la speranza di trovare i manoscritti, ma all’abbazia madre dei cistercensi – Cîteaux – non si può nemmeno avvicinare. Continua così i suoi studi di matematica e di meccanica. Ama Jolanda e da lei attende un figlio: ella è certa che sarà una bambina dai lunghi capelli biondi. La chiameranno Esclarmonde. Il comando della possente armata di Cristo (forte di oltre cinquecentomila uomini) viene assegnato ad Arnauld-Amaury. Il 21 luglio del 1209 l’esercito crociato assedia Béziers. La cittadinanza, compatta, respinge la richiesta avanzata dall’«abate bianco» di consegnare le 223 persone (e, fra essi l’astronomo e matematico Palis Jordanus del borgo della Maddalena) e si prepara a difendere la sua libertà. Ma durante la notte una parte dei briganti assassini al soldo dei crociati, si nasconde nelle cisterne d’acqua a ridosso delle mura, attraversando cunicoli costruiti da alcuni traditori. Il giorno dopo, festa di S. Maria Maddalena e della libertà di Béziers, mentre i traditori danno spettacolo sotto le mura della cattedrale di Saint-Nazaire distraendo l’attenzione di tutti, all’altra parte della città i briganti-assassini penetrano all’interno delle mura proprio dalla porta di S. Guglielmo aprendo varchi e porte: in poche ore l’intera popolazione viene sterminata. Le possenti armi da guerra costruite da Palis Jordanus non sono servite a nulla. Fra migliaia di cadaveri che coprono il pavimento della chiesa di S. Maria Maddalena, Giordano (vestito da crociato da Shimon prima che questi morisse) scorge David, la piccola Sara e la sua Jolanda con il ventre squarciato. La sua piccola Esclarmonde, cavata dal seno materno, è stata massacrata prima di vedere la luce del sole. Giordano – in preda alla disperazione – mantiene comunque la promessa fatta al suo amico e capo della guarnigione Bernard de Servian, a Shimon e Jolanda, e abbandona la città attraverso un cunicolo che dal castello lo porta sino al di là delle mura, in un piccolo bosco. Raccoglie i suoi libri nascosti da Jolanda nel vecchio mulino e si dirige verso il rifugio del vescovo cataro Guilhabert de Castres, sui Pirenei: l’imprendibile castello pentagonale di Montségur. Mentre la crociata contro il ribelle popolo occitano continua e l’«armata di Cristo» distrugge campagne, città, raccolti e popoli interi, Giordano viene esortato da Guilhabert ad abbandonare l’Occitania, a continuare i suoi studi altrove, a non rinunciare mai alla speranza di poter strappare – un giorno – le chiavi del sapere al feroce abate bianco. Giordano lascia Montségur e punta al nord, verso una nuova vita. Mentre la tragica epopea occitana e catara – rogo dopo rogo – continua, il 9 aprile del 1229 nell’Aula Magna dell’Università di Parigi si riuniscono tutti i maestri dell’Università. Sono stati massacrati – dalla polizia – molti studenti. Mancano soltanto i teologi. Si lotta per la libertà d’insegnamento, per la libertà di pensiero. L’ultimo a parlare è il matematico e astronomo Giovanni de Sacrobosco, la più eminente personalità. Con un discorso avvincente anch’egli si dichiara a favore dell’abbandono dell’università. Quando lascia l’aula, stringe con forza la cintura con la fibbietta di bronzo e i disegni dorati. Giordano Nemorario, infatti, fuggito in Scozia ha assunto il nome di Giovanni de Sacrobosco. Entrato nell’ordine dei Trinitari e compiuti gli studi ad Oxford, è giunto infine a Parigi entrando nel convento dei Maturini, a pochi passi dall’università. Come Giovanni de Sacrobosco scrive appena tre opere: Algorismus, De anni ratione, e un’opera di astronomia che resterà per secoli la più usata nelle università dell’intera Europa, Il trattato della sfera. Come Giordano Nemorario scrive invece moltissime opere di matematica e di meccanica che sembrano scaturire dal nulla, quali Aritmetica, De numeris datis, Algorithmus demonstratus, De triangulis ed Elementa Jordani de ponderibus. Abbandona l’università di Parigi, parte per un lungo viaggio alla ricerca dei tre preziosi manoscritti, ma a Cîteaux non li trova. Visita tutte le abbazie e le biblioteche cistercensi compresa Fontfroide, dove Arnauld-Amaury aveva lasciato in donazione dei libri prima di morire. Ma tutto è vano. Torna quindi a Montségur dove incontra la terza figlia del signore del castello, Esclarmonde de Perella, una bellissima creatura di dodici anni dai lunghi capelli biondi. È cieca e vive quasi sempre al castello assieme alla nonna. In Giordano sgorga un affetto profondo per la fanciulla che per lui rappresenta la sua piccola Esclarmonde, uccisa a Béziers. Si trattiene alcuni mesi facendosi avvincere dalla pace del castello, ma collaborando anche con Guilhabert de Castres a migliorare la biblioteca di Montségur che ospita i libri più importati di religione, filosofia e scienza. Un gruppo di perfetti trascrive continuamente testi che vengono poi portati in mezzo alla gente. Da Aristotele al Vangelo vengono fatte migliaia di copie e quindi diffuse per tutta l’Occitania in guerra: i vescovi catari sanno che non basta la diffusione della parola di Cristo per far ribellare il popolo, ma anche quella del sapere, quella della forza della ragione. Poi Guilhabert lo esorta a tornare all’università di Parigi, a proseguire la sua lotta come scienziato, a continuare a cercare le chiavi del sapere. A non tralasciare la sua missione per l’affetto della piccola Esclarmonde. Giordano torna a Parigi dove continua ad insegnare sempre sotto mentite spoglie e così il monaco maturino – nonché
astronomo e matematico Giovanni de Sacrobosco – segue da lontano la guerra in Occitania che si sta ormai per concludere. È quasi l’estate del 1243. L’Occitania è vinta, lacerata, sottomessa, rasa al suolo. Resta solamente un nugolo di ribelli arroccato nel piccolo castello di Montségur, assieme agli ultimi predicatori catari scampati ai roghi. È l’ultima fiammella di speranza e di libertà per la cristianità intera. Nel castello è prigioniera anche Esclarmonde. Giordano corre in Inghilterra dal suo amico scienziato Ruggero Bacone. Lo incontra nella piana di Salisbury, fra le rovine del tempio preistorico di Stonehenge perché sta per aver inizio il solstizio d’estate. È la mattina del 21 giugno. Quando studiava a Parigi, Ruggero Bacone gli aveva confidato che stava facendo degli esperimenti sulla polvere nera la quale forse poteva essere usata anche nelle battaglie. Purtroppo ancora non ha fatto alcun progresso. Ma proprio al sorgere del sole nella mente di Giordano torna dapprima il ricordo dei raggi che attraversano le feritoie del castello di Montségur posandosi sugli occhi senza luce di Esclarmonde, poi sente la loro forza spingerlo verso un altro ricordo, un’altra torre quella saracena di Nemi, alcune parole dimenticate, una frase di Arnauld-Amaury a Innocenzo III. Frate Elia perfetto custode di libri preziosi, anno1207… quale abbazia può essere? E Ruggero Bacone gli fa capire l’errore commesso in tutti quegli anni: non si trattava di un’abbazia cistercense bensì benedettina! E frate Elia era stato appunto abate dell’abbazia benedettina di Santa Colomba a Sens, a poche ore di cammino da Parigi! Le chiavi del sapere potevano trovarsi
veramente lì. Giordano lascia Ruggero Bacone, che ormai ha intuito la doppia identità dell’amico. Giordano torna in Francia e corre a Sens e finalmente nell’abbazia di Santa Colomba riesce ad impossessarsi delle epistole di Teofilatto Simocatta e soltanto di uno dei due libri con le commedie di Plauto: non può cercare l’altro in quanto viene scoperto e deve fuggire precipitosamente. Torna al convento dei maturini, ma già alcuni inquisitori lo attendono. Lascia a frate Tommaso due lettere e fugge per sempre da Parigi. Ma ormai viene braccato senza tregua. Tenta il tutto per tutto. Cerca di giocare d’astuzia. Si dirige verso Montségur. Nella grotta vicino Tarascon copia le pagine greche contenute nei due manoscritti e nasconde gli originali in una fessura della roccia. Poi giunge ai piedi dell’erto poggio assediato da un esercito di oltre diecimila uomini, ma scopre che nel vallone del Porteil – dove la parete sembra impossibile da scalare – ogni tanto qualcuno entra ed esce dal castello. Riesce a raggiungere la sommità con l’aiuto di Guilhem Montanhagol (poeta e patriota occitano) e finalmente riabbraccia Esclarmonde. Vuole però fare molte copie delle chiavi del sapere e quindi abbandonare il castello per sempre assieme alla fanciulla, per rifugiarsi oltre i Pirenei, all’ospitale cittadina di Berga. Ma Esclarmonde è malata – oltre che cieca – e non può più camminare. Giordano prepara ugualmente molte copie de La via del Sole che contengono le rivoluzionarie scoperte scientifiche partite dall’Armenia nell’Anno 662 ed inizia l’evacuazione della preziosissima biblioteca di Montségur. Ma non fugge più, chiamato a grandi destini come la sua Esclarmonde e gli ultimi catari. Durante i mesi d’assedio all’imprendibile rocca, incomincia una lotta fra la feroce astuzia dell’inquisitore frate Ferrier che comanda l’esercito crociato, e Giordano. Frate Ferrier non vuole soltanto il castello ed i catari: vuole anche Giordano e le chiavi del sapere. La sera prima di capitolare quattro uomini con una copia ognuno de La via del Sole si calano dalla terribile parete e fuggono. Il mattino del 16 marzo 1244, ai piedi di Montségur viene eretto un gigantesco rogo e vengono bruciati vivi oltre 210 catari. Abbracciati allo stesso palo, la nonna di Esclarmonde – Marquesia –, la madre Corba, Esclarmonde e Giordano. Prima di gettarlo sulle fiamme frate Ferrier comunica a Giordano che i quattro fuggitivi sono stati presi, e così tutti i libri e tutte le copie de La via del Sole con le chiavi del sapere. Non ci sarà alcuna rivoluzione scientifica. Il mondo proseguirà il suo docile cammino. E la storia ignorerà chi è stato Giordano Nemorario: sarà confuso col primo grande inquisitore della storia, Giordano di Sassonia. Giordano muore bruciato vivo assieme alla gente con cui ha lottato, e alla fanciulla che ha amato come la sua vera figlia. Ma frate Ferrier non ha vinto. Giordano gli ha dato il suo corpo in pasto per placarlo, mentre Guilhem Montanhagol – con una copia delle chiavi del sapere nascosta nella sella del cavallo e vestito da crosciato – abbandona l’Occitania e si dirige verso Oxford, alla ricerca di Ruggero Bacone. Ma viene catturato poco prima di compiere la missione e di lui non resterà più traccia. Giordano aveva aperto un altro varco ancora, forse l’ultima speranza. La notte prima della capitolazione ha istruito la piccola Perella, serva del castellano di Montségur e amica di Esclarmonde. La coraggiosa fanciulla si nasconde in una fessura della roccia fuori dal castello. Poi, quando lo spaventoso rogo è ormai spento e l’esercito crociato ha tolto le tende, Perella esce e – facendosi passare per lebbrosa – raggiunge le grotte vicino Tarascon. Lì raccoglie i due preziosi manoscritti originali e si mette in cammino verso una nuova terra, un altro paese ove poter gettare le basi per consegnare – un giorno – le chiavi del sapere a qualcuno che possa finalmente far vedere loro la luce del sole.

Nessun commento: