27 novembre 2013

- Contro la modernità.


Sono decenni che in Italia si sta rafforzando un blocco sociale che, prescindendo dalla collocazione politica e dall’estrazione culturale, vede nella scienza e nella modernizzazione del paese una minaccia. Il risultato di questa presa di posizione è la caduta della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica che ci sta minando le fondamenta economiche e culturali.
Ho scritto insieme a Luciano Pellicani un libro di denuncia che analizza il basso livello  culturale degli italiani nelle discipline scientifiche e più in generale nei scarsi livelli di scolarizzazione. Il panorama che emerge è desolate: il nostro paese è ultimo (o quasi ultimo) nel mondo industrializzato in tutti gli indicatori culturali e questo, in pochi anni, potrebbe portare l’Italia fuori dai più importanti contesti internazionali.
Utilizzando gli indicatori ufficiali e i dati a disposizione delle diverse istituzioni (ISTAT, Ministeri, OCSE, Eurobarometro, e così via) abbiamo ricostruiscono le cause e la lunga storia della cultura anti-scientifica in Italia che ha radici lontane. Inoltre vengono prese in considerazione le conseguenze che questa situazione sta provocando nella società civile, nella politica e nello sviluppo economico del paese.
L’Italia - che ha dato i natali a Galileo Galilei, Alessandro Volta, Enrico Fermi, Antonio Meucci, Guglielmo Marconi e così via - è oggi non solo il paese dell’anti-scienza ma un paese in lotta contro la modernità e che ha perso una visione del suo futuro e del ruolo che dovrebbe svolgere nel mondo.
Ripercorrendo la storia del pensiero “anti-scientifico” dal ‘900 fino ai giorni nostri ne abbiamo tratto le somme: nella società contemporanea il benessere di un paese passa attraverso la ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica e, più in generale, anche attraverso l’ammodernamento delle infrastrutture e dei servizi. In Italia tutti i progetti innovativi vengono sistematicamente contestati: dal Ponte sullo stretto di Messina, ai rigassificatori, ai termovalorizzatori, all’ammodernamento delle ferrovie e degli aeroporti. E anche la ricerca scientifica ha subìto la stessa sorte: l’Italia è l’unico paese al mondo che vieta la ricerca e la sperimentazione nel settore delle biotecnologie e degli Ogm, ha smantellato la ricerca sul nucleare e, complessivamente, ha tagliato i fondi per la ricerca. Ma l’Italia detiene anche un altro record: quello dei comitati dei “NO”: i NO TAV, i NO GAS, i NO ai TERMOVALORIZZATORI, i NO al NUCLEARE, i NO ai PARCHEGGI, i NO ai CENTRI COMMERCIALI, i NO alle AUTOSTRADE, e così via. In altre parole, si sta sviluppando nell’opinione pubblica una avversione alla modernità che sta portando la società italiana indietro di decenni. 
La cultura anti-moderna ha svariate sfaccettature e spesso viene associata al mito della natura buona e benefica che viene barbaramente violentata dall’avanzamento della globalizzazione, della tecnologia, dell’inquinamento e delle aride leggi dell’economia e del libero mercato. Così la rivolta contro la modernità non è altro che il desiderio romantico di vivere in una comunità armoniosa e compatta, in perfetto accordo con la natura.

Questo contrasto tra scienza e libero mercato da una parte e natura, ritorno ad una vita essenziale e contadina dall’altra si acuisce nei dibattiti sulla New Economy, sui mercati globali, sul nuovo panorama lavorativo. In questo saggio spieghiamo perché negli italiani è presente anche una forte indignazione permanete contro quella che viene ritenuta “la permanete” rivoluzione capitalistica che avanzerebbe come una valanga culturale distruggendo tutto: istituzioni, interessi, valori, sentimenti. Questo modo di sentire ha radici profonde che affondano nel nazifascismo che devono parte del loro successo proprio alla lotta contro la Modernità e il libero mercato.

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