Il pitagorismo, uno dei fondamenti del pensiero massonico
Se l’indiscussa presenza di un filone pitagorico nella
Massoneria non può ovviamente essere ricondotta ad un filo ininterrotto che
dalle società pitagoriche giunge sino alla istituzione liberomuratoria,
altrettanto superficiale sarebbe identificare le similitudini nella sola
matrice iniziatica comune tanto alla Massoneria quanto alle società
pitagoriche. Si tratta piuttosto del recupero, da parte massonica, di una
tradizione esoterica ed iniziatica (in questo simile al recupero di tante altre
tradizioni, da quelle gnostiche a quelle templari, da quelle ermetiche
rinascimentali a quelle alchimistiche, e così via), teso a formare un corpus
sincretico di discipline poste a fondamento della ricerca libero muratoria. Il
manoscritto che Locke recuperò dalla biblioteca Bodleyana nel 1696, e che la
tradizione attribuisce al re Enrico VI d’Inghilterra (1421-1471), indica
chiaramente la matrice pitagorica della Massoneria. Si narra nel manoscritto
che un tal Peter Gower (nome foneticamente equivalente alla lettura inglese di
“Pitagora”), viaggiò nelle terre in cui i Fenici (indicati nel manoscritto come
Veneziani) avevano fondato Logge massoniche, ed in particolare in Egitto e
Siria; poi, iniziato egli stesso alla Massoneria, avrebbe fatto ritorno a
Crotone per innalzare le colonne di una Loggia. È palese l’intento mitopoietico
di questa narrazione, ma ciò non toglie che essa equivalga ad un riconoscimento
del pitagorismo come uno dei fondamenti del pensiero massonico. Non stupisce
che Arturo Reghini, nel tentativo di dare dignità e autonomia alla Massoneria
italiana, abbia riconosciuto nella cosiddetta Scuola Italica (leggasi
pitagorica) una matrice fondamentale del pensiero libero muratorio; peraltro,
egli sottolineò anche che – fuori della mitologia – il legame tra pitagorismo e
Massoneria non poteva essere quello di una ininterrotta derivazione storica,
quanto piuttosto quello di una “filiazione spirituale”. Quel ramo della
Massoneria che si riconosce in questo legame di filiazione spirituale è in
Italia ancora oggi vivo e fecondo, specialmente all’interno del Rito Simbolico
Italiano (e in misura minore nel Rito di Memphis e Misraim, che tende a
riconoscere una più ampia filiazione di origine “mediterranea”). D’altra parte
alcuni simboli di chiara ispirazione pitagorica sono presenti nella tradizione
massonica: il pentalfa soprattutto, e poi la tetraktis. Come ricorda Davide
Arecco, anche “l’arciprete Domenico Angherà nella prefazione del 1874 alla
ristampa degli Statuti Generali della Società dei Liberi Muratori del Rito
Scozzese Antico e Accettato (…) afferma categoricamente che l’Ordine massonico
è la stessa, stessissima cosa dell’Ordine pitagorico. (…) In particolare l’arte
geometrica della Massoneria deriva, direttamente od indirettamente, dalla
geometria ed aritmetica pitagoriche; e non più in là, perché i pitagorici
furono i fondatori di queste scienze liberali”[1].
La ratio determina e sostiene anche l’etica
L’influenza pitagorica sulla Massoneria si evidenzia nel
valore simbolico dato ai numeri e alle figure geometriche: ciò che nel
pitagorismo era il significato del numero come principio stesso della realtà,
così che la legge di formazione dei numeri diventava legge di formazione del
mondo fisico e per estensione anche legge di formazione delle norme etiche ed estetiche
(insomma, il numero come arché, natura ultima del tutto, punto di partenza di
ogni cosa, fisica o morale che fosse), in Massoneria diventa il riconoscimento
che simboli, numeri e figure possono assumere una valenza evocativa ed
(intellettivamente) energetica, e in maniera del tutto simile a quanto
affermato dai pitagorici, la consapevolezza che questa riflessione deve anche
condurre a conseguenze etiche. Vi è poi,
ad accomunare pitagorismo e Massoneria, anche un aspetto religioso e mistico in
senso lato: religioso, nel senso etimologico di creare un vincolo (da
re-ligare, unire insieme), che si estrinseca nella fratellanza degli adepti; e
mistico nel senso etimologico di mystikos, ossia relativo ai misteri. È
evidente, soprattutto nella Massoneria inglese del periodo di transizione tra
Logge operative e Logge speculative (dalla fine del XVII all’inizio del XVIII
secolo) la diretta influenza di opere neopitagoriche (ad esempio la Introductio
arithmetica di Numenio di Apamea e l’Enchiridion harmonices di Nicomaco di
Gerasa[2])
che fanno da fondamento ad una mistica del numero e dell’armonia. Non c’è
dubbio che, in questa fase storica, il ricorso ad argomenti di tipo religioso
(in senso lato) tendeva ad ovviare ad un apporto ancora troppo scarso da parte della
scienza, alla quale evidentemente la Massoneria non dava ancora troppo credito.
In particolare, in questo periodo, lo
studio dei numeri sacri non poteva che avere come strumento privilegiato
l’aritmogeometria dei pitagorici, tanto sul piano strettamente matematico
quanto su quello della aritmetica formale (secondo la definizione che ne aveva
dato Pico della Mirandola), ovvero della aritmetica simbolica. Infine, nel
processo di appropriazione dell’eredità pitagorica da parte della Massoneria,
non poteva rimanere escluso il grande filone della musica, come espressione più
evidente della teoria pitagorica dell’armonia; un esponente di questa ricerca
fu il musicista Francesco Saverio Geminiani, il primo italiano iniziato in
Massoneria[3].
Dopo Pitagora, Newton
Dalla scienza l’etica
La religiosità dei pitagorici – una religiosità non formale,
che risponde ad una richiesta di comprensione da parte dell’uomo di cogliere
l’essenza dell’ordine universale – è in fondo la stessa religiosità che
impregna tutto il pensiero di Newton. Non stupisce quindi che, quando
l’influenza della matrice pitagorica inizia a perdere vigore nella Massoneria
inglese settecentesca a vantaggio dell’introduzione di tradizioni
ermetico-alchimistiche e rosacrociane[4],
il newtonianesimo tende a prendere il posto fino ad allora occupato dal
pitagorismo. D’altra parte l’elemento alchemico che pare fare il proprio
ingresso tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo nelle Logge che
cominciano ad accettare persone non lavorativamente coinvolte nel mondo dei
costruttori (basti qui ricordare l’alchimista Elias Ashmole) non era materia
estranea al pensiero newtoniano, in cui convivono istanze preilluministiche e
deiste, a fianco di influenze ermetiche, alchimistiche, cabalistiche e forse
rosacrociane. Ancora nel novecento il Reghini ha strenuamente sostenuto come,
nella storia dell’istituzione liberomuratoria, le due anime – pitagorica ed
ermetica, arricchita dalla più tarda componente alchimistica – abbiano
convissuto senza che i nuovi innesti di tradizioni esoteriche abbiano posto in
posizione di subalternità la componente italico-pitagorica[5]. Questo giudizio – che
in senso stretto appare afflitto da una pregiudiziale neopitagorica, essendo
innegabile una sostanziale scomparsa
della componente italica dalla massoneria inglese intorno
alla metà del Settecento – trova però forse nel doppio volto del newtonianesimo
una sua indiretta conferma[6].
D’altra parte, anche il celebre discorso di Ramsey del 1740, con cui si
proponeva una filiazione diretta della Massoneria dall’Ordine Templare,
riconduce a tradizioni di stampo chiaramente – anche se non esplicitamente –
pitagorico: basti pensare a tutta una tradizione che rimanda a segreti templari
circa numeri, pesi e misure relativi alla costruzione del tempio di Salomone.
La polisemia del messaggio newtoniano
Fatto si è che quando il pensiero newtoniano inizia la sua
influenza sulla Massoneria, esso la esercita in molti modi differenti, a
conferma di una matrice sincretica della filosofia di Newton che trova la
propria immagine speculare nel sincretismo che è una delle cifre
caratteristiche del pensiero liberomuratorio. Così, il newtonianesimo lascia
varie impronte sul pensiero massonico: la prima, molto più visibile ed
esplicita – ma incompleta e parzialmente distorta – è quella di un contributo
pre-illuministico che raccoglie solo la parte deistica[7] (impronta che ebbe il
suo massimo fulgore in alcune Logge dei Paesi Bassi) ed empirista: basti
pensare all’emblematica figura di John Theophilus Desaguliers (il terzo Gran
Maestro della Gran Loggia Unita d’Inghilterra), grande sperimentatore
newtoniano, membro della Royal Society dal 1714[8].
D’altra parte è innegabile che, via via che il newtonianesimo ispirava il
pensiero illuminista, anche il suo contributo alla filosofia massonica si
spostò verso tendenze utilitaristiche, in ogni campo del sapere.
Un senso univoco nella polisemia
L’altra impronta è quella, altrettanto incompleta e parziale
e certamente meno esplicita della precedente, di un lascito mistico ed esoterico
del Newton alchimista e cabalista. Ma forse, come accennato, il volto più vero
del contributo newtoniano alla filosofia massonica è quello che emerge dai suoi
manoscritti inediti, per lo più di stampo alchemico ed esoterico: quello che
esprime il concetto di una sola verità che però è raggiungibile attraverso una
molteplicità di strade differenti. Il linguaggio delle profezie bibliche e
quello dei segreti alchemici, il
linguaggio della matematica per interpretare la Natura e quello degli arcani
segreti numerologici: tutti provengono direttamente da Dio, tutti
inevitabilmente devono condurre alla Verità.
Nel Trattato dell’Apocalisse scriveva:
“La verità deve essere sempre trovata nella semplicità e non
nella molteplicità e nella confusione delle cose. (…) Il mondo che a occhio
nudo mostra la più grande varietà di oggetti appare molto semplice nella sua
costituzione interna quando sia osservato con intelletto filosofico. (…) È per
la perfezione dell’opera di Dio che tutto è compiuto con la più grande semplicità.
Egli è il Dio dell’ordine e non della confusione”. Molte vie, una sola Verità,
insomma. Si scorge facilmente, in questo pensiero, un lascito fondamentale per
il sincretismo della ricerca massonica. Non solo: l’insegnamento di Newton
mostra chiaramente al Massone (forse a quello di oggi più ancora che a quello
di ieri) la possibilità di far convivere gli aspetti più razionali e
illuministici con quelli più attinenti alle tradizioni esoteriche, talvolta
confinanti con derive irrazionalistiche.
Ecco l’Utopia, o il sogno, della Legge dell’Armonia
Se dovessimo sommariamente tracciare un parallelismo tra i
contributi del pitagorismo e del newtonianesimo sulla Massoneria, le direttrici
fondamentali potrebbero essere identificate in primo luogo nella affannosa
ricerca della legge che governa il nostro Universo e che, determinando
l’armonia di questo suggerisca una analoga legge dell’armonia anche per la
convivenza tra gli uomini. In secondo luogo, tanto il pitagorismo quanto il
newtonianesimo mostrano un’ispirazione simile quanto al tentativo di
esplorazione della dimensione del sacro, dove persino alla matematica e alla
scienza[9]
finisce per essere associata una mistica (nel già visto senso etimologico di
relativo ai misteri) di matrice religiosa. Alcune famose citazioni su Newton
(riferite al Newton scienziato, si badi bene) rendono chiaramente ragione di
questo aspetto: “Più vicino agli Dei nessun mortale può avvicinarsi” (Edmund
Halley); “La Natura e le sue leggi erano nascoste nel buio della notte. Dio
disse, sia Newton! E tutto fu luce” (Alexander Pope);
“Il catechista annuncia Dio ai fanciulli, Newton lo spiega
ai sapienti” (Voltaire).
Forse l’esponente della Massoneria che meglio nella storia
ha incarnato tanto l’anima pitagorica quanto quella newtoniana è il già citato
John Theophilus Desaguliers (1683-1744): è lui (insieme a John Payne, Anthony
Sayer e James Anderson) a porre le basi della Gran Loggia Unita d’Inghilterra
su di un indirizzo nettamente pitagorico, ma è sempre lui ad essere – oltre che
amico personale di Newton – uno dei maggiori esponenti del newtonianesimo
empirista. In lui pitagorismo e newtonianesimo convivono, e come in Pitagora il
numero diviene fondamento di tutta la realtà – mondo fisico, etica, politica –,
così nelle opere di ispirazione newtoniana di Desagulier sono le scoperte
scientifiche di Newton a porre “le
fondamenta per una filosofia naturale che riconduceva le origini dell’Universo
e della stessa società civile non a un principio metafisico, ma a un movimento
razionale impresso in origine da un dio architetto, che poteva spiegare tanto i
cambiamenti nella natura quanto quelli dei sistemi politici”[10].
Marco Rocchi
R\L\
Antonio Jorio 1042 GOI, Pesaro
3) Arecco, op. cit.
4) Fu iniziato nel 1725
presso la Loggia di soli musicisti Philo-Musicae
et Architecturae Societas Apollini di Londra. Fu egli il primo Massone
italiano, mentre Antonio Cocchi – spesso citato come tale – fu più precisamente
il primo Massone italiano ad essere iniziato in Italia, nel 1732, in una Loggia
di obbedienza inglese attiva a Firenze.
5) Si legge in Arecco,
op.cit.: “È proprio l’innesto nell’originario corpus muratorio di elementi,
anche consistenti, provenienti dalla tradizione alchimistica orientale ed
occidentale, segnatamente ermetica prima e soprattutto rosa†crociana poi, a far
diminuire il peso e l’importanza storica entro l’ambito massonico
dell’auctoritas italica, affiancandogli fonti di ispirazione che ne relegano il
ruolo da istanza primaria quale in origine era stata a dato sempre più
periferico”.
6) Arturo Reghini, La tradizione pitagorica in Massoneria,
Gherardo Casini Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2010.
7) A questo proposito è
emblematico il titolo dell’opera più importante sul Newton esoterico: Betty Jo
Teeter Dobbs, Isaac Newton scienziato e
alchimista, il doppio volto del genio, Edizioni Mediterranee, Roma, 2002.
8) Newton non fu mai un
deista in senso stretto – anche se il suo arianesimo vi si avvicinava molto –
soprattutto per la sua profonda convinzione in un intervento diretto di Dio nel
mondo, e nel conseguente rifiuto di un Dio descritto come un “latifondista
ozioso” che si disinteressa del destino dell’uomo e dell’intero universo,
privandolo della sua Provvidenza. Cfr. Dobbs, op.cit. e Marco Rocchi, Santinelli,
Newton e l’alchimia: un triangolo di luce, Argalia Editore, Urbino, 2010.
9) A proposito della Royal
Society, gioverà qui ricordare che, stando alle parole di un autorevole membro,
Johh Wallis, i membri si riunivano “prescindendo dalle questioni di teologia e
di politica”; cfr. Francis R. Johnson, Gresham
College, precursor of the Royal Society, in “Journal of the History of
Ideas”, 1(4), 1940, pp.413-438.
10) Non stupisce dunque che
lo stesso Newton, nei suoi Scolii classici, faccia riferimento ad una prisca sapientia, che avrebbe accomunato
filosofi egizi, ionici ed italici nella conoscenza delle leggi che descrivono
la gravitazione.
11) Davide Arecco, Massoneria e scienza nella Londra di Giorgio
I, in “Atrium” 3, 2003, pp.34-47.
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