27 aprile 2012

- Intuizione e ragione


A tutto ciò che ci capita di contemplare con compiacimento, provando il cosiddetto piacere estetico, siamo soliti dare il nome di Bello, senza chiederci troppo sottilmente che cosa esso sia realmente. Eppure la nozione di Bello ha intrigato i pensatori fin dall'antichità; i quali peraltro, più che interrogarsi sulla sua natura, sembravano essere soprattutto interessati a scoprire se tale nozione esista solo nel nostro spirito oppure sia un’Idea assoluta indipendente da noi; e a tali domande hanno risposto in maniera diversa a seconda che fossero idealisti o realisti, con un approccio simile a quello assunto di fronte al problema del Vero o del Bene. Mi pare utile un brevissimo excursus su come sia stato elaborato il concetto di Bello nella storia, chiedendo preventivamente venia agli esperti per le eventuali inesattezze.
E' noto che per Platone la Bellezza esiste in sé, del tutto indipendente dal nostro spirito, nel perfetto "mondo delle idee" che potremo conoscere solo dopo la morte; ogni forma sensibile di Bellezza che si può ammirare sulla terra non è che imitazione imperfetta dell'Idea di lassù; per il neoplatonico Plotino, la Bellezza coincide addirittura con la Verità e con Dio. Baumgarten, nel '700, fu il primo a considerare l'attività estetica come attività autonoma e a valorizzare la conoscenza sensibile come dotata di una propria validità conoscitiva, indipendente dalla conoscenza logica, unificando nella sua Estetica il Bello dell'arte ed il Bello naturale, che da questo momento sembrano venir considerati senza distinzione. Nella sua "rivoluzione copernicana" Kant sostiene che il Bello, al pari del Buono, è un giudizio aprioristico, quindi non esiste al di fuori di noi; ma, piuttosto che spiegarne la natura e le origini, si dilunga sui suoi attributi ed effetti: diversamente dal Bene, che ha in sé una norma finalistica dettata dalla morale, il Bello è causa di un godimento necessario e universale, del tutto disinteressato. Per l'idealismo, e per Hegel in particolare, la conoscenza del Bello è il primo momento di quella autocoscienza dello Spirito Assoluto che trova la sua autentica e totale realizzazione solo nella filosofia. Anche per Croce l'intuizione estetica è un atto originario dello spirito, carico dunque d'una sua intrinseca necessità, ma, perfezionando l'idea kantiana dell'a-priori, precisa che l'intuizione prende forma ed espressione compiuta solo per il tramite di un linguaggio (codice di simboli) che plasma un materiale fisico (marmo, colori, suono, parola ecc).
Come si vede, l'estetica e la linguistica hanno finito per coincidere, poiché è solo la formulazione linguistica ciò che dà espressione compiuta all'intuizione, ciò che permette non solo di veicolare ai propri simili le immagini che si hanno del mondo, ma addirittura di farle esistere consapevolmente nella stessa mente di chi le ha concepite; tutto il resto circola nell'inconscio sotto specie di oscure ed informi pulsioni istintuali incomunicabili, il cosiddetto sentimento, cui, quando affiora per la prima volta consapevolmente nella mente, si è soliti dare il nome ambiguo di intuizione. L'ambiguità di questo termine risiede nel fatto che in realtà il materiale conoscitivo può trovarsi nella mente soltanto in due stati, corrispondenti a due tempi cronologicamente distinti: o in quello informe e confuso di sentimento di benessere o malessere che precede la sua formulazione (ed è per conseguenza inconoscibile dalla ragione), oppure in quello immediatamente successivo alla sua formulazione, per cui è potuto emergere alla superficie della coscienza e diventare conoscibile. Questa ambiguità è il punto di partenza delle nostre presenti riflessioni.
Prima di tutto, se è vero che il linguaggio è lo strumento che consente di dar forma ed espressione compiuta a ciò che si sente confusamente dentro, sembra evidente che i concetti di espressione e di formulazione debbano valere anche oltre il fatto estetico e costituiscano anzi una caratteristica generale di tutta la linguistica e la comunicazione, quando questa segua le vie comuni e non sia paranormale o telepatica; anche quella dunque del pensiero razionale e scientifico creativo, dato che anche questo viene formulato e comunicato come espressione compiuta di confusi contenuti, anche questi chiamati solitamente intuizioni, provenienti dai meandri della mente che li ha concepiti. Insomma, tutti i contenuti cui diamo espressione mediante un linguaggio diventano – attraverso questa operazione di formulazione – razionali, dato che il linguaggio è per definizione una sintassi ordinatrice razionale, oggettiva e universale, comune a tutti gli uomini.
Ma se il linguaggio è una sintassi ordinatrice delle oscure pulsioni che premono dentro di noi per uscire alla luce della coscienza, siano esse o no di natura estetica, non è possibile che la formulazione linguistica sia presente e attiva solo nell'atto creativo; lo stesso meccanismo sintattico dev'essere necessariamente funzionante sia nella trasmissione come nella ricezione, quindi anche in ogni atto puramente conoscitivo: la conoscenza consapevole di una porzione del mondo non è infatti che la creazione nella nostra mente di un'immagine linguistica di esso, una rappresentazione razionale ottenuta dando forma ed espressione ai dati grezzi ed informi che i sensi ci forniscono dall'esterno stimolandone l'elaborazione a livello di coscienza, cioè la formulazione mediante una sintassi linguistica razionale. Si può dire dunque che ogni atto conoscitivo cosciente, che siamo abituati a considerare passivo, sia invece sempre un atto creativo, indistinguibile – come aveva capito Baumgarten – da quello cui siamo soliti dare il nome di espressione artistica, sia essa opera poetica, pittorica o altro. Prendere infatti conoscenza e coscienza di una persona, di un luogo, di un fatto, significa vagliare e organizzare razionalmente i materiali sensibili che ci giungono, creando un'immagine ordinata e soddisfacentemente coerente, quale è per noi la rappresentazione di quella persona, di quel luogo, di quel fatto. A questa forma di conoscenza, che produce un piacere estetico o comunque una soddisfazione simili a quelli della creazione artistica, ho già avuto più volte occasione di dare il nome di rappresentazione estetica della realtà .
Per quanto ciò possa suonare sgradito, vuoi agli scienziati che si credono depositari della verità, vuoi ai poeti che non ammettono contaminazioni con la logica e tanto meno con la scienza, si dovrà accettare la conclusione che ogni attività conoscitiva – sia essa estetica, logica, o scientifica – dipende da un medesimo processo mentale, comune a tutte le attività dello spirito, la creazione artistica come anche la semplice contemplazione cosiddetta "passiva" dell'opera d'arte. A questo punto dovrebbe essere chiaro che le inveterate distinzioni fra conoscenza intuitiva e conoscenza logica sono prive di significato; infatti, non appena si crede di avere un'intuizione, cioè non appena se ne ha consapevolezza, essa cessa ipso facto di essere intuizione e diventa, attraverso la formulazione cosciente – che è sempre linguistica – conoscenza logica e razionale. Esistono solo due mondi: quello dell'inconscio (inconoscibile e incomunicabile) e quello della coscienza (verbale, quindi conoscibile e comunicabile). L'intuizione, dunque, come atto conoscitivo consapevole, non esiste in realtà nemmeno allo stato nascente. Perfino i sogni esistono solo come immagini-sensazioni inesprimibili; quando da svegli si cerca di descriverli, dobbiamo fatalmente assoggettarli ad una operazione di organizzazione verbale assolutamente razionale. Purché si tenga presente questa realtà, si potrà continuare ad usare nella pratica quotidiana il termine intuizione per nominare quello stato nascente, più teorico che reale perché occupa un tempo fisiologico solo virtuale, quello in cui la mente lavora per trarre dall'inesprimibile l'immagine linguistica che cerca.
Probabilmente, la confusione che da sempre è stata fatta fra conoscenza intuitiva e conoscenza logica è stata, fin dal suo nascere, di tipo... "corporativo", in quanto ciascuna di esse faceva capo a delle "lobbies" che si sono sempre guardate in cagnesco: da una parte, quella dei vati e dei poeti che più o meno si dicevano ispirati dalla divinità; dall'altra, quella dei solidi pensatori razionalisti asserragliati nella loro torre d'avorio. Ognuno sventolava la propria bandiera, chi dell'intuizione e chi della logica, per potersi tenere ben distinto dal "rivale" e salvare la propria identità e il proprio onore.
Veniero Scarselli

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