24 marzo 2013

- In principio era la Consapevolezza: intervista al fisico Amit Goswami




Possibilità, creatività e libero arbitrio sono le parole chiave della metafisica di Goswami, una metafisica che rimette in gioco e pone al centro consapevolezza e spiritualità, viste come forze trainanti della nostra società e della nostra vita...

Nel suo ultimo film documentario The quantum activist lei parla di scienza materialistica e scienza della consapevolezza. Che cos’è per lei la “scienza materialistica” e quali sono i suoi limiti?
In realtà, ciò che critico è la metafisica. La scienza materialista, oggi come oggi, ci ha dato una tecnologia meravigliosa. Nessuno può negare i vantaggi che la scienza materialista ci ha dato, a partire dalla luce elettrica per arrivare a internet. Apprezzo molto tutte queste cose. Non ho alcun rimprovero da muovere a nessuno dei padri della scienza materialista: Newton, Einstein, Heisenberg, Schulsinger. Questi sono nomi insigni che io venero, letteralmente. Il punto non è questo. Il punto è che la scienza materialista, a partire dagli anni Cinquanta, ha cominciato ad adottare un particolare tipo di metafisica dalla quale poi non si è più staccata. L’adozione di questa metafisica è inutile, perché la scienza non si deve fissare su una metafisica, fino a quando non è totalmente certa. La metafisica deve necessariamente essere priva di paradossi. La scienza che opera usando l’attuale concezione del mondo, la metafisica di cui sto parlando, la chiamo scienza materialista. Tale concezione del mondo, non necessaria, è la seguente: ogni cosa è composta di materia. Sarebbe stato molto meglio definire questa scienza semplicemente come la scienza del mondo materiale, invece si è voluto a tutti i costi sostenere che non solo avevamo sviluppato la scienza del mondo materiale, ma che quest’ultimo era tutto ciò che esisteva, benché la fisica quantistica ci stesse già offrendo un grande paradosso: secondo la fisica quantica (che è la scienza del mondo materiale, la scienza estrema del mondo materiale) gli oggetti non sono altro che possibilità. E le interazioni materiali non possono mai trasformare queste possibilità in oggetti tangibili. Le interazioni materiali possono solo trasformare le possibilità in altre possibilità. Dunque, se abbiamo solo la materia e niente altro, è impossibile superare il paradosso quantico della misurazione: in che modo la nostra misurazione od osservazione crea le possibilità, trasforma alcune possibilità negli eventi concreti della nostra esperienza. Questo paradosso era già noto.
Ma c’era un altro paradosso: quello della percezione. In tutte le percezioni, noi non percepiamo soltanto gli oggetti, ma anche il nostro essere dei soggetti. Il filosofo David Chalmers ha fatto notare – e in questo è stato bravissimo – che partendo dagli oggetti, possiamo sempre e solo spiegare altri oggetti. Non possiamo mai spiegare il soggetto. Dunque, questa scissione soggetto/oggetto, presente all’interno di tutte le percezioni ordinarie, resta un notevole paradosso del materialismo scientifico.
Esistono però molti altri paradossi del genere. Per esempio: come distinguere la vita dalla non-vita, l’inconscio dal conscio.

Signor Goswami, cos’è la scienza basata sulla consapevolezza? Quali ne sono le origini e cosa c’è di nuovo in essa?
Le origini, ovviamente, vanno ricercate nel mutamento, richiesto da tutto il mondo, nel nostro modo di fare scienza. Oggi come oggi, infatti, facciamo scienza partendo da una metafisica materialista secondo la quale la materia è il fondamento di tutto l’essere. Ciò non solo impedisce alla consapevolezza e alla spiritualità di essere forze trainanti della nostra società e della nostra vita, ma relega in secondo piano le arti e le discipline umanistiche. Ciò non è ammissibile. Se davvero tutte le cause risalissero alle particelle elementari e alle loro interazioni, non avremmo il libero arbitrio, ma quest’ultimo è evidente in tutto ciò che facciamo, nella nostra creatività e nell’agire stesso degli scienziati. Einstein non avrebbe mai scoperto la Teoria della Relatività se fosse stato solo una macchina materiale. Quindi, la mia domanda è: “Perché non nutriamo un po’ di sano scetticismo verso questa filosofia?”. È incredibile, per me, che tutte quelle persone intelligenti capaci di costruire grandi acceleratori e condurre ricerche, diciamo così, avventurose, non nutrano poi il minimo dubbio sulla loro metafisica di base, secondo la quale tutto è solo e unicamente materia. La mente, la consapevolezza, non sono altro che epifenomeni del cervello. Se davvero fossimo fatti in questo modo, non esisterebbe il libero arbitrio, la libertà di dare un nuovo significato alle cose. In alte parole, non avremmo alcuna creatività. La creatività è la scoperta di un significato nuovo, di un contesto inedito all’interno del quale assegnare nuovi significati. Ma se è impossibile elaborare significati, non esiste nulla di simile alla creatività.
Roger Penrose ha dimostrato che il processo del significato non può essere svolto dalla materia, dal computer. Per cui, l’attuale concezione del mondo esclude il significato, ma anche il sentimento, perché quest’ultimo non può essere computato. Essa permette solo il pensiero computabile, la materia e la percezione. Quindi, delle nostre quattro possibili esperienze – percezione, sentimento, pensiero e intuizione – due sono tagliate fuori, e se escludiamo anche la possibilità di creare significati nuovi, ci restano soltanto un’esperienza e mezza: la percezione e la parte computabile del pensiero. Che genere di immagine di noi stessi ricaviamo da tale tipo di scienza? Per questo, io sono dell’opinione che dobbiamo cambiare. Dobbiamo porre la nuova concezione della consapevolezza mondiale alla base di tutto l’essere, perché la fisica quantistica ci insegna ad includere tutte e quattro queste esperienze. La fisica quantistica semplicemente afferma che se la materia consiste in possibilità di consapevolezza, allora anche la mente, le energie vitali che percepiamo e gli archetipi che intuiamo possono rientrare tra le possibilità della consapevolezza, e se qualcuno solleva l’obiezione del dualismo, la mia risposta è molto semplice: qual è il mediatore tra la mente e la materia? La consapevolezza. E in che modo si attua questa mediazione? Tramite la comunicazione non-locale, una comunicazione che non richiede segnali, perché essi fanno tutti parte della consapevolezza stessa. La consapevolezza interagisce con se stessa. Non richiede segnali locali, per cui non viene violata nessuna legge fisica.

Perché la scienza basata sulla consapevolezza funziona? C’è qualche fenomeno che la scienza tradizionale non sa spiegare e che invece diventa chiaro alla luce della scienza basata sulla consapevolezza?
Ci sono dei fenomeni molto particolari che non potranno mai essere spiegati dalla scienza basata sulla materia. Si tratta di fenomeni che postulano la non-località, la comunicazione senza segnali, la discontinuità, il salto quantico che fa a meno delle fasi intermedie e la gerarchia complicata (un tipo di gerarchia di livelli così elaborata da rendere inevitabile una discontinuità). Questo sistema va considerato un tutt’uno a cui non si può pervenire mediante il processo razionale, la sintesi dai substrati di base. Mi lasci fare degli esempi. La non-località è stata ormai oggetto di molti e diversi esperimenti, il migliore (e l’ultimo) dei quali è quello sul potenziale di trasferimento. L’attività elettrica viene trasferita da un cervello a un altro senza alcun contatto elettrico. Ebbene, questo esperimento è stato ripetuto da cinque gruppi diversi in altrettanti laboratori sparsi per il mondo. Dunque, le probabilità che sia corretto sono molto elevate. Ci troviamo di fronte, a livello materiale, a una connessione non-locale tra due persone. Poi c’è la discontinuità. Le dirò che è la nostra stessa creatività a essere caratterizzata da questo salto quantico discontinuo. Esso fa parte del processo creativo, come è stato accertato dalle ricerche sull’argomento che vengono condotte ormai da un centinaio di anni. Non solo: disponiamo anche di dati oggettivi, perché esiste la guarigione quantica, la guarigione che ha luogo spontaneamente senza alcun intervento medico. È noto che ci sono stati casi di tumori spariti in una sola notte. Non esiste altra spiegazione di questo fenomeno che la guarigione quantica, ovvero un salto quantico, all’interno del processo di pensiero, che ha rimosso un blocco emotivo, liberando così profondamente il movimento dell’energia che l’intero sistema immunitario è tornato a funzionare correttamente. In tal modo, un tumore può sparire nell’arco di una sola notte. Questi processi postulano, ancora una volta, l’idea della discontinuità in modo così convincente che non abbiamo altra scelta che accettare la nuova concezione, dal momento che quella vecchia (il materialismo) ha un grosso difetto: le interazioni materiali non possono mai simulare la discontinuità. Esse sono continue.
Veniamo infine alla gerarchia complicata. Qui desidero lanciare ai materialisti una sfida: due teoremi dell’impossibilità. Il primo teorema è che è impossibile costruire una cellula vivente partendo dalle componenti di base, le molecole. In altre parole, non si può costruire una cellula vivente perché è fondamentalmente un tutto organico. È impossibile scinderla nei suoi componenti, perché ha in sé una gerarchia complicata. Possiede al proprio interno una discontinuità. È possibile costruire una cosa, passo dopo passo, solo se è un processo continuo. Se nella struttura c’è una discontinuità, non si può edificare passo dopo passo. E questo rende improbabile la creazione di una macchina conscia. Da qui il mio secondo teorema dell’impossibilità: è impossibile costruire un computer conscio in laboratorio. Vediamo se i materialisti riusciranno a risolvere questi due problemi: se sì, tanto di cappello. Accetterò il materialismo.

Consapevolezza e materia: secondo lei, c’è davvero una contrapposizione?
No: e il punto è proprio questo. La consapevolezza è il fondamento di tutto l’essere, inclusa la materia. La materia consiste di onde di possibilità tra cui la consapevolezza può scegliere. Considerando le cose in questo modo, si possono spiegare anomalie come l’effetto osservatore, paradossi come quello della misurazione quantica e molti altri ancora. Prima ho cominciato a spiegare il paradosso della percezione. Tutte queste cose possono essere spiegate benissimo dalla nuova scienza. Di fatto, stiamo assistendo alla nascita di una scienza libera da paradossi, a patto che cominciamo a lavorare con l’idea che la consapevolezza è il fondamento di tutto l’essere.

Esistono prove scientifiche del fatto che la consapevolezza è il fondamento della realtà?
Sì, disponiamo di un’enorme mole di dati scientifici che dimostrano come la consapevolezza sia il fondamento dell’essere: non mi riferisco solo ai paradossi, ma anche ai dati anomali. A tal proposito, uno dei fatti più notevoli è quello che i dati fossili, i ben noti dati fossili, presentano degli intervalli, chiamati intervalli fossili. Secondo la teoria di Darwin, che è una teoria materialista – essa postula solo la materia e le interazioni materiali – esiste un’evoluzione continua da una specie all’altra. In realtà, si tratta di una teoria dell’adattamento. Se l’ambiente muta costantemente, altrettanto costantemente mutano le specie. Questa era l’idea di partenza: affrontare l’ambiente adattandosi a esso. Per cui, la teoria di Darwin richiede che l’evoluzione sia lenta e continua. Però si dà il caso che esistano ere prive di dati fossili.
Provo a spiegarmi meglio con un esempio: prendiamo il caso dell’occhio. Una trasformazione del genere richiede migliaia di migliaia di mutazioni genetiche. La singola mutazione genetica – diciamo un millesimo di un occhio – non è sufficiente. Non ha valore ai fini della sopravvivenza. Quindi, secondo la teoria della selezione naturale di Darwin, essa verrà eliminata automaticamente, perché la selezione naturale opera solo in base al criterio della sopravvivenza. Se un cambiamento non ha valore ai fini della sopravvivenza, non può affermarsi nell’organismo. È semplicissimo. Non si può pensare che migliaia di migliaia di mutazioni simili sfuggano alla selezione naturale e in qualche modo rendano possibile l’evoluzione di una specie in una specie nuova, dotata di un nuovo organo. Non può succedere, se è vera la teoria di Darwin. Quindi, la nuova teoria (quella basata sulla consapevolezza) sostiene che qui ci troviamo di fronte a un caso di salto quantico. Ecco un esempio di transizione da una specie a un’altra, dotata di un nuovo organo, attraverso il processo della creatività. Il salto quantico è il processo nel quale non occorrono passi intermedi. È un balzo da uno stadio a un altro, senza fasi di transizione. E questo è esattamente ciò che accade nell’evoluzione biologica. Ecco un ottimo esempio delle prove che lei mi ha chiesto. La discontinuità non può mai essere simulata da interazioni materiali. E dinanzi a questi intervalli fossili, abbiamo una prova della discontinuità. Questo è un esempio, ma ce ne sono molti altri. Prima ho accennato alla percezione quantica: essa rappresenta un altro caso.
La non-località, la parapsicologia che ho prima menzionato, sono tutti ottimi esempi che ci portano a ritenere giusta la nuova concezione e sbagliata la vecchia, perché la non-località fa parte della nuova concezione. La consapevolezza è non-locale, mentre l’interazione materiale non può mai essere non-locale.
Poi vi sono le prove dell’esistenza dei corpi sottili, non-materiali, a proposito dei quali disponiamo di dati concernenti la reincarnazione, ovvero il fatto che quando moriamo, una parte di noi, i nostri schemi abitudinari, sopravvive alla morte. Perché avviene questo? Perché tale ricordo degli schemi abitudinari non è locale, bensì non-locale.
Quando moriamo, i ricordi non-locali dell’apprendimento mentale e dell’apprendimento vitale sopravvivono, e poiché sono non-locali, possono venire ereditati, in futuro, da un neonato. Eccoci quindi di fronte a un’eccellente teoria della reincarnazione. Naturalmente, i dati sulla reincarnazione oggi sono molto solidi – i primi risalgono a una cinquantina di anni fa – e a essi bisogna aggiungere le esperienze di pre-morte, a loro volta assai ben documentate. Nell’insieme, questi elementi ci forniscono una prova convincente che la sopravvivenza alla morte è una realtà, non una fantasia.

In questo contesto, di cosa parliamo quando parliamo di Dio?
Sono contento che lei abbia posto questa domanda. Dio è una domanda scientifica, perché Egli è dove è: si tratta di una nuova fonte della causalità. Esiste la causalità materiale: non vi sono dubbi su di essa. La scienza materialista è certamente un lato della medaglia: questo è indiscutibile, perché le interazioni materiali tra particelle elementari producono possibilità. Poi, però, abbiamo bisogno della consapevolezza per scegliere tra queste possibilità. Questo lato della medaglia viene ignorato dal materialismo. Quindi, deve esistere un altro tipo di causalità, una causalità che consista nello scegliere, tra le varie possibilità, l’evento concreto dell’esperienza: questa la chiamiamo “causalità discendente”. La sua fonte, però, potremmo anche chiamarla Dio. A questo proposito, le dico una cosa che potrebbe interessarla. Non mi importa se agli atei la parola Dio non piace e preferirebbero chiamare questa fonte in altro modo. Questo Dio che stiamo scoprendo è un Dio oggettivo. Quindi, se vuole, può anche chiamarla “consapevolezza quantica”, eliminando tutta quell’emotività che gli scienziati materialisti associano alla parola “Dio”. Qualunque nome scegliamo, l’essenza è ciò che importa, e l’essenza è la causalità discendente. L’essenza è l’esistenza dei corpi sottili. Si tratta di due cose ormai riconosciute a livello sperimentale, per cui dico sempre che la prova scientifica di Dio già esiste. La sola domanda è: cosa vogliamo farci?

Chi è Amit Goswami 
Amit Goswami ha conseguito il suo dottorato in Fisica teoretica e nucleare all’Università di Calcutta nel 1964 ed è stato professore di Fisica all’Università dell’Oregon dal 1968.
Ha insegnato fisica per trentadue anni nel suo Paese, in gran parte in Oregon, prima di ritirarsi completamente, nel 2003.
Il professor Goswami è stato anche uno studioso all’Istituto di Scienze Noetiche dal 1998 al 2000.
Amit Goswami è pioniere di un paradigma scientifico multidisciplinare fondato sul primato della coscienza. La sua ricerca è stata pubblicata nelle riviste scientifiche in tre diversi campi: fisica, biologia e psicologia.



Rivista    Scienza e Conoscenza

20 marzo 2013

- Gnosticismo e psicanalisi.




Diciamoci la verità: pochi argomenti sono così ostici come la dottrina gnostica per chi, pieno di lodevoli propositi, si impegna nello studio delle culture iniziatiche. Una delle principali difficoltà di questo argomento è il fatto che lo gnosticismo non è affatto un fenomeno unitario. Le sue radici sono varie: vi confluisce la tradizione misterica, l’ermetismo d’origine egiziana, la qabbala, il giudaismo alessandrino... Peraltro le dottrine gnostiche si sviluppano in un arco temporale assai ampio che va da I secolo, sino al IV secolo dopo Cristo, in altre parole esse nascono già a pochi anni dalla morte di Cristo, in un’epoca in cui ancora sono vivi e operano gli apostoli! Ha ragione chi dice che esistono tante gnosi quanti sono stati gli gnostici. E questo non facilita affatto il nostro compito. Come sappiamo, lo gnosticismo parte dal presupposto che la comprensione dei misteri divini è concessa ad una ristretta cerchia d’iniziati, che la conoscenza è un processo individuale e non il frutto di una rivelazione divina, che essa è indipendente dall’esperienza sensibile e che l’uomo saggio deve astrarsi dal mondo materiale. Ma non è mia intenzione produrre altra carta scritta ai danni del povero malcapitato che si accinge ad affrontare lo spinoso argomento. Piuttosto vorrei esplorare un’altra interpretazione dello gnosticismo, che a me piace più di ogni altra: è un’interpretazione che non ha nulla di storico o di teologico, ma che è esistenziale, che coinvolge la vita, il destino, l’essere stesso dell’uomo nella sua interezza. In altre parole, un’interpretazione psicologica. E’stato detto più volte che dietro ogni gnostico si cela un pessimista. Qualcuno ha coniato anche la definizione di “pessimismo gnostico”. Non vi è niente di più vero. Secondo l’interpretazione psicologica dello gnosticismo, sviluppata soprattutto da Henry-Charles Puech, lo gnostico è, in realtà, un uomo che ha preso coscienza del male di cui è intessuto il mondo e la storia degli uomini e ciò gli provoca un profondo disagio. Egli non si sente di accettare tutto questo: si sente straniero alla logica del mondo che lo circonda, sente di essere “in questo mondo” ma non “di questo mondo”: si sente una sorta di “angelo caduto” che non può che provenire da una realtà diversa da quella che vede e, quasi sempre, subisce. Egli percepisce che “non può essere tutto qui”. Da questa sensazione di grande disagio e insoddisfazione nascono i tre interrogativi centrali dello gnostico: “chi sono, da dove vengo, dove vado?” E la risposta non può che venire da una conoscenza che è spirituale. E la risposta non può venire che dal profondo di sé. Lo gnostico, qualunque sia la sua provenienza e il suo nome, ha cercato di dare una risposta ad un interrogativo centrale lasciato aperto, allora come ora, dalle Sacre Scritture. Il grande interrogativo, quello più drammatico è quello noto con il nome di “teodicea”: il rapporto tra Dio e il male. Gli gnostici si pongono un dilemma centrale: se Dio è infinitamente buono, perché ha creato il male? Perché dobbiamo assistere quotidianamente alla vittoria nel mondo della sofferenza, del dolore, della malattia, della morte inaccettabile di bambini o di innocenti? Come può un’entità infinitamente buona e giusta aver voluto tutto questo? Il termine teodicea è stato introdotto da Leibnitz, ma questi interrogativi, come dicevamo, hanno cominciato ad animare il dibattito teologico già all’indomani della morte di Cristo e sono rimasti sempre degli enigmi. Gli esempi, in ogni tempo, non mancano, e ognuno di noi potrebbe trovarne di nuovi. Il primo novembre 1755, il giorno dei Santi, un tremendo tsunami si abbatte su Lisbona. Un’onda alta sedici metri semina morti e rovina. Tra l’altro, uccide numerosi fedeli riuniti in preghiera nella cattedrale. Due bambini sono schiacciati sotto il crocifisso. Il fratello Voltaire è molto colpito da questo avvenimento e ad esso dedica il Poema sul disastro di Lisbona. “Bisogna ammetterlo” dirà, “il male è sulla terra”. Tutti noi siamo stati peraltro testimoni oculari, attraverso le immagini dei video, dello tsunami del 2004. Si potrebbe anche ricordare l’Olocausto degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Dove era Dio, mentre i bambini più “fortunati” venivano avviati a migliaia nelle camere a gas e i meno fortunati sottoposti a torture in deliranti esperimenti medici? Molti di noi ricordano ne I fratelli Karamazof la ribellione di Ivan a Dio per la sofferenza di un bambino innocente. Il filosofo Hans Jonas ci riporta ad un interrogativo tremendo per la sua centralità e molto intessuto di gnosticismo: se è vero che Dio è onnipotente non è completamente buono, se è buono, allora egli è impotente su questa terra. Non si sfugge. La teodicea è un grande enigma, tuttora al centro delle riflessioni dei teologi, anche se le Chiese sono assai prudenti nel dare pubblicità a questo delicato tema. Gran parte della riflessione gnostica tenta invece di dare una aperta risposta a tale dilemma. Nel 1974 Ernest Becker vince il premio Pulitzer con il libro The denial of death (La negazione della morte). Con quest’opera egli, nei fatti, fonda una nuova corrente della psicanalisi. E’una corrente che ribalta completamente la dottrina freudiana della sessualità e rifonda la psicanalisi sulla base di una teoria unitaria che collega medicina, filosofia e spiritualità. Nello stesso anno della pubblicazione del libro Becker, a soli 50 anni, muore. La teoria psicanalitica dell’autore ha impressionanti analogie con il pensiero gnostico. Secondo Becker, nel corso del suo sviluppo mentale il bambino prende lentamente coscienza del fatto che il suo corpo è fragile: capisce che dovrà provare il dolore, dovrà ammalarsi, soffrire e, soprattutto, di dover dipendere dagli altri. Più in là negli anni si fa strada nella sua mente una drammatica consapevolezza: quella che esiste la morte: il bambino realizza che tutti gli esseri viventi intorno a lui sono destinati all’annullamento: le piante, gli animali e anche i suoi familiari, primi fra tutti i più vecchi tra loro. Ma non solo loro. Egli capisce di essere rinchiuso in un corpo abbandonato e inerme, destinato alla stessa fine. Egli giunge poco alla volta alla drammatica consapevolezza che Madre Natura è una divinità brutale che distrugge tutto quello che crea. Ma nello stesso tempo, se non prima della scoperta di vivere all’interno di un corpo condannato a soffrire e a perire, il bambino prende coscienza di possedere un bene prezioso; la sua mente, il suo Io. Egli non è come gli oggetti e gli animali che ha intorno. E’ diverso, migliore, dal resto del mondo che lo circonda. Grazie alla sua mente il bambino può comprendere la realtà in cui vive, può fare mille cose, può dipingere, costruire, persino sfuggire alle punizioni dei genitori. Dentro di lui c’è un ché di divino... E allora, il bambino si chiede: come è possibile che una cosa così nobile e preziosa, come la mia intelligenza, sia racchiusa in un corpo così fragile, così dipendente dai bisogni materiali e dall’aiuto degli altri, senza il quale si è persi? Come è possibile che questo corpo, destinato alla rovina e alla morte debba trascinare con sé, nel baratro, la mia mente, il mio Io? Da questo drammatico contrasto tra la nobiltà di quello che il bambino sente dentro di sé e la fragilità della materia con cui è costruito il suo corpo nasce, già durante la sua infanzia, la consapevolezza di essere, come dice Becker, “un Dio seduto sul proprio ano”. Questa teoria supera e assorbe in sé la teoria freudiana sulla sessualità: le repressioni che il nostro inconscio esercita sugli istinti sessuali altro non sarebbero che la repressione inconscia di tutto ciò che ci ricorda che siamo, come ogni altro animale, destinati a tre compiti fondamentali: nascere, riprodurci e morire. E allora come fare, quando si arriva a questa consapevolezza? Come riuscire a sostenere il peso di tutta una vita dopo aver fatto la drammatica scoperta che tutta la bellezza, tutta la nobiltà della nostra mente è racchiusa in un corpo corruttibile, destinato inesorabilmente alla morte? “La condizione umana - dice Becker - è un peso troppo grande per essere sostenuto da un animale”. L’unica strada consiste nel trovare il modo di negare la morte, nell’opporsi ad essa, nel contrapporre al progetto universale in cui l’unico nostro ruolo è quello di nascere, riprodursi e togliersi rapidamente di mezzo, un progetto in cui è l’uomo al centro del suo destino. La posta in gioco è altissima: chi non riesce a dare un senso alla propria vita, a sfuggire quell’ immane tritacarne che è il progetto universale cade, secondo Becker, nell’alienazione, nella malattia mentale. Ma non mi soffermerò sugli aspetti più squisitamente psicanalitici della teoria. I sistemi per difenderci dall’ansia devastante che ci deriva dal terrore della morte sono diversi. E collocati strategicamente su tre livelli. Il primo livello è quello dell’inconscio. Il nostro inconscio ci racconta “preziose bugie” che ci nascondono in ogni momento della nostra vita l’ineluttabile prospettiva della sofferenza e della morte. Una seconda e più complessa linea difensiva è rappresentata dalla società, che fornisce l’opportunità di inserirci in un sistema culturale che ci consente di partecipare a un progetto politico o sociale che durerà nel tempo, oltre la nostra vita e darà un senso ad essa. L’uomo ha di volta in volta ottenuto surrogati di immortalità sacrificando la sua vita per conquistare un impero, per edificare un tempio, per scrivere un libro, per costruire una famiglia, per accumulare una fortuna economica, o per affermare un’ideologia. Ma queste due prime linee di difesa sono fragili: l’inconscia fuga dalla morte ha presto fine quando ci rendiamo inevitabilmente conto che tutto ciò che ci sforziamo di negare e lì, inesorabile, ad attenderci. Anche i progetti “eterni” che la cultura ci fornisce durano assai poco: potremo gridare quanto vogliamo che Dio è dalla nostra parte, dalla parte della nostra religione, della nostra ideologia: ci troveremo ben presto di fronte ai nostri avversari che corrono contro di noi gridando a squarciagola la stessa cosa. E allora, secondo Becker, la terza via, l’unica praticabile, è quella indicata dal filosofo, che Becker considera un grande precursore della psicanalisi: Sören Kierkegaard. E’il ritorno ad una spiritualità, che non è identificabile con una religione positiva, ma che nasce da un rapporto diretto e personale con il Dio. Le teorie psicanalitiche di Becker hanno avuto grande attenzione da parte degli esperti, ma pochissimo successo di pubblico (i suoi libri, per esempio, non sono mai stati tradotti in Italia) ed è facile prevedere che non lo avranno mai perché la sua ricetta è assai amara: bisogna avere il coraggio di “guardare in faccia la morte” senza nasconderla a noi stessi. L’unica reale consolazione ci può venire dal guardare al di là di essa, alla ricerca di un’unione con un Dio che, inevitabilmente, non può condividere le logiche di una Madre Natura che, come dice lui, è “una brutale megera dai denti e dagli artigli rossi di sangue, che distrugge tutto quel che crea”. Noi viviamo in un mondo nel quale l’attività quotidiana di ogni essere vivente è quella di “sbranare le altre creature con denti di ogni tipo, masticando e triturando tra i molari carne e ossa, inghiottendole con gusto e bramosia, per poi inglobare l’essenza delle vittime nella propria organizzazione e infine espellendo i residui con gas di immondo fetore”. Dunque il Dio di Becker, il Dio da cui l’uomo può trarre consolazione, è un Dio distinto e contrapposto a Madre Natura. E anche in questo la psicanalisi di Becker ricorda il pensiero gnostico. Infatti, secondo gran parte del pensiero gnostico l’enigma postoci dalla teodicea si può comporre solo se postuliamo la coesistenza di due distinte divinità: una, in definitiva, vittoriosa e maligna, l’altra benigna ma lontana. Ed è sul terreno dualistico che si accendono le costruzioni gnostiche più ardite, se la presenza di due divinità ci consente di interpretare l’esistenza del male, la dinamica tra le due divinità assume i caratteri più diversi: di volta in volta il Dio è un combattente eroico, ma sconfitto dagli arconti malvagi, altre volte è un re fannullone, lontano dal dramma della vita, oppure il Dio del Nuovo Testamento contrapposto a quello del Vecchio, e così via. Le costruzioni gnostiche sono complicate, spesso astruse, a volte francamente incomprensibili. Ma non bisogna mai intenderle in senso letterale: dietro la loro complessa simbologia si nasconde il tentativo di separare nettamente le logiche del mondo materiale, dominato dal dolore e dalla morte, da quelle del mondo dello spirito e dell’Io, categorie in cui possiamo proiettare tutte le nostre speranze e nella cui prospettiva possiamo sentirci dei “liberati in vita”. In definitiva, le nuove e ardite teorie della psicanalisi fanno ritornare di sconcertante attualità il pensiero di questi nostri antichi Fratelli, spesso un così difficili da studiare e da capire.
PAOLO MAGGI
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18 marzo 2013

- “Magister Caerimoniae”: “araldo” di Energie nel Tempio?




La ritualità che contraddistingue i nostri Lavori di Loggia assume sempre valore sostanziale; si potrebbe parlare di una forma, che si esprime “nel gesto, nella parola e nella batteria” che prende corpo, nel corso dei Lavori, fino a diventare, essa stessa, “sostanza”.
Al Maestro delle Cerimonie, Ufficiale di Loggia la cui figura è disciplinata dall' Art. 40 del Regolamento GOI, fra le altre attribuzioni che saranno oggetto di questa mia disamina, è  conferito il compito di curare che il Cerimoniale previsto dai Rituali sia sempre, costantemente, osservato.
La Tradizione, come si legge nei “Quaderni di Simbologia muratoria”, al Quaderno nr. 4, intitolato “ “Interpretazione analogica delle funzioni dei Dignitari e degli Ufficiali di Loggia”, pone il Maestro Cerimoniere sotto l' influenza del segno del Cancro, nella cosiddetta “terna di acqua” che è formata dai tre segni zodiacali sotto la cui influenza svolgono le proprie funzioni, appunto, il Maestro Cerimoniere, sottoposto al Cancro, il Maestro II Esperto, sottoposto allo Scorpione ed il Maestro Ospitaliere, sottoposto ai Pesci: si tratta di “corrispondenze” energetiche che soggiacciono alla stessa Legge regolatrice delle “Corrispondenze” in Magia, o qualità energetiche del segno zodiacale  che ciascun Maestro che ricopre una Carica può assorbire interiormente, con riferimento alle funzioni concretamente espletate ed in armonia con uno dei quattro elementi cui, analogicamente, ogni Dignitario ed Ufficiale di Loggia è “in armonica corrispondenza”.
Dal segno del Cancro il M.d.C. riceve la sensibilità che gli permette di comprendere qual'è lo stato interiore di tutti i Fratelli e di sentire se è necessario avvertire il M.V. di interrompere i lavori in quanto lo stato energetico del Tempio non è dei migliori; in quel preciso istante egli deve compiere il proprio dovere avvertendo il Maestro Venerabile.
Caratteristica precipua che contraddistingue il segno del Cancro è l' incontro tra Superiore ed Inferiore, una sorta di mediazione neutrale fra le Energie che provengono dall' alto con quelle che provengono dal basso.
Sia il Regolamento, all' art. 40, che la Tradizione, desunta dalla fonte appena menzionata, come anche da altre fonti, tra cui  il testo: “Il Maestro delle Cerimonie sotto l' influsso del Cancro”, di Marco Macrì, scheda 22, Esonet, conferiscono al Maestro Cerimoniere, oltre alle mansioni caratteristiche del Maestro di Casa che consistono nel ricevere i Fratelli visitatori, fare accomodare i Fratelli nel Tempio, predisporre gli arredi rituali e gli strumenti di lavoro muratorio, anche altre precipue funzioni, che si sostanziano, in particolare, nella sacralizzazione del Tempio e nella “armonizzazione” di tutte le Energie in esso presenti.
Il M.d.C. Entra per primo nel Tempio per accendere il Testimonio col fuoco ricevuto dal Maestro Venerabile, ed è l' ultimo ad uscirne, alla fine dei Lavori, dopo aver spento il Testimonio.
Egli entra nel Tempio alla testa di tutti i Fratelli, guidandone la marcia di ingresso, in maniera ritmica ed ordinata; è colui che letteralmente “penetra” il campo energetico del luogo fisico ove si svolgeranno i Lavori Rituali, rendendolo sacro mediante la creazione, con la sua marcia e con quella degli altri Fratelli, di uno dei tre rettangoli rituali, la cosiddetta “rettangolazione”.
Altresì il Maestro Cerimoniere, dopo la lettura della Tavola tracciata nella precedente Tornata, traccia il quadro di Loggia, “atto creativo” vero e proprio, pregno di implicazioni magiche, assimilabile concettualmente, credo, alla tracciatura del “cerchio magico”, ad opera del Magus.  Con questo atto rituale il MdC finisce per ultimare la sacralizzazione - consacrazione del Tempio, già cominciata con l' iniziale marcia di ingresso rituale, predisponendolo a contenere in sé tutta l' Energia dell' Eggregore.: è in quel preciso istante che il Tempio si trasforma in un Recinto sacro, un luogo ove l' Energia, proveniente dall' alto, si concentra e si consolida in maniera sostanziale.
Ebbene, sulla scorta di quanto detto sin qui, si può ragionevolmente affermare che, all' apertura dei Lavori, nella Loggia si determina un vero e proprio centro di Energia viva e pulsante, legata alle 12 Energie dello Zodiaco, alle quattro Energie degli Elementi, ed all' Eggregore dei Fratelli, visto come Entità Unica e viva che si distingue dalle singole individualità, superandole.
L' uomo, secondo le ricerche più avanzate della moderna meccanica quantistica, è un essere atomico, che, pare possegga energia vitale in tutto il suo corpo; nel Tempio, grazie all' interscambio tra i vari componenti del Gruppo, che si sono fusi nell' Eggregore, il corpo è indotto a sopportare flussi energetici sempre più elevati, grazie alla catena energetica che si determina in maniera del tutto inconsapevole.
Il MdC ha il compito di captare e convogliare queste Energie potenti, armonizzandole a beneficio di tutti i partecipanti all' Assise massonica.
Ebbene, l' araldo, secondo la definizione che ne da Wikipedia, come testualmente si legge, “tra gli antichi greci aveva il compito di rendere pubblici gli atti e disposizioni delle autorità civili e religiose e talvolta di mantenere le relazioni con popoli stranieri o nemici”: analogia notevole ritengo sussista, come metafora, fra il rendere pubblici gli atti della Autorità, funzione assimilabile al rendere disponibili e beneficiabili le Energie provenienti dall' alto, ed “al mantenere relazioni con popoli stranieri...”, funzione forse assimilabile, sempre come metafora, alla necessaria armonizzazione delle Energie più diverse, ed al superamento di piccoli squilibri energetici che il MdC è tenuto ad operare nel corso dei Lavori Muratori col suo stare in silenzio e nel concentrare tutta la sua attenzione nei gesti e nel movimento.
A questo proposito, nelle diverse fonti prima considerate, ed in altre ancòra, si afferma che l' asta, che misura 144 cm e che il MdC regge con entrambi le mani durante tutto il corso dei Lavori, assume la funzione di antenna ricettiva convogliante le Energie dall' alto verso tutti i partecipanti alla Tornata rituale.
La verticalità dell' asta, che è sempre perpendicolare al piano del terreno, esprime l' aspirazione e la volontà di unire la terra al cielo.
Interessante, a questo punto, mi sembra anche una breve disamina cabalistica del valore numerico reso dalla lunghezza dell' asta, appunto, 144 cm.
Nello Zohar, il libro dello Splendore, il numero 144 è considerato numero mistico per eccellenza, in quanto avente 12 come radice, cioè 1 + 2, la cui somma è 3, espressione per eccellenza del Ternario. Nel Tempio il numero 144 potrebbe rappresentare il quadrato di 12, appunto delle 12 Energie dello Zodiaco.
Il sigillo che contraddistingue il MdC consiste in due segmenti incrociati a forma di Croce di Sant' Andrea: secondo il Boucher, nel suo testo “La simbologia massonica” - Atanor, Roma, 1988, ai tempi della Massoneria Operativa, il MdC tracciava sul quadro di Loggia dei simboli in grado di raccogliere in essi tutti i simboli del Tempio; uno di questi simboli era, appunto, la Croce di Sant' Andrea, che tanto somiglia ai due segmenti incrociati del Sigillo in esame.
Altresì, forse, una ulteriore interpretazione di questo Sigillo, si riconduce alla caratteristica del segno del Cancro, che è appunto quella di mediazione ed armonizzazione delle Energie provenienti dall' alto con quelle provenienti dal basso.
Per analogia concettuale, oltre che magico – simpatica, medesima funzione nel corpo umano, quindi nel microcosmo, è svolta dal cuore: il chakra del cuore è il punto di unione tra i chakra superiori e quelli inferiori , un punto vitale per eccellenza che, proprio per la sua precipua funzione di mediazione – collegamento fra le Energie Superiori ed Inferiori, va protetto; ed è per questo motivo che, spesso,  nell' iconografia dell' antico Egitto, venivano rappresentati Faraoni e Dei con le braccia incrociate sul petto, in segno di protezione del punto vitale più importante, quello in cui avveniva lo scambio tra Energie Superiori ed Inferiori; appunto due braccia incrociate, come due segmenti incrociati, sigillo di protezione dell' Ufficiale di Loggia che opera sotto l' influsso del Cancro.
Lo sviluppo effettivo dei Fratelli, commisto alla concentrazione ed alla forza proiettiva di tutti i partecipanti, insieme alle Energie sino ad ora considerate e presenti nel Tempio, di cui araldo sembra essere il MdC,  generano all' interno del Tempio un vero e proprio campo di forza.
Il Tempio, che, architettonicamente, è simile alla forma del Tempio di Re Salomone, così come anche le antiche Cattedrali costruite dai Maestri Comacini, è un luogo finalizzato ad innalzare il livello spirituale dei partecipanti all' Assise, attraverso particolari e finissimi processi interiori, favoriti dalla Ritualità, attraverso i quali le Energie presenti si movimentano, con benefico influsso a favore degli astanti che si sono predisposti a riceverle.
L' unica modalità attraverso la quale i Fratelli realmente si predispongono a ricevere le Energie presenti nel Tempio, al fine di beneficiarne, favorendo l' innalzamento dell' asse orizzontale su cui si svolge la propria vita, ortogonale rispetto a quella verticale che protende verso lo Spirito, è quella del silenzio, della concentrazione, della sacralità: è per questo motivo, credo, che ai Titoli generali 5° e 6° , rispettivamente intitolati: “ Della condotta dell' Arte nel lavoro” e “Del comportamento”, in particolare al capo 1°di quest' ultimo, intitolato: “Nella Loggia allorchè costituita”, degli Antichi Doveri di un libero Muratore, edizione del 1723, si legge, fra l' altro, come testualmente riporto: “ Non dovete formare comitati particolari o separate conversazioni senza l’assenso del Maestro, non trattare di alcuna cosa inopportuna o sconveniente, non interrompere il Maestro o i Sorveglianti, o alcun Fratello che parla col Maestro. Non occuparvi di cose ridicole o scherzose mentre la Loggia è impegnata in altre serie e solenni; non usare alcun linguaggio sconveniente sotto alcun pretesto; ma rivolgere la dovuta riverenza al vostro Maestro, ai Sorveglianti, ai Compagni e inducendo questi al rispetto...continua”.
Il M.d.C.,quindi, come vero e proprio “araldo” di Energie del Tempio, potrà operare ai fini di Armonia, dando tutto sé stesso per la riuscita ed il rispetto del Cerimoniale, ma credo che il beneficio che si trae dalla partecipazione ai Lavori Rituali venga rimesso nelle mani di ogni singolo Fratello ed affidato alla sua buona volontà, vale a dire al suo reale, serio ed effettivo predisporsi ai Lavori, in maniera sacrale.

Domenico De Giorgi.

14 marzo 2013

Opus Minimum - Equinozio di Primavera



                                     Equinozio di Primavera

 

 LA DONNA NELL’ILLUMINISMO                                                      1

Piero Paraggio R\L\ Libertà e Pensiero 1335 GOI, Montecorvino P. SA

IL CIELO STELLATO SOPRA DI ME…                                             12

Anna Manfredi                                                     Gruppo GREN, Napoli

 Misteri e Miti della Sicilia antica                      19

Bent Parodi di Belsito           R\L\Giustizia e Libertà 895 GOI, Palermo

L’ALCHIMIA NELLA STORIA DELLA SCIENZA                           27
Gianfranco Nicchi

Tutto in questo Tempio …                                                                        38
Daniele Fusi                                         R\L\Montaperti 722 GOI, Siena

DIVAGAZIONI MINOICHE                                                            48
Salvatore Massimo Stella     R\L\Hermes 1357 GOI, Collesalvietti, LI

Compagnonaggio e Massoneria                         63
Luigi Sessa                            R\L\ Giustizia e Libertà 767 GOI, Roma



Per Info     lab.ermetico.filosofico@gmail.com