23 settembre 2012

- Estasi e Schizofrenia



Sentimenti d’unione con tutto l’universo, visioni e immagini di tempi e luoghi lontani, sensazioni di vibranti correnti d’energia che corrono lungo il corpo accompagnate da spasmi e tremiti violenti. Visioni di dei e di demoni, gioia smisurata e beatitudine, paura d’impazzire o perfino di morire.
Una persona che esperisce fenomeni mentali e fisici tanto intensi potrebbe benissimo essere etichettata come psicotica. La psicologia e la psichiatria fanno fatica a distinguere le esperienze estatiche, d’unione mistica, dalle psicosi. Durante l’esperienza estatica crollano tutte le vecchie restrizioni mentali, il pensiero non è più lineare, strane e conturbanti emozioni invadono la psiche, non si è più capaci di distinguere la realtà esterna dal mondo interiore. I confini dell’io si disintegrano, il tempo e lo spazio non sono più gli stessi. Viene sperimentato un caos interiore a volte devastante, voci e visioni si alternano nello spazio mentale.
Sentimenti di gioia e beatitudine infinita danno l’idea dell’unione con il divino. Durante l’estasi il mondo si trasforma perché la nostra coscienza si trasforma, si tratta di uno stato alterato di coscienza che apre le porte su una realtà diversa. Molte delle esperienze che caratterizzano l’esperienza estatica sono le stesse che provano gli schizofrenici. È difficile fare chiarezza, delineare il confine che separa l’esperienza estatica da quella psicotica.
Non si tratta di cercare di rendere “normale” il patologico, ma tentare di capire cos’è l’estasi, il suo significato e vedere se per forza di cose debba rientrare nel patologico. L’estasi amorosa, sessuale, quella provocata da sostanze psicoattive, l’estasi durante la danza, l’estasi che si raggiunge con la meditazione ecc., stanno a testimoniare che quest’esperienza non è poi così rara nella vita di chiunque. Le profonde alterazioni della capacità di percepire il mondo nella maniera ordinaria, il contatto con una realtà nuova e sconvolgente, il senso infinito di beatitudine, sono sempre patologici?
Lo psichiatra scozzese Roland D. Laing era convinto che i sani di mente non lo fossero realmente, e che gli psicotici non sarebbero pazzi come sembrano. Di fronte ad uno schizofrenico diventa impossibile non riconoscere l’aspetto patologico che caratterizza la sua esistenza, ma l’esperienza estatica, staccata dal contesto degli altri sintomi, è di per se patologica? Anche la psichiatria moderna trova difficoltà nel definire cosa sia esattamente la schizofrenia. Comunque la maggior parte dei clinici considera la schizofrenia come “ un’insieme di disturbi in cui predominano la discordanza, l’incoerenza ideo-verbale, l’ambivalenza, l’autismo, le idee deliranti e le allucinazioni mal sistematizzate oltre a profondi disturbi affettivi nel senso del distacco e della stranezza dei sentimenti-disturbi che hanno la tendenza ad evolvere verso un deficit e una dissociazione della personalità”.
Oppure “ la schizofrenia può essere definita come un disturbo caratterizzato dalla presenza di un cluster di sintomi che si associano in varia misura con frequenza significativa: disorganizzazione del pensiero, alterazioni della comunicazione verbale e non verbale, appiattimento e discordanza affettiva, deliri bizzarri, allucinazioni uditive, perdita della progettualità, ritiro sociale”.
È facile riconoscere all’interno di questo quadro, molte similitudini con l’esperienza estatica tanto da indurre gli psichiatri a ritenere che l’esperienza estatica sia al limite tra la normalità e la psicosi.
Un’esperienza che esce dall’orizzonte del nostro senso comune, come quell’estatica, è facilmente assimilabile alla diversità e alla follia. L’esperienza schizofrenica è la forma di follia più misteriosa, meno conosciuta. Lo schizofrenico sprofonda nel vuoto del non-essere, vuoto popolato da dei e demoni, visioni e voci. Assiste impotente al crollo delle fondamenta usuali del senso del mondo che tutti condividiamo, dei vecchi obiettivi, dei significati. La distinzione tra immaginazione, sogno, percezioni esterne è quasi impossibile. Lo schizofrenico è confuso, egli è un alieno, uno straniero che ha perso il suo senso d’identità, il suo posto nel mondo. Il merito della psicoanalisi è stato quello di tentare di capire il vissuto dello schizofrenico, di dare un senso all’esperienza d’ogni individuo, di comprendere il mondo del malato, anche quello inconscio.
L’esperienza estatica potrebbe somigliare ad un’accesso psicotico di breve durata, come quello prodotto da sostanze psicoattive.
“Le esperienze vissute durante le ebbrezze tossiche sono di alto interesse. Non solo sono fenomeni strani, il cui fascino suscita la curiosità per tali esperienze e il cui godimento comporta grandi pericoli, ma, in certo modo, rappresentano psicosi modello”.
Questo dimostra la grande variabilità delle nostre esperienze, la flessibilità della coscienza e la possibilità di accedere ad una nuova modalità di percepire la realtà. Attraverso l’estasi si coglie una realtà, il più delle volte, legata a qualche cosa di immenso, di sacro, divino. Anche negli schizofrenici è accentuato questo legame con la fonte dell’amore universale, tanto di arrivare a parlare di “follia divina”.La storia dimostra che in passato molte “affezioni mentali” hanno contribuito allo sviluppo di sistemi spirituali. “Le narrazioni che ritroviamo in ogni parte del mondo, di peregrinazione dell’anima attraverso i mondi celesti e quelli degli inferi ricordano le esperienze schizofreniche. Questi stati degli schizofrenici oggi sono senza importanza. Coloro che ne sono colpiti vanno in giro come pazzi disprezzati o sono ricoverati in istituti di cura. Nessuno di essi acquista prestigio per le proprie esperienza morbose. Ma forse in tempi passati è stato diverso”.
Molti schizofrenici hanno avuto un ruolo, grazie alle loro particolari esperienze psichiche, nel fondare sette religiose, anche in tempi recenti. Perché questa simbiosi tra la follia e la divinità? Cos’è quest’esperienza estatica e perché sembra che apra un canale di comunicazione con il sacro? Si tratta di una forma di regressione dell’ego in difesa contro lo stress? O di un’estensione infinita dell’identità personale verso il divino? Anche K. Jaspers, nel suo trattato sulla psicopatologia scrive: “Ma è certo che nello sfondo esiste un’occulta correlazione tra la malattia e le profonde possibilità umane, fra l’esser pazzi e l’esser saggi, gli stati d’estasi dei curatori, degli sciamani, le frenesie dei dervisci, le orge dei barbari, come le feste dionisiache dei greci e altri fatti simili, sono tutti processi in qualche modo affini psicologicamente”. L’esperienza estatica è fuggevole, passeggera, porta con se beatitudine e gioia, perdita dei confini e della realtà. È solo un attimo, mentre la schizofrenia è una condizione esistenziale, un modo di essere nel mondo.
La schizofrenia, il più delle volte, comporta sofferenza e timore. È difficile uscire fuori da questa realtà, forse la schiavitù durerà tutta la vita. L’estasi somiglia di più ad un’oasi è per questo non è sempre patologica. Potrebbe essere un’esperienza insita nella natura umana, uno spazio da sempre accantonato, una zona di pericolo per l’affermazione dell’io personale.
“Si tratta di superare, in definitiva, il nostro generale disconoscimento dell’estatico, cogliendo in esso un momento originario di molteplici esperienze; probabilmente delle esperienza più creative della vita umana”. Nell’arte, nella musica, nella poesia, nella scienza, nella spiritualità, l’esperienza estatica ha rappresentato sempre il momento della scoperta, della creazione, dell’illuminazione. L’estasi, in definitiva, potrebbe rappresentare una folgorazione improvvisa che sconvolge la mente, aprendo una via verso una percezione nuova della realtà.

Dr. Mario Talvacchia



6 settembre 2012

- MARIA DI MAGDALA ED IL GRANDE SEGRETO TEMPLARE








Riflettendo su fatti storici e biblici, seppure personalmente ritenga che la Bibbia (nella sua seconda parte: N.T.) non sia un documento “molto veritiero”, riconosco che è certamente uno scritto ,seppur postumo ai tempi, dei pochi che raccontano, a volte in modo leggendario e mitico, un pezzo di storia dell’umanità. Non parlerò della discendenza merovingia dalla dinastia di Gesù e quindi di Davide per il fatto che, non solo lo metto in dubbio, ma ritengo sia una delle “bufale” più grandi che da circa un secolo e mezzo qualcuno cerca di propinare.
Inizierò con Maria Maddalena, tenendo presente la Torre Magdala (con la M rovesciata), che l’abate Saunière fece erigere a Rennes le Chateau. Bisogna ben considerare il rovesciamento delle lettere, specialmente quelle indicanti un nome, poiché si tratta di un uso che i Templari facevano per indicare nomi o personaggi che "volutamente", da parte di chi ne aveva interesse, erano stati male indicati nei secoli. Non dico che Saunière fosse un neotemplare, ma di certo era a conoscenza (anche prima dei suoi ritrovamenti) di storia templare, stante la sua amicizia ed i diversi incontri con il deputato Camillo Dreyfus, massone-templare e direttore de’ La Nation di Parigi.
Maria, dall’ebraico Miryam e dal greco Mariam o Maria (nella Bibbia dei Settanta, nei vangeli e negli Atti degli Apostoli) era un nome molto diffuso in Palestina ai tempi di Gesù e lo si trova in iscrizioni antichissime scavate nelle regioni vicine, la cui più importante è la “mrym” indicata nelle tavolette di Ugarit (XV-XIV secolo a.C.) scoperte a Ras Shamra sulla costa fenicia. Secondo l’analisi della radice semitica, alla quale i filologi la fanno risalire, Maria potrebbe significare “ribelle”, “amara” o “forte”, ma anche “colei che si innalza” o che “è innalzata” oppure ancora “profetessa” o “Signora”. La tradizione cristiana di San Gerolamo la fa derivare dall'ebraico “mar yam” (goccia di mare), in latino stilla maris, o Stella maris, “stella del mare”, con cui viene pure indicata la madre di Gesù, chiamata Maria Vergine. Stella Maris era pure il nome di una nave templare che solcava la rotta di “Ofiuco”, legata alla storia (o leggenda come molti ritengono) delle sette sorelle, alle quali si deve collegare la fondazione dell’Ordine delle sorelle di Maria Maddalena (anno 1224), ad opera del Cavaliere Templare Rodolfo di Worms.
Il Nuovo Testamento cita sei donne col nome di Maria, le cui più importanti sono Maria la madre di Gesù e Maria Maddalena o di Magdala. Magdala era il suo luogo d'origine, ubicato sulla costa occidentale del lago di Tiberiade, nei pressi dell'attuale Magdal. Gesù l'aveva liberata da “sette demoni”, cioè da una folla di spiriti malvagi e la donna lo seguì nelle sue peregrinazioni mettendosi al suo servizio. Il ruolo più importante, se così lo si può chiamare, Maria di Magdala lo ebbe quando fu presente, nel giorno del Sabato, alla sepoltura del Maestro. Dato che la religione ebraica vietava, al sabato, qualsiasi attività, il rito funebre fu celebrato il giorno successivo. Quando Maria di Magdala tornò sul posto con una o più donne (sei pie donne) portando oli ed aromi per cospargere il morto, trovò la tomba aperta e vuota. Questa è l’indicazione dei Vangeli e della Chiesa, ma non dei Templari. La tradizione della Chiesa cattolica identifica la Maria Maddalena “liberata dai sette demoni” con Maria di Betania o con la “peccatrice” che unse di balsamo la testa di Gesù. Questa ipotesi, sostenuta da Gregorio Magno, non trova fondamento nei testi evangelici. Diversa è la circostanza in cui Gesù ricevette l'omaggio dell'unzione, a Betania, da una donna di nome Maria, sorella di Marta. Cita, infatti, Luca nel suo Vangelo: “Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo. Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: “Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri! ”. Ed erano infuriati contro di lei.” Sarebbe molto strano che Luca, citando Maria di Magdala e Maria (di Betania), sorella di Marta, non dica che era una peccatrice e non precisi mai che si trattava della stessa persona.
Ci sono racconti popolari provenzali che narrano che Maria Maddalena sbarcò nella località detta “les Saintes-Mariesde-la-Mer”, in compagnia di Marta e Lazzaro, fuggiti dalla prima persecuzione scatenata da Erode Agrippa contro i cristiani. Si sarebbe poi ritirata nei pressi di Marsiglia nella grotta chiamata “la Sainte Baume” dove sarebbe morta per poi essere sepolta a Saint-Maximin. E’ nell’XI secolo che i benedettini di Vezelay cominciano a diffonderne il culto di Maria Maddalena, asserendo di essere i custodi delle sue reliquie, a loro consegnate per proteggerle dai Saraceni che più volte erano sbarcati in Provenza. La storia potrebbe essere verosimile, ma come asserisce Anatole France: “Tutte le storie che non contengono menzogne sono mortalmente noiose”.
La verità Templare è invece un’altra. Tornando alla differenza fra le due Marie, Maria Magdalena e Maria di Betania, quest’ultima era la sorella di Lazzaro, l'amico che Gesù, sempre secondo i Vangeli, resuscitò. Quando Gesù si trovava a Gerusalemme, frequentava abitualmente la casa a Betania, un villaggio adiacente alla città santa dove questa Maria abitava con Marta. Pochi giorni prima della crocifissione, Gesù si trovava a Betania, invitato da Simone il lebbroso, quando Maria, per ringraziarlo e rendergli omaggio gli versò sulla testa e sui piedi un prezioso balsamo che asciugò con i suoi capelli. Le circostanze sono molto diverse anche se l’ospitante si chiamava anch'egli Simone, un nome del resto molto diffuso. Questo Simone di Galilea è detto “fariseo” e non “lebbroso”. D'altra parte l'unzione di profumo, era un onore che veniva tributato non di rado agli ospiti di rango. La “peccatrice” intervenuta al banchetto presso il fariseo Simone è una donna ben diversa da Maria di Betania. Quest'ultima ci è presentata come una donna dolce, delicata, tranquilla, attenta all'insegnamento di Gesù e sua amica mentre l’altra viveva una vita di lussuria, per di più in Galilea, ben distante da Betania.
Per restare nell’argomento delle Marie, ne esiste un’altra che nulla ha a che fare con le prime due, ma ha a che fare con Gesù essendone parente. Si tratta di Maria “madre di Giacomo il Minore” e di Giuseppe, la stessa donna che Matteo chiama “l'altra Maria”. Faceva parte del gruppo delle “pie donne” che seguirono Gesù dalla Galilea “per servirlo” e assisterlo con i loro beni . I vangeli sinottici collegano sempre la sua presenza a quella di Maria di Magdala . Matteo e Marco la indicano tra i fedeli che osservavano da lontano la crocifissione di Gesù sul Golgota. Questa terza Maria potrebbe anche essere la stessa che Giovanni indica come “sorella” di Maria, madre di Gesù, che le stava al fianco ai piedi della croce. Quindi la zia di Gesù. Sta di fatto che sia questa Maria che la Maddalena assistettero alla tumulazione di Gesù e ritornarono il giorno dopo con altre cinque pie donne per cospargerne il corpo di balsami, ma trovarono la cripta vuota.
Ma anche questa non è la verità Templare. E’ molto improbabile quanto asserisce Raban Maar e cioè che Maria Maddalena fosse di sangue reale perché di famiglia asmonita. La famiglia degli Asmonei, che comprendeva pure i Maccabei, terminò nel 40 a.C. quando Erode fu proclamato re di Giudea. Inoltre gli asmonei prediligevano le cose terrene, le proprietà e le ricchezze, all’ideale religioso. Quindi è molto improbabile che Maria Maddalena, che non risulta discendere da Erode, fosse di famiglia asmonita.
Veniamo ora alla vita religiosa di Gesù, basandoci sia ai Vangeli che ai ritrovamenti di Qumran. Per completezza del discorso, ripeto alcuni punti di quanto già indicato in un altro mio scritto: "Yesuha ben Josep detto Gesù.
"Non c’è alcun dubbio che Gesù fosse un ebreo esseno, come del resto lo era la massima parte degli ebrei a quel tempo. Gli esseni erano una discendenza delle dodici tribù di Israele ed erano appunto coloro che hanno scritto e nascosto i rotoli del Mar Morto. I rotoli rappresentano non solamente un atto religioso e quindi un documento di fede, ma una vera e propria ricchezza storica di comportamento e di cronaca. Questi documenti sono databili in un tempo che va dal IV secolo a.C. fino ad un periodo che può stabilirsi fra il 70 ed il 132 d.C. Gli esseni si attenevano a due Regole principali, La Regola della Comunità e la Regola della Guerra, i cui testi, quasi integrali, si trovano fra i rotoli di Qumrân, e sono già stati tradotti e pubblicati. Da ciò deriva che gli esseni, che erano portatori del verbo del Signore, di Abramo e di Mosè, non erano poi così propensi a porgere l’altra guancia, sebbene in maggioranza fossero religiosamente miti e politicamente moderati. Facevano parte di una frangia degli esseni, gli zeloti, ossia gli zelanti della legge sia divina che umana. Addirittura lo storico romano Giuseppe Flavio, enumerando le correnti del periodo ebraico, mette gli zeloti al quarto posto dopo i Sadducei, i Farisei e gli stessi Esseni, di cui appunto gli Zeloti erano una derivazione e che quindi pure essi seguivano le regole della Comunità e della Guerra. Come riferisce lo storico e studioso C. Roth, gli zeloti costituivano un partito di gelosi e feroci custodi della legge e dell’indipendenza politica degli Ebrei. Gli zeloti erano apertamente antagonisti dei romani e non avrebbero mai accettato la pace con gli stessi, poiché li ritenevano usurpatori del loro territorio e del loro popolo. A loro interno, gli zeloti, avevano una frangia estremista, quella dei Nazorei o Nazirei (da Nazor il Maestro di Giustizia) e si rifiutavano di pagare le tasse ai romani (Kittim o Kthjjm), manifestando il diritto di uccidere chiunque, non ebreo, oltrepassasse i limiti dei cortili del Tempio.
Un’altra importante figura era quella del Sacerdote Empio. Quando Gesù compì i 30 anni di età, fu eletto Maestro di Giustizia poiché così prevedeva la Regola, Gesù fu eletto Maestro di Giustizia e nello stesso periodo, Paolo era il Sacerdote Empio. Per capire bene le due figure, il Maestro di Giustizia era colui che presiedeva alla vita politica e religiosa della comunità, faceva sì che le regole e gli usi fossero seguiti da tutti, era responsabile delle attività umane, decideva il da farsi, era giudice e comminava le pene. Per la sua “attività” si atteneva alle decisioni del Consiglio poiché le facoltà personali erano molto limitate. Il Sacerdote Empio, invece, presiedeva alla vita religiosa della comunità, faceva proposte, ma non aveva facoltà di intervenire nelle attività sociali. Quindi fra Paolo e Gesù, il più “mite” era il primo. Alcuni hanno ritenuto, forse per questioni di parte e religiose, di attribuire i testi al cristianesimo-primitivo, ma diversi studiosi, fra i quali Margoliout e Fitzmyer ritengono i testi, anche quelli scritti successivamente (come il Documento di Damasco) di origine zelota, nazorea ed ebionita, almeno fino al 300 d.C. quando la maggior parte dei seguaci di questi gruppi, divenuti ex-ebraici, confluisce in quel movimento più propriamente chiamato cristianesimo.
Il periodo di vita di Gesù può essere datato, secondo l’attuale calendario, dal 2-3 d.C. fino al 34-35. La vita di Gesù è di circa 32-33 anni e cioè 2-3 anni dopo il periodo di pieno sacerdozio voluto dalle Regole. Gli esseni, zeloti e nazorei, al tempo di Gesù erano poco più di quattromila, sparsi un po’ dovunque, ma specialmente sulla sponda occidentale e settentrionale del Mar Morto (Plinio il Vecchio).
Veniamo ora a quelli che erano i precetti che tutti dovevano seguire, vale a dire i dettami della Regola della Comunità e di quella dell’Assemblea. Per capire meglio l’argomento, che sarà poi legato ai ritrovamenti di Saunière, citerò fra parentesi qualche punto di alcuni paragrafi rilevati dal testo qumranico della Regola della Comunità.
Par. II : I sacerdoti benediranno tutti gli uomini della sorte di Dio che cammineranno integralmente. - I leviti malediranno tutti gli uomini della sorte di Belial. – Nota: I membri della Comunità erano divisi in tre categorie fondamentali: sacerdoti, leviti e laici (tutti gli uomini).
Par. III - : Per il saggio affinché istruisca e ammaestri tutti i figli della luce …. e sul tempo della loro retribuzione. - In una sorgente di luce sono le origini della verità e da una fonte di tenebra le origini dell’ingiustizia.
Par. IV - : … e nascondere fedelmente i misteri della conoscenza: questi sono gli elementi fondamentali dello spirito per i figli della verità che sono nel mondo.
Par. VI - : …l’inferiore obbedirà al superiore per quanto concerne il lavoro e il denaro; mangeranno in comune, benediranno in comune e delibereranno in comune . - E allorché disporranno la tavola per mangiare o il vino dolce per bere. – Nota: Il vino dolce o meglio il mosto era usato solamente dai nazorei.
Par. VIII - : Nel consiglio della comunità ci saranno dodici uomini e tre sacerdoti perfetti in ogni cosa manifestata da tutta la legge, per praticare la verità, la giustizia. – Nota: I 12 uomini erano laici che rappresentavano le 12 tribù di Israele. -- Questo è il muro provato, la pietra d’angolo inestimabile! Non vacilleranno le sue fondamenta né saranno mosse dal loro posto. - Nota: su questo punto è bene citare anche Isaia : “Guardate! Pongo in Sion una pietra, una pietra scelta, angolare, preziosa, quale fondamento: chi vi crederà non vacillerà”.
Par. IX - : Sarà una persona piena di zelo per lo statuto e per il suo tempo, per il giorno della vendetta e per compiere il beneplacito di Dio in ogni opera delle sue mani e in ogni sua attività.
Par. XI - : …il mio occhio contempla una saggezza nascosta all’uomo, scienza e pensieri prudenti, celati ai figli di Adamo.
Gli esseni, nazirei e zeloti rappresentavano le classi sociali più deboli e si contrapponevano alle altre tribù israelite, in particolare dei farisei e sadducei, che erano un’elite religioso-politica. Per questi ultimi, quindi, Gesù ed i suoi discepoli esseno-nazirei erano personaggi scomodi, al punto non solo di contrastarli, ma di eliminarli. Eliminando però il loro Capo, gli altri sarebbero venuti a miti consigli. Dopo torneremo su questo punto, ma prima è bene indicare la temporalità del noviziato per capire il perché Gesù cominciò a predicare all’età di 30 anni. Le norme di comportamento erano dettate dalla Regola dell’Assemblea che delinea appunto il cammino per chi veniva ammesso allo studio nella comunità. Citerò i punti essenziali di detta Regola:
- Allorché giungeranno, raduneranno tutti gli arrivati, dai bambini alle donne, e leggeranno alle loro orecchie tutti gli statuti del patto e li istruiranno in tutte le loro disposizioni, affinché non sbaglino commettendo inavvertenze. - Fin dalla sua giovinezza lo si istruirà sul libro della meditazione e, secondo la sua età, lo ammaestreranno sugli statuti del patto, ed egli riceverà la sua educazione nelle loro disposizioni per dieci anni. - All’età di venti anni passerà tra gli arruolati, entrando, in base alla sorte, in mezzo alla sua famiglia, in comunione con l’assemblea santa…. - All’età di venticinque anni entrerà a partecipare alle strutture fondamentali dell’assemblea santa. - All’età di trenta anni potrà essere promosso ad arbitrare una lite e un giudizio, a prendere posto tra i capi delle migliaia di Israele, tra i comandanti delle centurie e i comandanti delle cinquantine. - Ma nessun uomo poco dotato entrerà nel sorteggio per accedere a un posto sopra l’assemblea di Israele per emettere una sentenza o per assumere una carica dell’assemblea o per accedere ad un posto nella guerra destinata ad abbattere le nazioni. - Questa sarà la seduta dei notabili, chiamati al convegno per il consiglio della comunità, quando Dio avrà fatto nascere il messia in mezzo a loro. Il messia esseno non è una personalità celeste, ma il Maestro di Giustizia del momento. Gesù è stato Maestro di Giustizia. - E quando si raduneranno alla mensa comune oppure a bere il vino dolce, allorché la mensa comune sarà pronta e il vino dolce da bere sarà versato, nessuno stenda la sua mano sulla primizia del pane e del vino dolce prima del sacerdote, giacché egli benedirà la primizia del pane e del vino dolce e stenderà per primo la sua mano sul pane. In conformità di questo statuto essi si comporteranno in ogni refezione, allorché converranno insieme almeno dieci uomini.
Riporto pure alcuni passi della Regola della Guerra, a testimonianza che gli esseni, zeloti e nazorei non erano poi tanto propensi a porgere l’altra guancia, specialmente a coloro che li opprimevano o invadevano la loro terra. Erano buoni e pii, ma si facevano rispettare anche con le armi. Questo documento è importantissimo per capire il perché anche i Romani avevano astio nei confronti degli zeloti e nazorei, prediligendo invece la casta del sinedrio che meglio si adeguava alle risoluzioni politiche di Roma. - E questo è il libro della regola della guerra. L’inizio si avrà allorché i figli della luce porranno mano all’attacco contro il partito dei figli delle tenebre, contro l’esercito di Belial, contro la milizia di Edom, di Mohab, dei figli di Ammon contro le milizie dei Kittim di Assur I Kittim o Kthjjm (di Assur) sono stati individuati nei Romani che venivano in Palestina dal nord. - E dopo la guerra se ne andrà di là, contro tutte le milizie dei Kettim in Egitto. A quell’epoca i Romani avevano già occupato parte dell’Egitto. - Verità e giustizia risplenderanno per tutti i confini del mondo, illuminando senza posa fino a quando saranno finiti tutti i tempi stabiliti per le tenebre.
Abbiamo visto che i Nazirei seguivano le Regole in modo tassativo. Torniamo alle predicazioni di Gesù, Nazoreo e Maestro di Giustizia che aveva una forte presa sul popolo. La gente seguiva i suoi insegnamenti, lo andava ad ascoltare durante il suo peregrinare, abbandonando quella che era la linea ufficiale della religione ebraica e cioè i dettami del Sinedrio. Il Sinedrio era una congrega religiosa composta da sacerdoti e da saggi; in pratica erano coloro che determinavano le linee politiche e religiose che il popolo doveva seguire. Nessuno più ascoltava i sacerdoti del Sinedrio per accorrere invece dove predicava Gesù. Quindi Gesù, come già detto in precedenza, era diventato scomodo. Per questo viene inquisito e condannato a morte dal Sinedrio. A tal proposito per poter poi continuare il discorso che lega Gesù, Maria Maddalena e i Templari citerò alcuni brani dei Vangeli, non quelli gnostici, ma quelli della chiesa vaticana, riconosciuti dalla CEI. Indicherò di essi questi punti:
- Cospirazione del Sinedrio,
- Cattura,
- Gesù davanti al sinedrio (per Matteo Marco e Luca),
- Gesù davanti a Anna e Caifa (solo per Giovanni),
- Crocifissione,
- Agonia e morte,
- Sepoltura,
- Risurrezione.
Certamente molti di voi avranno già letto questi passi, ma vi chiedo di rileggerli per rinfrescarvi la memoria, tenendo conto che sono dichiarazioni riconosciute dalla chiesa e quindi non si parli di irriverenza da parte di alcuno.
Da quanto indicato, dai testi sacri ufficiali, si rilevano: • il ruolo importante di Maria Maddalena nella vita e nella morte di Gesù, • la conferma che Gesù era esseno-nazoreo e Maestro di Giustizia (Rabbi), • che ogni gruppo era formato da 12 fratelli (successivamente lo sarà per i Templari) e che giravano armati, • che Gesù era diventato un personaggio scomodo per i potenti ed i corrotti (potere religioso e potere politico), così come successivamente divennero scomodi i Templari sia per il potere della chiesa che per la monarchia, • che Gesù fu condannato dall’allora potere religioso del sinedrio (congregazione dei preti) come successivamente i Templari furono condannati dal potere temporale dei papi ed ambedue dopo aver subito un processo infame, • che l’esecuzione di Gesù fu posta in atto dal potere politico (Roma e Pilato) così come quella di Jacques de Molay dal potere politico francese (Filippo il Bello), • che Gesù resuscitò (ma non è una verità templare) come resuscitò l’Ordine del Tempio, dopo la sua soppressione.
Le analogie fra esseni-nazorei e templari sono molte, come molti sono i segreti templari che si legano agli esseni, a Maria Maddalena ed a Gesù. Ritengo che la religione templare sia molto vicina a quella essena e quindi al primo cristianesimo gnostico, al quale i templari hanno apportato conoscenze e certezze di verità per quanto già da circa un millennio i veri “gesuiti” predicavano. A tal proposito si deve ricordare che la chiesa di Roma, agli inizi del XVI secolo, per impedire la dilatazione, specialmente nell’Europa del Nord, dei veri “gesuiti” quindi gnostici, si appropriò del nome stesso dei “gesuiti” in modo tale da far credere alle popolazioni che i gesuiti erano fedeli alla chiesa di Roma. E ci riuscirono. Infatti, dopo la dieta di Spira del 1529, quando neotemplari (gesuiti) ed alcune confessioni cristiane (protestanti), si ribellarono ai decreti di Carlo V ed alla autorità della chiesa, il potere religioso capì che era necessario intervenire al fine di arginare il proselitismo gnostico, riportando la “credenza” nelle mani del papa. Non passò molto tempo e nel 1534, Ignazio di Loyola, fondò l’ordine religioso dei “Gesuiti” sotto la potestà della chiesa, rendendo quindi vane le predicazioni di buona parte degli gnostici, circa la verità su Gesù.
Maria Maddalena non approdò mai in Francia, se non in rapporto, dagli inizi del XII secolo, di vicende legate alle sette sorelle, di cui, probabilmente, l’abate Saunière aveva trovato documentazione. La gnosi cristiana conosce nel XIV e XV secolo uno sviluppo anche all’interno delle file della chiesa di Roma, dovuto principalmente al fatto che il potere, a quel tempo molto arrogante e corrotto, aveva mostrato tutta la sua spudoratezza nel voler far propria la verità delle sacre scritture, utilizzandola solamente per fini personali e di interesse, come del resto aveva fatto nei secoli precedenti, ma in misura molto meno impudente. L’esempio culminante del pensiero deistico senza intermediazioni e del Supremo all’interno di ogni uomo è stato Giordano Bruno, non per niente messo al rogo dalla chiesa di Roma.
Per i Templari è vero che Giovanni Battista aveva una certa importanza, ma ancor più importante è e resta Yeshua ben Joseph, Maestro di Giustizia, uomo fra gli uomini e figlio di Dio secondo la religione ebraica ed essena, che asseriva che tutti siamo figli di Dio, quindi anche lui lo era né più né meno degli altri esseri umani. A questo punto c’è da sottolineare che i primi europei a difesa dei pellegrini in Terrasanta furono i Franchi Crociati che, in molti, dopo il 1118 confluirono nei ranghi “Templari”, ma non tutti fecero parte dei maggiorenti. Tutti furono “Crociati” in terrasanta, ma una parte di loro, i Cavalieri dell’Ordine del Tempio, erano iniziati e gli altri no. I “dignitari” appartenevano ad un rango ben definito che trova le sue origini in quello che da molti oggi viene chiamato “Priorato di Sion”. Le leggende sul Priorato di Sion (anticamente i Saggi di Sion) sono molteplici, a volte tenebrose e piene di occultismo, a volte epiche e romanziere. Tralascio il “Priorato di Sion”, quello per intenderci di Plantard per affermare invece che “I Saggi di Sion” esistevano fin dal I secolo d.C. e sono strettamente legati a Maria Maddalena e alle sette sorelle. Lo stesso legame che unisce i Templari a Maria Maddalena ed alle sette sorelle. Si può dire che l’Ordine di Sion (e non il Priorato di Sion) è continuato con l’Ordine dei Cavalieri del Tempio. Non mi soffermo sul “sangreal” e sul Graal, poiché ritengo e sostengo, come già in precedenza dichiarato in altri miei scritti, che il sacro Graal riferito ai Templari è una vera e propria baggianata. Torno invece agli scavi eseguiti dai Templari sotto il Tempio di Salomone. E’ da qui che inizia quello che viene indicato come “Il grande segreto Templare” che prende la via sulla rotta di Algol, stella raggiante della costellazione di Ofiuco. Nel 1118 quando Ugo di Payns ed altri 8 cavalieri decidono di fondare l’Ordine, con l’accordo di Bernardo di Chiaravalle, le crociate erano in atto da oltre 20 anni, e cioè sin da quando nel 1096, Goffredo di Buglione, con le sue truppe, partì per l’Oriente, conquistando Gerusalemme nel 1099. Perché la costituzione dell’ordine avviene solamente dopo 20 anni e con un riconoscimento ufficiale altri undici anni dopo ? Qual è stato il motivo che ha indotto i Cavalieri, con l’intermediazione di Bernardo e la Chiesa Romana a darsi un regolamento? Perché anche Baldovino II, re di Gerusalemme premeva affinché l’Ordine fosse ufficializzato? C’è da dire che Baldovino già alcuni anni prima del 1118, aveva messo a disposizione di alcuni Cavalieri francesi della Champagne, fra i quali Ugo di Payns, una parte del suo palazzo: il Tempio di Salomone. Il Tempio nel 1110 d.C. aveva già una lunga storia, poiché era stato costruito 2.000 anni prima, distrutto più volte, ricostruito e trasformato. I cavalieri francesi scoprirono che i sotterranei del palazzo rappresentavano un altro palazzo pieno di cunicoli, camere, corridoi e labirinti che in minima parte, fino ad allora, erano stati esplorati, anche perché molti ingressi erano rimasti celati da pareti. Ottennero il permesso di Baldovino per esplorare i sotterranei ed aprire i cunicoli che fino ad allora erano rimasti segreti. Dopo circa 3-4 anni di “scavi”, scoprirono, sotto il luogo indicato come Sancta Sanctorum, un qualcosa che indicava IESUS NAZOREUS. L’abate Sauniere troverà poi a Rennes le Château non quel “qualcosa” rinvenuto dai Templari (che nel momento del ritrovamento non si chiamavano ancora così), ma la documentazione che dimostrava il ritrovamento e l’esistenza di quel “qualcosa”. Ugo di Payns, alla fine del 1117, rientra in Francia, rende edotto di ciò che è stato ritrovato, Bernardo di Chiaravalle ed assieme (solo loro due), in gran segreto, incontrano Papa Pasquale II, per riferire della loro scoperta. Alcuni hanno asserito, ma io sono di diverso parere, che Pasquale II, dopo aver appreso l’informazione, abbia subito uno scossone tale, che il 21 gennaio del 1118 lo ha portato alla morte. Pochi giorni dopo, il 24 gennaio 1118, è eletto Papa, Gelasio II. Bernardo ed Ugo riferiscono quindi a papa Gelasio, quanto ritrovato. Assieme viene deciso di portare, in gran segreto, il rinvenimento, in terra europea, per non farlo cadere nelle mani degli infedeli. Nasce così il “grande segreto” dei Templari. Dapprima si pensa di portarlo a Roma, ma considerando che il papato era in lotta con Enrico V e la famiglia Frangipani, viene deciso di portare il ritrovamento in Francia, a Cluny e per non dare troppo nell’occhio si dispone che la scorta sia formata da 4 cavalieri e 7 dame (le sette sorelle), così nessuno avrebbe fatto caso ad un convoglio formato per lo più da donne. Ugo ed altri cavalieri ripartono quindi per la Terra Santa portando con loro diverse dame. Altra cosa strana. Il Papa, a Roma, viene aggredito da alcuni sicari e fugge in Francia, proprio a Cluny. Perché? Il 17 gennaio 1118 arrivano sul territorio francese i 4 Cavalieri e le 7 sorelle, portando quanto era stato rinvenuto nel Tempio di Gerusalemme. Sarà un altro caso, ma anche Gelasio II muore, nello stesso mese, dopo aver verificato quanto gli era stato mostrato. Cinque giorni dopo viene eletto nell’abbazia di Cluny (e non a Roma) papa Callisto II, ovvero il francese Guido di Borgogna. Si tratta di un altro caso, cioè che venga eletto un francese e per di più a Cluny. Per ragioni di sicurezza e di segretezza, viene deciso, dal pontefice di nascondere il “tesoro” a Rennes le Château. Ripartono quindi 4 cavalieri e 7 dame alla volta di Rennes ed il segreto, composto da più reperti, viene posto in un incavo all’interno di una vecchia chiesuola (abbattuta e ricostruita a metà del 1200) e protetto da una lastra di marmo: quella che poi verrà chiamata “Dalle des Chevaliers”. E’ papa Callisto che “inventa” il modo per tramandare ai suoi successori ciò che era stato trovato nel Tempio di Gerusalemme. Torniamo a Rennes. Furono impartite disposizioni che prevedevano che almeno un cavaliere a turno con altri, vigilasse, in preghiera, all’interno della chiesuola, durante tutte le ore di luce e che le 7 sorelle restassero sempre disponibili, presso la loro famiglia, per qualsiasi evento. Per organizzare queste ultime ed averne un ricambio, sempre disponibile, fu fondato nel 1224 l’Ordine delle sorelle di Maria Maddalena ed un primo luogo monastico, guarda caso, fu realizzato nei pressi di Rennes e le prime sorelle presero il nome di tutte le 7 dame che nel 1118 contribuirono al trasporto del “segreto”. Cosa molto strana che la regola di un ordine para-religioso maschile quale era quello Templare, prevedesse pure norme per le “sorores templi”. In questo modo nessuno avrebbe fatto caso alle sorelle, non solo a quelle che accudivano i monaci-guerrieri, ma che con loro facevano carovana e si spostavano dall’Europa all’Oriente e viceversa. Perché solo la regola templare prevedeva questo? I Templari detti i custodi del Tempio, in effetti custodivano più Templi. Fu fatto un giuramento fra Templari e Chiesa che prevedeva che mai alcun Templare avrebbe rivelato il segreto, e qualora ciò fosse stato fatto, spettava solo ed esclusivamente al papa. Quindi solo i Templari (o meglio i Gran Maestri) e la Chiesa sapevano di cosa si trattasse. Da questo si possono capire tante altre cose, quali: la potenza economica dei Templari, l’esenzione degli stessi dal pagamento delle decime ed il perché nei loro confronti, sebbene incriminati (ingiustamente) per eresia, non sia mai stata pronunciata alcuna scomunica. E’ solamente dal 1118 che i Templari e successivamente anche alcuni papi, scriveranno INRI con la N rovesciata. Il “segreto” resta a Rennes fino al 1241 e viene spostato, in parte, in alcune grotte di Foix e di Niaux, per poi riprendere (ancora in parte) la via di Gerusalemme nel 1243, accompagnato da 6 Cavalieri e da 7 sorelle di quell’ordine fondato appositamente nel 1224. Fu decisa la partenza per Gerusalemme, perché il Sancta Sanctorum del Tempio della Città Santa sarebbe stato il luogo finale dove il “segreto” doveva restare per l’eternità. Il convoglio si fermò a san Giovanni d’Acri, perchè Gerusalemme era continuamente assediata dai musulmani, che poi l’occuparono (definitivamente) nel 1244. Visto che era difficile poter riprendere Gerusalemme, Luigi IX di Francia decise, nell’Agosto 1248, di partire per una nuova crociata (la sesta), cercando l’appoggio dei Mongoli per poter rioccupare la Città Santa. Non riuscendo nel suo intento, Luigi IX, spinto anche dal Gran Maestro dei Templari, Renaud de Vichiers, decise, nel 1251, di fortificare San Giovanni d’Acri per poter meglio difendere ciò che li era stato portato e occultato otto anni prima. Visto che San Giovanni d’Acri era continuamente presa d’assalto da parte musulmana fu stabilito, dopo il furioso assalto da parte dei mamelucchi dell’aprile 1261, di riportare in Europa il cosiddetto “tesoro” in quanto in oriente non era più sicuro. A quel tempo, Patriarca di Gerusalemme era Jacques Pantaleon e Gran Maestro dei Templari Thomas Berault. Il Patriarca Pantaleon ebbe un ruolo importante in tutta la vicenda, non solo perché salpò con la cassa contenente il “tesoro” unitamente a cinque cavalieri ed alle sempre presenti sette sorelle, ma anche per eventi successivi che fra breve indicherò. Il Patriarca, i Cavalieri e le sette sorelle approdarono nella località di Fos, nei pressi di Marsiglia, nei primi giorni dell’agosto 1261. Da questo momento il “tesoro” non lasciò mai più L’Europa. Alcuni affermano che sia stato collocato in una nicchia sotto il pavimento della chiesa di Rennes, altri dicono invece che la chiesa sia quella di Rosslyn in Inghilterra, altri ancora che raggiunse l’Italia per essere consegnato alla Chiesa. Ma cosa avevano trovato in realtà i Templari nel 1117 nel Sancta Sanctorum sotto il Tempio di Gerusalemme? Che cosa trovò successivamente Saunière? Molti studiosi affermano che "avrebbe scoperto un segreto di tale gravità (io direi novità) da far tremare le fondamenta del mondo cristiano…". In effetti, Saunière, non aveva trovato il segreto, ma qualcosa che documentava detto segreto. Ritorno per un attimo al Patriarca di Gerusalemme Jacques Pantaleon che raggiunge la Francia nei primi giorni d’Aprile del 1261 con la cassa contenente la “scoperta”. Nel momento del suo rientro sono in corso le elezioni per il nuovo Papa che dovrà succedere ad Alessandro IV, morto a Viterbo il 25 maggio dello stesso anno. I casi della vita e le coincidenze possono essere molte in un lungo periodo, ma in un breve no. Che cosa successe? Per eleggere il successore d’Alessandro IV, i cardinali litigarono per tre mesi, poi il 28 agosto 1261 comparve Jacques Pantaleon che, non era candidato al trono papale ed ebbe un incontro con i maggiori dignitari della Chiesa. Il giorno dopo 29 agosto, fu eletto papa Jacques Pantaleon che prese il nome di Urbano IV. Perché i Cardinali elessero lui Papa? Quali furono i termini dell’incontro avuto il giorno prima? Di cosa si parlò? Sta di fatto che, come diciamo oggi, in quattro e quattr’otto il Patriarca Pantaleon divenne Papa. Ma non solo! Con lui il papato si orientò verso la Francia abbandonando Roma. Infatti, Urbano IV rimase sempre fra Viterbo e Perugina e mai andò a Roma. Ampliò poi il collegio cardinalizio nominando sei francesi. Ma la cosa più importante ed interessante per il nostro argomento è che nel 1264 introdusse nella liturgia ecclesiastica la festa del “Corpus Domini”. Da allora il Corpus Domini non è la festa del Signore Dio onnipotente, ma del Signore Gesù il cui simbolo risiede nell’ostia consacrata come “corpo di Cristo”.
Il grande segreto:
Cosa scoprirono i futuri Templari nel 1117? Stando a diverse opinioni di studiosi di gnosi cristiana e templarismo, risulterebbe che i nove cavalieri comandati da Ugo di Payns, scoprirono il corpo di Gesù e Urbano IV, in un certo qual modo, lo rese pubblico nel 1264 con la festa del “Corpus Domini”. Secondo questa tesi, che in gran parte pure io condivido, cerco di riassumere la storia o come alcuni asseriscono, la leggenda templare del “grande segreto”. Facendo oggi i calcoli con il nuovo calendario, ritorniamo agli anni dal 35 al 37 d.C. quando Yeshua ben Joseph viene condannato dal sinedrio ed assassinato per mano romana (Ponzio Pilato). La sua morte avvenne di Sabato e dato che la religione ebraica vietava, di sabato, qualsiasi attività, il rito funebre fu rinviato al giorno successivo. La tumulazione avviene quindi di sabato per poi fare il rito dell’unzione il giorno dopo. Questo è anche quanto dicono le scritture ufficiali della Chiesa. E come, anche citano le scritture, Maria di Magdala fu presente, nel giorno del Sabato, alla sepoltura del Maestro (chiamato Rabbi). E Rabbi era il termine per indicare il Maestro di Giustizia degli esseni-nazirei. Visto quanto ritrovato dai Templari, probabilmente avvenne che, Maria Maddalena unitamente ad altre sei pie donne, nella notte fra il sabato e la domenica, portarono via di nascosto il corpo di Gesù, forse per paura che (visto ciò che era successo) potesse essere, il giorno dopo, fatto oggetto di ulteriori violenze o addirittura sparizioni da parte di chi l’aveva condannato e non voleva quindi che la gente ne facesse “oggetto” di adorazione. Fino qui è una tesi probabile e possibile. Sulla persona di Yeshua ben Joseph nascono leggende, storie e lo si fa diventare, da parte di chi ha interesse, un riferimento, ma attenzione, non in senso divinatorio o di fede, ma per costruirci sopra un “potere”. Subito dopo la sua morte nacque un mito, quello dell’uomo giusto perché povero, perché del popolo, perché umile, perché contro le ingiustizie, perché combatteva le prevaricazioni, perché disprezzava le ricchezze ed apprezzava chi viveva senza pretese solo del proprio lavoro, perché appunto Esseno. Infatti, le repressioni verso i primi cristiani furono cruente e venivano considerati come banditi e sovversivi. Poi osservando che l’opinione pubblica sia romana sia mediorientale faceva di Gesù un punto di riferimento, per l’uomo onesto ed il buon padre di famiglia, un qualcuno pensò che sarebbe stato meglio “adeguarsi” creando un “potere” che avrebbe contato più proseliti di qualsiasi esercito o nazione. Probabilmente questo qualcuno fu Alessandro di Caput Tauri, eletto papa nel 105 d.C. in base ad una scelta fatta dai Vescovi e dal clero, quindi in un modo diverso dalle precedenti nomine, che avvenivano secondo un sistema che si tramandava da maestro a discepolo. Per questo fu malvisto dalla base che voleva un papa non nominato da alcun potere, poiché proprio il potere “sinedrio” aveva condannato Gesù e l’altro potere, Ponzio Pilato, l’aveva assassinato. Infatti, nel seicento viene scoperto un manoscritto, ritenuto apocrifo, in cui si cita Alesando I impegnato in scontri con gli eretici gnostici. Il seguito è conosciuto da tutti, basti pensare alla falsa donazione di Costantino ed al lusso in cui hanno vissuto e vivono gli alti prelati ed alle ricchezze che sono state costituite sul nome di Cristo. Possono questi rappresentare colui che scacciò i mercanti dal Tempio? La gnosi d’allora, che era a conoscenza del corpo di cristo e non della resurrezione (che faceva comodo agli altri) portò alla costituzione di un gruppo di saggi che furono chiamati i “Saggi di Sion”. Sion è il sinonimo di Gerusalemme essendo il monte sul quale sorgeva prima il tempio di Salomone poi il Tempio di Gerusalemme. Passano i secoli, restano i papi, che rafforzano sempre più il loro potere, ma restano altresì i Saggi di Sion. Arriviamo al 1110 quando Ugo di Payns ed altri otto Cavalieri si recano in Terrasanta in aiuto dei franchi crociati ed è in quel momento che vengono a conoscenza dell’esistenza dei Saggi di Sion con i quali prendono contatto. Era stato nominato a Gerusalemme un re di nome Baldovino II il quale aveva buoni rapporti con I Saggi di Sion e mise a disposizione di Ugo e degli altri cavalieri, un’ala del suo palazzo che in pratica era l’antico Tempio di Salomone. Su indicazione dei saggi, Ugo e gli altri iniziarono una serie di scavi (segreti) e trovarono, diversi metri sotto le fondamenta del Tempio, una lunga serie di cunicoli, in massima parte inesplorati che portavano al Sancta Sanctorum. Dopo circa otto anni di scavi, trovarono un’urna di granito, contenente ossa umane con la scritta, in aramaico, su di un lato: “Yehoshuah ben Joseph Maestro di Giustizia”, oltre ad altra documentazione in rame e su pelle di capra che appunto documentava che Gesù, Maestro di Giustizia dei Nazorei era stato condannato da Hanna e Caifa ed ucciso dagli invasori Romani. Nei ritrovamenti dei rotoli del Mar Morto di Qumran, mancano due rotoli in rame, ma ci sono gli atti che descrivono la religione Esseno-nazirea. Questi rotoli ed altra documentazione, probabilmente è ciò che trovò l’Abate Saunière e che lo resero ricco, ma anche detestato ed avversato dalla chiesa ufficiale. Saunière però non trovò l’urna con i resti mortali di Yeshua ben Joseph, anche dopo aver scavato tutto il pavimento della chiesa di Rennes e l’adiacente cimitero. Saunière ha anche ritrovato una parte dei documenti scritti da Ugo de Payns e dagli altri cavalieri dove era descritta tutta la storia (dettata dai Saggi di Sion) di Maria Maddalena, della morte di Gesù, della sua inumazione, della sua esumazione e collocazione dei resti mortali nell’urna di granito. Veniva così messo in dubbio la resurrezione materiale di Gesù, ma non quella spirituale ritenendo ciò che lo stesso sia risorto con la rinascita del credo esseno da parte dei suoi seguaci. Per dire e credere quanto da lui scoperto, Saunière non ebbe mai l’assoluzione, anche in punto di morte. Dopo il ritrovamento dell’urna sotto il Tempio di Salomone, i Saggi di Sion, consigliarono Ugo e gli altri di trasferire il “tesoro” in Europa per paura che i musulmani lo trovassero e lo distruggessero. Però tutto ciò doveva avvenire come era avvenuto in principio, con la presenza delle sette pie donne. Il seguito lo trovate rileggendo dall’inizio questo mio scritto. Il potere personale di alcuni alti prelati della chiesa di Roma, che sono venuti a conoscenza delle vicende legate a questo argomento, è aumentato e molti sono diventati Papi, come già ho indicato in precedenza. Un’ultima curiosità, oppure caso o coincidenza se così lo vogliamo chiamare. Saunière nel 1910 viene sospeso a divinis. Qualche anno dopo riceve la visita del Monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, inviato dal papa per esaminare il ricorso presentato contro la sua sospensione. Monsignor Roncalli ritorna a Roma e successivamente il provvedimento di sospensione viene revocato. Nel 1958 Angelo Giuseppe Roncalli viene eletto Papa con il nome di Giovanni XXIII. A questo punto lascio spazio ai ricercatori ed agli storici, ma secondo una narrazione templare, solo il primo Papa franco che sarà eletto nel terzo millennio, potrà svelare questo mistero.


Ugo Cortesi



3 settembre 2012

- LA FORZA DELLA TOLLERANZA



Spesso si paventa il pericolo di un’involuzione della nostra Istituzione e, nei diversi momenti di riflessione interiore, si auspica sempre, per chi creda fermamente nel Progetto di Armonia, il rafforzamento e l’intensificazione della nostra forza aggregante, rappresentata simbolicamente e materialmente dalla Catena d’Amore, in nome di quella fratellanza che è cardine del nostro stare insieme, sempre dichiarata ma spesso non praticata.
Sempre si è manifestato e sbandierato ai quattro venti, con giusto orgoglio, il nostro carattere di uomini liberi e la nostra vocazione a migliorarci, indicando, nel contempo, al mondo profano la via del rispetto reciproco, dell’equità, della giustizia.
A mio parere, tuttavia, i programmi, i proclami e le buone intenzioni, da sole, non bastano.
Credo fermamente, invece, che per poter veramente ottemperare ai nostri scopi occorra innanzitutto riprendere ed approfondire un’accurata riflessione sui valori che sono a fondamento del nostro essere insieme, del nostro perfezionamento, del nostro aspirare al bene dell’umanità.
Primo tra tutti, la Tolleranza.
Da sempre, indipendentemente dai significati, dalle motivazioni e dagli sviluppi storici, il termine TOLLERANZA è valso ad indicare qualsiasi atteggiamento, individuale o collettivo, che ripudi la contrapposizione, fine a se stessa, e la penalizzazione di princìpi, opinioni, idee, comportamenti che siano difformi o diversi dai propri.
Per contrapposizione l’intolleranza ha, pertanto, significato il mancato riconoscimento di qualsiasi ambito soggettivo che sia pienamente distinto, se pur non necessariamente disgiunto, da concezioni ed idee ritenute e da ritenersi inevitabilmente dominanti.
Molto spesso, infatti, vengono soggettivamente identificati ambiti, di valenza personale o collettiva, da salvaguardare a tutti i costi e dunque da ritenere (e far ritenere) assolutamente oggettivi, e dunque indiscutibili, e dunque inviolabili, e dunque dominanti.
Quando di ciò vengono investite le collettività si formano gli oltranzismi ed i fondamentalismi, etnici, politici e religiosi, con le conseguenze, spesso sanguinose (per il passato come per il presente) delle odiose contrapposizioni di massa.
Il problema, da sempre, si è presentato all’attenzione delle coscienze in maniera complessa e drammatica.
Storicamente il nesso dialettico dei fenomeni di tolleranza ed intolleranza – visti in quanto aspetti opposti da rapportarsi all’esistenza di posizioni “ufficiali” predominanti – ha comportato l’invocazione della Tolleranza quale principio di convivenza civile ed allo stesso tempo strumento di prudenza, opportunità politica ed ordine pubblico assolutamente indispensabile.
Noi Massoni da sempre propugniamo, in modi e forme diverse, tale principio, pienamente consapevoli, tuttavia, dei limiti, delle contraddizioni, delle sperequazioni prodotte dalle scorie, sempre ahimè presenti, delle nostre passioni e dei nostri irrisolti problemi individuali e personali.
Dobbiamo essere, tuttavia, altrettanto consapevoli del fatto che limitare il significato della Tolleranza solo all’aspetto ed alla funzione della pace sociale non evidenzia abbastanza, o non evidenzia affatto, i veri motivi, di ordine morale, della necessità di escludere l’intolleranza nei rapporti sociali, interpersonali o di gruppo che siano.
Un uomo veramente libero ed intelligente, in continua riflessione su di sé, deve infatti, a mio parere, intendere e perseguire un più intimo concetto di Tolleranza: quello della disponibilità all’ascolto ed al cambiamento di parere, del desiderio di apprendimento e di scambio privo di pregiudizi, del rispetto delle opinioni altrui, della rinunzia al protagonismo ed all’imposizione carismatica, del silenzio all’occorrenza, della capacità morale ed intellettuale del superamento delle reciproche incomprensioni o avversità, della piena disponibilità alla sincera apertura, ad un autentico riconoscimento, ad una piena accettazione degli altri, nella loro dimensione umana.
La tolleranza non deve essere intesa come pazienza o sopportazione, ma deve trascendere, in qualità e continuità, tali termini, senza scadere nell’adattamento alle situazioni, nel qualunquismo, nel cedimento caratteriale o nell’eccessiva liberalità.
Una collettività come la nostra, in particolare, che non possieda tali valori in concreto, e non solo sul piano formale, che non riesca ad essere “laica” nel senso pieno del termine, non potrà mai veramente riconoscere e, dunque, garantire il valore della dignità e della individualità della persona umana.
E’ assolutamente evidente, peraltro, il fatto che, nell’indicare decisamente agli altri tali valori e tali necessità, Noi, proprio Noi, non possiamo consentirci, né dobbiamo o dovremo mai consentire, neppure il sospetto di atteggiamenti o modi intolleranti nei nostri reciproci rapporti; naturalmente a cominciare da chi ha, o abbia avuto, o possa avere per il futuro compiti guida.
Al contrario, la vera Amicizia e la Tolleranza che ad essa sempre si accompagna, accomunate alla Temperanza, non potranno che dare sempre più autentica Forza alle nostre intenzioni ed alle nostre azioni, sfociando, insieme, nella Generosità e nella Solidarietà, motori primi dell’Universo.
Per tali motivi, nell’esercitare su me stesso tutti i dovuti atti di tolleranza, vi invito con fermezza, ma con pieno convincimento, a fare altrettanto ed a meditare sui pericoli dell’intolleranza.
Voliamo alto fratelli miei carissimi, lasciandoci in basso le scorie ed il fango della profanità; larghi orizzonti ci attendono se sapremo e vorremo scoprirli.
Un forte e caro abbraccio a tutti Voi.

Paolo Lomonte


“… Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi. Se è permesso a deboli creature, perdute nell’immensità e impercettibili al resto dell’universo, osar domandare qualche cosa a Te che hai dato tutto, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, degnaTi di guardare con misericordia gli errori legati alla nostra natura.
Che questi errori non generino le nostre avventure.
Tu non ci hai dato un cuore perché noi ci odiassimo, né delle mani perché ci strozzassimo.
Fa che ci aiutiamo l’un l’altro a sopportare il fardello di una esistenza penosa e passeggera: che le piccole diversità tra i vestiti che coprono i nostri corpi deboli, tra tutte le nostre lingue insufficienti, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre condizioni ai nostri occhi così diverse l’una dall’altra , e così eguali davanti a Te; che tutte le piccole sfumature che distinguono questi piccoli atomi chiamati uomini, non siano segnali di odio e di persecuzione; che coloro che accendono ceri a mezzogiorno per celebrarTi sopportino coloro che si accontentano della luce del Tuo sole; che coloro che coprono la veste loro di una tela bianca per dire che bisogna amarTi non detestino coloro che dicono la stessa cosa portando un mantello di lana nera….”

VOLTAIRE

Dal “Trattato sulla Tolleranza”



2 settembre 2012

- Giacomo de Molay, vita e morte di un templare





Il 13 ottobre, giorno per sempre funesto, ricorre l’anniversario dell’arresto dei Templari in Francia nel lontano anno 1307. Da questa vicenda emerge severa e maestosa la figura di Giacomo de Molay, consegnato alla storia, alla leggenda e al mito come simbolo imperituro delle migliori tradizioni della cavalleria templare. Sappiamo ben poco di Giacomo de Molay prima della sua nomina a Gran Maestro dell’Ordine del Tempio. Egli nasce probabilmente tra il 1244 e il 1245 in Borgogna da una nobile famiglia ed entra nell’Ordine all’età di 18- 20 anni: infatti dichiara, nel corso dell’interrogatorio immediatamente successivo all’arresto, di essere nell’Ordine da circa quarantadue anni, anche se dirà la stessa cosa l’anno successivo, durante l’interrogatorio di Chinon. Venne iniziato al Tempio nella commanderia di Baume, diocesi di Autun da Huber de Pairraud, Visitatore di Francia, alla presenza di Amaury de La Roche Gran commendatore della Terra Santa. Questa circostanza fa sorgere un primo interrogativo: perché personaggi così importanti si recano in una modesta commanderia per iniziare al Tempio un qualsiasi giovane Cavaliere? Il fatto è del tutto inusitato e strano, ma vedremo che è forse possibile intravedere una convincente risposta. Dalle tracce storiche si evince che con ogni probabilità De Molay si recò in Oriente nel 1270- 71, circa cinque anni dopo essere entrato nell’Ordine e questo ci induce a formulare una seconda domanda: come mai fu inviato in Palestina così tardi, in un periodo in cui la necessità di combattenti in Terra Santa era altissima? Nel 1273 diventa Gran Maestro dell’Ordine Guglielmo di Beaujeu e sembra che il pur giovane De Molay si trovi già al suo fianco come consigliere. Sembra dunque che questo Cavaliere fosse indirizzato, fin dagli inizi, ad una folgorante carriera e la risposta alla nostra prima domanda è forse proprio questa: Giacomo de Molay era probabilmente già destinato a ricoprire un ruolo importante nella struttura dell’Ordine per conto dei duchi di Borgogna i quali desideravano avere un uomo del loro entourage nei vertici decisionali del Tempio. Nel 1291, nonostante la disperata difesa e l’eroica resistenza dei Templari, Acri fu conquistata dai musulmani e questo segnò la fine della presenza cristiana in Terra Santa. I Templari abbandonarono le poche roccaforti che ancora presidiavano e il 14 agosto evacuarono anche l’ultimo presidio, l’invitta fortezza di Castel Pellegrino ritirandosi a Cipro sotto la guida di Tommaso Gaudin che era stato eletto gran maestro in sostituzione di Guglielmo di Beaujeu, morto eroicamente nel corso della difesa di Acri. Gaudin sarebbe morto dopo soli due anni aprendo così la strada alla elezione di Giacomo de Molay a Gran Maestro dell’Ordine. Da qui ha inizio non solo la storia forse meglio conosciuta dell’Ordine del Tempio e del suo ultimo Gran Maestro, ma anche la vicenda che condurrà il Tempio alla rovina.
Nel corso del Capitolo che elesse Giacomo de Molay vi fu anche un secondo aspirante alla prestigiosa carica: Hugues de Pairraud, sostenuto dal re di Francia Filippo IV il Bello. Non solo il confronto tra i due contendenti fu particolarmente aspro, ma per la prima volta, nella sua storia, nell’Ordine si verificò una profonda frattura che sarebbe poi stata foriera di funeste conseguenze. In quell’occasione, dunque, un consistente numero di Cavalieri si rifiutò di riconoscere Giacomo de Molay come legittimo gran maestro e solo l’energico intervento di papa Bonifacio VIII riuscì faticosamente a ricomporre la spaccatura, ma la ritrovata unità ebbe un prezzo tale da incrinare irrimediabilmente la compattezza e la solidità dell’Ordine. Fu indubbiamente questo che consentì alla casa reale di Francia di realizzare con maggior facilità il progetto di aggredire il Tempio e distruggerlo. A Pairraud vennero infatti conferiti poteri più ampi di quelli che normalmente aveva il Visitatore di Francia: in realtà egli divenne una sorta di Gran Maestro, in parte autonomo, con una giurisdizione assai ampia sui territori di Francia. Pairraud abusò largamente dei poteri che gli erano stati conferiti, tentando di affermare la preminenza della sua autorità rispetto a quella del Gran Maestro sul suolo francese e inoltre si prestò alla strategia di Filippo il Bello il quale aveva concepito di creare un autonomo Ordine Templare di Francia, cosa che per la verità in qualche misura già si registrava nei regni di Portogallo e di Aragona. Pairraud, probabilmente per ambizione, divenne la quinta colonna della corona francese all’interno del Tempio e quindi senza ombra di dubbio fu un traditore. Quando poi si rese conto di ciò che stava accadendo e del danno che il suo operato stava procurando, tentò inutilmente di tornare sui suoi passi, ma fu sdegnosamente respinto da Giacomo de Molay. Per giunta Pairraud pagò assai cara la sua politica e la fedeltà alla corona francese, perché anche da Filippo il Bello, per il suo tardivo ravvedimento, fu ritenuto un traditore e finì condannato al carcere a vita. Per parte sua Giacomo De Molay fu sempre, per tutta la vita e in ogni circostanza, un autentico Templare e non abbandonò mai, nella maniera più rigida e intransigente, la missione che costituiva la ragion d’essere dell’Ordine del Tempio: la difesa della Terra Santa. Da Cipro tentò ancora caparbiamente di riconquistare i luoghi santi e riuscì perfino a riprendere, per un breve periodo, Gerusalemme. Nel 1299 i Templari, con alcuni contingenti di ospedalieri, truppe del re di Cipro e di Armenia, alleandosi con i mongoli di Kazan Kan penetrarono nella Città Santa, ma il governatore turco a cui era stata affidata la riconsegnò poi nuovamente ai musulmani.
A quel tempo, poi, i Templari inoltre stabilirono una base sull’isolotto di Ruad, per altro del tutto privo di acqua, ma che aveva il vantaggio di essere situato molto vicino alla costa libanese, e da qui lanciarono continue incursioni contro il territorio islamico. Esasperato da questa azione di disturbo il sultano, nel 1303, attaccò l’isola in forze e ne scacciò i Templari che pagarono un alto tributo di sangue: circa 250 cavalieri morirono e altri 120 vennero fatti prigionieri. De Molay, che prese parti ai furiosi combattimenti, riuscì a mettersi in salvo con pochi altri Cavalieri. Intanto, nel 1305, i Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni o Ospedalieri che dir si voglia, si apprestavano a invadere Rodi ed è poco noto che De Molay aiutò l’Ordine Ospedaliero in questa circostanza inviando anch’egli un contingente militare a conquistare l’isola. Alla morte di Benedetto XI, successore di Bonifacio VIII, salì al soglio pontifico, con il sostegno determinante del re di Francia, il cardinale Bertrand de Got che assunse il nome di Clemente V. Le cronache del Villani riportano che il re di Francia pretese cinque promesse dal cardinale per garantirgli il suo appoggio e che una di queste era proprio la soppressione dell’Ordine del Tempio. La cerimonia di incoronazione del nuovo papa si svolse sotto i peggiori auspici e, mentre il corteo sfilava, un tratto di muro crollò uccidendo l’uomo che era a fianco del pontefice mentre la tiara rovinava nella polvere perdendo una delle sue preziose gemme. A lungo la storia ci ha dipinto questo papa come imbelle e succube di Filippo il Bello, ma avremo modo di verificare che questo non è affatto vero e che molti autori recenti rivalutano giustamente la sua figura. Clemente V era un raffinato giurista e un abile diplomatico, non immune dai consueti difetti dei papi del suo tempo, compresa l’amante e uno sfrenato nepotismo. A livello di curiosità riportiamo che si deve a lui la raccolta di leggi canoniche che va sotto il nome di Clementine e la fondazione dell’università di Perugia. L’altro protagonista dell’ultimo scorcio di vita dell’Ordine templare è Filippo il Bello, giustamente considerato il fondatore dello stato laico moderno. Era un pragmatico, dall’espressione impenetrabile, cinico e calcolatore che, circondatosi di uomini di legge, tentava di costruire una monarchia dai forti poteri accentrati. La necessaria burocrazia e le continue guerre creavano enormi difficoltà finanziarie a questo re senza scrupoli il quale ricorse a ogni mezzo per reperire le risorse necessarie. Filippo arrivò ad espellere gli ebrei impossessandosi dei loro beni e analoga manovra la ripetè nei confronti dei banchieri italiani; operò la tosatura della moneta e la svalutò più volte, fino a quando si arrivò alla spontanea rivolta del popolo esasperato al quale egli riuscì a sfuggire solo rifugiandosi dentro le sicure torri del Tempio di Parigi.
Filippo il Bello era perfettamente consapevole che, tra le proprietà e il potere della Chiesa, quelle dell’Ordine di S. Giovanni e di altre analoghe istituzioni e soprattutto dei Templari, il suo progetto politico aveva scarse possibilità di poter essere compiutamente attuato. Non potendo apertamente aggredire la Chiesa senza correre gravi rischi, Filippo cominciò allora con l’estromettere gran parte degli ecclesiastici dall’amministrazione del regno, istituì gli Stati Generali e tentò in ogni modo di conseguire un’egemonia sull’Ordine del Tempio. Vale la pena di ricordare che Filippo il Bello ebbe una contesa asprissima con Bonifacio VIII, e che il suo emissario, Philippe de Nogaret, fu l’uomo del famoso episodio dello schiaffo di Anagni oltre che il grande regista dell’operazione che doveva condurre alla distruzione dell’Ordine del Tempio. Filippo il Bello, andato a vuoto il tentativo di porre un uomo di sua fiducia alla guida dell’Ordine nella persona di Pairraud, chiese di esser ammesso nel Tempio egli stesso in qualità di Cavaliere Onorario, dignità concessa in precedenza solo a papa Innocenzo III, ma ottenne un secco rifiuto. Successivamente tentò allora la strada della fusione dei due Ordini, quello templare e quello ospedaliero proponendo di mettere a capo di questa nuova compagine suo figlio. In realtà l’idea della fusione non era nuova ed era stata discussa e perfino decisa nel corso del concilio di Lione del 1295. Quanto all’idea di un Rex bellator anche questa era stata sollevata dal famoso Raimondo Lullo e sostenuta da Carlo D’Angiò. Nelle argomentazioni della corona di Francia questa ultima soluzione era l’unica che avrebbe potuto veramente concretizzare una nuova spedizione crociata con buone possibilità di successo. Alla fine del 1306 Clemente V convocò a Poitiers i maestri del Tempio e dell’Ospedale per discutere il progetto di una nuova crociata invitandoli a produrre sull’argomento un memoriale. Giacomo de Molay rientrò allora in Francia attraversando il paese alla testa di uno sfarzoso corteo composto da sessanta cavalieri oltre ad armigeri e paggi orientali, ostentando armature preziose e scintillanti e soprattutto dodici cavalli carichi d’oro e d’argento. Indubbiamente il vecchio Cavaliere voleva dimostrare che il Tempio era ancora vivo e potente, ma fu purtroppo una mossa del tutto sbagliata. Se gli occhi di Filippo il Bello si riempirono di cupidigia, quelli del popolo si colmarono di riprovazione davanti a tanta ricchezza ostentata da un esercito sconfitto ed al quale veniva addebitata la perdita della Terra Santa. Non si è mai trovata una ragionevole spiegazione sul perché Giacomo de Molay abbia trasportato in Francia anche le ricchezze d’Oriente e concentrato praticamente l’intero vertice del Tempio a Parigi. Personalmente ritengo che si trattò di un messaggio diretto a Pairraud perché avesse chiaro chi fosse veramente il capo dell’Ordine. Pairraud infatti, in totale dispregio della regola, era arrivato perfino a concedere al re di Francia un enorme prestito. A questo episodio De Molay reagì duramente destituendo dal suo incarico Jean de La Tour, il tesoriere del Tempio e ignorando a lungo le richieste del papa di perdonarlo e reintegrarlo. De Molay ebbe con Filippo il Bello alcuni incontri tempestosi, anche perché sapeva con certezza che agitatori prezzolati al soldo di Philippe de Nogaret diffondevano tra il popolo di Parigi notizie infamanti sul conto dell’Ordine. Nel memoriale che De Molay consegnò al papa, con argomentazioni assai ben articolate, si sosteneva l’assoluta impossibilità di procedere alla fusione degli Ordini e si fornivano precise indicazioni su come procedere per organizzare una nuova crociata. Forse è vero, come alcuni sostengono, che De Molay era sostanzialmente un militare e non un politico e quindi non riuscì a rendersi conto che la fusione degli Ordini sarebbe stata la vera strada per salvare il Tempio. Personalmente sono convinto, o forse solo mi piace pensare, che invece de Molay vivesse con intensità l’orgoglio di essere un Cavaliere del Tempio e l’idea della fusione doveva apparirgli come un tradimento dello spirito e della missione dell’Ordine, oltre che un venir meno al solenne giuramento che egli aveva fatto quando era entrato a farne parte. Il Gran Maestro, irritato delle insistenti voci che circolavano e che recavano offesa all’onore dei Cavalieri, chiese allora al papa di aprire un’inchiesta che facesse luce sulla situazione e restituisse ai Templari il prestigio e l’onore a cui avevano diritto.
Al re di Francia, tentata ogni via politica, ormai non restava che attuare il piano più rischioso, la distruzione dell’Ordine. Con una strategia ben congegnata, ed evidentemente studiata da tempo, si fecero pervenire a tutti i balivi del regno dei plichi sigillati con l’ordine di aprirli solo all’alba del 13 ottobre. I plichi contenevano l’ordine d’arresto per i Templari e la disposizione di procedere immediatamente a un primo interrogatorio facendo uso della la tortura, inoltrando successivamente soltanto le confessioni. Con ogni evidenza l’obiettivo non era quello di appurare la verità, ma quello di ottenere dei colpevoli. Si specificava che l’ordine di arresto era impartito su disposizione della Santa Inquisizione perché, come diceva la lettera, “ una notizia amara, deplorevole, orribile a pensare, terribile da udire… è risuonata alle nostre orecchie.” Nogaret guidò personalmente il gruppo di armigeri che andò ad arrestare i Templari del Tempio di Parigi, sapendo che vi avrebbe trovato anche il gran maestro e gli alti dignitari,oltre a circa altre centoquaranta persone. E’ accertato che, per diversi canali, i Templari furono preavvertiti dell’arresto. E’ lecito allora chiedersi: perché si consegnarono pacificamente? Perché nessuno reagì con le armi? Perché non fuggirono? Perché tutti i dignitari, compreso il Gran Maestro, confessarono con tanta facilità? Sarebbe perfino bastato che De Molay si fosse portato fuori dalla Francia per vanificare tutto il piano di Filippo il Bello. Esistono prove documentali che nottetempo una lunga fila di carri, di cui non si ebbe più notizia, si allontanò dal tempio di Parigi portando al sicuro i beni dell’Ordine. Come fu più volte dichiarato nei vari interrogatori centinaia di Templari in Oriente avevano sempre affrontato la morte e la tortura pur di non abiurare la loro religione: è allora mai possibile che i vertici del Tempio avessero paura? E se avevano paura perché poi successivamente scelsero volontariamente di andare incontro alla morte? Perché questo strano comportamento? Personalmente ritengo che si trattò di una prova di forza, che a meno di insanguinare la Francia con una guerra fratricida, i Templari potevano affrontare solo in questo modo. Indubbiamente il papa ebbe un notevole peso in tale scelta ed è probabilmente questa è la ragione per cui si evitò sempre, con ogni mezzo, durante tutti i lunghi anni del processo, di far incontrare De Molay con papa Clemente V. Inoltre questa sfida offre anche la chiara manifestazione di cosa poteva essere il senso dell’onore e del coraggio per un vero cavaliere e quindi più che mai per un Cavaliere Templare. Comincia da qui il percorso che ci porterà a guardare con ammirazione a Giacomo de Molay, al suo comportamento, che giustifica il mito e l’alone romantico e leggendario che aleggia attorno a questa figura eroica e simbolica a cui è giusto guardare con rispetto, e che è giusto ricordare e prendere ad esempio. Per un uomo della tempra di De Molay, era giusto andare allo scontro e misurarsi con il re di Francia e se la regola vietava di alzare la spada contro un altro cristiano l’Ordine si sarebbe battuto con le buone ragioni della sua integrità e della sua fede.
I Templari andarono quindi incontro al loro destino affrontando pene immense, torture feroci e spietati roghi. Lo stesso de Molay non evitò la tortura nell’interrogatorio del 24 ottobre, anche se ammise solo una piccola parte del lungo elenco di accuse che gli fu presentato. Probabilmente De Molay confessò per ottenere di poter ripetere la sua confessione davanti al popolo di Parigi e infatti, in quella circostanza, ritrattò tutto mostrando ai presenti i segni della tortura. Con ogni probabilità le facili confessioni dei dignitari furono rese per paura di confessare i veri segreti del Tempio e ciò sulla base di un accordo stipulato tra loro prima dell’arresto. I Templari erano accusati di eresia, di rinnegamento del Cristo, di sodomia, di adorazione del diavolo e di uno strano idolo chiamato Bafometto, nonchè di collusione con l’Islam e di altri innumerevoli reati del tutto assurdi, ma anche tutti terribilmente infamanti. Nogaret diffuse anche la notizia di una lettera scritta da de Molay, nella quale il Gran Maestro invitava i Templari a confessare: di questa missiva però non si è mai trovata traccia e se ci fosse veramente stata Nogaret ne avrebbe fatto di certo un uso assai più eclatante e facilmente rintracciabile negli atti ufficiali. In definitiva il papa avrebbe dovuto essere il vero scudo dei Templari i quali non sarebbero fuggiti perché fuggire non era degno di un uomo e di un cavaliere e ancor meno di un Templare: fu per questo che de Molay ed i suoi andarono fatalmente incontro al loro destino e la loro terribile fine segnò anche quella della cavalleria. Il papa in effetti reagì e tentò di difendere i Templari fino a quando fu chiaro che Filippo il Bello non si sarebbe fermato davanti a niente e che la Chiesa stessa minacciava di essere travolta da questa vicenda. Il progetto di una Chiesa scismatica di Francia era già pronto e predisposto da tempo. Non dunque è affatto vero che il papa eseguì passivamente i voleri del re: se così fosse stato non ci sarebbero voluti sette anni per venire a capo di una situazione che i due poteri congiunti, quello politico e quello religioso, avrebbero potuto risolvere in poche settimane. Il papa convocò immediatamente un concistoro, scrisse una dura lettera al re di Francia per aver egli osato alzare la mano su un ordine religioso e gli inviò due cardinali perché rimettesse tutta la questione nelle mani della Chiesa: ma questi non furono ricevuti. Clemente indisse allora un nuovo concistoro nel quale fu decisa la scomunica nei confronti del re se i cardinali non avessero potuto adempiere la loro missione e questa volta essi ebbero udienza. Infine Clemente V revocò i poteri dell’inquisizione interrompendo così tutto il procedimento. Con l’intenzione di strappare di mano l’iniziativa al re di Francia, papa Clemente emanò la bolla Pastoralis Preminentiae con la quale egli stesso ordinava l’arresto dei Templari, ma così facendo avocava a sé la paternità dell’indagine. Il re inviò alla Sorbona dei quesiti convinto che, con l’assenso dei dotti, avrebbe piegato la resistenza del papa, ma la risposta non gli fu favorevole e allora convocò gli Stati Generali perché chiedessero a gran voce l’abolizione del Tempio. De Molay, con l’escamotage di un messaggio inciso su una tavoletta di cera, fece circolare fra i Templari prigionieri il suo ordine di difendere il Tempio a ogni costo e la resistenza dei Cavalieri si accrebbe divenendo sempre più forte e organizzata. Nel corso dell’anno successivo 1308, dopo diversi incontri, si giunse a un accordo di massima fra il re e il papa, ma la lotta diplomatica tra i due continuò e Clemente V dette effettivo inizio alla sua inchiesta istituendo commissioni provinciali incaricate di indagare sul comportamento dei singoli Templari, mentre una commissione di nomina papale avrebbe avuto il compito di indagare sull’Ordine nel suo complesso. Il provvedimento mirava chiaramente a distinguere le responsabilità ed a comminare semmai qualche isolata condanna salvando però l’Ordine. Nell’agosto dello stesso anno il papa chiese di interrogare personalmente i dignitari templari, ma questi furono trattenuti a Chinon con la scusa che non erano in grado di proseguire il viaggio. A questo punto il papa, che perseguiva una sua precisa strategia, aggirò l’ostacolo inviando a Chinon tre cardinali in qualità di suoi legati e questi, secondo le disposizioni ricevute, ascoltarono le confessioni dei dignitari, e fecero anche di più. Infatti, nonostante che i dignitari, sia pure con qualche scusa, spesso anche infantile, confessassero di tutto, compresi fatti, circostanze e atteggiamenti decisamente eretici, i Cardinali impartirono loro l’assoluzione e li reintegrarono a tutti gli effetti in seno alla Chiesa. Sembrava ormai che il Tempio fosse salvo.
Il 26 novembre del 1309 la commissione papale interrogò De Molay il quale, alla lettura del verbale della deposizione da lui resa a Chinon, si infuriò e arrivò perfino a minacciare la commissione. Altro mistero decisamente insoluto, perché nessuno sa cosa, nei verbali che furono letti, fosse così difforme dalle dichiarazioni precedentemente rese a Chinon del Gran Maestro, né quale sotterfugio fu usato per alterare la sua precedente dichiarazione. Due giorni dopo de Molay fu di nuovo interrogato dalla commissione, ma il tono questa volta fu completamente diverso, del tutto mite e sottomesso e si pensa che possa essere stato ricattato con la minaccia della accusa di sodomia nei confronti del suo scudiero. A questo punto De Molay si dichiarò incapace di difendere l’Ordine ribadendo di voler parlare solo in presenza del papa. Nel corso del 1310 la resistenza dei Templari si diventò più efficace e circa seicento di loro dichiararono di voler difendere l’Ordine. Pietro da Bologna che con altri tre Cavalieri capeggiava la difesa sparì e di lui non si seppe più nulla. Intanto l’arcivescovo di Sens mandava al rogo cinquantaquattro Templari rei di aver ritrattato le confessioni, accusandoli quindi di essere relapsi e questo stroncò ogni ulteriore velleità di difesa. E’ doveroso riferire che dove non furono torturati i Templari non confessarono niente e furono assolti. Tra il re e il papa un fragile accordo era stato raggiunto e l’Ordine del Tempio doveva dunque essere sacrificato alle ragioni politiche di Filippo il Bello che, da parte sua, avrebbe posto fine alle minacce contro il papa e la Chiesa: nessuno dei due, però, in realtà si fidava minimamente dell’altro. Nel 1311 si aprì il concilio di Vienne nel corso del quale, contrariamente alle aspettative, si andava registrando un orientamento favorevole ai Templari. Allarmato da queste notizie, Filippo il Bello, ormai esasperato, decise un’azione di forza e circondò il concilio con l’esercito. Clemente V si rese conto che i complicati compromessi faticosamente raggiunti con il re di Francia rischiavano di essere vanificati creando una situazione incontrollabile. Decise allora la promulgazione di una bolla che non era espressione della volontà conciliare ma un provvedimento amministrativo promanante direttamente dal papa: la nota bolla Vox in Excelso. In questa bolla, che è un capolavoro di diplomazia e di ipocrisia, si afferma che, “non potendosi condannare l’Ordine”…”con amarezza e con dolore”…….di fatto l’Ordine stesso veniva soppresso. E ciò anche se una lettura attenta porta a ritenere che in effetti si trattò in effetti di sospensione, come d’altra parte emerge anche da considerazioni di natura squisitamente politica. Con altra bolla i beni del Tempio vennero sottratti alla bramosia di Filippo il Bello e affidati all’Ordine di S. Giovanni. Il re non protesterà per questi provvedimenti a dimostrazione del fatto che il suo vero obiettivo era di natura politica e non economica e che questo risultato, con la demolizione dell’Ordine del Tempio, era stato raggiunto. I quattro alti dignitari attesero ancora due anni in carcere prima di essere condotti di nuovo, il 18 marzo del 1314, davanti a un tribunale che, sul sagrato di Notre Dame, li interrogò pubblicamente. Pairraud e Gonneville non proferirono parola, ma De Molay e De Charnay cominciarono a protestare a viva voce l’innocenza dell’Ordine e l’udienza fu quindi bruscamente interrotta. Il gran maestro davanti alla prospettiva della morte, che consapevolmente aveva scelto, pare gridasse queste parole rivolto al popolo di Parigi: “E’ necessario che in un così terribile giorno, negli ultimi momenti della mia vita, io riveli tutta l’ingiustizia della menzogna e faccia trionfare la verità. Io dichiaro perciò di fronte al cielo e alla terra, e confesso, benché a mia eterna onta, che ho commesso il più grande dei crimini, accettando che al nostro Ordine fossero imputati delitti di tanta mostruosità: io attesto, e la verità mi obbliga a far ciò, che esso è innocente. Io ho fatto la dichiarazione contraria per sospendere i terribili dolori della tortura, e per muovere a pietà coloro che mi facevano soffrire. Io conosco i supplizi che sono stati inflitti a tutti i Cavalieri che hanno avuto il coraggio di ritrattare una simile confessione; ma il tremendo spettacolo che mi si presenta non è capace di farmi confermare una prima vergogna con una seconda: a una condizione così infame io rinuncio volentieri alla vita.” Più o meno le stesse cose disse anche de Charnay che aggiunse di aver ceduto alle ingannevoli promesse del papa e del re. Esasperato dalla resistenza di questi uomini, ancora non domi dopo sette anni di privazioni e di tormenti, Filippo il Bello fece pronunciare dal consiglio della corona la sentenza di morte per il gran maestro e De Charnay che la sera stessa furono arsi vivi su un’isoletta della Senna nei pressi di Notre Dame. Pairraud e Gonneville furono invece condannati al carcere a vita. La leggenda narra che il Gran Maestro lanciò una maledizione contro i detrattori del Tempio chiamandoli entro l’anno a rendere conto dei loro misfatti davanti al tribunale dell’Onnipotente: poi volle poter volgere il volto verso la cattedrale di Parigi in un’ultima preghiera e morì tra le fiamme senza un lamento. A tarda notte il popolo di Parigi si recò a raccogliere le ceneri dei due martiri per conservarle gelosamente come reliquie. Il caso volle che dopo un mese Clemente V morisse di un male che da tempo lo affliggeva allo stomaco e il suo catafalco, esposto nella cattedrale, fosse colpito da un fulmine. Dopo altri due mesi anche il re di Francia morì, orrendamente dilaniato da un cinghiale durante una caccia, e sempre nel corso dell’anno finirono impiccati, Nogaret e Marigny, il potente primo ministro di Filippo oltre a quell’Esquin de Florian che aveva mosso le prime accuse ufficiali al Tempio. Fu veramente un caso ? Come giustamente afferma un accorto studioso delle vicende templari, Eugenio Bonvicini, “per gli apologeti i Templari divennero il simbolo degli uomini liberi, ingiustamente condotti al rogo.” Da Giacomo de Molay prende l’avvio anche una serie di vicende, non tutte condivisibili che stanno all’origine di quel vasto e complesso movimento ideale e ideologico, culturale e artistico, filosofico e scientifico che va sotto il nome di templarismo. Si narra che De Molay trasmise i suoi poteri al nipote, conte di Beaujeu, perché potesse perpetuare l’Ordine, mentre un’altra versione dice che la trasmissione avvenne a favore di un cavaliere di nome Jean Marc Larmenius. Ritengo che né l’una né l’altra versione abbiano una qualche attendibilità mentre assai più consistente è la traccia che porta i Templari fuggiaschi in Scozia e la loro confluenza nella famosa loggia di Kilwinning. In questa loggia di costruttori i Templari trasferirono la grande eredità esoterica e culturale di cui era ricco l’Ordine del Tempio e che merita certo un approfondimento che non è possibile fare in questa circostanza. Vale invece la pena di dire che la figura dell’ultimo Gran Maestro ha attraversato i secoli assumendo una serie di significati simbolici che giustamente lo pongono come riferimento centrale di molte speculazioni filosofiche. L’eredità di de Molay De Molay è diventato il simbolo della verità che la prepotenza del potere calpesta e che la dignità reclama, il simbolo della libertà dall’oppressione, della fraternità e dell’eguaglianza, ripresi dalla rivoluzione francese. Non a caso si narra che dopo l’esecuzione di Luigi XVI un uomo balzasse sul palco gridando “Giacomo de Molay sei vendicato.” De Molay è diventato il simbolo dell’uomo che combatte fino all’estremo sacrificio perché trionfino la verità e la giustizia e il bene prevalga sul male. Egli è divenuto il simbolo di tutti coloro che nella vita sono alla ricerca di un Graal, il simbolo di coloro che insorgono piuttosto che piegarsi al potere e hanno cari, come ogni vero Cavaliere, la propria dignità e il proprio onore.